Zambetti dal carcere: «Non sapevo che quelle persone fossero della 'ndrangheta»
MILANO - «È sempre meglio averlo, un amico» in Regione Lombardia o al Comune di Milano. Anche perché, se un politico poi non si conferma «la persona seria» che ai clan di 'ndrangheta sembra quando gli si offrono i voti e lui li accetta, c'è sempre modo di rimediare: «Sennò dopo andiamo a prenderlo e lo crepiamo, parliamoci chiaro..., lo andiamo a prendere in ufficio e lo... lo crepiamo di palate».
Il candidato «risorsa di tutta la cosca»
L'«amicizia» prima di tutto, ripetono in continuazione i boss nei colloqui intercettati dall'inchiesta del pm milanese Giuseppe D'Amico. Ma l'idea di «amicizia» coltivata dalle cosche - quelle che «ce l'abbiamo in pugno» l'assessore di Formigoni alla Casa, Domenico Zambetti, arrestato mercoledì per voto di scambio, concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata - è un accorto investimento sul futuro nel particolare «mercato dei voti», dove «le regole - riassumono gli inquirenti - sono molto semplici: da una parte il politico ha necessità di aumentare il pacchetto di preferenze elettorali per incrementare il consenso politico e ricoprire un incarico maggiormente significativo nelle istituzioni pubbliche, dall'altra le cosche hanno l'interesse a incassare sia denaro sia maggiori vantaggi che possano derivare dai futuri incarichi ricoperti dal candidato, il quale, da quel momento, volente o nolente, diviene una risorsa che la consorteria impiega per consolidare il proprio potere sul territorio».
«Aiutiamolo, un appaltino non si sa mai...»
Se questo è l'obiettivo, gli «amici» nei clan mettono in conto persino qualche piccolo iniziale sacrificio di tasca loro, proprio come avviene quando si investe sul futuro. Lo rivela bene uno dei due ambasciatori delle cosche calabresi nei rapporti con i politici lombardi, Eugenio Costantino, un giorno in cui con un complice non parla dei 200.000 euro per 4.000 voti propiziati nelle regionali 2010 all'assessore Zambetti, ma dei 500 voti appoggiati sulla campagna 2011 per il Comune di Milano della ignara figlia Sara dell'ex presidente del Consiglio comunale Vincenzo Giudice: il quale, per gli inquirenti, stringe l'accordo ma non vuole pagare in denaro i voti offertigli da una apparente cordata di professionisti calabresi, dicendosi però disponibile a dare poi una mano nei lavori della metrotranvia di Cosenza, appaltata alla società della Metropolitana milanese che all'epoca presiedeva.
«Quello - riferisce ai complici Costantino - dice di non avere una lira... questo qua ha promesso davanti a me e a un altro testimone che, se la figlia prende un po' di voti, "io vi garantisco che qualche lavoro riesco a darvelo, soldi non ne ho, però se trovo i vostri voti io vi aiuto con il lavoro, con il lavoro a me mi è molto più semplice", ha detto. Arrivati a questo punto cosa facciamo? Gli diamo una mano lo stesso, però prendiamo accordi per lavori successivi - delinea Costantino -. Magari qualche voto glielo facciamo dare lo stesso». Perché «ohh non si sa mai, crearsi un amico in più non fa mai male, un nemico non fa bene... è sempre a Milano, qualche appaltino ce lo può passare... Per esempio adesso abbiamo aiutato questo di Milano e grazie a noi ha preso 500 voti, magari abbiamo bisogno del Comune di Milano e possiamo andare, perché è dentro al Comune». Così poco a poco, osservano gli investigatori, «un atteggiamento parassitario lentamente sta spostando l'ago della bilancia in favore delle cosche che, sfruttando questa risorsa, sono in grado di accrescere a dismisura il loro potere sul territorio. La vincita degli appalti, al di là di indubbi vantaggi economici, è in grado di alimentare ulteriormente quel serbatoio di voti da orientare nelle successive consultazioni elettorali, creando lavoro all'interno della stessa comunità calabrese. E questo rappresenta quel sottile meccanismo in grado di mettere nelle mani di pochi (le cosche) la possibilità di deviare i flussi elettorali».
Zambetti e Crespi respingono le accuse
Zambetti (che oggi, difeso dall'avvocato Giuseppe Ezio Cusumano, verrà interrogato dal gip Alessandro Santangelo) si dice molto scosso dal carcere, dove soffre diabete e pressione alta, respinge gli addebiti e confida che i magistrati lo riconoscano. Afferma di non aver saputo che le persone che dicevano di volerlo appoggiare fossero dei clan, nega di aver barattato soldi con voti, sostiene di aver solo pagato modesti rimborsi per ristoranti elettorali, accenna di aver poi avuto paura a partire da una lettera minatoria. Anche il sondaggista Ambrogio Crespi (fratello di Luigi), arrestato, ma come asserito collettore di voti, e anch'egli interrogato oggi con l'avvocato Marcello Elia, respinge le accuse: lamenta di essere vittima solo di quanto altre persone direbbero di lui al telefono, rimarca di non essere stato a Milano nel periodo caldo delle elezioni 2010, spiega l'enfatizzata conoscenza con Vallanzasca solo con l'intervista alla moglie dell'ex bandito nel dicembre 2011 sul suo giornale online Il Clandestino , e ricorda quanti pochi voti prese perfino per sé quando nel 2006 si candidò.
«Ringraziare» per la «bella figura»
Il meno che si possa intanto dire è che chi fa politica non è schizzinoso. Ecco ad esempio Giudice (indagato per l'ipotesi di corruzione), dopo che la figlia ha preso oltre 1.000 voti in Comune, al telefono con quello che crede essere un avvocato calabrese e non sa sia un 'ndranghetista, ma dal quale sa di aver ricevuto l'offerta di voti in cambio di soldi.
Costantino: «Allora Enzo, contento o no?».
Giudice: «Contento sì per lei, ha fatto un risultato eccezionale, peccato non ci sia la possibilità di entrare perché questa cavolo di lista non ha preso i voti necessari».
Costantino: «E vabbe', lei ha fatto bella figura, l'importante che non ha fatto un fiasco, è quello che si voleva no?».
Giudice: «Esatto, esatto».
Costantino: «Ho detto "spero che Enzo sia rimasto contento"...».
Giudice: «Assolutamente sì... Poi stavamo vedendo anche come organizzarci per ringraziare... quelli che ci hanno aiutato...».
Costantino: «Non c'è problema, quando vuoi. Noi siamo qua...».
Fonte: milano.corriere.it
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10 ott 2012
Sciolto per mafia il Comune di Reggio Calabria
IL PRIMO COMUNE CAPOLUOGO DI PROVINCIA SCIOLTO PER MAFIA
«Rapporti sospetti con le cosche»
La decisione del ministro Cancellieri dopo sei mesi di lavoro della commissione: «Atto sofferto, ma per il bene della città»
REGGIO CALABRIA
La città che si appresta a diventare Metropolitana ha un’amministrazione collusa con la ‘ndrangheta. Questo ha stabilito il Governo che martedì sera ha sciolto l’amministrazione comunale di Reggio Calabria, guidata da Demetrio Arena(Pdl), per «rapporti sospetti con le cosche». «E’ stato un atto sofferto, fatto a favore della città»,ha affermato il ministro dell’Interno AnnaMaria Cancellieri. Quello di Reggio Calabria è il primo consiglio comunale di un capoluogo di provincia a essere sciolto per presunti legami mafiosi.
L'INDAGINE
La decisione del ministro arriva dopo sei mesi di lavoro della commissione d’accesso che si era insediata in città lo scorso 20 gennaio. La triade governativa nella relazione finale aveva definito gli scenari e i legami tra alcuni amministratori e uomini delle cosche. In particolare la commissione ha letto e riletto i documenti relativi all’appalto che l’amministrazione reggina aveva fatto con la Multiservizi, una società partecipata le cui quote di maggioranza erano intestate a personaggi legati alla cosca Tegano. E poi quelle parentele pericolose che hanno portato in carcere il consigliere comunale di maggioranza Giuseppe Plutino e quella dell’ex assessore Luigi Tuccio, figlio dell’ex procuratore di Palmi e Massimo Pascale.
IN CARICA DAL 2011
La decisione del Governo di sciogliere il Consiglio comunale di Reggio Calabria si riferisce – come ha dichiarato la Cancellieri – a questa amministrazione, e non a quella precedente. La giunta Arena è in carica dal 2011, in precedenza la città dello Stretto era stata amministrata da Giuseppe Scopelliti, attuale governatore della Calabria. E proprio il presidente della Regione ha voluto sottolineare la diversità di trattamento cui è stata sottoposta Reggio Calabria, rispetto ad altre amministrazioni limitrofe. «Se questa è stata una scelta politica assumeremo le nostre decisioni chiedendoci se questa sia democrazia» ha spiegato Scopelliti.
Fonte: corriere.it
«Rapporti sospetti con le cosche»
La decisione del ministro Cancellieri dopo sei mesi di lavoro della commissione: «Atto sofferto, ma per il bene della città»
REGGIO CALABRIA
La città che si appresta a diventare Metropolitana ha un’amministrazione collusa con la ‘ndrangheta. Questo ha stabilito il Governo che martedì sera ha sciolto l’amministrazione comunale di Reggio Calabria, guidata da Demetrio Arena(Pdl), per «rapporti sospetti con le cosche». «E’ stato un atto sofferto, fatto a favore della città»,ha affermato il ministro dell’Interno AnnaMaria Cancellieri. Quello di Reggio Calabria è il primo consiglio comunale di un capoluogo di provincia a essere sciolto per presunti legami mafiosi.
L'INDAGINE
La decisione del ministro arriva dopo sei mesi di lavoro della commissione d’accesso che si era insediata in città lo scorso 20 gennaio. La triade governativa nella relazione finale aveva definito gli scenari e i legami tra alcuni amministratori e uomini delle cosche. In particolare la commissione ha letto e riletto i documenti relativi all’appalto che l’amministrazione reggina aveva fatto con la Multiservizi, una società partecipata le cui quote di maggioranza erano intestate a personaggi legati alla cosca Tegano. E poi quelle parentele pericolose che hanno portato in carcere il consigliere comunale di maggioranza Giuseppe Plutino e quella dell’ex assessore Luigi Tuccio, figlio dell’ex procuratore di Palmi e Massimo Pascale.
IN CARICA DAL 2011
La decisione del Governo di sciogliere il Consiglio comunale di Reggio Calabria si riferisce – come ha dichiarato la Cancellieri – a questa amministrazione, e non a quella precedente. La giunta Arena è in carica dal 2011, in precedenza la città dello Stretto era stata amministrata da Giuseppe Scopelliti, attuale governatore della Calabria. E proprio il presidente della Regione ha voluto sottolineare la diversità di trattamento cui è stata sottoposta Reggio Calabria, rispetto ad altre amministrazioni limitrofe. «Se questa è stata una scelta politica assumeremo le nostre decisioni chiedendoci se questa sia democrazia» ha spiegato Scopelliti.
Fonte: corriere.it
1 dic 2011
9 giu 2011
'Ndrangheta in Piemonte. Le primarie del Pd con la richiesta di aiuto al boss di Rivoli.
Operazione Minotauro, spuntano i nomi di deputati e amministratori pubblici
L'incontro tra Porchietto (Pdl) e il capocosca
TORINO - Il procuratore di Torino Caselli parla di un «inquietante intreccio tra criminalità organizzata e politica». Incontri al bar, telefonate. Da una parte deputati, consiglieri regionali, funzionari pubblici, dall'altra pluripregiudicati, boss e capi di locale. L'operazione Minotauro di carabinieri e finanzieri ha portato mercoledì mattina all'arresto di 151 persone, tra i quali Nevio Coral, già sindaco di centrodestra di Leinì (Torino) per 30 anni e suocero dell'assessore regionale alla Sanità (che ha rimesso le deleghe in seguito allo scandalo tangenti scoppiato di recente) Caterina Ferrero, del Pdl. Ma oltre ad infliggere un colpo letale alle organizzazioni mafiose presenti in Piemonte, decimando le «locali» di 'ndrangheta private in un sol colpo di vertici e affiliati, comincia a fare luce anche sul sottobosco di frequentazioni «elettorali» tra le 'ndrine piemontesi e pezzi delle istituzioni. «Pezzi, si noti bene - ha precisato Castelli - non le istituzioni nella loro interezza. Che per fortuna non sono compromesse».
I NOMI - Quello di Coral non è l'unico nome eccellente che compare nell'ordinanza firmata dal Gip di Torino Silvia Salvadori. Nelle pieghe delle indagini emergono invece i contatti tra un capo locale, il boss di Rivoli Salvatore Demasi con deputati, amministratori e funzionari pubblici. Naturalmente nessuno di questi è indagato, ma gli inquirenti sono riusciti ad accertare ad esempio gli orientamenti della cosca in occasione delle elezioni a Castellamonte. Oppure i contatti tra Demasi e alcuni deputati nazionali e regionali: «Tra la fine di gennaio e il febbraio 2011 - si legge nell'ordinanza - si è incontrato direttamente o tramite intermediari con l'onorevole Gaetano Porcino dell'Idv, con l'onorevole Domenico Lucà del Pd, con il consigliere regionale del Pd Antonino Boeti, con l'assessore all'Istruzione di Alpignanno Carmelo Tromby, sempre dell'Idv».
L'OMBRA SULLE PRIMARIE DI TORINO - Gli inquirenti descrivono i preparativi di un incontro per il giorno 29 gennaio 2011, al Bar Massaua di Torino tra Porcino e Demasi. In un'altra circostanza è il deputato Lucà in persona a farsi vivo con Demasi, per chiedergli aiuto in vista delle Primarie. Il candidato da votare è Piero Fassino:
Lucà: «...Ascolta, ti volevo chiedere questo, tu sai che a Torino abbiamo le primarie».
Demasi:«Certo! Tu dimmi qualcosa che io mi interesso».
Lucà:«Io sto sostenendo Fassino».
Demasi: «Eh beh, anch'io avrei fatto la stessa cosa».
Lucà: «Obbiettivamente mi pare la persona più seria in questo momento (...) volevo chiederti se magari, perché la partita è molto dura con Gariglio
Demasi: «Sì, una mano».
Lucà: «Se magari hai qualche, amico a Torino».
Demasi: «Certo!... certo che ne ho!».
Lucà: «A cui passare la voce, perché possono votare tutti i residenti a Torino, che abbiano compiuto sedici anni. »
Demasi: «Tutti i residenti a Torino...esatto!».
Lucà: «Quindi insomma, se qualcuno riesce, se hai qualche amico da consigliar».
Demasi: «Come non nè ho... ne ho!... ne ho più di uno... grazie a Dio... ne ho più di uno».
IL SOSTEGNO AL SINDACO DI CIRIÈ - Demasi si interessa anche alle elezioni di altri Comuni. Come Ciriè, il centro più grande delle valli di Lanzo. A partire dalla metà dello scorso marzo, comincia a spendersi telefonicamente per Francesco Brizio Falletti, attuale Sindaco della città, a sua volta non indagato.
Enzo: ...ascolta un attimo...siccome devo fare una cena a Ciriè con il Sindaco...tu hai qualche conoscente?...su Ciriè?...fai mente locale poi mi dici...
Demasi: ...eeeeh...mah...faccio mente locale... si...c'è....va beh...va beh... poi te lo dico...
Enzo: ...ecco...c'è...praticamente sto predisponendo questa cena per il Sindaco di Ciriè...che è Francesco Brizio, che è un mio amico... gli ho detto: mah... ti faccio una cena di amici paesani... qualche Calabrese c'è...
Demasi: ...va beh...adesso...adesso...(inc.)...
L'APERITIVO CON L'ASSESSORE PORCHIETTO - «Le belle donne si fanno aspettare», commenta Giuseppe Catalano all'arrivo di Claudia Porchietto, assessore al Lavoro (Pdl). Siamo nel Bar Italia, via Veglia, al centro di Torino. È il 23maggio del 2009, in piena campagna elettorale per le Provinciali. E il futuro esponente della giunta Cota era candidata alla carica di presidente della Provincia. In quel bar, che frequenta spesso, la signora della politica torinese (anche lei non indagata) quel giorno si è fermata a prendere un aperitivo con il «responsabile provinciale della Cosca di Siderno» a Torino. E con Franco D’Onofrio, padrino del “ crimine torinese”. L'incontro è breve, dalle ore 13.54 alle ore 14.01, il tempo di un crodino. Ma è preceduto da una lunga teoria di conversazioni tra Catalano, suo nipote Luca, consigliere comunale di Orbassano, sempre per il Pdl, e lo stesso D'Onofrio. Telefonate, di cui la Porchietto è ovviamente all'oscuro, che il Gip Silvia Salvadori definisce «altamente rappresentativo dell’influenza che la ‘ndrangheta assume nella vita democratica».
LA REPLICA DELL'ASSESSORE - In serata l'assessore Porchietto ha emesso un comunicato stampa per ribadire la propria estraneità: «Vorrei chiarire sin da subito che qualsiasi incontro elettorale, durante la citata campagna elettorale peraltro ne ho fatti a centinaia, è stato organizzato da amministratori locali, simpatizzanti o semplici elettori. È impossibile per qualsiasi candidato quindi conoscere chi incontrerà e soprattutto sapere se taluna di queste persone è soggetta ad indagine. Resto a disposizione della magistratura per tutti i chiarimenti del caso».
Fonte: corriere.it
L'incontro tra Porchietto (Pdl) e il capocosca
TORINO - Il procuratore di Torino Caselli parla di un «inquietante intreccio tra criminalità organizzata e politica». Incontri al bar, telefonate. Da una parte deputati, consiglieri regionali, funzionari pubblici, dall'altra pluripregiudicati, boss e capi di locale. L'operazione Minotauro di carabinieri e finanzieri ha portato mercoledì mattina all'arresto di 151 persone, tra i quali Nevio Coral, già sindaco di centrodestra di Leinì (Torino) per 30 anni e suocero dell'assessore regionale alla Sanità (che ha rimesso le deleghe in seguito allo scandalo tangenti scoppiato di recente) Caterina Ferrero, del Pdl. Ma oltre ad infliggere un colpo letale alle organizzazioni mafiose presenti in Piemonte, decimando le «locali» di 'ndrangheta private in un sol colpo di vertici e affiliati, comincia a fare luce anche sul sottobosco di frequentazioni «elettorali» tra le 'ndrine piemontesi e pezzi delle istituzioni. «Pezzi, si noti bene - ha precisato Castelli - non le istituzioni nella loro interezza. Che per fortuna non sono compromesse».
I NOMI - Quello di Coral non è l'unico nome eccellente che compare nell'ordinanza firmata dal Gip di Torino Silvia Salvadori. Nelle pieghe delle indagini emergono invece i contatti tra un capo locale, il boss di Rivoli Salvatore Demasi con deputati, amministratori e funzionari pubblici. Naturalmente nessuno di questi è indagato, ma gli inquirenti sono riusciti ad accertare ad esempio gli orientamenti della cosca in occasione delle elezioni a Castellamonte. Oppure i contatti tra Demasi e alcuni deputati nazionali e regionali: «Tra la fine di gennaio e il febbraio 2011 - si legge nell'ordinanza - si è incontrato direttamente o tramite intermediari con l'onorevole Gaetano Porcino dell'Idv, con l'onorevole Domenico Lucà del Pd, con il consigliere regionale del Pd Antonino Boeti, con l'assessore all'Istruzione di Alpignanno Carmelo Tromby, sempre dell'Idv».
L'OMBRA SULLE PRIMARIE DI TORINO - Gli inquirenti descrivono i preparativi di un incontro per il giorno 29 gennaio 2011, al Bar Massaua di Torino tra Porcino e Demasi. In un'altra circostanza è il deputato Lucà in persona a farsi vivo con Demasi, per chiedergli aiuto in vista delle Primarie. Il candidato da votare è Piero Fassino:
Lucà: «...Ascolta, ti volevo chiedere questo, tu sai che a Torino abbiamo le primarie».
Demasi:«Certo! Tu dimmi qualcosa che io mi interesso».
Lucà:«Io sto sostenendo Fassino».
Demasi: «Eh beh, anch'io avrei fatto la stessa cosa».
Lucà: «Obbiettivamente mi pare la persona più seria in questo momento (...) volevo chiederti se magari, perché la partita è molto dura con Gariglio
Demasi: «Sì, una mano».
Lucà: «Se magari hai qualche, amico a Torino».
Demasi: «Certo!... certo che ne ho!».
Lucà: «A cui passare la voce, perché possono votare tutti i residenti a Torino, che abbiano compiuto sedici anni. »
Demasi: «Tutti i residenti a Torino...esatto!».
Lucà: «Quindi insomma, se qualcuno riesce, se hai qualche amico da consigliar».
Demasi: «Come non nè ho... ne ho!... ne ho più di uno... grazie a Dio... ne ho più di uno».
IL SOSTEGNO AL SINDACO DI CIRIÈ - Demasi si interessa anche alle elezioni di altri Comuni. Come Ciriè, il centro più grande delle valli di Lanzo. A partire dalla metà dello scorso marzo, comincia a spendersi telefonicamente per Francesco Brizio Falletti, attuale Sindaco della città, a sua volta non indagato.
Enzo: ...ascolta un attimo...siccome devo fare una cena a Ciriè con il Sindaco...tu hai qualche conoscente?...su Ciriè?...fai mente locale poi mi dici...
Demasi: ...eeeeh...mah...faccio mente locale... si...c'è....va beh...va beh... poi te lo dico...
Enzo: ...ecco...c'è...praticamente sto predisponendo questa cena per il Sindaco di Ciriè...che è Francesco Brizio, che è un mio amico... gli ho detto: mah... ti faccio una cena di amici paesani... qualche Calabrese c'è...
Demasi: ...va beh...adesso...adesso...(inc.)...
L'APERITIVO CON L'ASSESSORE PORCHIETTO - «Le belle donne si fanno aspettare», commenta Giuseppe Catalano all'arrivo di Claudia Porchietto, assessore al Lavoro (Pdl). Siamo nel Bar Italia, via Veglia, al centro di Torino. È il 23maggio del 2009, in piena campagna elettorale per le Provinciali. E il futuro esponente della giunta Cota era candidata alla carica di presidente della Provincia. In quel bar, che frequenta spesso, la signora della politica torinese (anche lei non indagata) quel giorno si è fermata a prendere un aperitivo con il «responsabile provinciale della Cosca di Siderno» a Torino. E con Franco D’Onofrio, padrino del “ crimine torinese”. L'incontro è breve, dalle ore 13.54 alle ore 14.01, il tempo di un crodino. Ma è preceduto da una lunga teoria di conversazioni tra Catalano, suo nipote Luca, consigliere comunale di Orbassano, sempre per il Pdl, e lo stesso D'Onofrio. Telefonate, di cui la Porchietto è ovviamente all'oscuro, che il Gip Silvia Salvadori definisce «altamente rappresentativo dell’influenza che la ‘ndrangheta assume nella vita democratica».
LA REPLICA DELL'ASSESSORE - In serata l'assessore Porchietto ha emesso un comunicato stampa per ribadire la propria estraneità: «Vorrei chiarire sin da subito che qualsiasi incontro elettorale, durante la citata campagna elettorale peraltro ne ho fatti a centinaia, è stato organizzato da amministratori locali, simpatizzanti o semplici elettori. È impossibile per qualsiasi candidato quindi conoscere chi incontrerà e soprattutto sapere se taluna di queste persone è soggetta ad indagine. Resto a disposizione della magistratura per tutti i chiarimenti del caso».
Fonte: corriere.it
4 mag 2011
Clan Polverino, arrestati Chiaro e Camerlingo candidati al Comune di Quarto.
Chiaro (Pdl): fu già destinatario di un’ordinanza cautelare. L'altro, Camerlingo, è candidato con Noi Sud
NAPOLI - Due delle quaranta persone arrestate questa mattina dai carabinieri nel corso del blitz che ha interessato il clan camorristico dei Polverino sono candidati al consiglio comunale di Quarto per il Pdl. Uno dei due, in particolare, è Armando Chiaro, ritenuto un elemento di punta dell’organizzazione e già destinatario negli anni passati di un’ordinanza di custodia cautelare. I provvedimenti notificati questa mattina sono stati emessi su richiesta dei pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Maria Cristina Ribera.
CHI SONO
Il candidato Pdl, Armando Chiaro, tra le quaranta persone arrestate con l’accusa di essere vicini al clan camorristico Polverino, è coordinatore del Pdl di Quarto per il periodo delle elezioni e in attesa del congresso, nonchè capolista sempre nel comune del Napoletano a sostegno del candidato sindaco Massimo Carandente Giarrusso. Salvatore Camerlingo è, invece, candidato nella lista «Noi Sud», anch’essa nello schieramento di centrodestra ed in appoggio allo stesso aspirante primo cittadino.
«UOMO D'ORDINE»
Il ventisettenne Camerlingo - considerato «uomo d’ordine» del clan Polverino e candidato al consiglio comunale di Quarto - svolgeva il ruolo «fiduciario» per antonomasia del cugino Salvatore Liccardi, soprannominato «Pataniello», per conto del quale ha assolto le più svariate mansioni relative alla ordinaria sopravvivenza dell’organizzazione». La descrizione emerge dall’ordinanza del gip Paola Scandone, notificata al giovane candidato al Comune di Quarto per la lista di centrodestra «Noi Sud». Tra le mansioni di Camerlingo ci sono, per esempio, la «convocazione degli imprenditori quartesi vittime di estorsioni e il disbrigo di incombenze relative all’assistenza delle famiglie dei detenuti.
Sfruttando il suo stato di incensurato e di persona sostanzialmente sconosciuta alla polizia giudiziaria, in quanto mai controllato in compagnia di pregiudicati, Camerlingo può agevolmente svolgere il compito di ’collettorè della corrispondenza inviata e ricevuta da Roberto Perrone (altro arrestato nel blitz e ritenuto elemento di rilievo del clan, ndr)». «Il definitivo suggello alla partecipazione di Camerlingo all’associazione criminale denominata clan Polverino, - scrive ancora il pm - con particolare riferimento alla corrispondenza intercettata, proviene dalle conversazioni intercettate a suo carico». Tra le intercettazioni ce n’è una, ambientale, relativa a una conversazione tra Camerlingo e Liccardi nel dicembre del 2008. In occasione del Natale i due erano andati a fare gli auguri al capo del clan, Giuseppe Polverino, che oggi è sfuggito alla cattura; uscendo dalla sua casa, commentarono l’atmosfera che si respirava: «Uà, proprio a livello, a livello proprio di mafia... Che dici, è una bella cosa». Sempre grazie a un’intercettazione ambientale, gli investigatori hanno ricostruito la vendita di mezzo chilo di droga da parte del candidato al consiglio comunale di Quarto e la sua abitudine a custodire le armi per conto del clan.
SARRO GARANTE PDL
In seguito alla retata il senatore Carlo Sarro, componente della Commissione parlamentare antimafia, è stato nominato garante per la legalità per il Pdl di Quarto. A lui «spetterà il compito di supervisionare lo svolgimento della campagna elettorale, assicurando che il Pdl sia al riparo da ogni contaminazione con la malavita. I due candidati arrestati sono stati sospesi dal partito.
CESARO: CI SIAMO FIDATI DI AUTOCERTIFICAZIONI
Il coordinatore provinciale di Napoli del Pdl, Luigi Cesaro si dice «esterrefatto». E annuncia che nelle prossime ore saranno convocati i candidati sindaci di Napoli e provincia «per confrontarsi e mettere in atto controlli ancora più serrati su tutti in candidati». Poi ammette: «C’è, eccome, il rischio di voto inquinato alle prossime amministrative». A chi chiede a Cesaro se nessuno, nel partito, fosse a conoscenza di tutto questo, il coordinatore provinciale del Pdl, risponde: «Abbiamo chiesto a tutti i candidati le autocertificazioni, non potevamo controllare per ognuno di loro. E poi alcuni problemi della giustizia non vengono fuori neanche dal certificato del casellario giudiziario. Ci siamo fidati delle autocertificazioni».
AMENDOLA (PD): EMERGENZA MORALE NEL PDL
Parla di emergenza morale del Pdl Enzo Amendola, segretario regionale del Pd: «I legami e la connivenza tra il centrodestra e la camorra diventano ogni giorno più inquietanti e sono il frutto del sistema di potere guidato da Nicola Cosentino da cui Gianni Lettieri non può chiamarsi fuori: siamo stanchi delle scuse del giorno dopo». «Da Afragola a Giugliano, da Gragnano a Torre del Greco – ricorda Amendola – da Pignataro Maggiore, e ancora le vicende di Luigi Cesaro, i candidati nelle liste a sostegno di Lettieri, Roberto Conte, sono solo la punta di un iceberg che rischia di travolgere Napoli».
IN MANETTE
In totale sono stati arrestate quaranta persone, da parte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli. Sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentativo di omicidio, estorsioni, usura, detenzione illecita di armi, traffico e spaccio di stupefacenti, trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori nonchè di reinvestimento di capitali di provenienza illecita in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali.
COLLABORAZIONE SPAGNOLA
Gli arresti sono avvenuti anche con la cooperazione dell’UCO (Unidad Central Operativa) della Guardia Civil spagnola. L’inchiesta ha reso possibile l’identificazione di capi e gregari del clan camorristico Polverino che, a partire dall’hinterland a nord di Napoli, ha il controllo di attività imprenditoriali e commerciali in Italia e in Spagna e gestisce un notevole traffico di stupefacenti dalla Spagna all’Italia per il rifornimento delle piazze di spaccio, in mano a vari clan del capoluogo campano.
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
NAPOLI - Due delle quaranta persone arrestate questa mattina dai carabinieri nel corso del blitz che ha interessato il clan camorristico dei Polverino sono candidati al consiglio comunale di Quarto per il Pdl. Uno dei due, in particolare, è Armando Chiaro, ritenuto un elemento di punta dell’organizzazione e già destinatario negli anni passati di un’ordinanza di custodia cautelare. I provvedimenti notificati questa mattina sono stati emessi su richiesta dei pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Maria Cristina Ribera.
CHI SONO
Il candidato Pdl, Armando Chiaro, tra le quaranta persone arrestate con l’accusa di essere vicini al clan camorristico Polverino, è coordinatore del Pdl di Quarto per il periodo delle elezioni e in attesa del congresso, nonchè capolista sempre nel comune del Napoletano a sostegno del candidato sindaco Massimo Carandente Giarrusso. Salvatore Camerlingo è, invece, candidato nella lista «Noi Sud», anch’essa nello schieramento di centrodestra ed in appoggio allo stesso aspirante primo cittadino.
«UOMO D'ORDINE»
Il ventisettenne Camerlingo - considerato «uomo d’ordine» del clan Polverino e candidato al consiglio comunale di Quarto - svolgeva il ruolo «fiduciario» per antonomasia del cugino Salvatore Liccardi, soprannominato «Pataniello», per conto del quale ha assolto le più svariate mansioni relative alla ordinaria sopravvivenza dell’organizzazione». La descrizione emerge dall’ordinanza del gip Paola Scandone, notificata al giovane candidato al Comune di Quarto per la lista di centrodestra «Noi Sud». Tra le mansioni di Camerlingo ci sono, per esempio, la «convocazione degli imprenditori quartesi vittime di estorsioni e il disbrigo di incombenze relative all’assistenza delle famiglie dei detenuti.
Sfruttando il suo stato di incensurato e di persona sostanzialmente sconosciuta alla polizia giudiziaria, in quanto mai controllato in compagnia di pregiudicati, Camerlingo può agevolmente svolgere il compito di ’collettorè della corrispondenza inviata e ricevuta da Roberto Perrone (altro arrestato nel blitz e ritenuto elemento di rilievo del clan, ndr)». «Il definitivo suggello alla partecipazione di Camerlingo all’associazione criminale denominata clan Polverino, - scrive ancora il pm - con particolare riferimento alla corrispondenza intercettata, proviene dalle conversazioni intercettate a suo carico». Tra le intercettazioni ce n’è una, ambientale, relativa a una conversazione tra Camerlingo e Liccardi nel dicembre del 2008. In occasione del Natale i due erano andati a fare gli auguri al capo del clan, Giuseppe Polverino, che oggi è sfuggito alla cattura; uscendo dalla sua casa, commentarono l’atmosfera che si respirava: «Uà, proprio a livello, a livello proprio di mafia... Che dici, è una bella cosa». Sempre grazie a un’intercettazione ambientale, gli investigatori hanno ricostruito la vendita di mezzo chilo di droga da parte del candidato al consiglio comunale di Quarto e la sua abitudine a custodire le armi per conto del clan.
SARRO GARANTE PDL
In seguito alla retata il senatore Carlo Sarro, componente della Commissione parlamentare antimafia, è stato nominato garante per la legalità per il Pdl di Quarto. A lui «spetterà il compito di supervisionare lo svolgimento della campagna elettorale, assicurando che il Pdl sia al riparo da ogni contaminazione con la malavita. I due candidati arrestati sono stati sospesi dal partito.
CESARO: CI SIAMO FIDATI DI AUTOCERTIFICAZIONI
Il coordinatore provinciale di Napoli del Pdl, Luigi Cesaro si dice «esterrefatto». E annuncia che nelle prossime ore saranno convocati i candidati sindaci di Napoli e provincia «per confrontarsi e mettere in atto controlli ancora più serrati su tutti in candidati». Poi ammette: «C’è, eccome, il rischio di voto inquinato alle prossime amministrative». A chi chiede a Cesaro se nessuno, nel partito, fosse a conoscenza di tutto questo, il coordinatore provinciale del Pdl, risponde: «Abbiamo chiesto a tutti i candidati le autocertificazioni, non potevamo controllare per ognuno di loro. E poi alcuni problemi della giustizia non vengono fuori neanche dal certificato del casellario giudiziario. Ci siamo fidati delle autocertificazioni».
AMENDOLA (PD): EMERGENZA MORALE NEL PDL
Parla di emergenza morale del Pdl Enzo Amendola, segretario regionale del Pd: «I legami e la connivenza tra il centrodestra e la camorra diventano ogni giorno più inquietanti e sono il frutto del sistema di potere guidato da Nicola Cosentino da cui Gianni Lettieri non può chiamarsi fuori: siamo stanchi delle scuse del giorno dopo». «Da Afragola a Giugliano, da Gragnano a Torre del Greco – ricorda Amendola – da Pignataro Maggiore, e ancora le vicende di Luigi Cesaro, i candidati nelle liste a sostegno di Lettieri, Roberto Conte, sono solo la punta di un iceberg che rischia di travolgere Napoli».
IN MANETTE
In totale sono stati arrestate quaranta persone, da parte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli. Sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentativo di omicidio, estorsioni, usura, detenzione illecita di armi, traffico e spaccio di stupefacenti, trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori nonchè di reinvestimento di capitali di provenienza illecita in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali.
COLLABORAZIONE SPAGNOLA
Gli arresti sono avvenuti anche con la cooperazione dell’UCO (Unidad Central Operativa) della Guardia Civil spagnola. L’inchiesta ha reso possibile l’identificazione di capi e gregari del clan camorristico Polverino che, a partire dall’hinterland a nord di Napoli, ha il controllo di attività imprenditoriali e commerciali in Italia e in Spagna e gestisce un notevole traffico di stupefacenti dalla Spagna all’Italia per il rifornimento delle piazze di spaccio, in mano a vari clan del capoluogo campano.
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
30 mar 2011
Le cosche calabresi sugli ambulanti
L'affitto dei negozi che si trovano nelle stazioni della metropolitana di Milano è un pallino fisso della cosca Flachi, calabrese di origine ma ormai milanese.
Il 18 settembre 2009 gli investigatori intercettano una telefonata in cui un tale Max sta tornando dall'Atm dove «è andato a parlare con la persona da lui conosciuta che si occupa dell'affidamento in gestione delle strutture commerciali, presenti all'interno delle stazioni della metropolitana milanese e chiede un incontro con Flachi» ma Davide, figlio di don Pepè Flachi, risponde che per lui non è possibile ma gli manderà qualcuno di fiducia. Il giorno successivo un'altra telefonata con Flachi chiarirà «che non ci sono problemi e che quando andrà a parlare con la persona che si occupa della cosa, questa non gli dirà di no».
Il "controllo del territorio" è espressione che spaventa. A Scampia o a Isola di Capo Rizzuto è concepibile perché richiama alla memoria gli ordini dei boss di mafia che non si possono discutere e che condizionano la vita economica ma ancor prima quella sociale.
A Milano e in Lombardia no, anche se, proprio ieri, il procuratore generale facente funzioni della Corte dei conti lombarda, Paolo Evangelista, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario ha messo in guardia sugli appetiti delle mafie in vista di Expo 2015.
La frase non è concepibile perché il tessuto, seppur debilitato dalle infiltrazioni della 'ndrangheta che ha messo all'angolo Cosa nostra e Casalesi e che ha inquinato con capitali sporchi l'economia e la società, è ancora sano. Eppure quella telefonata – agli atti della Direzione distrettuale antimafia di Milano e che svela parte degli affari della famiglia Flachi che, oltre a puntare ai subappalti dei lavori della metro, già che era sottoterra voleva piantarci tende e negozi – sembra dimostrare il contrario. Così come l'altro dialogo. Quello sul pizzo per gli ambulanti.
L'"affare dei paninari", lo chiama senza mezzi termini il Gip di Milano Giuseppe Gennari, che la scorsa settimana ha firmato l'ordinanza Redux Caposaldo che ha mandato all'aria il sodalizio criminale della famiglia Flachi. Un business nel quale Milano è spartita per quartieri. «Noi abbiamo la zona di Corso Como, quindi discoteche e serali... abbiamo circa sette, otto camion, abbiamo tutta Città Studi, zona Piazzale Lagosta fino a via Carlo Farini», spiega un portaordine a un ambulante che non aveva capito l'antifona. I chioschi che vendono birre e panini pagano il pizzo o si spostano. Ma se cambiano zona, cambiano anche esattore.
Con la movida le mafie entrano nella vita dei cittadini. La stessa cosa accade a Varese o nelle località intorno ai laghi dove gli investimenti immobiliari sporchi continuano. Se il panino non è mafia-free non lo sono dunque neanche disco e pub. In quello che la Dda di Milano chiama «slancio confessorio», un uomo di una cosca calabrese dirà agli agenti sotto copertura che sono riusciti ad avvicinarlo: «Io ho un'agenzia di servizi di sicurezza e anche là è tutta una mafia... ve lo dico... noi abbiamo i nostri locali e curiamo i nostri locali... mettiamo i nostri uomini a lavorare perché devono lavorare... i locali stanno tranquilli perché ci siamo noi dietro... hai capito? Come per i locali così per i panini... come per i panini così per altre attività... capito? Perché ci sono anche altre attività!».
Fonte: ilsole24ore.com
Il 18 settembre 2009 gli investigatori intercettano una telefonata in cui un tale Max sta tornando dall'Atm dove «è andato a parlare con la persona da lui conosciuta che si occupa dell'affidamento in gestione delle strutture commerciali, presenti all'interno delle stazioni della metropolitana milanese e chiede un incontro con Flachi» ma Davide, figlio di don Pepè Flachi, risponde che per lui non è possibile ma gli manderà qualcuno di fiducia. Il giorno successivo un'altra telefonata con Flachi chiarirà «che non ci sono problemi e che quando andrà a parlare con la persona che si occupa della cosa, questa non gli dirà di no».
Il "controllo del territorio" è espressione che spaventa. A Scampia o a Isola di Capo Rizzuto è concepibile perché richiama alla memoria gli ordini dei boss di mafia che non si possono discutere e che condizionano la vita economica ma ancor prima quella sociale.
A Milano e in Lombardia no, anche se, proprio ieri, il procuratore generale facente funzioni della Corte dei conti lombarda, Paolo Evangelista, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario ha messo in guardia sugli appetiti delle mafie in vista di Expo 2015.
La frase non è concepibile perché il tessuto, seppur debilitato dalle infiltrazioni della 'ndrangheta che ha messo all'angolo Cosa nostra e Casalesi e che ha inquinato con capitali sporchi l'economia e la società, è ancora sano. Eppure quella telefonata – agli atti della Direzione distrettuale antimafia di Milano e che svela parte degli affari della famiglia Flachi che, oltre a puntare ai subappalti dei lavori della metro, già che era sottoterra voleva piantarci tende e negozi – sembra dimostrare il contrario. Così come l'altro dialogo. Quello sul pizzo per gli ambulanti.
L'"affare dei paninari", lo chiama senza mezzi termini il Gip di Milano Giuseppe Gennari, che la scorsa settimana ha firmato l'ordinanza Redux Caposaldo che ha mandato all'aria il sodalizio criminale della famiglia Flachi. Un business nel quale Milano è spartita per quartieri. «Noi abbiamo la zona di Corso Como, quindi discoteche e serali... abbiamo circa sette, otto camion, abbiamo tutta Città Studi, zona Piazzale Lagosta fino a via Carlo Farini», spiega un portaordine a un ambulante che non aveva capito l'antifona. I chioschi che vendono birre e panini pagano il pizzo o si spostano. Ma se cambiano zona, cambiano anche esattore.
Con la movida le mafie entrano nella vita dei cittadini. La stessa cosa accade a Varese o nelle località intorno ai laghi dove gli investimenti immobiliari sporchi continuano. Se il panino non è mafia-free non lo sono dunque neanche disco e pub. In quello che la Dda di Milano chiama «slancio confessorio», un uomo di una cosca calabrese dirà agli agenti sotto copertura che sono riusciti ad avvicinarlo: «Io ho un'agenzia di servizi di sicurezza e anche là è tutta una mafia... ve lo dico... noi abbiamo i nostri locali e curiamo i nostri locali... mettiamo i nostri uomini a lavorare perché devono lavorare... i locali stanno tranquilli perché ci siamo noi dietro... hai capito? Come per i locali così per i panini... come per i panini così per altre attività... capito? Perché ci sono anche altre attività!».
Fonte: ilsole24ore.com
14 mar 2011
'Ndrangheta: 35 arresti in Lombardia. I Boss si riunivano a Niguarda e al Galeazzi
Accuse di associazione per delinquere, estorsione, spaccio di droga, minacce e smaltimento illecito di rifiuti
MILANO - Si riunivano negli uffici di due funzionari amministrativi definiti «di alto livello» degli ospedali milanesi Niguarda e Galeazzi, Giuseppe Flachi, boss noto alle cronache, e Paolo Martino, altro boss diretto esponente della famiglia De Stefano di Reggio Calabria. Lo ha affermato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nell'ambito dell'incontro con la stampa in cui ha illustrato l'indagine che, all'alba di lunedì, ha portato all'arresto di 35 persone. «Si tratta - ha sottolineato il magistrato - di un fatto allarmante che è stato documentato». I due dirigenti degli ospedali non sono indagati, ma quanto è stato monitorato è per gli investigatori «inquietante». Addirittura, dicono gli inquirenti, il figlio di Flachi si premurava di bonificare la zona prima di una riunione del padre in ospedale, in una sorta di piccola azione militare. In particolare, si sottolinea «la funzione dell’ospedale Galeazzi (che si trova a Bruzzano dove i Flachi sono padroni da decenni), ridotto a luogo d’incontro riservato al servizio della ’ndrangheta», scrive il gip Giuseppe Gennari. Le indagini avrebbero individuato nel «capo ufficio ricoveri» e nel «responsabile ufficio infermieri i due contatti del gruppo all’interno dell’ospedale». I due mettevano i loro uffici a disposizione di Giuseppe Flachi per i suoi incontri con altri indagati e del figlio Davide per i suoi «incontri "sentimentali"» con una donna. Secondo Gennari, «la presenza di uomini di fiducia della mafia calabrese all’interno delle strutture sanitarie lombarde era emersa in modo netto nella indagine Valle in relazione al ricovero fittizio di don Ciccio Valle e - in modo più esteso - con l’arresto di Chiriaco, vertice dell’Asl di Pavia»
MILANO - Si riunivano negli uffici di due funzionari amministrativi definiti «di alto livello» degli ospedali milanesi Niguarda e Galeazzi, Giuseppe Flachi, boss noto alle cronache, e Paolo Martino, altro boss diretto esponente della famiglia De Stefano di Reggio Calabria. Lo ha affermato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nell'ambito dell'incontro con la stampa in cui ha illustrato l'indagine che, all'alba di lunedì, ha portato all'arresto di 35 persone. «Si tratta - ha sottolineato il magistrato - di un fatto allarmante che è stato documentato». I due dirigenti degli ospedali non sono indagati, ma quanto è stato monitorato è per gli investigatori «inquietante». Addirittura, dicono gli inquirenti, il figlio di Flachi si premurava di bonificare la zona prima di una riunione del padre in ospedale, in una sorta di piccola azione militare. In particolare, si sottolinea «la funzione dell’ospedale Galeazzi (che si trova a Bruzzano dove i Flachi sono padroni da decenni), ridotto a luogo d’incontro riservato al servizio della ’ndrangheta», scrive il gip Giuseppe Gennari. Le indagini avrebbero individuato nel «capo ufficio ricoveri» e nel «responsabile ufficio infermieri i due contatti del gruppo all’interno dell’ospedale». I due mettevano i loro uffici a disposizione di Giuseppe Flachi per i suoi incontri con altri indagati e del figlio Davide per i suoi «incontri "sentimentali"» con una donna. Secondo Gennari, «la presenza di uomini di fiducia della mafia calabrese all’interno delle strutture sanitarie lombarde era emersa in modo netto nella indagine Valle in relazione al ricovero fittizio di don Ciccio Valle e - in modo più esteso - con l’arresto di Chiriaco, vertice dell’Asl di Pavia»
Milano e le mafie: quelle mani da evitare
Le infiltrazioni della 'ndrangheta
MILANO - È il 16 maggio 1974: Luciano Leggio, il picciotto che a Corleone ha messo assieme i Riina, i Bagarella, i Provenzano, il mafioso che da tre anni sequestra e taglieggia in Piemonte e Lombardia, viene arrestato in un signorile palazzo di via Ripamonti. Nella sua agendina spicca il numero riservato del dottor Ugo de Luca, direttore generale del Banco di Milano. De Luca è stato allevato da Sindona, ha forti entrature nella curia e nelle logge massoniche. Gli vengono trovati diversi libretti al portatore con decine di miliardi di lire. Lui si rifiuta di svelarne i titolari. In Procura notano il gran trambusto di banchieri, industriali, finanzieri preoccupati di venir coinvolti a causa delle frequentazioni, che tutti definiscono innocenti, con lo stimato professionista. Chi poteva mai immaginare? Da quel giorno diventa la frase più gettonata dei tanti, che non disdegneranno contatti spericolati, ma sempre redditizi, con i bracci affaristici di Cosa nostra e della 'ndrangheta. Tutti ovviamente in grisaglia, compunti, impegnati in opere di carità, ogni domenica messa e comunione, secondo gl'insegnamenti di Sindona.
Chi può mai immaginare fra gl'imprenditori, gli agenti di Borsa, i direttori di banca che dietro l'Inim di Filippo Alberto Rapisarda e del suo socio di minoranza, l'ingegnere Francesco Paolo Alamia si stagli l'ombra di Bontate, il mafioso più potente di Palermo, e di Ciancimino, cioè dei «viddani» di Corleone? Anche i gemelli Alberto e Marcello Dell'Utri dicono di non immaginarlo. Anzi, la fiducia di Marcello nei confronti degli amici palermitani è tale da sedersi allo stesso tavolo delle Colline Pistoiesi, il ristorante della Milano interista, con Vittorio Mangano, i fratelli Grado, Nino Calderone. E quanti presentano un progetto o chiedono un finanziamento negli elegantissimi uffici di via Chiaravalle, fontanelle d'acqua, marmi, parquet possono mai immaginare che il compitissimo Angelo Mongiovì sia il proconsole dei Cuntrera e dei Caruana?
E i re dei denari, i conti, i duchi che affollano le bische di Turatello, che vi conoscono i fratelli Bono e l'invitano in salotto per mettere a punto una piccola speculazione sul palazzotto avito possono mai immaginare di associarsi ai principali intermediari del traffico internazionale di stupefacenti? I bravi ragazzi venuti dalla Sicilia hanno le mani in pasta in alberghi, catene di distribuzioni, nei casinò di Sanremo e di Saint-Vincent, parlano inglese, vanno in vacanza ai Caraibi da quel caro ragazzo di Saro Spadaro padrone di un isolotto, Saint Maarten, che è un incanto. Una personcina così dabbene, pensa che il figliolo studia alla Bocconi...
Abituati a una Milano che spalanca loro portoni e porticati prendono male il rifiuto dell'avvocato Vittorio Di Capua di cedere gl'ippodromi di San Siro. Il coraggioso e onesto consigliere delegato della Trenno viene rapito e ucciso. Caspita, chi poteva mai immaginare che quei siciliani educatissimi, sempre pronti a offrire champagne, che dicono di voler entrare nel business delle televisioni private siano capaci di tanto?
Superato lo stupore, si dedicano alla lottizzazione edilizia da settantamila metri cubi a Ronchetto sul Naviglio intrapresa da Toni Carollo, l'erede di Tanino, inviato in Lombardia al soggiorno obbligato e trovatosi poi così bene da essersi associato a Leggio per dare via alla campagna dei sequestri di persona. Spazzato via assieme al clan Ciulla dai killer dei Madonia nell'unica guerra mafiosa avvenuta sul Lambro, Carollo senior ha lasciato un degno epigono nel figlio Toni sostenuto anche dalla famiglia della moglie, Rosalia Geraci, la prediletta di don Nenè, il mitico capobastone di Partinico. Attorno a Carollo junior gl'inquirenti identificano il solito cocktail di politici, massoni, pezzi dell'apparato con il contorno di droga e armi. Milano è troppo sveglia per non captare il declino di Cosa nostra, benché ospiti fino all'arresto pezzi da novanta quali Gaetano Fidanzati, Gioacchino Matranga, Gino Martello. Benvenuti allora gli ambasciatori delle 'ndrine, i Morabito, i Bellocco, i Mancuso, i Coco Trovato, i Bruzzaniti, i Palamara, i Barbaro, i Papalia. Magari esagerano nei rapimenti, però fanno funzionare l'ortomercato meglio di un orologio svizzero e poi sono così accoglienti al Madison, al Bio Solaire, al Café Solaire, al For a King. I calabresi fabbricano soldi e consensi, difficile restarne fuori. Anzi, consiglieri comunali e rappresentanti delle istituzioni non chiedono di meglio, quelli della Sogemi qualcosa in più. La qualità e la specializzazione incontrano sempre il giusto apprezzamento. Lo sa bene l'avvocato Melzi indicato come la mente finanziaria dei Ferrazzo.
Rimane al suo posto il dottor Gino Pezzano direttore dell'Asl 1. Continua a proteggersi dietro l'inesistenza dei rilievi penali, ignaro che per una funzione tanto delicata non può essere cancellato l'antico precetto dell'onorabilità. Certi caffè non vanno presi, certe mani non vanno strette. Oramai esiste il dovere d'immaginare.
Fonte: corriere.it
MILANO - È il 16 maggio 1974: Luciano Leggio, il picciotto che a Corleone ha messo assieme i Riina, i Bagarella, i Provenzano, il mafioso che da tre anni sequestra e taglieggia in Piemonte e Lombardia, viene arrestato in un signorile palazzo di via Ripamonti. Nella sua agendina spicca il numero riservato del dottor Ugo de Luca, direttore generale del Banco di Milano. De Luca è stato allevato da Sindona, ha forti entrature nella curia e nelle logge massoniche. Gli vengono trovati diversi libretti al portatore con decine di miliardi di lire. Lui si rifiuta di svelarne i titolari. In Procura notano il gran trambusto di banchieri, industriali, finanzieri preoccupati di venir coinvolti a causa delle frequentazioni, che tutti definiscono innocenti, con lo stimato professionista. Chi poteva mai immaginare? Da quel giorno diventa la frase più gettonata dei tanti, che non disdegneranno contatti spericolati, ma sempre redditizi, con i bracci affaristici di Cosa nostra e della 'ndrangheta. Tutti ovviamente in grisaglia, compunti, impegnati in opere di carità, ogni domenica messa e comunione, secondo gl'insegnamenti di Sindona.
Chi può mai immaginare fra gl'imprenditori, gli agenti di Borsa, i direttori di banca che dietro l'Inim di Filippo Alberto Rapisarda e del suo socio di minoranza, l'ingegnere Francesco Paolo Alamia si stagli l'ombra di Bontate, il mafioso più potente di Palermo, e di Ciancimino, cioè dei «viddani» di Corleone? Anche i gemelli Alberto e Marcello Dell'Utri dicono di non immaginarlo. Anzi, la fiducia di Marcello nei confronti degli amici palermitani è tale da sedersi allo stesso tavolo delle Colline Pistoiesi, il ristorante della Milano interista, con Vittorio Mangano, i fratelli Grado, Nino Calderone. E quanti presentano un progetto o chiedono un finanziamento negli elegantissimi uffici di via Chiaravalle, fontanelle d'acqua, marmi, parquet possono mai immaginare che il compitissimo Angelo Mongiovì sia il proconsole dei Cuntrera e dei Caruana?
E i re dei denari, i conti, i duchi che affollano le bische di Turatello, che vi conoscono i fratelli Bono e l'invitano in salotto per mettere a punto una piccola speculazione sul palazzotto avito possono mai immaginare di associarsi ai principali intermediari del traffico internazionale di stupefacenti? I bravi ragazzi venuti dalla Sicilia hanno le mani in pasta in alberghi, catene di distribuzioni, nei casinò di Sanremo e di Saint-Vincent, parlano inglese, vanno in vacanza ai Caraibi da quel caro ragazzo di Saro Spadaro padrone di un isolotto, Saint Maarten, che è un incanto. Una personcina così dabbene, pensa che il figliolo studia alla Bocconi...
Abituati a una Milano che spalanca loro portoni e porticati prendono male il rifiuto dell'avvocato Vittorio Di Capua di cedere gl'ippodromi di San Siro. Il coraggioso e onesto consigliere delegato della Trenno viene rapito e ucciso. Caspita, chi poteva mai immaginare che quei siciliani educatissimi, sempre pronti a offrire champagne, che dicono di voler entrare nel business delle televisioni private siano capaci di tanto?
Superato lo stupore, si dedicano alla lottizzazione edilizia da settantamila metri cubi a Ronchetto sul Naviglio intrapresa da Toni Carollo, l'erede di Tanino, inviato in Lombardia al soggiorno obbligato e trovatosi poi così bene da essersi associato a Leggio per dare via alla campagna dei sequestri di persona. Spazzato via assieme al clan Ciulla dai killer dei Madonia nell'unica guerra mafiosa avvenuta sul Lambro, Carollo senior ha lasciato un degno epigono nel figlio Toni sostenuto anche dalla famiglia della moglie, Rosalia Geraci, la prediletta di don Nenè, il mitico capobastone di Partinico. Attorno a Carollo junior gl'inquirenti identificano il solito cocktail di politici, massoni, pezzi dell'apparato con il contorno di droga e armi. Milano è troppo sveglia per non captare il declino di Cosa nostra, benché ospiti fino all'arresto pezzi da novanta quali Gaetano Fidanzati, Gioacchino Matranga, Gino Martello. Benvenuti allora gli ambasciatori delle 'ndrine, i Morabito, i Bellocco, i Mancuso, i Coco Trovato, i Bruzzaniti, i Palamara, i Barbaro, i Papalia. Magari esagerano nei rapimenti, però fanno funzionare l'ortomercato meglio di un orologio svizzero e poi sono così accoglienti al Madison, al Bio Solaire, al Café Solaire, al For a King. I calabresi fabbricano soldi e consensi, difficile restarne fuori. Anzi, consiglieri comunali e rappresentanti delle istituzioni non chiedono di meglio, quelli della Sogemi qualcosa in più. La qualità e la specializzazione incontrano sempre il giusto apprezzamento. Lo sa bene l'avvocato Melzi indicato come la mente finanziaria dei Ferrazzo.
Rimane al suo posto il dottor Gino Pezzano direttore dell'Asl 1. Continua a proteggersi dietro l'inesistenza dei rilievi penali, ignaro che per una funzione tanto delicata non può essere cancellato l'antico precetto dell'onorabilità. Certi caffè non vanno presi, certe mani non vanno strette. Oramai esiste il dovere d'immaginare.
Fonte: corriere.it
10 mar 2011
L'ombra della 'ndrangheta Bordighera: sciolto per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale.
Il primo caso in Liguria. Governato da una giunta di centrodestra. Il sindaco: «Prima devo capire»
MILANO - Il giorno dopo l'annuncio della Direzione distrettuale antimafia, secondo la quale «la 'ndrangheta ha colonizzato la Lombardia» e altri allarmi simili riguardanti la Romagna del mese scorso, il Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha sciolto il consiglio comunale di Bordighera (Imperia) per infiltrazioni mafiose. Si tratta del primo caso in Liguria di una pubblica amministrazione sottoposta a questo provvedimento. «Preferisco non rilasciare ancora dichiarazioni, prima devo capire», ha detto il sindaco di Bordighera, Gianni Bosio (Pdl). «Sono turbato da uno scenario decisamente allarmante e sconfortante», ha commentato il presidente della Provincia di Imperia, Luigi Sappa (Pdl).
INDAGINI - La richiesta di sciogliemento era stata avanzata l'estate scorsa dai carabinieri, che avevano compilato un dossier dal quale emergeva l'ipotesi di un collegamento tra alcuni politici e la malavita organizzata. Il Comune era governato da una coalizione di centrodestra e a seguito delle indagini la giunta venne azzerata e il sindaco ne formò un'altra. Erano emerse pressioni sul sindaco e su alcuni assessori per ottenere l'apertura di una sala giochi e altri favori. Vennero arresati otto imprenditori, membri di alcune famiglie di origine calabrese (Pellegrino, Valente, De Marte, Barilaro) alcuni dei quali ritenuti «contigui» alla 'ndrangheta. L'ipotesi investigativa è che alcuni politici fossero stati eletti con voto di scambio.
«È FINITA AGONIA» - «Sono amareggiata e delusa per la mia città, ma è una cosa che doveva essere fatta», ha commentato Donatella Albano (Pd), consigliera di opposizione a Bordighera. Dalla scorsa estate Donatella Albano è stata posta sotto tutela dalle forze dell'ordine dopo avere ricevuto minacce. «Avevamo chiesto come gruppo del Pd a luglio che il sindaco prendesse provvedimenti e non lo ha fatto. È stata una lunga agonia». L'ex assessore Marco Sferrazza non se lo aspettava. «Sono rimasto male. Sono tuttora convinto che abbiamo sempre lavorato bene». Sferrazza sarebbe stato minacciato assieme all'ex assessore Ugo Ingenito e dovrà comparire come parte lesa al processo per minacce il 14 aprile davanti al tribunale di Sanremo. Sferrazza ha aggiunto: «Qualcuno mi spieghi cosa significa voto di scambio. Votano tutti: le brave persone e quelle un po' meno brave. Anche quest'ultime dovranno pure esprimere una preferenza, no?».
TENSIONE - Che a Bordighera, un tranquillo e verdeggiante Comune di circa 10 mila abitanti della Riviera di Ponente a due passi dal confine francese, la situazione sia invece tutt'altro che tranquilla, lo conferma un episodio avvenuto lo scorso 27 febbraio, quando in un attentato incendiario è stata distrutta in piazza del Comune la vettura di un avvocato.
Fonte: corriere.it
MILANO - Il giorno dopo l'annuncio della Direzione distrettuale antimafia, secondo la quale «la 'ndrangheta ha colonizzato la Lombardia» e altri allarmi simili riguardanti la Romagna del mese scorso, il Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha sciolto il consiglio comunale di Bordighera (Imperia) per infiltrazioni mafiose. Si tratta del primo caso in Liguria di una pubblica amministrazione sottoposta a questo provvedimento. «Preferisco non rilasciare ancora dichiarazioni, prima devo capire», ha detto il sindaco di Bordighera, Gianni Bosio (Pdl). «Sono turbato da uno scenario decisamente allarmante e sconfortante», ha commentato il presidente della Provincia di Imperia, Luigi Sappa (Pdl).
INDAGINI - La richiesta di sciogliemento era stata avanzata l'estate scorsa dai carabinieri, che avevano compilato un dossier dal quale emergeva l'ipotesi di un collegamento tra alcuni politici e la malavita organizzata. Il Comune era governato da una coalizione di centrodestra e a seguito delle indagini la giunta venne azzerata e il sindaco ne formò un'altra. Erano emerse pressioni sul sindaco e su alcuni assessori per ottenere l'apertura di una sala giochi e altri favori. Vennero arresati otto imprenditori, membri di alcune famiglie di origine calabrese (Pellegrino, Valente, De Marte, Barilaro) alcuni dei quali ritenuti «contigui» alla 'ndrangheta. L'ipotesi investigativa è che alcuni politici fossero stati eletti con voto di scambio.
«È FINITA AGONIA» - «Sono amareggiata e delusa per la mia città, ma è una cosa che doveva essere fatta», ha commentato Donatella Albano (Pd), consigliera di opposizione a Bordighera. Dalla scorsa estate Donatella Albano è stata posta sotto tutela dalle forze dell'ordine dopo avere ricevuto minacce. «Avevamo chiesto come gruppo del Pd a luglio che il sindaco prendesse provvedimenti e non lo ha fatto. È stata una lunga agonia». L'ex assessore Marco Sferrazza non se lo aspettava. «Sono rimasto male. Sono tuttora convinto che abbiamo sempre lavorato bene». Sferrazza sarebbe stato minacciato assieme all'ex assessore Ugo Ingenito e dovrà comparire come parte lesa al processo per minacce il 14 aprile davanti al tribunale di Sanremo. Sferrazza ha aggiunto: «Qualcuno mi spieghi cosa significa voto di scambio. Votano tutti: le brave persone e quelle un po' meno brave. Anche quest'ultime dovranno pure esprimere una preferenza, no?».
TENSIONE - Che a Bordighera, un tranquillo e verdeggiante Comune di circa 10 mila abitanti della Riviera di Ponente a due passi dal confine francese, la situazione sia invece tutt'altro che tranquilla, lo conferma un episodio avvenuto lo scorso 27 febbraio, quando in un attentato incendiario è stata distrutta in piazza del Comune la vettura di un avvocato.
Fonte: corriere.it
9 mar 2011
'Ndrangheta, 41 arresti nel mondo. Coinvolto ex sindaco città australiana
L'operazione «Il Crimine 2» di polizia e carabinieri
Gli arresti sono eseguiti anche in Germania, Canada e Australia oltre che in Calabria ed in altre zone d'Italia
REGGIO CALABRIA - Le cosche di 'ndrangheta della provincia di Reggio Calabria avevano replicato il loro modello organizzativo nel nord Italia, in particolare in Lombardia, ed all'estero. È quanto emerge dall'inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato all'emissione di 41 ordinanze di custodia cautelare, di cui 11 all'estero, che carabinieri e polizia stanno eseguendo nell'ambito dell'operazione «Il Crimine 2». Gli arresti sono eseguiti secondo questa ripartizione: arma dei carabinieri 34, di cui 6 da eseguire in Germania e polizia di Stato 7, di cui 5 da eseguire in Canada e Australia.
LA PROSECUZIONE - La riproposizione del modello organizzativo calabrese della 'ndrangheta è stata gestita da affiliati che vivono del nord del Paese ed all'estero dipendenti dai vertici decisionali presenti nel territorio della provincia di Reggio Calabria. L'inchiesta che ha portato agli arresti rappresenta la prosecuzione dell'operazione «Il Crimine condotta» dalle Dda di Reggio Calabria e Milano che il 13 luglio dello scorso anno portò alla cattura di 304 affiliati alla 'ndrangheta. Operazione che rappresenta un «passaggio fondamentale», secondo la definizione di magistrati ed investigatori, nel contrasto contro la criminalità organizzata calabrese e le sue ramificazioni nel nord del Paese, ed in particolare in Lombardia, ed all'estero. I provvedimenti restrittivi che sono in esecuzione riguardano gli affiliati alla 'ndrangheta indagati nell'operazione Il Crimine nei confronti dei quali non era stato disposto l'arresto.
SINDACO CITTÀ AUSTRALIANA - C'è anche l'ex sindaco della città australiana di Stirling, Tony Vallelonga, tra le 41 persone coinvolte nell'operazione. Vallelonga, originario di Nardodipace (Vibo Valentia), era emigrato in Australia oltre 30 anni fa ed è stato sindaco di Stirling per nove anni, dal 1996 al 2005. Vallelonga, nel corso delle indagini, è stato anche intercettato mentre discuteva degli assetti operativi della 'ndrangheta in Australia con il boss di Siderno (Reggio Calabria), Giuseppe Commisso, detto 'u mastru. L'indagine ha accertato la presenza di 'locali' della 'ndrangheta in Australia, dove il gruppo criminale era denominato Thunder Bay, ed in Canada, e in particolare a Toronto, costituiti da cosche della Locride. In Germania, i carabinieri, hanno arrestato, tra gli altri, il boss Bruno Nesci, capo del «locale» costituito dalle cosche della 'ndrangheta. Proprio in Germania gli investigatori hanno documentato una riunione tra affiliati con esponenti della criminalità organizzata calabrese provenienti dalla Svizzera. L'indagine, inoltre, ha consentito di accertare i collegamenti della 'ndrangheta a Torino, dove la criminalità calabrese era rappresentata da Giuseppe Catalano e Francesco Tamburi e da Genova, con la presenza di altri due esponenti di spicco della criminalità calabrese, Domenico Belcastro e Domenico Gangemi.
PIGNATONE - Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Reggio Calabria, commenta a Radio 24 gli arresti della dda. L'operazione - sostiene Pignatone- «è la conferma dell'espansione della 'ndrangheta - non solo sul piano del traffico internazionale di stupefacenti ma anche sul piano dell'associazione mafiosa - anche in altre regioni fuori dall'Italia». «All'estero» - spiega il procuratore capo di Reggio Calabria - «c'è una perfetta riproduzione dell'organizzazione calabrese: l'unità di base è sempre quella che viene definita locale e poi da queste locali estere si mantengono sempre i contatti con la casa madre cioè con la provincia di Reggio Calabria, dove periodicamente vengono a prendere ordini, direttive e strategie di lungo periodo e a rendicontare quello che avviene. Questo mi pare il dato fondamentale». «Senza alcun dubbio» - prosegue Pignatone - «Il fulcro rimane la Calabria e la provincia di Reggio Calabria in modo particolare: questo è ciò che emerge con sicurezza sia dalle indagini culminate a luglio sia da quest'altra».
Fonte: corriere.it
Gli arresti sono eseguiti anche in Germania, Canada e Australia oltre che in Calabria ed in altre zone d'Italia
REGGIO CALABRIA - Le cosche di 'ndrangheta della provincia di Reggio Calabria avevano replicato il loro modello organizzativo nel nord Italia, in particolare in Lombardia, ed all'estero. È quanto emerge dall'inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato all'emissione di 41 ordinanze di custodia cautelare, di cui 11 all'estero, che carabinieri e polizia stanno eseguendo nell'ambito dell'operazione «Il Crimine 2». Gli arresti sono eseguiti secondo questa ripartizione: arma dei carabinieri 34, di cui 6 da eseguire in Germania e polizia di Stato 7, di cui 5 da eseguire in Canada e Australia.
LA PROSECUZIONE - La riproposizione del modello organizzativo calabrese della 'ndrangheta è stata gestita da affiliati che vivono del nord del Paese ed all'estero dipendenti dai vertici decisionali presenti nel territorio della provincia di Reggio Calabria. L'inchiesta che ha portato agli arresti rappresenta la prosecuzione dell'operazione «Il Crimine condotta» dalle Dda di Reggio Calabria e Milano che il 13 luglio dello scorso anno portò alla cattura di 304 affiliati alla 'ndrangheta. Operazione che rappresenta un «passaggio fondamentale», secondo la definizione di magistrati ed investigatori, nel contrasto contro la criminalità organizzata calabrese e le sue ramificazioni nel nord del Paese, ed in particolare in Lombardia, ed all'estero. I provvedimenti restrittivi che sono in esecuzione riguardano gli affiliati alla 'ndrangheta indagati nell'operazione Il Crimine nei confronti dei quali non era stato disposto l'arresto.
SINDACO CITTÀ AUSTRALIANA - C'è anche l'ex sindaco della città australiana di Stirling, Tony Vallelonga, tra le 41 persone coinvolte nell'operazione. Vallelonga, originario di Nardodipace (Vibo Valentia), era emigrato in Australia oltre 30 anni fa ed è stato sindaco di Stirling per nove anni, dal 1996 al 2005. Vallelonga, nel corso delle indagini, è stato anche intercettato mentre discuteva degli assetti operativi della 'ndrangheta in Australia con il boss di Siderno (Reggio Calabria), Giuseppe Commisso, detto 'u mastru. L'indagine ha accertato la presenza di 'locali' della 'ndrangheta in Australia, dove il gruppo criminale era denominato Thunder Bay, ed in Canada, e in particolare a Toronto, costituiti da cosche della Locride. In Germania, i carabinieri, hanno arrestato, tra gli altri, il boss Bruno Nesci, capo del «locale» costituito dalle cosche della 'ndrangheta. Proprio in Germania gli investigatori hanno documentato una riunione tra affiliati con esponenti della criminalità organizzata calabrese provenienti dalla Svizzera. L'indagine, inoltre, ha consentito di accertare i collegamenti della 'ndrangheta a Torino, dove la criminalità calabrese era rappresentata da Giuseppe Catalano e Francesco Tamburi e da Genova, con la presenza di altri due esponenti di spicco della criminalità calabrese, Domenico Belcastro e Domenico Gangemi.
PIGNATONE - Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Reggio Calabria, commenta a Radio 24 gli arresti della dda. L'operazione - sostiene Pignatone- «è la conferma dell'espansione della 'ndrangheta - non solo sul piano del traffico internazionale di stupefacenti ma anche sul piano dell'associazione mafiosa - anche in altre regioni fuori dall'Italia». «All'estero» - spiega il procuratore capo di Reggio Calabria - «c'è una perfetta riproduzione dell'organizzazione calabrese: l'unità di base è sempre quella che viene definita locale e poi da queste locali estere si mantengono sempre i contatti con la casa madre cioè con la provincia di Reggio Calabria, dove periodicamente vengono a prendere ordini, direttive e strategie di lungo periodo e a rendicontare quello che avviene. Questo mi pare il dato fondamentale». «Senza alcun dubbio» - prosegue Pignatone - «Il fulcro rimane la Calabria e la provincia di Reggio Calabria in modo particolare: questo è ciò che emerge con sicurezza sia dalle indagini culminate a luglio sia da quest'altra».
Fonte: corriere.it
11 feb 2011
Mafia e criminalità, ecco la lista dei 45 politici «impresentabili»
L'indagine della commissione
L'amarezza di Pisanu: «Risultati inferiori alle attese, le relazioni tra cosche, affari e politica si sono inabissate»
ROMA — Mafia, criminalità comune e politica: c’è la lista di 45 nomi di candidati alle amministrative del 2010, i cosiddetti «impresentabili» incappati in condanne definitive e non, che rappresenta la punta dell’iceberg. I 45 candidati (di cui 11 eletti) non in regola con il codice di autoregolamentazione voluto dal Parlamento, dunque, sono solo l’assaggio. Perché in profondità — fa notare l’ex ministro dell’interno Giuseppe Pisanu, oggi presidente della commissione Antimafia — «come si sono inabissate le cosche si sono inabissate anche le loro relazioni con i mondi della politica e degli affari». In altre parole, insiste Pisanu che questo screening ha voluto con insistenza, «si può cogliere una notevole sproporzione tra il numero delle violazioni al codice e la dimensione del rapporto mafia politica che riusciamo a percepire attraverso l’esperienza della nostra commissione».
ITALIA DIVISA IN DUE - La mappa delle violazioni dei partiti (non avrebbero dovuto candidare condannati alle amministrative) fanno emergere un’Italia politica pantografata e divisa a metà: virtuosa al Nord, collusa con mafia e poteri criminali al Sud. Ventinove i candidati che hanno fatto la campagna elettorale con un condanna per estorsione in tasca; tre per usura; quattro per associazione di stampo mafioso; molti sorvegliati speciali e un condannato per riciclaggio. Per quanto riguarda le regioni (a Bari c’è una candidata condannata per concorso in usura), svettano Puglia (10), Campania (9), Calabria (8) e Sicilia (8), il Lazio (5), la Basilicata (3), l’Abruzzo (2). Quasi tutti i partiti sono coinvolti: Pdl (2), Pd (2), Mpa (2), Api (1), La Destra (1), Rifondazione-Sinistra europea (1), socialisti uniti-Psi (1), Udc (2). La Lega non c’è ma è pure vero che molte prefetture del nord si sono trincerate dietro la difesa della privacy.
Fonte: corriere.it
L'amarezza di Pisanu: «Risultati inferiori alle attese, le relazioni tra cosche, affari e politica si sono inabissate»
ROMA — Mafia, criminalità comune e politica: c’è la lista di 45 nomi di candidati alle amministrative del 2010, i cosiddetti «impresentabili» incappati in condanne definitive e non, che rappresenta la punta dell’iceberg. I 45 candidati (di cui 11 eletti) non in regola con il codice di autoregolamentazione voluto dal Parlamento, dunque, sono solo l’assaggio. Perché in profondità — fa notare l’ex ministro dell’interno Giuseppe Pisanu, oggi presidente della commissione Antimafia — «come si sono inabissate le cosche si sono inabissate anche le loro relazioni con i mondi della politica e degli affari». In altre parole, insiste Pisanu che questo screening ha voluto con insistenza, «si può cogliere una notevole sproporzione tra il numero delle violazioni al codice e la dimensione del rapporto mafia politica che riusciamo a percepire attraverso l’esperienza della nostra commissione».
ITALIA DIVISA IN DUE - La mappa delle violazioni dei partiti (non avrebbero dovuto candidare condannati alle amministrative) fanno emergere un’Italia politica pantografata e divisa a metà: virtuosa al Nord, collusa con mafia e poteri criminali al Sud. Ventinove i candidati che hanno fatto la campagna elettorale con un condanna per estorsione in tasca; tre per usura; quattro per associazione di stampo mafioso; molti sorvegliati speciali e un condannato per riciclaggio. Per quanto riguarda le regioni (a Bari c’è una candidata condannata per concorso in usura), svettano Puglia (10), Campania (9), Calabria (8) e Sicilia (8), il Lazio (5), la Basilicata (3), l’Abruzzo (2). Quasi tutti i partiti sono coinvolti: Pdl (2), Pd (2), Mpa (2), Api (1), La Destra (1), Rifondazione-Sinistra europea (1), socialisti uniti-Psi (1), Udc (2). La Lega non c’è ma è pure vero che molte prefetture del nord si sono trincerate dietro la difesa della privacy.
Fonte: corriere.it
Politica e criminalità, i dati dell'Antimafia. Alle ultime amministrative 45 violazioni, tutte al Centro e al Sud.
La proposta dell'ex ministro: «Il codice di autoregolamentazione diventi legge»
Pisanu: «Ma il fenomeno è di certo più ampio»
ROMA - Il «codice» di autoregolamentazione stabilito dalla Commissione antimafia è stato violato, nelle ultime amministrative, 45 volte. Le violazioni riguardano 11 candidati eletti e 32 non eletti. I dati, che risentono del carattere «disomogeneo» su cui la commissione guidata da Beppe Pisanu ha potuto lavorare, sono stati illustrati dallo stesso Pisanu alla Commissione antimafia chiamata a valutare la bozza di relazione sull'ampio lavoro di analisi delle candidature e degli eletti alla ultima tornata amministrativa. Le violazioni sono «eque e trasversali» tra i principali partiti nazionali, ma quello che balza agli occhi «è la ripartizione territoriale» con episodi che «si collocano esclusivamente nelle regioni dell'Italia centro-meridionale, con assoluta prevalenza della Puglia, della Campania e della Calabria».
«RAPPORTI INABISSATI» - I 45 episodi citati sarebbero tuttavia solo la punta dell'iceberg di un fenomeno molto più articolato. Pisanu ha parlato di «notevole sproporzione» tra il numero delle violazioni e la dimensione del rapporto mafia-politica «che riusciamo a percepire attraverso l'esperienza della nostra Commissione e le stesse cronache quotidiane». «E allora - ha sottolineato - dinnanzi alle pur significative 45 violazioni del Codice antimafia, forse possiamo dire che esse non costituiscono un buon indicatore di mafiosità; e conoscendo tante altre cose, possiamo aggiungere che se si sono inabissate le cosche si sono anche inabissate le loro relazioni con i mondi della politica e degli affari». «In questi abissi non certo inesplorabili - ha commentato il presidente dell'Antimafia - possiamo e dobbiamo entrare se davvero vogliamo colpire in profondità il crimine organizzato».
«IL CODICE DIVENTI LEGGE» - Pisanu ha anche ipotizzato che il «codice di autoregolamentazione» possa diventare una vera e propria legge affinché abbia anche una funzione di prevenzione. In particolare, secondo il presidente dell'Antimafia, dovrà essere affrontato il nodo dello «scambio elettorale politico-mafioso. In questa ottica - ha spiegato - potremo anche esaminare la possibilità di stabilizzarlo attraverso una proposta di legge che, ovviamente, dovrebbe risolvere i delicati problemi di costituzionalità che si pongono in ordine al diritto di voto o, più precisamente, all'esercizio dell'elettorato attivo e passivo».
Fonte: corriere.it
Pisanu: «Ma il fenomeno è di certo più ampio»
ROMA - Il «codice» di autoregolamentazione stabilito dalla Commissione antimafia è stato violato, nelle ultime amministrative, 45 volte. Le violazioni riguardano 11 candidati eletti e 32 non eletti. I dati, che risentono del carattere «disomogeneo» su cui la commissione guidata da Beppe Pisanu ha potuto lavorare, sono stati illustrati dallo stesso Pisanu alla Commissione antimafia chiamata a valutare la bozza di relazione sull'ampio lavoro di analisi delle candidature e degli eletti alla ultima tornata amministrativa. Le violazioni sono «eque e trasversali» tra i principali partiti nazionali, ma quello che balza agli occhi «è la ripartizione territoriale» con episodi che «si collocano esclusivamente nelle regioni dell'Italia centro-meridionale, con assoluta prevalenza della Puglia, della Campania e della Calabria».
«RAPPORTI INABISSATI» - I 45 episodi citati sarebbero tuttavia solo la punta dell'iceberg di un fenomeno molto più articolato. Pisanu ha parlato di «notevole sproporzione» tra il numero delle violazioni e la dimensione del rapporto mafia-politica «che riusciamo a percepire attraverso l'esperienza della nostra Commissione e le stesse cronache quotidiane». «E allora - ha sottolineato - dinnanzi alle pur significative 45 violazioni del Codice antimafia, forse possiamo dire che esse non costituiscono un buon indicatore di mafiosità; e conoscendo tante altre cose, possiamo aggiungere che se si sono inabissate le cosche si sono anche inabissate le loro relazioni con i mondi della politica e degli affari». «In questi abissi non certo inesplorabili - ha commentato il presidente dell'Antimafia - possiamo e dobbiamo entrare se davvero vogliamo colpire in profondità il crimine organizzato».
«IL CODICE DIVENTI LEGGE» - Pisanu ha anche ipotizzato che il «codice di autoregolamentazione» possa diventare una vera e propria legge affinché abbia anche una funzione di prevenzione. In particolare, secondo il presidente dell'Antimafia, dovrà essere affrontato il nodo dello «scambio elettorale politico-mafioso. In questa ottica - ha spiegato - potremo anche esaminare la possibilità di stabilizzarlo attraverso una proposta di legge che, ovviamente, dovrebbe risolvere i delicati problemi di costituzionalità che si pongono in ordine al diritto di voto o, più precisamente, all'esercizio dell'elettorato attivo e passivo».
Fonte: corriere.it
22 dic 2010
Voto di scambio e appalti al centro delle indagini. Implicata la cosca di Giuseppe Pelle
Accordi politica-'ndrangheta, 12 arresti. In manette consigliere regionale del Pdl
Operazione di carabinieri e Dda di Reggio Calabria. Coinvolti anche altri quattro candidati del centrodestra
MILANO - I carabinieri del Ros del Comando provinciale di Reggio Calabria stanno eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip nei confronti di 12 persone indagate per associazione mafiosa e corruzione elettorale aggravata dalle finalità mafiose.
GLI ALTRI POLITICI - Tra gli arrestati c'è anche un consigliere regionale, Santi Zappalà, eletto nelle fila del Pdl. L'inchiesta, denominata «Reale», è coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, vede coinvolti anche altri 4 candidati alle ultime elezioni. Si tratta di soggetti che erano in corsa per un seggio al consiglio regionale in liste diverse, ma tutte convergenti sull'attuale governatore Giuseppe Scopelliti. Si tratta di Antonio Manti (Alleanza per la Calabria), Pietro Nucera (Insieme per la Calabria), Liliana Aiello (Insieme per la Calabria) e Francesco Iaria (Udc).
VOTO DI SCAMBIO - L'indagine ha accertato il condizionamento esercitato dalla cosca Pelle di San Luca in occasione delle elezioni del 29 e 30 marzo scorsi per il rinnovo del Consiglio regionale. Al centro dell'indagine gli incontri tra il boss Giuseppe Pelle ed alcuni candidati che in cambio di voti assicurati alla 'ndrangheta illecitamente raccolti avrebbero dovuto garantire alle imprese di riferimento della cosca l'aggiudicazione di alcuni importanti appalti pubblici ed altri favori.
Fonte: corriere.it
Operazione di carabinieri e Dda di Reggio Calabria. Coinvolti anche altri quattro candidati del centrodestra
MILANO - I carabinieri del Ros del Comando provinciale di Reggio Calabria stanno eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip nei confronti di 12 persone indagate per associazione mafiosa e corruzione elettorale aggravata dalle finalità mafiose.
GLI ALTRI POLITICI - Tra gli arrestati c'è anche un consigliere regionale, Santi Zappalà, eletto nelle fila del Pdl. L'inchiesta, denominata «Reale», è coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, vede coinvolti anche altri 4 candidati alle ultime elezioni. Si tratta di soggetti che erano in corsa per un seggio al consiglio regionale in liste diverse, ma tutte convergenti sull'attuale governatore Giuseppe Scopelliti. Si tratta di Antonio Manti (Alleanza per la Calabria), Pietro Nucera (Insieme per la Calabria), Liliana Aiello (Insieme per la Calabria) e Francesco Iaria (Udc).
VOTO DI SCAMBIO - L'indagine ha accertato il condizionamento esercitato dalla cosca Pelle di San Luca in occasione delle elezioni del 29 e 30 marzo scorsi per il rinnovo del Consiglio regionale. Al centro dell'indagine gli incontri tra il boss Giuseppe Pelle ed alcuni candidati che in cambio di voti assicurati alla 'ndrangheta illecitamente raccolti avrebbero dovuto garantire alle imprese di riferimento della cosca l'aggiudicazione di alcuni importanti appalti pubblici ed altri favori.
Fonte: corriere.it
19 dic 2010
'Ndrangheta, capitano dei carabinieri
Saverio Spadaro Tracuzzi avrebbe fornito a una cosca di Reggio Calabria notizie coperte da segreto investigativo in cambio di denaro, Porsche, Ferrari, abiti firmati
MILANO - Concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione: con queste accuse è finito in manette Saverio Spadaro Tracuzzi, capitano dei carabinieri già in servizio al Centro Dia di Reggio Calabria. I magistrati ritengono che sia stato colluso con una cosca della 'ndrangheta, quella dei Lo Giudice, fornendo notizie coperte da segreto investigativo su indagini in corso e anticipando l'adozione di provvedimenti restrittivi da parte dell'autorità giudiziaria. L'ufficiale originario di Catanzaro, arrestato dai carabinieri di Reggio Calabria, era stato trasferito mesi fa nella seconda Brigata mobile di Livorno, dove è stato fermato. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal gip reggino su richiesta della Dda. A Reggio Calabria Tracuzzi era stato in servizio prima al Nucleo operativo ecologico, dal 2003 al 2007, e poi alla Dia fino allo scorso giugno.
PORSCHE E FERRARI - Consistenti somme di denaro, una Porsche in regalo e una Ferrari in prestito, abiti firmati: è quanto avrebbe ricevuto il capitano, in cambio della sua collaborazione con la cosca. Nino Lo Giudice, capo pentito dell'omonima cosca, avrebbe anche ottenuto il pagamento di conti alberghieri e spese di viaggio. L'ufficiale sarebbe anche intervenuto, o avrebbe garantito il proprio intervento, per bloccare accertamenti nei confronti di esponenti della cosca. In particolare, avrebbe fornito informazioni in anticipo su una perquisizione effettuata a gennaio 2008 in una villa in cui abitava Antonio Cortese, uno degli esponenti di spicco del gruppo criminale, ma che era in realtà nella disponibilità di Luciano Lo Giudice, attualmente detenuto, fratello di Nino. L'ufficiale avrebbe anche garantito informazioni alla cosca sulle operazioni riguardanti la cattura dei latitanti del gruppo criminale, tra cui lo stesso Nino.
ACCUSE DA DUE PENTITI - Ed è stato proprio Nino Lo Giudice, che si è pentito da alcuni mesi e collabora con la Dda di Reggio Calabria, ad accusare Spadaro Tracuzzi. A ottobre, pochi giorni dopo il suo arresto, il capocosca è stato sentito per due giorni nel carcere di Rebibbia dal procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e dal procuratore aggiunto Michele Prestipino. Il pentito ha riferito, in particolare, della collaborazione che il capitano avrebbe garantito alla sua cosca, fornendo notizie in anticipo su imminenti operazioni della Dda. L'ufficiale avrebbe anche indicato le cosche interessate da imminenti arresti e i nomi dei destinatari dei provvedimenti restrittivi. La fuga di notizie avveniva con la consegna di atti di indagine in cartaceo o in formato elettronico contenenti i nominativi degli affiliati indagati o contro i quali dovevano essere emesse ordinanze di custodia cautelare. Prima di Nino Lo Giudice, a Spadaro Tracuzzi aveva fatto riferimento anche un altro pentito, Consolato Villani, anch'egli affiliato alla cosca: le sue accuse sono state poi ribadite dal boss e hanno trovato riscontro nelle indagini dei carabinieri. È stato Villani, tra l'altro, a consentire il fermo di Nino Lo Giudice, il 7 ottobre. Ai magistrati aveva parlato a lungo di Spadaro Tracuzzi, consentendo l'avvio delle indagini. I due pentiti parlano dell'arrestato come "il maresciallo", facendo riferimento al ruolo svolto come sottufficiale prima al Reparto operativo del Comando di Reggio Calabria e poi al Ris di Messina.
Fonte: corriere.it
MILANO - Concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione: con queste accuse è finito in manette Saverio Spadaro Tracuzzi, capitano dei carabinieri già in servizio al Centro Dia di Reggio Calabria. I magistrati ritengono che sia stato colluso con una cosca della 'ndrangheta, quella dei Lo Giudice, fornendo notizie coperte da segreto investigativo su indagini in corso e anticipando l'adozione di provvedimenti restrittivi da parte dell'autorità giudiziaria. L'ufficiale originario di Catanzaro, arrestato dai carabinieri di Reggio Calabria, era stato trasferito mesi fa nella seconda Brigata mobile di Livorno, dove è stato fermato. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal gip reggino su richiesta della Dda. A Reggio Calabria Tracuzzi era stato in servizio prima al Nucleo operativo ecologico, dal 2003 al 2007, e poi alla Dia fino allo scorso giugno.
PORSCHE E FERRARI - Consistenti somme di denaro, una Porsche in regalo e una Ferrari in prestito, abiti firmati: è quanto avrebbe ricevuto il capitano, in cambio della sua collaborazione con la cosca. Nino Lo Giudice, capo pentito dell'omonima cosca, avrebbe anche ottenuto il pagamento di conti alberghieri e spese di viaggio. L'ufficiale sarebbe anche intervenuto, o avrebbe garantito il proprio intervento, per bloccare accertamenti nei confronti di esponenti della cosca. In particolare, avrebbe fornito informazioni in anticipo su una perquisizione effettuata a gennaio 2008 in una villa in cui abitava Antonio Cortese, uno degli esponenti di spicco del gruppo criminale, ma che era in realtà nella disponibilità di Luciano Lo Giudice, attualmente detenuto, fratello di Nino. L'ufficiale avrebbe anche garantito informazioni alla cosca sulle operazioni riguardanti la cattura dei latitanti del gruppo criminale, tra cui lo stesso Nino.
ACCUSE DA DUE PENTITI - Ed è stato proprio Nino Lo Giudice, che si è pentito da alcuni mesi e collabora con la Dda di Reggio Calabria, ad accusare Spadaro Tracuzzi. A ottobre, pochi giorni dopo il suo arresto, il capocosca è stato sentito per due giorni nel carcere di Rebibbia dal procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e dal procuratore aggiunto Michele Prestipino. Il pentito ha riferito, in particolare, della collaborazione che il capitano avrebbe garantito alla sua cosca, fornendo notizie in anticipo su imminenti operazioni della Dda. L'ufficiale avrebbe anche indicato le cosche interessate da imminenti arresti e i nomi dei destinatari dei provvedimenti restrittivi. La fuga di notizie avveniva con la consegna di atti di indagine in cartaceo o in formato elettronico contenenti i nominativi degli affiliati indagati o contro i quali dovevano essere emesse ordinanze di custodia cautelare. Prima di Nino Lo Giudice, a Spadaro Tracuzzi aveva fatto riferimento anche un altro pentito, Consolato Villani, anch'egli affiliato alla cosca: le sue accuse sono state poi ribadite dal boss e hanno trovato riscontro nelle indagini dei carabinieri. È stato Villani, tra l'altro, a consentire il fermo di Nino Lo Giudice, il 7 ottobre. Ai magistrati aveva parlato a lungo di Spadaro Tracuzzi, consentendo l'avvio delle indagini. I due pentiti parlano dell'arrestato come "il maresciallo", facendo riferimento al ruolo svolto come sottufficiale prima al Reparto operativo del Comando di Reggio Calabria e poi al Ris di Messina.
Fonte: corriere.it
3 dic 2010
Desio, cade la giunta comunale: "Presenza delle cosche in Brianza"
Il sindaco: nessuna infiltrazione, solo ragioni politiche interne alla Lega
Undici consiglieri del centrosinistra e sei della Lega hanno firmato le dimissioni: si torna al voto
MILANO - Tornerà al voto il Comune brianzolo di Desio, dopo che l'amministrazione comunale guidata da Giampiero Mariani (Pdl) è caduta. La maggioranza dei consiglieri comunali venerdì ha firmato le proprie dimissioni, determinando così lo scioglimento automatico della giunta di centrodestra. Insieme all'opposizione (11 consiglieri) hanno firmato anche i 6 consiglieri della Lega Nord, fino a ieri in maggioranza. Alla base della crisi, il coinvolgimento di alcuni esponenti politici nell'inchiesta sulle infiltrazioni della 'ndrangheta: tra gli interessati il presidente del consiglio comunale Nicola Mazzacuva, il consigliere Natale Marrone e l'ex assessore provinciale Rosario Perri, tutti del Pdl. «Preso atto delle difficoltà nel proseguimento dell'attuale amministrazione - è la motivazione dei consiglieri del Carroccio -, resa particolarmente difficile a seguito di coinvolgimenti nell'inchiesta "Infinito", allo scopo di salvaguardare l'interesse dei cittadini e l'immagine della città, con senso di responsabilità i consiglieri leghisti hanno rassegnato le proprie dimissioni dal loro incarico, al fine di determinare lo scioglimento del consiglio comunale». Firmato Andrea Villa, Egidio Arienti, Elvio Gabani, Fabio Molinari, Tino Perego Marco Travagliati.
LA GIOIA DEL PD - Secondo Giuseppe Civati, consigliere regionale del Pd, «i leghisti, dopo le indagini del luglio scorso sulla 'ndrangheta che hanno visto coinvolti nelle intercettazioni, ancorché non indagati, alcuni esponenti del Pdl, chiedevano discontinuità. Oggi si sono dimessi, segno che la discontinuità richiesta non c'è stata». «A luglio avevamo chiesto l'intervento del ministro dell'Interno Roberto Maroni, ma qualche esponente leghista ci ha detto che esageravamo: oggi dovrà ricredersi - prosegue Civati -. C'è bisogno nelle amministrazioni di persone capaci di fare muro contro le infiltrazioni della criminalità nelle pubbliche amministrazioni e nell'economia. Criminalità che si infila negli appalti e che lucra sulle aggressioni al territorio. Oggi è un bel giorno per Desio, la Brianza e il Nord».
IL PDL: SOLO RAGIONI POLITICHE - «Nessuna infiltrazione mafiosa nella Giunta o nel Consiglio comunale di Desio, ma solo ragioni politiche interne alla Lega cittadina hanno determinato la situazione attuale», ha dichiarato la parlamentare e coordinatrice provinciale del Pdl Elena Centemero. «Non siamo insensibili - ha aggiunto - alla penetrazione della 'ndrangheta nel territorio della Brianza, come dimostra l'incontro pubblico che si terrà lunedì a Desio organizzato dalle nostre associazioni culturali con la partecipazione del sottosegretario Alfredo Mantovano. Siamo però contro la cultura indiscriminata del sospetto».
IL SINDACO: NESSUNA INFILTRAZIONE - «Il Consiglio Comunale di Desio non viene sciolto da organi governativi per sospette infiltrazioni malavitose, ma per una scelta di natura politica di alcuni consiglieri, che si assumeranno la responsabilità di aver infangato l'onorabilità degli amministratori e l'immagine della città», ha affermato il sindaco di Desio Giampiero Mariani. Il sindaco, con i consiglieri del Pdl, quelli di Indipendenti per Desio-UDC e Lista Civica Desio 2000, ha preso atto «della grave e irresponsabile decisione dei consiglieri del PD, Italia dei Valori, Desio Viva, Movimento 5 Stelle e della Lega Nord Padania di dimettersi provocando lo scioglimento del Consiglio Comunale e il commissariamento del Comune, in un momento in cui le istituzioni hanno il dovere di contrastare unite la 'ndrangheta e di garantire la massima trasparenza nella confusione strumentalmente generata».
«ESTRANEI ALL'INDAGINE INFINITO» - Entrando nel merito dell'indagine della Procura denominata «Infinito», il sindaco ha quindi precisato: «L'indagine riguarda azioni e sospetti tutti antecedenti la nuova operatività amministrativa. L'indagine Infinito, impropriamente richiamata dai dimissionari per giustificarsi rispetto ad uno scontro di natura politico-partitica, non ha evidenziato nessun atto, nessuna azione, nessun coinvolgimento, nessun tentativo che possa in alcun modo riguardare scelte amministrative anche della precedente giunta sempre condivise anche dagli esponenti della Lega Nord Padania». Il sindaco ha quindi ribadito anche a nome della giunta e dei consiglieri la «piena correttezza e la totale estraneità ai fatti evidenziati dall'indagine che ha avuto ed ha il pieno sostegno e plauso di tutta l'Amministrazione. Gli amministratori tutti hanno operato nel loro incarico impegnandosi a rispettare onore, dignità e fedeltà alle istituzioni come da dettato costituzionale».
Fonte: milano.corriere.it
Undici consiglieri del centrosinistra e sei della Lega hanno firmato le dimissioni: si torna al voto
MILANO - Tornerà al voto il Comune brianzolo di Desio, dopo che l'amministrazione comunale guidata da Giampiero Mariani (Pdl) è caduta. La maggioranza dei consiglieri comunali venerdì ha firmato le proprie dimissioni, determinando così lo scioglimento automatico della giunta di centrodestra. Insieme all'opposizione (11 consiglieri) hanno firmato anche i 6 consiglieri della Lega Nord, fino a ieri in maggioranza. Alla base della crisi, il coinvolgimento di alcuni esponenti politici nell'inchiesta sulle infiltrazioni della 'ndrangheta: tra gli interessati il presidente del consiglio comunale Nicola Mazzacuva, il consigliere Natale Marrone e l'ex assessore provinciale Rosario Perri, tutti del Pdl. «Preso atto delle difficoltà nel proseguimento dell'attuale amministrazione - è la motivazione dei consiglieri del Carroccio -, resa particolarmente difficile a seguito di coinvolgimenti nell'inchiesta "Infinito", allo scopo di salvaguardare l'interesse dei cittadini e l'immagine della città, con senso di responsabilità i consiglieri leghisti hanno rassegnato le proprie dimissioni dal loro incarico, al fine di determinare lo scioglimento del consiglio comunale». Firmato Andrea Villa, Egidio Arienti, Elvio Gabani, Fabio Molinari, Tino Perego Marco Travagliati.
LA GIOIA DEL PD - Secondo Giuseppe Civati, consigliere regionale del Pd, «i leghisti, dopo le indagini del luglio scorso sulla 'ndrangheta che hanno visto coinvolti nelle intercettazioni, ancorché non indagati, alcuni esponenti del Pdl, chiedevano discontinuità. Oggi si sono dimessi, segno che la discontinuità richiesta non c'è stata». «A luglio avevamo chiesto l'intervento del ministro dell'Interno Roberto Maroni, ma qualche esponente leghista ci ha detto che esageravamo: oggi dovrà ricredersi - prosegue Civati -. C'è bisogno nelle amministrazioni di persone capaci di fare muro contro le infiltrazioni della criminalità nelle pubbliche amministrazioni e nell'economia. Criminalità che si infila negli appalti e che lucra sulle aggressioni al territorio. Oggi è un bel giorno per Desio, la Brianza e il Nord».
IL PDL: SOLO RAGIONI POLITICHE - «Nessuna infiltrazione mafiosa nella Giunta o nel Consiglio comunale di Desio, ma solo ragioni politiche interne alla Lega cittadina hanno determinato la situazione attuale», ha dichiarato la parlamentare e coordinatrice provinciale del Pdl Elena Centemero. «Non siamo insensibili - ha aggiunto - alla penetrazione della 'ndrangheta nel territorio della Brianza, come dimostra l'incontro pubblico che si terrà lunedì a Desio organizzato dalle nostre associazioni culturali con la partecipazione del sottosegretario Alfredo Mantovano. Siamo però contro la cultura indiscriminata del sospetto».
IL SINDACO: NESSUNA INFILTRAZIONE - «Il Consiglio Comunale di Desio non viene sciolto da organi governativi per sospette infiltrazioni malavitose, ma per una scelta di natura politica di alcuni consiglieri, che si assumeranno la responsabilità di aver infangato l'onorabilità degli amministratori e l'immagine della città», ha affermato il sindaco di Desio Giampiero Mariani. Il sindaco, con i consiglieri del Pdl, quelli di Indipendenti per Desio-UDC e Lista Civica Desio 2000, ha preso atto «della grave e irresponsabile decisione dei consiglieri del PD, Italia dei Valori, Desio Viva, Movimento 5 Stelle e della Lega Nord Padania di dimettersi provocando lo scioglimento del Consiglio Comunale e il commissariamento del Comune, in un momento in cui le istituzioni hanno il dovere di contrastare unite la 'ndrangheta e di garantire la massima trasparenza nella confusione strumentalmente generata».
«ESTRANEI ALL'INDAGINE INFINITO» - Entrando nel merito dell'indagine della Procura denominata «Infinito», il sindaco ha quindi precisato: «L'indagine riguarda azioni e sospetti tutti antecedenti la nuova operatività amministrativa. L'indagine Infinito, impropriamente richiamata dai dimissionari per giustificarsi rispetto ad uno scontro di natura politico-partitica, non ha evidenziato nessun atto, nessuna azione, nessun coinvolgimento, nessun tentativo che possa in alcun modo riguardare scelte amministrative anche della precedente giunta sempre condivise anche dagli esponenti della Lega Nord Padania». Il sindaco ha quindi ribadito anche a nome della giunta e dei consiglieri la «piena correttezza e la totale estraneità ai fatti evidenziati dall'indagine che ha avuto ed ha il pieno sostegno e plauso di tutta l'Amministrazione. Gli amministratori tutti hanno operato nel loro incarico impegnandosi a rispettare onore, dignità e fedeltà alle istituzioni come da dettato costituzionale».
Fonte: milano.corriere.it
30 nov 2010
I trucchi dei boss casalesi per aggirare il carcere duro. Gli affiliati aiutati da due vigili urbani. Uno di loro era in servizio anche se condannato nel processo Spartacus
CASERTA - Boss di camorra, del clan dei Casalesi facente capo a Francesco «Cicciotto 'e mezzanotte» Bidognetti (tra cui anche suo figlio Gianluca) aggiravano il 41 bis soprattutto per incontrare le loro fidanzate con al complicità di due vigili urbani di Casal di Principe. È quanto è stato scoperto grazie all’operazione «Briseide» messa a segno dalla Dia e dal Nucleo Investigativo Centrale della Polizia penitenziaria (Nic). A finire in manette Mario De Falco, di 51 anni, fratello del defunto boss Vincenzo, e Stanislao Iaiunese, di 58 anni. Secondo l’accusa, obbedendo a Michele Bidognetti, attestarono falsamente che Gianluca Bidognetti, nipote dell’uomo e figlio del boss Francesco, conviveva con la fidanzata Serena Pagano, di 19 anni, in un’abitazione di via Firenze a Casal di Principe. Espedienti analoghi furono attuati per consentire anche ad altri affiliati al clan, in particolare Aniello Bidognetti, altro figlio di Francesco, e a Vincenzo Letizia, di incontrare le loro rispettive fidanzate.
GLI INDAGATI - Le due donne, Rita Starace, di 44 anni, e Luana Iovine, di 21, sono indagate a piede libero assieme a tre persone che attestarono falsamente la convivenza: Carlo Biffaro, di 71 anni, Angelina Luongo, di 66, e Teresa Bidognetti, di 20, sorella di Aniello e Gianluca. Anche per loro la Procura aveva chiesto l’arresto, non concesso però dal gip Amelia Primavera. L’inchiesta, coordinata dai pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio, Ida Froncillo e Alessandro Milita, è stata avviata in seguito all’intercettazione dei colloqui avvenuti nel carcere di Teramo tra Gianluca Bidognetti e i suoi familiari. Gianluca, in particolare, si lamenta di non poter ricevere telefonate dai congiunti, dal momento che l’apparecchio telefonico di casa Bidognetti è intestato al nonno defunto e la direzione del carcere non autorizza chiamate provenienti da quell’utenza. Tramite lo zio e le sorelle, il figlio del boss manda un avvertimento all’avvocato difensore: se non riesce a fargli ottenere colloqui con la fidanzata, sarà sostituito.
VIGILE CONDANNATO PER MAFIA E IN SERVIZIO - Vigile urbano regolarmente in servizio nonostante una condanna per associazione mafiosa: è il caso di Mario De Falco, arrestato oggi perchè favoriva colloqui in carcere tra boss e persone estranee al loro nucleo familiare. Un paragrafo dell’ordinanza di custodia cautelare è dedicato proprio al maresciallo dei vigili urbani De Falco. Fratello di Vincenzo, elemento di spicco del clan assassinato nel 1991, ed ex muratore, come hanno raccontato svariati collaboratori di giustizia, tra cui Carmine Schiavone, fu assunto nel 1982 proprio grazie al fratello. Scrive il gip: «Non vi è alcun dubbio sul fatto che il De Falco sia entrato nel corpo dei vigili urbani - al quale, sorprendentemente, ancora oggi appartiene, malgrado la condanna per associazione mafiosa - proprio allo scopo di garantire, abusando delle proprie funzioni, gli interessi del clan». De Falco, infatti, è stato condannato a quattro anni per associazione camorristica - poi ridotti a due in appello - nell’ambito del processo Spartacus.
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
GLI INDAGATI - Le due donne, Rita Starace, di 44 anni, e Luana Iovine, di 21, sono indagate a piede libero assieme a tre persone che attestarono falsamente la convivenza: Carlo Biffaro, di 71 anni, Angelina Luongo, di 66, e Teresa Bidognetti, di 20, sorella di Aniello e Gianluca. Anche per loro la Procura aveva chiesto l’arresto, non concesso però dal gip Amelia Primavera. L’inchiesta, coordinata dai pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio, Ida Froncillo e Alessandro Milita, è stata avviata in seguito all’intercettazione dei colloqui avvenuti nel carcere di Teramo tra Gianluca Bidognetti e i suoi familiari. Gianluca, in particolare, si lamenta di non poter ricevere telefonate dai congiunti, dal momento che l’apparecchio telefonico di casa Bidognetti è intestato al nonno defunto e la direzione del carcere non autorizza chiamate provenienti da quell’utenza. Tramite lo zio e le sorelle, il figlio del boss manda un avvertimento all’avvocato difensore: se non riesce a fargli ottenere colloqui con la fidanzata, sarà sostituito.
VIGILE CONDANNATO PER MAFIA E IN SERVIZIO - Vigile urbano regolarmente in servizio nonostante una condanna per associazione mafiosa: è il caso di Mario De Falco, arrestato oggi perchè favoriva colloqui in carcere tra boss e persone estranee al loro nucleo familiare. Un paragrafo dell’ordinanza di custodia cautelare è dedicato proprio al maresciallo dei vigili urbani De Falco. Fratello di Vincenzo, elemento di spicco del clan assassinato nel 1991, ed ex muratore, come hanno raccontato svariati collaboratori di giustizia, tra cui Carmine Schiavone, fu assunto nel 1982 proprio grazie al fratello. Scrive il gip: «Non vi è alcun dubbio sul fatto che il De Falco sia entrato nel corpo dei vigili urbani - al quale, sorprendentemente, ancora oggi appartiene, malgrado la condanna per associazione mafiosa - proprio allo scopo di garantire, abusando delle proprie funzioni, gli interessi del clan». De Falco, infatti, è stato condannato a quattro anni per associazione camorristica - poi ridotti a due in appello - nell’ambito del processo Spartacus.
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
20 nov 2010
Il nipote del boss all'università. La truffa dei 22 esami facili. Fa errori di sintassi e ortografia ma supera nove prove in 45 giorni. «Come si chiama l'esame che devo dare?»
Antonio Pelle, 24 anni, di San Luca era iscritto ad Architettura a Reggio Calabria
REGGIO CALABRIA - Ad aprile scorso è stato arrestato insieme allo zio Giuseppe ed altri presunti membri di una delle cosche di 'ndrangheta più famose e importanti, quella dei Pelle «Gambazza» di San Luca, e dalla cella in cui è rinchiuso invia lettere a parenti e amici, ricche di errori di sintassi e ortografia. Niente di male, se non fosse che quegli scritti fanno sorgere un sospetto: come può Antonio Pelle, 24 anni, nipote del boss Giuseppe, che difficilmente prenderebbe la sufficienza in un tema d'italiano, essere arrivato al corso di laurea specialistica in Architettura, nell'università Mediterranea di Reggio Calabria, dopo aver sostenuto con successo ventidue esami?
Un percorso degno di uno studente modello che ha avuto il suo picco nel bimestre giugno-luglio 2009, quando il giovane Pelle ha superato nove esami in meno di un mese e mezzo. E che i carabinieri del comando provinciale hanno ritenuto di spiegare con una serie di intercettazioni tra il rampollo dei «Gambazza» e professori, impiegati e ausiliari dell'università ora indagati dalla Procura antimafia di Reggio (insieme al ragazzo) per i reati di falso e truffa. Sono accusati di aver aiutato Antonio Pelle - un cognome che evoca non solo una famiglia rispettata, ma anche la sanguinosa faida di San Luca - e qualche suo parente a superare test e prove d'esame.
Il telefono del ragazzo era sotto controllo per altre indagini, e sono state registrate molte conversazioni sul sorprendente cammino universitario di Antonio. Come quella del 2 luglio 2008, quando lo studente telefona a Maurizio Spanò, dottore agronomo forestale che collabora con la facoltà e chiede: «Come si chiama l'esame?». «Albericoltura generale e coltivazione alborea», risponde Spanò. Solo quel giorno Pelle jr scopre il nome della materia che dovrebbe cominciare a studiare, e il 24 settembre richiama l'agronomo: «Ascoltami, io vado e mi siedo, se in caso...». L'esame è fissato per il 26 settembre; alle 10.12 di quel giorno Spanò telefona al ragazzo: «Vieni fuori che ti devo parlare...». Quarantacinque minuti più tardi la prova è superata e Antonio telefona alla zio Domenico che domanda: «Quanto hai preso?». «Trenta! Trenta!». «Alla faccia del cavolo! Meno male! Di che cos'era?». «Di cosa, di agro... agro... Agricoltura». Ha appena ottenuto il massimo dei voti lo studente Pelle Antonio in una prova di cui non ricorda il nome.
In «Laboratorio di progettazione urbanistica», il giovane Pelle ha preso ventisei, nel luglio del 2009; col docente di quella materia sono state intercettate diverse conversazioni piuttosto amichevoli. Per esempio quelle nei giorni di Natale del 2008, quando il ragazzo chiamava per gli auguri e il professore ringraziava annunciando che «oggi abbiamo fatto la festa a quel coso che ci hai mandato». Tre giorni dopo un altro ringraziamento del docente: «Ma non c'era bisogno ogni volta che ti devi disturbare», e lo studente: «Un pensierino quanto per gli auguri, professore...».
Stesso trattamento per un fidato collaboratore del titolare della cattedra, che chiamava il giovane Pelle «Antoniuccio mio bello». A Natale del 2008 c'è la telefonata per «lasciare un pensierino», e con l'avvicinarsi della Pasqua l'avviso: «Eh... ora voglio lasciarlo che asciughi... e domani te lo porto, l'agnellino». Due giorni più tardi, il 12 aprile, ecco la richiesta dello studente: «Il ventuno c'è l'esame, no? È scritto? A risposta multipla?». Il collaboratore del professore conferma, e il giovane Pelle dice: «Ah, va bene, allora con me ci vediamo domani, dopodomani?». «Va bene, ci vediamo qua a Reggio». Al Natale successivo è di nuovo tempo di regali: «Vuoi meglio un agnellino o un maialino?» Risposta dell'assistente. «Secondo me è meglio l'agnellino...».
In tre anni di intercettazioni i carabinieri hanno registrato 118 telefonate tra Antonio Pelle e il responsabile della segreteria studenti della facoltà di Architettura. Nelle conversazioni il giovane chiede spesso interventi e raccomandazioni su diversi professori, che stando all'indagine della Procura antimafia hanno fruttato esami e promozioni al nipote di Giuseppe Pelle. Che, sempre secondo l'accusa, s'è speso pure - con Catalano e altri dipendenti dell'università - per far superare i test di accesso ai cugini Francesco Pelle (figlio di Giuseppe), e Maria Antonietta Morabito. Una «manovra» quasi confermata dal boss Giuseppe Pelle, che in una conversazione del 17 marzo 2010, parlando del figlio Francesco, diceva: «L'abbiamo fatto entrare ad Architettura, tramite mio nipote!». Un nipote che tiene molto alla sua carriera universitaria, tanto che dal carcere di Lanciano dov'è rinchiuso, il 29 agosto scorso ha scritto al cugino: «Per quanto riguarda l'istanza dell'università che gli avevo presentato al gip se mi autorizzava a scendere a Reggio C. a fare gli esami. Ti faccio sapere che il gip mi ha risposto positivamente».
Fonte: corriere.it
REGGIO CALABRIA - Ad aprile scorso è stato arrestato insieme allo zio Giuseppe ed altri presunti membri di una delle cosche di 'ndrangheta più famose e importanti, quella dei Pelle «Gambazza» di San Luca, e dalla cella in cui è rinchiuso invia lettere a parenti e amici, ricche di errori di sintassi e ortografia. Niente di male, se non fosse che quegli scritti fanno sorgere un sospetto: come può Antonio Pelle, 24 anni, nipote del boss Giuseppe, che difficilmente prenderebbe la sufficienza in un tema d'italiano, essere arrivato al corso di laurea specialistica in Architettura, nell'università Mediterranea di Reggio Calabria, dopo aver sostenuto con successo ventidue esami?
Un percorso degno di uno studente modello che ha avuto il suo picco nel bimestre giugno-luglio 2009, quando il giovane Pelle ha superato nove esami in meno di un mese e mezzo. E che i carabinieri del comando provinciale hanno ritenuto di spiegare con una serie di intercettazioni tra il rampollo dei «Gambazza» e professori, impiegati e ausiliari dell'università ora indagati dalla Procura antimafia di Reggio (insieme al ragazzo) per i reati di falso e truffa. Sono accusati di aver aiutato Antonio Pelle - un cognome che evoca non solo una famiglia rispettata, ma anche la sanguinosa faida di San Luca - e qualche suo parente a superare test e prove d'esame.
Il telefono del ragazzo era sotto controllo per altre indagini, e sono state registrate molte conversazioni sul sorprendente cammino universitario di Antonio. Come quella del 2 luglio 2008, quando lo studente telefona a Maurizio Spanò, dottore agronomo forestale che collabora con la facoltà e chiede: «Come si chiama l'esame?». «Albericoltura generale e coltivazione alborea», risponde Spanò. Solo quel giorno Pelle jr scopre il nome della materia che dovrebbe cominciare a studiare, e il 24 settembre richiama l'agronomo: «Ascoltami, io vado e mi siedo, se in caso...». L'esame è fissato per il 26 settembre; alle 10.12 di quel giorno Spanò telefona al ragazzo: «Vieni fuori che ti devo parlare...». Quarantacinque minuti più tardi la prova è superata e Antonio telefona alla zio Domenico che domanda: «Quanto hai preso?». «Trenta! Trenta!». «Alla faccia del cavolo! Meno male! Di che cos'era?». «Di cosa, di agro... agro... Agricoltura». Ha appena ottenuto il massimo dei voti lo studente Pelle Antonio in una prova di cui non ricorda il nome.
In «Laboratorio di progettazione urbanistica», il giovane Pelle ha preso ventisei, nel luglio del 2009; col docente di quella materia sono state intercettate diverse conversazioni piuttosto amichevoli. Per esempio quelle nei giorni di Natale del 2008, quando il ragazzo chiamava per gli auguri e il professore ringraziava annunciando che «oggi abbiamo fatto la festa a quel coso che ci hai mandato». Tre giorni dopo un altro ringraziamento del docente: «Ma non c'era bisogno ogni volta che ti devi disturbare», e lo studente: «Un pensierino quanto per gli auguri, professore...».
Stesso trattamento per un fidato collaboratore del titolare della cattedra, che chiamava il giovane Pelle «Antoniuccio mio bello». A Natale del 2008 c'è la telefonata per «lasciare un pensierino», e con l'avvicinarsi della Pasqua l'avviso: «Eh... ora voglio lasciarlo che asciughi... e domani te lo porto, l'agnellino». Due giorni più tardi, il 12 aprile, ecco la richiesta dello studente: «Il ventuno c'è l'esame, no? È scritto? A risposta multipla?». Il collaboratore del professore conferma, e il giovane Pelle dice: «Ah, va bene, allora con me ci vediamo domani, dopodomani?». «Va bene, ci vediamo qua a Reggio». Al Natale successivo è di nuovo tempo di regali: «Vuoi meglio un agnellino o un maialino?» Risposta dell'assistente. «Secondo me è meglio l'agnellino...».
In tre anni di intercettazioni i carabinieri hanno registrato 118 telefonate tra Antonio Pelle e il responsabile della segreteria studenti della facoltà di Architettura. Nelle conversazioni il giovane chiede spesso interventi e raccomandazioni su diversi professori, che stando all'indagine della Procura antimafia hanno fruttato esami e promozioni al nipote di Giuseppe Pelle. Che, sempre secondo l'accusa, s'è speso pure - con Catalano e altri dipendenti dell'università - per far superare i test di accesso ai cugini Francesco Pelle (figlio di Giuseppe), e Maria Antonietta Morabito. Una «manovra» quasi confermata dal boss Giuseppe Pelle, che in una conversazione del 17 marzo 2010, parlando del figlio Francesco, diceva: «L'abbiamo fatto entrare ad Architettura, tramite mio nipote!». Un nipote che tiene molto alla sua carriera universitaria, tanto che dal carcere di Lanciano dov'è rinchiuso, il 29 agosto scorso ha scritto al cugino: «Per quanto riguarda l'istanza dell'università che gli avevo presentato al gip se mi autorizzava a scendere a Reggio C. a fare gli esami. Ti faccio sapere che il gip mi ha risposto positivamente».
Fonte: corriere.it
3 nov 2010
Blitz dei Ros contro la mafia, 47 arresti. In manette anche un deputato e altri politici
Operazioni in Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia
Fausto Fagone dei Popolari Italia domani rinviato a giudizio per abuso di ufficio e truffa aggravata
CATANIA - Un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 47 indagati, tra esponenti di spicco di Cosa nostra e amministratori, è stata eseguita la notte scorsa da carabinieri del Ros tra Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Militari dell'Arma hanno anche sequestrato beni per circa 400 milioni di euro. Il provvedimento, emesso dal Gip Luigi Lombardo su richiesta della Dda della Procura di Catania, riguardano esponenti di spicco di Cosa nostra, pubblici amministratori ed imprenditori del capoluogo etneo. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e rapine.
IN MANETTE ANCHE IL DEPUTATO FAUSTO FAGONE E ALTRI POLITICI - Tra gli arrestati dell'operazione Iblis del Ros c'e anche il deputato regionale dei Popolari Italia domani (Pid) Fausto Fagone. Provvedimenti restrittivi sono stati emessi anche nei confronti del consigliere della Provincia di Catania dell'Udc, Antonino Sangiorgi, dell' assessore del Comune di Palagonia, Giuseppe Tomasello, e dell' imprenditore e assessore al Comune di Ramacca, Francesco Ilardi. Il Gip Luigi Barone ha rigettato la richiesta di arresto avanzata dalla Procura nei confronti del deputato regionale ex Pdl Sicilia e adesso Gruppo misto Giovanni Cristaudo. Fausto Fagone, 44 anni, originario di Palermo, laureato in Economia, è un consulente finanziario. È deputato regionale dell'Udc in Sicilia dal 2006, ed è al suo secondo mandato. Dal 28 settembre scorso ha aderito al partito dei Popolari Italia domani (Pid), nato dalla scissione del gruppo di Saverio Romano e Salvatore Cuffaro dall'Udc. È presidente della commissione Cultura, Formazione e lavoro dell'Ars. In passato è stato sindaco di Palagonia, grosso centro agricolo della Piana di Catania famoso per le arance, incarico che era stato ricoperto dal padre, Salvino. E in qualità di sindaco di Palagonia, su richiesta del procuratore capo di Caltagirone, Francesco Paolo Giordano, il 28 giugno scorso Fausto Fagone è stato rinviato a giudizio per abuso di ufficio, truffa aggravata, falso materiale e ideologico, e frode in pubblica fornitura, assieme a due funzionari comunali e a due imprenditori, nell'ambito dell'inchiesta su presunte irregolarità nella concessione dell'appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani nel paese. Giovanni Cristaudo, 66 anni, geometra, funzionario delle imposte dirette, è deputato regionale dal 2001, ricoprendo tre legislature. Fino al 2006 è stato segretario della commissione Statuto e riforme istituzionali. Eletto in Forza Italia è poi passato al Pdl. È successivamente confluito nel Pdl-Sicilia di Gianfranco Miccichè, e ha seguito il sottosegretario nel Partito del Sud. In passato Cristaudo è stato più volte assessore comunale a Catania. La sua prima esperienza risale al 1988. È stato per due volte al centro di inchieste della Procura etnea per presunte irregolarità amministrative ma è stato sempre prosciolto in sede di udienza preliminare.
Fonte: corriere.it
Fausto Fagone dei Popolari Italia domani rinviato a giudizio per abuso di ufficio e truffa aggravata
CATANIA - Un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 47 indagati, tra esponenti di spicco di Cosa nostra e amministratori, è stata eseguita la notte scorsa da carabinieri del Ros tra Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Militari dell'Arma hanno anche sequestrato beni per circa 400 milioni di euro. Il provvedimento, emesso dal Gip Luigi Lombardo su richiesta della Dda della Procura di Catania, riguardano esponenti di spicco di Cosa nostra, pubblici amministratori ed imprenditori del capoluogo etneo. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e rapine.
IN MANETTE ANCHE IL DEPUTATO FAUSTO FAGONE E ALTRI POLITICI - Tra gli arrestati dell'operazione Iblis del Ros c'e anche il deputato regionale dei Popolari Italia domani (Pid) Fausto Fagone. Provvedimenti restrittivi sono stati emessi anche nei confronti del consigliere della Provincia di Catania dell'Udc, Antonino Sangiorgi, dell' assessore del Comune di Palagonia, Giuseppe Tomasello, e dell' imprenditore e assessore al Comune di Ramacca, Francesco Ilardi. Il Gip Luigi Barone ha rigettato la richiesta di arresto avanzata dalla Procura nei confronti del deputato regionale ex Pdl Sicilia e adesso Gruppo misto Giovanni Cristaudo. Fausto Fagone, 44 anni, originario di Palermo, laureato in Economia, è un consulente finanziario. È deputato regionale dell'Udc in Sicilia dal 2006, ed è al suo secondo mandato. Dal 28 settembre scorso ha aderito al partito dei Popolari Italia domani (Pid), nato dalla scissione del gruppo di Saverio Romano e Salvatore Cuffaro dall'Udc. È presidente della commissione Cultura, Formazione e lavoro dell'Ars. In passato è stato sindaco di Palagonia, grosso centro agricolo della Piana di Catania famoso per le arance, incarico che era stato ricoperto dal padre, Salvino. E in qualità di sindaco di Palagonia, su richiesta del procuratore capo di Caltagirone, Francesco Paolo Giordano, il 28 giugno scorso Fausto Fagone è stato rinviato a giudizio per abuso di ufficio, truffa aggravata, falso materiale e ideologico, e frode in pubblica fornitura, assieme a due funzionari comunali e a due imprenditori, nell'ambito dell'inchiesta su presunte irregolarità nella concessione dell'appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani nel paese. Giovanni Cristaudo, 66 anni, geometra, funzionario delle imposte dirette, è deputato regionale dal 2001, ricoprendo tre legislature. Fino al 2006 è stato segretario della commissione Statuto e riforme istituzionali. Eletto in Forza Italia è poi passato al Pdl. È successivamente confluito nel Pdl-Sicilia di Gianfranco Miccichè, e ha seguito il sottosegretario nel Partito del Sud. In passato Cristaudo è stato più volte assessore comunale a Catania. La sua prima esperienza risale al 1988. È stato per due volte al centro di inchieste della Procura etnea per presunte irregolarità amministrative ma è stato sempre prosciolto in sede di udienza preliminare.
Fonte: corriere.it
18 ott 2010
Sei arresti per la donna che denunciò la ’ndrangheta. Uccisa e sciolta nell'acido
Lea Garofalo aveva rinunciato alla protezione, era sparita dal novembre 2009
L'omicidio è stato organizzato dal suo ex compagno, Carlo Cosco, dopo averla attirata a Milano
MILANO - Uccisa dopo essere stata «interrogata», messa su un furgone con 50 chili di acido, scaricata in un terreno a Monza San Fruttuoso e sciolta. Sono le terribili testimonianze dell'inchiesta che ha portato a sei ordinanze di custodia cautelare in carcere notificate nella notte per la scomparsa della collaboratrice di giustizia calabrese Lea Garofalo. Gli arresti sono stati eseguiti tra Lombardia, Calabria e Molise.
ARRESTI - Lea Garofalo, 35 anni, ex collaboratrice di giustizia e compagna di un affiliato alla 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone), era sparita tra il 24 e il 25 novembre scorsi. Due mandati di arresto sono stati notificati in cella a Carlo Cosco - 40 anni, coinvolto in inchieste alla fine degli anni Novanta a Milano e cugino di Vito Cosco, autore della strage di Rozzano (Milano) che lasciò a terra quattro morti nell’agosto 2003 - ex convivente della donna dalla cui relazione è nata una figlia ora maggiorenne - e a Massimo Sabatino, 37 anni - spacciatore di Quarto Oggiaro. I due erano già stati arrestati a febbraio per un precedente tentativo di sequestro, avvenuto a Campobasso nel maggio dell'anno scorso, con lo scopo di uccidere la Garofalo per vendicarsi delle dichiarazioni da lei rese agli inquirenti a partire dal 2002 contro alcuni affiliati alle cosche della 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone). Il 24 febbraio scorso erano state arrestate in Molise altre due persone per aver messo a disposizione alcuni capannoni nel Milanese dove la donna sarebbe stata portata dopo la scomparsa. Gli altri quattro destinatari del provvedimento sono i fratelli Giuseppe «Smith» Cosco e Vito «Sergio» Cosco, Carmine Venturino e Rosarcio Curcio.
COLLABORATRICE - La donna nel 2002 aveva iniziato a collaborare con l'Antimafia nelle indagini sulla faida tra i Garofalo e il clan rivale dei Mirabelli. Poi, nel 2006, aveva abbandonato il piano di protezione e lasciato la località segreta dove viveva. Nelle sue dichiarazioni, Lea Garofalo aveva parlato anche degli omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni Novanta a Milano. Come quello di Antonio Comberiati, nel 1995, nel quale era stato coinvolto anche il fratello.
AGGUATO - Secondo l'indagine, Carlo Cosco ha organizzato l'agguato teso a Lea Garofalo mentre questa si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex a Milano nello stabile di viale Montello 6, un palazzo che ospita molti parenti dei caduti della guerra di 'ndrangheta. Lo scorso 24 novembre Lea Garofalo partecipò a una riunione di famiglia per decidere dove la figlia avrebbe proseguito gli studi dopo le superiori. Le sue tracce si sono perse nel pomeriggio quando alcune telecamere l'hanno inquadrata nella zona del palazzo e lungo i viali che costeggiano il cimitero Monumentale. La figlia e il padre erano alla stazione Centrale ad attenderla insieme al treno che avrebbe dovuto riaccompagnarla al Sud. Almeno quattro giorni prima del rapimento, Cosco aveva predisposto un piano contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove è stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla «con un colpo», sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l'appezzamento dove è stata sciolta nell'acido. La distruzione del cadavere ha avuto lo scopo di «simulare la scomparsa volontaria» della collaboratrice e assicurare l'impunità degli autori materiali dell'esecuzione. Sabatino e Venturino hanno materialmente sequestrato la vittima e l’hanno consegnata a Vito e Giuseppe Cosco, i quali l’hanno interrogata e poi uccisa con un colpo di pistola.
ACIDO - Lea Garofalo avrebbe dovuto essere rapita in Molise e trasportata in Puglia per essere uccisa e sciolta nell'acido in una masseria nei dintorni di Bari, e per questo il suo ex compagno Carlo Cosco aveva procurato, chiedendolo ai cinesi di via Sarpi a Milano, un furgone su cui erano stati «caricati anche 50 litri di acido». Sono le rivelazioni di un compagno di cella di Massimo Sabatino, uno dei sei arrestati nell'ambito dell'inchiesta.
Fonte: corriere.it
L'omicidio è stato organizzato dal suo ex compagno, Carlo Cosco, dopo averla attirata a Milano
MILANO - Uccisa dopo essere stata «interrogata», messa su un furgone con 50 chili di acido, scaricata in un terreno a Monza San Fruttuoso e sciolta. Sono le terribili testimonianze dell'inchiesta che ha portato a sei ordinanze di custodia cautelare in carcere notificate nella notte per la scomparsa della collaboratrice di giustizia calabrese Lea Garofalo. Gli arresti sono stati eseguiti tra Lombardia, Calabria e Molise.
ARRESTI - Lea Garofalo, 35 anni, ex collaboratrice di giustizia e compagna di un affiliato alla 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone), era sparita tra il 24 e il 25 novembre scorsi. Due mandati di arresto sono stati notificati in cella a Carlo Cosco - 40 anni, coinvolto in inchieste alla fine degli anni Novanta a Milano e cugino di Vito Cosco, autore della strage di Rozzano (Milano) che lasciò a terra quattro morti nell’agosto 2003 - ex convivente della donna dalla cui relazione è nata una figlia ora maggiorenne - e a Massimo Sabatino, 37 anni - spacciatore di Quarto Oggiaro. I due erano già stati arrestati a febbraio per un precedente tentativo di sequestro, avvenuto a Campobasso nel maggio dell'anno scorso, con lo scopo di uccidere la Garofalo per vendicarsi delle dichiarazioni da lei rese agli inquirenti a partire dal 2002 contro alcuni affiliati alle cosche della 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone). Il 24 febbraio scorso erano state arrestate in Molise altre due persone per aver messo a disposizione alcuni capannoni nel Milanese dove la donna sarebbe stata portata dopo la scomparsa. Gli altri quattro destinatari del provvedimento sono i fratelli Giuseppe «Smith» Cosco e Vito «Sergio» Cosco, Carmine Venturino e Rosarcio Curcio.
COLLABORATRICE - La donna nel 2002 aveva iniziato a collaborare con l'Antimafia nelle indagini sulla faida tra i Garofalo e il clan rivale dei Mirabelli. Poi, nel 2006, aveva abbandonato il piano di protezione e lasciato la località segreta dove viveva. Nelle sue dichiarazioni, Lea Garofalo aveva parlato anche degli omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni Novanta a Milano. Come quello di Antonio Comberiati, nel 1995, nel quale era stato coinvolto anche il fratello.
AGGUATO - Secondo l'indagine, Carlo Cosco ha organizzato l'agguato teso a Lea Garofalo mentre questa si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex a Milano nello stabile di viale Montello 6, un palazzo che ospita molti parenti dei caduti della guerra di 'ndrangheta. Lo scorso 24 novembre Lea Garofalo partecipò a una riunione di famiglia per decidere dove la figlia avrebbe proseguito gli studi dopo le superiori. Le sue tracce si sono perse nel pomeriggio quando alcune telecamere l'hanno inquadrata nella zona del palazzo e lungo i viali che costeggiano il cimitero Monumentale. La figlia e il padre erano alla stazione Centrale ad attenderla insieme al treno che avrebbe dovuto riaccompagnarla al Sud. Almeno quattro giorni prima del rapimento, Cosco aveva predisposto un piano contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove è stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla «con un colpo», sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l'appezzamento dove è stata sciolta nell'acido. La distruzione del cadavere ha avuto lo scopo di «simulare la scomparsa volontaria» della collaboratrice e assicurare l'impunità degli autori materiali dell'esecuzione. Sabatino e Venturino hanno materialmente sequestrato la vittima e l’hanno consegnata a Vito e Giuseppe Cosco, i quali l’hanno interrogata e poi uccisa con un colpo di pistola.
ACIDO - Lea Garofalo avrebbe dovuto essere rapita in Molise e trasportata in Puglia per essere uccisa e sciolta nell'acido in una masseria nei dintorni di Bari, e per questo il suo ex compagno Carlo Cosco aveva procurato, chiedendolo ai cinesi di via Sarpi a Milano, un furgone su cui erano stati «caricati anche 50 litri di acido». Sono le rivelazioni di un compagno di cella di Massimo Sabatino, uno dei sei arrestati nell'ambito dell'inchiesta.
Fonte: corriere.it
3 set 2010
Polsi: nessuno vuole mancare alla processione della 'ndrangheta. Ogni 2 settembre alla Madonna della Montagna in provincia di Reggio Calabria.
Nonostante i 300 arresti di luglio. Il vescovo di Locri: «Qui ci divide il cammino con chi ha scelto l'illegalità»
POLSI (Reggio Calabria) – Lui sa che lo stanno ascoltando, che le «famiglie» di San Luca, Africo, Platì, sono venute anche quest’anno, malgrado la decimazione (300 arresti) dell’operazione Crimine di luglio. Addirittura i giovani del San Luca calcio, quelli che l’anno scorso scesero in campo col lutto al braccio dopo la morte del boss ‘Ntoni Gambazza, hanno preteso di portare loro la Croce in processione. Per farsi vedere da tutti. Perché questa da sempre è anche una storia di simboli.
VESCOVO - Il vescovo di Locri, Giuseppe Fiorini Morosini, sa che i figli della faida sono di nuovo lì davanti a lui come ogni anno, come ogni 2 settembre mischiati alla folla di Polsi, che batte le mani e canta «Evviva Maria» dietro alla statua della Madonna della Montagna. Perciò è a loro che ora parla direttamente: «Cari fratelli che avete scelto la strada dell’illegalità per costruirvi la vita, le vostre ricchezze, il vostro potere, il vostro onore, non c’è nulla che possiamo condividere. I nostri cammini non si congiungono a Polsi, se mai si dividono ancora di più». Così li mette davanti a un bivio: «Convertitevi o andatevene». Il vescovo è duro: «Non possiamo chiudere gli occhi sulla realtà calabrese», ammonisce. «Usura, droga, intimidazioni, sopraffazioni, violenza e non sarà Roma a risolvere i nostri problemi se non saremo noi a rialzare la testa…».
PAROLA MANCANTE - Ma l’omelia è incompleta, c’è una parola che manca sempre: ‘ndrangheta. Il monsignore non la pronuncerà mai. Il 2 settembre dell’anno scorso, proprio qui a Polsi, nel cuore dell’Aspromonte, mentre si svolgeva la festa solenne al suono dei tamburelli, degli organetti e delle zampogne, in mezzo alle salsicce arrostite e ai banchi di souvenir coi cd della ‘ndrangheta e le canzoni delle «tarantelle malandrine», i boss delle famiglie nominarono il loro «capo crimine», Domenico Oppedisano, lo elessero a presidente del cda delle cosche calabresi. Ma c’erano pure i carabinieri del Ros, quel giorno, con le loro telecamere e i microfoni nascosti sul piazzale. Gli uomini del colonnello Valerio Giardina ascoltarono tutto, filmarono tutto e il 13 luglio scorso è scattato il blitz. Operazione Crimine, l’hanno chiamata. Tra qualche settimana, dopo aver visionato i nuovi filmati girati giovedì, gli investigatori potranno dire se anche questa volta in fondo alla conca brulla s’è svolto un summit di mafia.
RIPARTIRE - «Polsi luogo di pietà semplice e devota», chiosa il vescovo Morosini nell’omelia. «Polsi diventato luogo violato e profanato da conterranei e fratelli di fede che hanno tradito la fede vera, pretendendo assurdamente di ricevere dalla Vergine Maria la benedizione sui loro patti illegali, sulla spartizione di un potere ingiusto. Ma ora tutti insieme dobbiamo ripartire». Ripartire da Polsi. «Il prossimo 29 settembre, giorno di San Michele Arcangelo, il nostro patrono, faremo qui la festa della Polizia», annuncia il questore di Reggio, Carmelo Casabona. Poiché questa da sempre è anche una storia di simboli.
Fonte: corriere.it
POLSI (Reggio Calabria) – Lui sa che lo stanno ascoltando, che le «famiglie» di San Luca, Africo, Platì, sono venute anche quest’anno, malgrado la decimazione (300 arresti) dell’operazione Crimine di luglio. Addirittura i giovani del San Luca calcio, quelli che l’anno scorso scesero in campo col lutto al braccio dopo la morte del boss ‘Ntoni Gambazza, hanno preteso di portare loro la Croce in processione. Per farsi vedere da tutti. Perché questa da sempre è anche una storia di simboli.
VESCOVO - Il vescovo di Locri, Giuseppe Fiorini Morosini, sa che i figli della faida sono di nuovo lì davanti a lui come ogni anno, come ogni 2 settembre mischiati alla folla di Polsi, che batte le mani e canta «Evviva Maria» dietro alla statua della Madonna della Montagna. Perciò è a loro che ora parla direttamente: «Cari fratelli che avete scelto la strada dell’illegalità per costruirvi la vita, le vostre ricchezze, il vostro potere, il vostro onore, non c’è nulla che possiamo condividere. I nostri cammini non si congiungono a Polsi, se mai si dividono ancora di più». Così li mette davanti a un bivio: «Convertitevi o andatevene». Il vescovo è duro: «Non possiamo chiudere gli occhi sulla realtà calabrese», ammonisce. «Usura, droga, intimidazioni, sopraffazioni, violenza e non sarà Roma a risolvere i nostri problemi se non saremo noi a rialzare la testa…».

RIPARTIRE - «Polsi luogo di pietà semplice e devota», chiosa il vescovo Morosini nell’omelia. «Polsi diventato luogo violato e profanato da conterranei e fratelli di fede che hanno tradito la fede vera, pretendendo assurdamente di ricevere dalla Vergine Maria la benedizione sui loro patti illegali, sulla spartizione di un potere ingiusto. Ma ora tutti insieme dobbiamo ripartire». Ripartire da Polsi. «Il prossimo 29 settembre, giorno di San Michele Arcangelo, il nostro patrono, faremo qui la festa della Polizia», annuncia il questore di Reggio, Carmelo Casabona. Poiché questa da sempre è anche una storia di simboli.
Fonte: corriere.it
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