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12 ott 2012

«Chi sgarra lo crepiamo di palate»: così il clan investiva sull'assessore Zambetti

Zambetti dal carcere: «Non sapevo che quelle persone fossero della 'ndrangheta»

MILANO - «È sempre meglio averlo, un amico» in Regione Lombardia o al Comune di Milano. Anche perché, se un politico poi non si conferma «la persona seria» che ai clan di 'ndrangheta sembra quando gli si offrono i voti e lui li accetta, c'è sempre modo di rimediare: «Sennò dopo andiamo a prenderlo e lo crepiamo, parliamoci chiaro..., lo andiamo a prendere in ufficio e lo... lo crepiamo di palate».

Il candidato «risorsa di tutta la cosca»
L'«amicizia» prima di tutto, ripetono in continuazione i boss nei colloqui intercettati dall'inchiesta del pm milanese Giuseppe D'Amico. Ma l'idea di «amicizia» coltivata dalle cosche - quelle che «ce l'abbiamo in pugno» l'assessore di Formigoni alla Casa, Domenico Zambetti, arrestato mercoledì per voto di scambio, concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata - è un accorto investimento sul futuro nel particolare «mercato dei voti», dove «le regole - riassumono gli inquirenti - sono molto semplici: da una parte il politico ha necessità di aumentare il pacchetto di preferenze elettorali per incrementare il consenso politico e ricoprire un incarico maggiormente significativo nelle istituzioni pubbliche, dall'altra le cosche hanno l'interesse a incassare sia denaro sia maggiori vantaggi che possano derivare dai futuri incarichi ricoperti dal candidato, il quale, da quel momento, volente o nolente, diviene una risorsa che la consorteria impiega per consolidare il proprio potere sul territorio».

«Aiutiamolo, un appaltino non si sa mai...»
Se questo è l'obiettivo, gli «amici» nei clan mettono in conto persino qualche piccolo iniziale sacrificio di tasca loro, proprio come avviene quando si investe sul futuro. Lo rivela bene uno dei due ambasciatori delle cosche calabresi nei rapporti con i politici lombardi, Eugenio Costantino, un giorno in cui con un complice non parla dei 200.000 euro per 4.000 voti propiziati nelle regionali 2010 all'assessore Zambetti, ma dei 500 voti appoggiati sulla campagna 2011 per il Comune di Milano della ignara figlia Sara dell'ex presidente del Consiglio comunale Vincenzo Giudice: il quale, per gli inquirenti, stringe l'accordo ma non vuole pagare in denaro i voti offertigli da una apparente cordata di professionisti calabresi, dicendosi però disponibile a dare poi una mano nei lavori della metrotranvia di Cosenza, appaltata alla società della Metropolitana milanese che all'epoca presiedeva.

«Quello - riferisce ai complici Costantino - dice di non avere una lira... questo qua ha promesso davanti a me e a un altro testimone che, se la figlia prende un po' di voti, "io vi garantisco che qualche lavoro riesco a darvelo, soldi non ne ho, però se trovo i vostri voti io vi aiuto con il lavoro, con il lavoro a me mi è molto più semplice", ha detto. Arrivati a questo punto cosa facciamo? Gli diamo una mano lo stesso, però prendiamo accordi per lavori successivi - delinea Costantino -. Magari qualche voto glielo facciamo dare lo stesso». Perché «ohh non si sa mai, crearsi un amico in più non fa mai male, un nemico non fa bene... è sempre a Milano, qualche appaltino ce lo può passare... Per esempio adesso abbiamo aiutato questo di Milano e grazie a noi ha preso 500 voti, magari abbiamo bisogno del Comune di Milano e possiamo andare, perché è dentro al Comune». Così poco a poco, osservano gli investigatori, «un atteggiamento parassitario lentamente sta spostando l'ago della bilancia in favore delle cosche che, sfruttando questa risorsa, sono in grado di accrescere a dismisura il loro potere sul territorio. La vincita degli appalti, al di là di indubbi vantaggi economici, è in grado di alimentare ulteriormente quel serbatoio di voti da orientare nelle successive consultazioni elettorali, creando lavoro all'interno della stessa comunità calabrese. E questo rappresenta quel sottile meccanismo in grado di mettere nelle mani di pochi (le cosche) la possibilità di deviare i flussi elettorali».

Zambetti e Crespi respingono le accuse
Zambetti (che oggi, difeso dall'avvocato Giuseppe Ezio Cusumano, verrà interrogato dal gip Alessandro Santangelo) si dice molto scosso dal carcere, dove soffre diabete e pressione alta, respinge gli addebiti e confida che i magistrati lo riconoscano. Afferma di non aver saputo che le persone che dicevano di volerlo appoggiare fossero dei clan, nega di aver barattato soldi con voti, sostiene di aver solo pagato modesti rimborsi per ristoranti elettorali, accenna di aver poi avuto paura a partire da una lettera minatoria. Anche il sondaggista Ambrogio Crespi (fratello di Luigi), arrestato, ma come asserito collettore di voti, e anch'egli interrogato oggi con l'avvocato Marcello Elia, respinge le accuse: lamenta di essere vittima solo di quanto altre persone direbbero di lui al telefono, rimarca di non essere stato a Milano nel periodo caldo delle elezioni 2010, spiega l'enfatizzata conoscenza con Vallanzasca solo con l'intervista alla moglie dell'ex bandito nel dicembre 2011 sul suo giornale online Il Clandestino , e ricorda quanti pochi voti prese perfino per sé quando nel 2006 si candidò.

«Ringraziare» per la «bella figura»
Il meno che si possa intanto dire è che chi fa politica non è schizzinoso. Ecco ad esempio Giudice (indagato per l'ipotesi di corruzione), dopo che la figlia ha preso oltre 1.000 voti in Comune, al telefono con quello che crede essere un avvocato calabrese e non sa sia un 'ndranghetista, ma dal quale sa di aver ricevuto l'offerta di voti in cambio di soldi.
Costantino: «Allora Enzo, contento o no?».
Giudice: «Contento sì per lei, ha fatto un risultato eccezionale, peccato non ci sia la possibilità di entrare perché questa cavolo di lista non ha preso i voti necessari».
Costantino: «E vabbe', lei ha fatto bella figura, l'importante che non ha fatto un fiasco, è quello che si voleva no?».
Giudice: «Esatto, esatto».
Costantino: «Ho detto "spero che Enzo sia rimasto contento"...».
Giudice: «Assolutamente sì... Poi stavamo vedendo anche come organizzarci per ringraziare... quelli che ci hanno aiutato...».
Costantino: «Non c'è problema, quando vuoi. Noi siamo qua...».

Fonte: milano.corriere.it

11 ott 2012

L'arresto di Zambetti, le intercettazioni. I ricatti e i soldi impacchettati

«Ci darà lavoro per l'Expo»

Il boss all'assessore: «Dottore come sta? Il diabete se lo cura? E se lo deve guardare, bisogna fare attenzione»

MILANO - È il 15 marzo 2011 quando i carabinieri fotografano Eugenio Costantino, colletto bianco della cosca Mancuso, che entra nel Centro culturale milanese dell’assessore alla Casa della giunta Formigoni, incontra appunto il pdl Domenico Zambetti, esce con un pacchetto, entra in auto, conta il denaro e racconta ai complici (e al pm Giuseppe D’Amico, non sapendo che l’auto è diventata un enorme microfono) la storia dei 4.000 voti comprati alle elezioni regionali 2010, sottostante il pagamento da parte del politico della rata da 30.000 euro di cui si sente il fruscìo. «Cirù conta questi soldi, devono essere 30....togline 15...sono tutti da cento. Zambettino, Zambettino le corna sue... All'inizio si è fatto un po’ i cazzi suoi, adesso ha pagato, eh». «Quanto gli è costato a lui?», chiede il complice. «Togli questi 30.000... gli sarà costata 200.000 euro... Ma tu lo hai capito che gli hai dato 3.000/3.500 voti, nel mio piccolo io sinceramente li meritavo 100.000 euro, nel mio piccolo io nel Magentino gli ho fatto dare 700/800 voti, ma stiamo scherzando... Lui grazie a questi spiccioli è stato eletto, altrimenti chi lo eleggeva? Sai quanto prendeva lui? 6/7.000 voti. Invece ne ha presi 11.500, giusto i quasi 4.000 voti (di distacco dal primo dei non eletti, ndr) arrivatigli da questa gente».

Un voto 80 euro. Con appalti, 50
Le intercettazioni colgono gli uomini delle cosche in ragionamenti che combaciano a posteriori con l’esame dei flussi elettorali delle zone citate: «Il napoletano solo quello 1.500 voti li gestisce, hanno 10/12 grossi condomini a Milano che dirigono loro; poi c’è un altro napoletano, che hanno i locali a Milano, quelli 400/500 voti li portano solo loro, come glieli hanno dati i 2.500 voti a Milano l’altra volta a Zambetti... Vabbeh tanto ci ha messo le mani la famiglia Barbaro per i voti. Però la famiglia Barbaro i 500 voti non glieli hanno dati a Milano eh, ci sono gli altri dei paesi, ma quello che i voti a Milano li ha fatti prendere, 2.500 a Milano, è stato Ambrogio», cioè il sondaggista (fratello del più noto Luigi) di cui nei clan si parla con remore: «Quello è un bandito! L’altra sera mi ha chiamato ed era con Vallanzasca, "vieni che vi faccio salutare Vallanzasca" ». Istruttivo è anche il tariffario dei voti, con o senza sconto-appalti. «Ci vogliono 80 euro a voto, Eugè!», propone un complice a Costantino, che però lo corregge: «Su 2.000 voti sono 50 euro a voto». L’altro non è convinto: «Eh buono, di solito per lo meno al Sud costano 80 euro a voto». «Ma dato che vogliamo pure del lavoro, basta 50 euro a voto, stop», gli spiega Costantino, che poi aggiungerà: «Un acconto prima e la rimanenza te la danno dopo, funziona così eh!».

Le promesse sull’Expo 2015
Alle cosche interessano il cash ma ancor più gli appalti, come programmano con realismo: «Lui — cioè l’assessore Mimmo Zambetti —ha detto "se voi trovate un lavoro, segnalatemelo...". Non ha parlato male, "voi me lo segnalate, io cerco di farvelo dare...", quindi adesso ti faccio un esempio...noi gli diciamo "Mimmo, guarda che c’è quel lavoro, c'è che ce lo devi far dare, adesso tu sai che c’è l'Expo", lui ci può aiutare... lui farà di tutto per farcelo avere...più di così, d’altronde, non è che... Anche perché le imprese ce le abbiamo, le cooperative ci sono...».

«L’idiota dice no e perde milioni»
È perciò incomprensibile, per i clan, che ci sia qualche politico che rifiuti l’offerta del loro pacchetto di voti in vendita, come fa nel 2011 il capolista civica della Lega Nord, Marco Tizzoni, che rifiuta gli «apparentamenti strani» stimati 500 voti e perde le elezioni nel Comune dove si terrà l’Expo 2015: «Che schifo di partito — è furibondo l’ndranghetista —, ma tu l’hai capito che quell’idiota della Lega per 10.000 euro che non mi hanno voluto dare hanno perso l’elezione, io gli avevo trovato 500 voti ed hanno perso per 400... Avete perso un paese con l’Expo perché uno non ha voluto cacciare 10.000 euro, c’erano 500 voti pronti e poi ci dovevano dare lavoro. Vaff... io non ho guadagnato 5.000 euro ma loro hanno perso milioni di euro per 400 voti...».

Il «rimpasto» degli accordi
Per convincere l’assessore regionale Zambetti a rispettare i patti («Con noi non vuole più avere a che fare?— ironizza Pino D’Agostino dalla Calabria —. Se no salgo io e ci parlo io, che così ci capiamo... sennò c’è il rimpasto degli accordi...»), i clan graduano la pressione intimidatoria. «A Zambetti ce l’abbiamo in pugno», gongola Costantino, perché «noi avevamo fatto una cosa per incastrarlo... quando abbiamo fatto la festa a Magenta, noi a Zambetti l’abbiamo fotografato con Pino... giusto per avere una prova, e io ce l’ho, dove si vede bello Pino con lui che si stringono la mano». E «quella stretta di mano vuol dire tante cose... e lui è rovinato... Adesso noi non diciamo niente, e poi lui c’ha garantito che ci dà del lavoro in questi 5 anni».

«Per paura si mise a piangere»
In altri momenti la pressione si fa più obliqua: «Hai visto quel "pisciaturu" di Zambetti come ha pagato, eh, lo facevamo saltare in aria... Ciru’, tu l’avevi letta la lettera che gli hanno mandato?». «Il pizzino!», annuisce Ciro. «Gli abbiamo mandato una lettera, Ciru’, talmente scritta bene... cioè si vede che avevano gente laureata nel gruppo, gli hanno fatto la cronistoria di come sono iniziate le cose, di come erano i patti e di come andava a finire...». Al punto che l’assessore «si è messo a piangere davanti a me e a zio Pino, e piangeva... se l’è fatta sotto completo... Ogni tanto solo così possiamo prenderci qualche soddisfazione... ». E nel bel mezzo dell’incontro tra l’emissario presentabile delle cosche e il politico che a loro avviso sta ritardando sia il saldo di una delle ultime rate (da 30.000 euro) del pattuito pagamento di quei 4.000 voti con 200.000 euro, sia la sistemazione all’ente case popolari della figlia di Costantino, dalla Calabria si scomoda D’Agostino con un’arma più intimidatoria di tante pistole: le pause di una telefonata con Zambetti. «Dottore buonasera, come sta? Diabete (pausa) se lo cura?». «È alto... alto», risponde intimorito il politico, di fronte al complice dell’ndranghetista al telefono. «E se lo deve guardare—rincara l’uomo delle cosche di Africo — bisogna fare attenzione con (lunga pausa) il mangiare... Volevo solo salutarvi... eh mi permetto solo di ricordarle la faccenda della figlia del nostro amico». «Ok, tranquillo che lo farò », assicura Zambetti, congedato dal referente dei boss con un poco promettente «Tante tante buone cose lei e la famiglia... stia tranquillissimo su tutto». Subito l’assessore versa i soldi. E piazza la figlia di Costantino, con un contratto interinale poi rinnovato, all’ente case Aler.

Fonte: corriere.it

10 ott 2012

Arrestato l'assessore regionale del PDL Domenico Zambetti per voto di scambio

Regione Lombardia, arrestato assessore di Formigoni per voto di scambio
È il Pdl Domenico Zambetti, avrebbe pagato 200.000 euro alla ’ndrangheta per 4.000 voti

Voto di scambio con la ’ndrangheta per un importante assessore pdl della Regione Lombardia presieduta da Roberto Formigoni. Il responsabile dell’assessorato alla Casa, Domenico Zambetti, 60 anni, è stato arrestato questa mattina a Milano dai carabinieri con l’accusa di aver comprato un pacchetto di 4.000 preferenze, decisivo per la sua elezione con 11.217 voti nelle regionali 2010, pagando 200.000 euro a due colletti bianchi della ’ndrangheta, uno esponente della cosca calabrese «Morabito-Bruzzaniti» di Africo (Giuseppe D’Agostino, gestore di locali notturni già condannato anni fa per traffico di droga nell’inchiesta sull’Ortomercato) e uno referente invece del clan «Mancuso» di Palmi, il gestore di negozi Costantino Eugenio: un tandem che a sua volta, oltre che all’hinterland milanese della famiglia «Barbaro-Papalia» di Platì, per investire sulla candidatura di Zambetti avrebbe attinto in parte a un bacino di preferenze nella disponibilità di Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, l’ex sondaggista di Berlusconi condannato nel dicembre 2011 in primo grado a 7 anni per la bancarotta Hdc.

REGIONE FALCIDIATA
L’arresto segna il caso di maggior infiltrazione della ‘ndrangheta nella politica sinora svelato al Nord Italia dalle indagini. Zambetti, in Regione in passato responsabile dell’Ambiente e poi dell’Artigianato, è il quinto assessore delle varie giunte di Formigoni a essere arrestato, dopo Guido Bombarda (Formazione professionale), Piergianni Prosperini (Turismo), Franco Nicoli Cristiani (Ambiente, Commercio) e Massimo Ponzoni (Protezione civile, Ambiente). E in questo momento è anche il tredicesimo consigliere regionale dell’attuale assemblea (su 80) a finire sotto inchiesta.

SOLDI AI BOSS "IN DIRETTA"
Un’intercettazione ambientale, disposta dal pm Giuseppe D'Amico nell’automobile dei due ’ndranghetisti subito dopo l’incontro il 15 marzo 2011 tra uno di essi e Zambetti nell'Associazione culturale milanese dell’assessore «Centro e Libertà», secondo l’accusa documenta il pagamento appena avvenuto, da parte del politico ai boss, di una delle ultime rate (30.000 euro) della somma concordata al momento dell'accordo sui voti nel 2010.

ASSUNZIONI E APPALTI
L'assessore regionale alla Casa avrebbe anche fatto assumere la figlia di uno dei due ’ndranghetisti a termine all’Aler, l’ente case popolari, e promesso di attivarsi per far avere lavori a cooperative e ditte degli ’ndranghetisti: il gip milanese Alessandro Santangelo, estensore a Torino della sentenza-pilota Eternit sui morti per amianto, gli contesta i tre reati di «scambio elettorale politico-mafioso», «concorso esterno in associazione mafiosa» (ipotesi addebitata al pure destinatario di un ordine di arresto Ambrogio Crespi) e «corruzione» con l’aggravante di aver agevolato la ’ndrangheta.

MINACCE E RICATTI
L’inchiesta dei carabinieri ha monitorato anche tutta un serie di telefonate e lettere intimidatorie, foto e registrazioni con le quali gli ’ndranghetisti, in alcune fasi altalenanti del rapporto con il politico, contavano di richiamarlo all’ordine («ce l’abbiamo in pugno»), pena quello che nelle intercettazioni definiscono «il rimpasto degli accordi».

Fonte: milano.corriere.it

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