14 mar 2011

Milano e le mafie: quelle mani da evitare

Le infiltrazioni della 'ndrangheta

MILANO - È il 16 maggio 1974: Luciano Leggio, il picciotto che a Corleone ha messo assieme i Riina, i Bagarella, i Provenzano, il mafioso che da tre anni sequestra e taglieggia in Piemonte e Lombardia, viene arrestato in un signorile palazzo di via Ripamonti. Nella sua agendina spicca il numero riservato del dottor Ugo de Luca, direttore generale del Banco di Milano. De Luca è stato allevato da Sindona, ha forti entrature nella curia e nelle logge massoniche. Gli vengono trovati diversi libretti al portatore con decine di miliardi di lire. Lui si rifiuta di svelarne i titolari. In Procura notano il gran trambusto di banchieri, industriali, finanzieri preoccupati di venir coinvolti a causa delle frequentazioni, che tutti definiscono innocenti, con lo stimato professionista. Chi poteva mai immaginare? Da quel giorno diventa la frase più gettonata dei tanti, che non disdegneranno contatti spericolati, ma sempre redditizi, con i bracci affaristici di Cosa nostra e della 'ndrangheta. Tutti ovviamente in grisaglia, compunti, impegnati in opere di carità, ogni domenica messa e comunione, secondo gl'insegnamenti di Sindona.

Chi può mai immaginare fra gl'imprenditori, gli agenti di Borsa, i direttori di banca che dietro l'Inim di Filippo Alberto Rapisarda e del suo socio di minoranza, l'ingegnere Francesco Paolo Alamia si stagli l'ombra di Bontate, il mafioso più potente di Palermo, e di Ciancimino, cioè dei «viddani» di Corleone? Anche i gemelli Alberto e Marcello Dell'Utri dicono di non immaginarlo. Anzi, la fiducia di Marcello nei confronti degli amici palermitani è tale da sedersi allo stesso tavolo delle Colline Pistoiesi, il ristorante della Milano interista, con Vittorio Mangano, i fratelli Grado, Nino Calderone. E quanti presentano un progetto o chiedono un finanziamento negli elegantissimi uffici di via Chiaravalle, fontanelle d'acqua, marmi, parquet possono mai immaginare che il compitissimo Angelo Mongiovì sia il proconsole dei Cuntrera e dei Caruana?

E i re dei denari, i conti, i duchi che affollano le bische di Turatello, che vi conoscono i fratelli Bono e l'invitano in salotto per mettere a punto una piccola speculazione sul palazzotto avito possono mai immaginare di associarsi ai principali intermediari del traffico internazionale di stupefacenti? I bravi ragazzi venuti dalla Sicilia hanno le mani in pasta in alberghi, catene di distribuzioni, nei casinò di Sanremo e di Saint-Vincent, parlano inglese, vanno in vacanza ai Caraibi da quel caro ragazzo di Saro Spadaro padrone di un isolotto, Saint Maarten, che è un incanto. Una personcina così dabbene, pensa che il figliolo studia alla Bocconi...
Abituati a una Milano che spalanca loro portoni e porticati prendono male il rifiuto dell'avvocato Vittorio Di Capua di cedere gl'ippodromi di San Siro. Il coraggioso e onesto consigliere delegato della Trenno viene rapito e ucciso. Caspita, chi poteva mai immaginare che quei siciliani educatissimi, sempre pronti a offrire champagne, che dicono di voler entrare nel business delle televisioni private siano capaci di tanto?

Superato lo stupore, si dedicano alla lottizzazione edilizia da settantamila metri cubi a Ronchetto sul Naviglio intrapresa da Toni Carollo, l'erede di Tanino, inviato in Lombardia al soggiorno obbligato e trovatosi poi così bene da essersi associato a Leggio per dare via alla campagna dei sequestri di persona. Spazzato via assieme al clan Ciulla dai killer dei Madonia nell'unica guerra mafiosa avvenuta sul Lambro, Carollo senior ha lasciato un degno epigono nel figlio Toni sostenuto anche dalla famiglia della moglie, Rosalia Geraci, la prediletta di don Nenè, il mitico capobastone di Partinico. Attorno a Carollo junior gl'inquirenti identificano il solito cocktail di politici, massoni, pezzi dell'apparato con il contorno di droga e armi. Milano è troppo sveglia per non captare il declino di Cosa nostra, benché ospiti fino all'arresto pezzi da novanta quali Gaetano Fidanzati, Gioacchino Matranga, Gino Martello. Benvenuti allora gli ambasciatori delle 'ndrine, i Morabito, i Bellocco, i Mancuso, i Coco Trovato, i Bruzzaniti, i Palamara, i Barbaro, i Papalia. Magari esagerano nei rapimenti, però fanno funzionare l'ortomercato meglio di un orologio svizzero e poi sono così accoglienti al Madison, al Bio Solaire, al Café Solaire, al For a King. I calabresi fabbricano soldi e consensi, difficile restarne fuori. Anzi, consiglieri comunali e rappresentanti delle istituzioni non chiedono di meglio, quelli della Sogemi qualcosa in più. La qualità e la specializzazione incontrano sempre il giusto apprezzamento. Lo sa bene l'avvocato Melzi indicato come la mente finanziaria dei Ferrazzo.

Rimane al suo posto il dottor Gino Pezzano direttore dell'Asl 1. Continua a proteggersi dietro l'inesistenza dei rilievi penali, ignaro che per una funzione tanto delicata non può essere cancellato l'antico precetto dell'onorabilità. Certi caffè non vanno presi, certe mani non vanno strette. Oramai esiste il dovere d'immaginare.

Fonte: corriere.it

Nessun commento:

Posta un commento

Etichette

Post in evidenza

Regioni: molte spese, pochi valori

Non si può definire semplicemente corruzione, sprechi, malgoverno quanto sta emergendo a proposito delle Regioni Quando la quantità di un ...