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17 lug 2015

La legge del Forteto: «Ci violentavano, eravamo schiavi»

Trent’anni in balìa del “guru”, le vittime raccontano «Fiesoli mi diceva: vieni in camera. E iniziava l’incubo»

FIRENZE. Per chi ci vive nulla più esiste al di fuori del Forteto, se non un mondo "ostile" e "ignoto". Perché il Forteto è stato «una setta» - racconta chi è fuggito o chi è stato cacciato, chi ha subito e chi, oltre che vittima, ora sente dolorosamente di essere stato anche complice e carnefice. «Ci diceva che noi eravamo i puri di Dio, che dovevamo donarci a lui per liberarci dalla materia, che il mondo fuori era merda» racconta Sergio, 54 anni «e quindi non dovevamo raccontare a nessuno ciò che accadeva dentro, perché nessuno avrebbe potuto capire».

LE VITTIME. Sergio è il presidente del comitato delle vittime, "Falsi educatori". Un blog e un profilo Facebook, due muri dove da due anni chi ha scelto di uscire allo scoperto scrive un iper-romanzo degli orrori. «Avevamo tutti paura. Io scappai nel '90, prima in Francia, poi in Olanda. Sono tornato dopo anni, a fatica inizio a ricostruire i rapporti con i miei genitori. La scintilla è scattata quando ad essere abusata non è stata più la vecchia generazione, e i padri affidatari hanno cominciato ad ascoltare nei racconti dei figli adottivi le stesse violenze subite da loro». È come se dagli scantinati della memoria fosse riemerso un nuovo "Armadio della vergogna". Da quando è esploso il caso, il 20 dicembre 2011, giorno dell'arresto di Rodolfo Fiesoli, guida, capo, guru , il Profeta della comunità agricola di Vicchio, le testimonianze di soprusi e abusi su adolescenti e bambini si susseguono da settimane in aula al Palagiustizia. Alcuni non vivono più nella comunità, altri ne sono usciti ma ci lavorano ancora e ora sono stati isolati: «Traditori». Un ragazzo, Christofer, un anno fa, dopo essere tornato da una serata organizzata per guardare un servizio delle Iene sul Forteto, ha denunciato di essere stato pestato dai fedelissimi di Fiesoli.

GLI ORRORI. «È cominciato tutto che ero un ragazzetto. La mattina Rodolfo mi invitava a prendere il caffelatte: "Vienimi a trovare in camera, bisogna ragionare", mi diceva, ma non era un ragionare - dice Marco, 38 anni - lo trovavo in canottiera e senza mutande, scostava le lenzuola e mi chiedeva di avere rapporti con lui». Sono forti le vittime del Profeta. Davanti ai giudici, agli avvocati «Tutti dobbiamo liberarci dalla nostra materialità, questo è affetto puro vero amore, predicava, e noi ci credevamo», continua Sergio. «Mi ci portava la mia mamma affidataria - racconta Alessio - “Ma lasciati andare", mi diceva, "Rodolfo lo fa con tutti, è normale, ti leva questa materialità"». Guarire gli abusi con altri abusi, ecco la specialità del Forteto. Edoardo Martinelli, ex allievo di don Milani a Barbiana, uno dei fondatori e uno dei primi a distaccarsi dalla comunità, l'ha definita "la terapia selvaggia". Oltre al profeta, la usano anche i fedelissimi: «Ero stata abusata dal mio genitore naturale - racconta Marika - sono arrivata lì a 8 anni, nel 1983, dopo qualche anno il mio padre affidatario comincia a dirmi che per superare il trauma serviva che io lo rivivessi. Si abbassò i pantaloni e mi costrinse a fare sesso orale. "Hai visto, mi disse, non è nulla di che.."».

LE ORIGINI. Ma come è potuto succedere? Per 30 anni la comunità del Mugello è stata considerata "un'eccellenza", un modello di recupero e rieducazione di bambini e ragazzi disagiati, disabili o figli di alcolisti o tossicodipendenti, piccoli strappati alla brutalità dei genitori naturali e catapultati in un incubo. A fondarla, nel '77, sono Fiesoli e Luigi Goffredi, altro leader storico, l'intellettuale. Si portano dietro una trentina di ragazzi di una parrocchia pratese, la Querce. Sono gli anni delle comuni, «degli ideali e dell'utopia. Io ci andai per accompagnarci una fidanzatina - dice Sergio - rimasi affascinato da quest'uomo carismatico che sembrava aver realizzato i nostri sogni di comunitarismo, solidarietà, di cattolicesmo sociale e democratico. Rodolfo era affascinante, citava il Vangelo tutte le sere, riusciva a rubarti l'anima, ci ha convinti di vivere un'esperienza unica, invece erravamo tenuti schiavi».

LE REGOLE. È Fiesoli che detta le regole. Basta rileggersi la relazione della commissione di inchiesta regionale. Al Forteto «uomini e donne vivono divisi: dormono, mangiano, lavorano separati anche se sposati». «La famiglia era una gabbia oppressiva, bisognava isolarsi dall'egoismo del mondo» raccontano le vittime. L'eterosessualità è «osteggiata», l'omosessualità incentivata. «Le donne - racconta Giuseppe - erano maiale e puttane, anche la Madonna era "puttana", perché non voleva far crescere Gesù». «Si doveva tutti cercare di maturare attraverso il confronto» ricorda Donatella, e il "confronto", nel lessico rovesciato del profeta, «era il sesso omosessuale». I ragazzi che mostrano desiderio per l'altro sesso sono «finocchi», le ragazze «lesbiche». Chi veniva scoperto era umiliato di fronte a tutti, sottoposto ai «chiarimenti». «Ti mettevano su una sedia, la sera, e ti facevano un processo. Dovevi confessare di essere preda di ossessioni sessuali anche se non era vero, o di aver subito violenza dalla famiglia di origine anche se non era mai successo». Chi si ribella o si oppone subisce le «punizioni». «Tirate di capelli, botte con il mattarello, zoccolate». Oppure «si veniva richiusi nella cella frigorifera».

GLI AFFIDI. Al Forteto nascono pochissimi bambini. Quando accade, il piccolo viene strappato dalla madre naturale e cresciuto da altri. Ma c'è bisogno di braccia. Ci sono gli allevamenti, il caseificio, la fattoria da mandare avanti, 100 persone da sfamare. Così fin da subito «le energie» arrivano dagli affidi di minori. Concetto cardine della comunità è «la famiglia funzionale». I ragazzi accolti qui sono «solo nominalmente affidati dal tribunale dei minori a una coppia che è tale solo sulla carta». Nel caso in cui arrivino fratelli, «vengono subito divisi e i loro rapporti disapprovati».

IL TRIBUNALE DEI MINORI. Ma come si è potuto continuare ad affidare bambini ai residenti della cooperativa anche dopo le sentenze di condanna? Molte vittime raccontato di essere state convinte a raccontare ai magistrati minorili di abusi inventati, mai subiti dalla famiglia di origine. «Se solo avessi sospettato, avessi percepito anche un soffio di quello che emerge oggi, non avrei mai affidato bambini. Ma su Fiesoli non c'erano ombre. Se venissero confermate le accuse, mi sentirei tradito dai servizi sociali» dice Gianfranco Casciano, presidente del tribunale dei minori dal 2000. Sarà, ma la sentenza dell'85 con cui Fiesoli e Goffredi vengono condannati per "atti di libidine", "maltrattamenti" e "corruzione di minorenne" non è servita smuovere un refolo di sospetto. Certo, al Forteto si usava la tecnica della messinscena: «Quando venivano gli assistenti sociali bisognava fare finta che tutto fosse perfetto, si andava negli appartamenti dove c'erano le foto di noi insieme con la coppia affidataria, tutti felici», racconta Giuseppe. Lui oggi ha scelto di rompere il silenzio, suo fratello è al Forteto, al fianco del Profeta, nel cerchio magico dei fedelissimi che ancora lo difendono.

LA POLITICA. La storia del Forteto è anche una storia di complicità e di coperture istituzionali. E una spiegazione ai 30 anni di orrori se la sono data gli stessi membri della commissione d'inchiesta regionale. «Un perché - scrivono - è dato dalla continua ricerca di relazioni da parte di Fiesoli». Il Forteto è stato soprattutto un baluardo ideologico e una passerella per la politica. Fabrizio Braschi, ex sindaco di Calenzano, ha raccontato di «diverse assemblee alla casa del Popolo» dove - dopo la sentenza di condanna contro Fiesoli e Goffredi - «il presidente del tribunale dei minori del tempo, Giampaolo Meucci, veniva a giustificare qualcosa di ingiustificabile...». «Al Forteto i presidenti del tribunale dei minori erano di casa - raccontano tutti i testimoni - venivano a pranzo, e uscivano con la macchina carica di pecorini e prodotti». Per una photo-opportunity col grande educatore sono passati in molti: l'ex onorevole Pdci Edoardo Bruno, Piero Fassino, Vittoria Franco, Massimo D'Alema, Antonio Di Pietro, Claudio Martini ci chiuse una delle sue campagne elettorali da candidato presidente della Toscana.

LE VOCI INASCOLTATE. Non tutti, però, hanno sempre girato la testa dall'altra parte. Due psichiatri dell'Asl 10, Marino Marunti e Massimo De Bernardinis, più volte hanno denunciato nel '98 le anomalie delle famiglie funzionali, di una comunità dove i contatti fra i bimbi e le loro famiglie di origine erano ridotti al minimo. Raccontano di essersi scontrati con un muro di gomma. Augusta Gaiarin, ex maestra di Dicomano, ha raccontato di essersi resa conto di un rapporto difficile fra alcuni bambini e i loro genitori affidatari. «Si sentivano controllati, spiati». Provò a parlarne con il sindaco, chiese un colloquio, ma «nella stanza trovai Fiesoli». Ne nacque un dissidio, si vide ritirare tutti gli alunni dalla scuola.

IL LAVORO. La politica ha fatto scudo, fino alla fine. Patrizio Mecacci, ex segretario metropolitano del Pd, di fronte alla relazione degli ispettori del ministero dello sviluppo economico che chiedevano il commissariamento, si è opposto: «No a campagne denigratorie verso le istituzioni». Anche se tantissimi testimoni hanno raccontato che il lavoro al Forteto fosse fondato sullo "sfruttamento minorile". «Lavoravamo tutto il giorno, si andava nel caseificio la notte e la mattina a scuola, e poi di nuovo nelle stalle al pomeriggio. Io queste falangi me le sono mozzate a otto anni, vede» ha mostrato le mani in aula un uomo pochi giorni fa. Del resto «ci veniva detto di votare Rifondazione o Pd» ha riferito ai giudici un testimone. L'ultimo atto sul Forteto l'ha scritto la Guardia di Finanza con un blitz per sequestrare i computer. Un nuovo fascicolo aperto per truffa: si sospetta che i corsi di formazione ideati e promossi dalla Fondazione e finanziati dalla Regione dal 2002 al 2008 non siano in realtà mai stati svolti.

IL PRETE E I NOTABILI. Strano luogo, il Forteto. «Lì mi chiamavano “il priore”, avevo una relazione con una ragazza nella comunità di cui sapevano anche vescovi e cardinali. E una volta capitò che Rodolfo Fiesoli mi baciò in bocca, ma era un atto casto, puro, senza violenza» racconta un prete bolognese, don Stefano Benuzzi (nella foto), ai giudici allibiti. E ancora Sergio: «Fiesoli venivano a trovarlo notabili, non solo da Firenze. Erano medici, avvocati, magistrati, docenti, politici, lui parlava con loro e poi si vantava di essergli superiore. E’ capitato che quando se ne andavano abbia orinato sulle loro auto davanti a tutti e lo lasciavano fare».

Fonte: iltirreno.it

27 feb 2014

Il prete seguace del guru del Forteto: «Avevo una donna, la Curia sapeva»

La testimonianza di Don Benuzzi, docente al liceo Copernico, al processo di Firenze sulla comunità

BOLOGNA - Ha sempre interpretato il ruolo con una certa originalità prendendosi licenze impensabili per i suoi colleghi ma apprezzate da gran parte dei suoi parrocchiani. Come quando inaugurò una rassegna rock nella sua chiesa o come quella volta che durante l’omelia lanciò l’anatema contro l’arsenale ospitato in canonica, un lascito del suo predecessore fervente collezionista di armi. Un prete sui generis, che si poteva incontrare facilmente in giro per concerti.
AL PROCESSO - Don Stefano Benuzzi, 44 anni, insegnante di religione al Copernico e per sei anni parroco della chiesa di Sant’Ambrogio di Villanova di Castenaso che lasciò senza dare spiegazioni nel 2012 alimentando mistero e pettegolezzi, è tornato a far parlare di sé per le rivelazioni choc fatte lunedì a Firenze nel processo al «profeta» Roberto Fiesoli, 70 anni, fondatore del Farneto, la comunità per minori in difficoltà del Mugello finita nella bufera per presunti abusi fisici e sessuali commessi sugli ospiti.

«I MIEI SUPERIORI SAPEVANO» - Don Benuzzi doveva testimoniare sui metodi adottati dal guru nella comunità che lui stesso frequentava e apprezzava, tanto da esportarne il modello anche nel Bolognese, ma è andato oltre: «Mi chiamavano il priore, confidai a Rodolfo la relazione sessuale che avevo con una ragazza di nome Lucia, non rimase colpito anzi mi disse di stare tranquillo e che prima o poi avrei scelto tra il ruolo di prelato e il rapporto con lei. I miei superiori sapevano, li informai durante una visita pastorale. Poi nel 2011 decisi che Lucia doveva andar via», ha detto in aula tra il brusio generale.

IN PARROCCHIA - Parole subito rimbalzate a Bologna dove don Stefano continua a dire messa nella parrocchia della Madonna del Lavoro, zona Murri, ed è molto stimato dalle gerarchie ecclesiastiche ora alle prese con una vicenda imbarazzante: «Quando avremo modo di vedere bene di cosa si tratta ragioneremo sul da farsi», commenta con grande prudenza monsignor Giovanni Silvagni, vescovo ausiliare della Curia. «Don Stefano ha cessato il servizio in parrocchia per dedicarsi all’insegnamento ma ha un ministero pieno in Diocesi». Via Altabella esclude che durante quell’incontro possa esserci stato un avallo alla relazione: «Si tratterebbe di un fraintendimento, non c’è una logica coerenza tra il comportamento di don Stefano, se è vero ciò che ha detto, e lo stile di vita a cui è tenuto un sacerdote».

IL RACCONTO - Don Benuzzi e Fiesoli si conobbero alla marcia di Barbiana per don Milani nel 2001: «Cominciai a frequentare la comunità nel 2004 e ne rimasi affascinato. Fiesoli mi diede un bacio in bocca profondo, ma era casto e puro. Insegnavo religione al liceo e andai lì più volte con studenti e sacerdoti perché si rendessero conto della sua interpretazione del Vangelo. Poi due liceali bolognesi decisero di fermarsi lì. Nel 2010 seppi che il padre di uno presentò un esposto». Don Stefano ha ammesso di aver avuto accesso alle «segrete stanze» dove avvenivano le confessioni pubbliche degli ospiti stimolati da Fiesoli. «Mi staccai nel 2008 quando una persona vicina a Fiesoli mi avvisò che avvicinava troppo gli ospiti», cioè imponeva loro rapporti omosessuali per l’accusa. «Ebbi dei dubbi, non seguii il gruppo che poi gli fece la guerra e mi chiamarono Ponzio Pilato. Ma sopra Rodolfo c’è solo Dio».

Fonte: corriere.it

16 gen 2013

Il caso di Rodolfo Fiesoli e lo scandalo del Forteto

Quel milione della Toscana al «profeta» arrestato per abusi
Arrestato per maltrattamenti e violenza sessuale ma il tribunale gli manda minori da recuperare

Abusi sessuali, «praticati e professati per liberare i ragazzi dal male». Umilianti «chiarimenti»: di fatto, una pubblica confessione durante la quale la vittima di turno, minorenne, veniva esposta a una sorta di «stupro psicologico» (viene ricordato il caso di un ragazzo costretto a mangiare a quattro zampe da una ciotola, neanche fosse un cane). Lavaggi del cervello talmente intensivi da sfociare nel plagio. E poi punizioni corporali, come quella di essere rinchiusi per ore nella cella frigorifera. «Il sesso permeava l'esistenza della comunità, i minori divenivano prede e ciò avveniva, non solo con il consenso collettivo, ma anche con quello dei genitori affidatari presenti in comunità». E ancora: «L'omosessualità era non solo permessa, ma addirittura incentivata: un percorso obbligato verso quella che veniva definita "liberazione dalla materialità"...». Sono solo alcuni dei passi della relazione finale della commissione d'inchiesta del consiglio regionale della Toscana che, dopo 4 mesi di lavoro, 23 sedute e l'audizione di 53 persone, sarà presentata oggi a Firenze dal presidente Stefano Mugnai (Pdl) e dal vice Paolo Bambagioni (Pd).

Tutto ruota attorno a Rodolfo Fiesoli, 71 anni, pratese, uno che amava farsi chiamare «il Profeta». Fino al dicembre del 2011, quando venne arrestato per maltrattamenti e violenza sessuale (ora è ai domiciliari), era lui il fondatore, il guru, l'anima, il capo indiscusso de «Il Forteto», che, oltre a essere una florida coop agricola (fatturato annuo di 15 milioni) adagiata tra i cipressi e i prati del Mugello, per quasi 30 anni è stata considerata da tutti (istituzioni, Regione Toscana in primis; sinistra con annessa «intellighenzia»; frange cattoliche; settori della magistratura, a partire dal Tribunale dei minori) una delle strutture d'eccellenza, un modello, nel campo delicatissimo dell'accoglienza dei minori in difficoltà. Un alone di ammirazione che si è tradotto per decenni in contributi pubblici, favori, coperture e sponde politiche. Un alone di ammirazione incomprensibile se si pensa - ed è questo che lascia sconcertati, al di là dell'inchiesta in corso da parte della Procura di Firenze (22 gli indagati, tra cui il cofondatore della comunità, Luigi Goffredi) e delle risultanze della commissione d'inchiesta regionale - che già nel 1985, a pochi anni dalla nascita de «Il Forteto», Fiesoli e il suo socio Goffredi furono arrestati e condannati per maltrattamenti e atti di libidine. Non solo, ma nel 2000 la Corte europea per i diritti dell'uomo sanzionò l'Italia al pagamento di 200 milioni di lire per i danni morali subiti da due bambini, figli di italiani emigrati in Belgio, affidati alla comunità.

Nonostante questi precedenti, il Tribunale dei minori ha continuato ad inviare minori: almeno 60 fino al 2009, quando le prime denunce, poi diventate un fiume in piena, ruppero un silenzio molto simile all'omertà. La commissione regionale, la cui relazione (anticipata dal Corriere fiorentino ) è stata approvata all'unanimità, si chiede «come sia stato possibile tutto ciò», quali procedure e controlli siano saltati: chi, colpevolmente, abbia chiuso un occhio, se non tutti e due. Il presidente del Tribunale dei minori, Laura Laera, in carica solo dal giugno scorso, ha detto di aver trovato «dossier poco documentati sulla comunità e relazioni dei servizi sociali scarni». E a chi le ha chiesto come sia stato possibile che il tribunale abbia continuato ad affidare i ragazzi, ha risposto laconica: «Non dovete chiederlo a me».

Di certo, uno dei punti di forza di Fiesoli, che si è sempre dichiarato innocente, puntando il dito contro mai precisate «sette che vogliono distruggermi», erano le pubbliche relazioni. Tra libri, articoli, interviste e conferenze, dalla comunità si diramava un'attività comunicativa a dir poco intensa. Impressionante poi, secondo quanto ricostruito dalla commissione d'inchiesta, il numero di vip e politici passati da «Il Forteto»: da Piero Fassino a Susanna Camusso, da Rosy Bindi a Livia Turco, dall'ex governatore Claudio Martini ad Antonio Di Pietro. E poi magistrati del Tribunale dei minori, giudici onorari e non. Scrive la commissione: «Chi compie un passaggio in vista di prossime elezioni, chi per una stretta di mano con foto, chi scrive prefazioni...». Il Forteto era considerato una piccola cassaforte di voti per la sinistra: «Quando il politico andava lì, faceva magari il 10% di tre serate nel paese...» ha raccontato l'ex sindaco pci di Calenzano, Fabrizio Braschi. E dalla regione Toscana piovevano soldi che era una meraviglia: «Dal 1997 al 2010 - scrive la commissione - la comunità ha ottenuti contributi per 1 milione e 200 mila euro».

Fonte: corriere.it

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