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13 giu 2014

Mose, il verbale del sindaco Orsoni: «Il Pd disse di chiedere i soldi a Mazzacurati»

«Io, usato, ero la Madonna pellegrina

Sembra di vederlo, seduto davanti ai pubblici ministeri Stefano Buccini e Stefano Ancilotto: «Sì, sono Giorgio Orsoni, il sindaco». È stato quattro giorni fa. In 26 pagine di verbale Orsoni racconta della sua avventura elettorale del 2010. Lui che di mestiere fa l’accademico e che mai si era dedicato alla politica fino a quella volta. Premette quanto gli fossero estranei quegli ambienti: «Nessuna esperienza». E giura di essere stato «abbastanza a digiuno» anche su come reperire risorse.

«Mi venivano a dire: guarda che c’è il tuo concorrente (Renato Brunetta, ndr ) che è in vantaggio. Si dice che ha un milione di euro, quindi tu fai la figura del pezzente... E poi insistevano perché fossi io stesso a finanziare... Mi dicevano: datti da fare per far arrivare risorse adeguate perché sennò rischiamo di andar male (...) Io mi sono adattato, questo non lo nego. E ho insistito con Mazzacurati».
Avevano chiesto a lui di farsi avanti con l’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova perché lo conosceva bene. Il re del Mose alla fine gli ha dato 560 mila euro. Finanziamento illecito, dice la procura. Ma Orsoni inizia il suo racconto ai magistrati precisando che «ho scoperto solo dalle carte giudiziarie che la mia campagna elettorale è stata finanziata in modi non corretti». Dice molto di più, il sindaco: «Pur ponendomi problemi di opportunità accettai che il finanziatore fosse Mazzacurati, quindi lo sollecitai (...) Le pressioni per avere soldi si sono fatte sempre più forti, quasi esclusivamente da parte di esponenti del Pd». Chi erano? chiedono i pm. Risposta: «Il segretario Mognato (Michele, all’epoca segretario provinciale, ndr ) e poi attorno c’erano un po’ tutti, in particolare Zoggia (Davide, allora presidente della Provincia, oggi deputato, ndr )» e «tanti altri minori della segreteria». Proprio a Mognato e Zoggia Orsoni ricorda di aver «espresso i miei dubbi sull’opportunità del finanziamento del Consorzio».

Orsoni racconta di chi gli chiese di candidarsi: per esempio l’ex sindaco Massimo Cacciari e, fra gli altri, Giampietro Marchese, consigliere regionale del Pd. A proposito di Cacciari, non fa il nome esplicitamente ma ricorda cosa gli disse Mazzacurati e lo fa mettere a verbale: «Io mi sono sempre occupato delle campagne elettorali, anche quella del tuo predecessore» gli avrebbe ripetuto. Il professore-sindaco dice che il gran capo del Mose, parlandogli della campagna elettorale che lui finanziava «da una parte e dall’altra» gli aveva anche detto: «Brunetta si è già fatto vivo per chiedere congrui finanziamenti». E gli aveva confidato: «Conosco tanti imprenditori e posso metterci una parola buona». Così Orsoni si era persuaso a dargli, come racconta lui stesso «il conto corrente del mio mandatario e gli dissi: se conosci qualcuno eccolo qua...».

Domanda successiva: Mazzacurati le ha mai consegnato brevi manu del denaro? «Mai» risponde lui. E spiega poi: «Può anche essere che mi abbia lasciato dei plichi da qualche parte e che io li abbia mollati lì». Una versione che convince i pm, i quali nel dare parere favorevole alla richiesta di patteggiamento di quattro mesi (deciderà il giudice dell’udienza preliminare) scrivono: «Tra persone di mondo questi affari si regolano con comportamenti concludenti e discreti, senza formule sacramentali e atteggiamenti grossolani (...) è plausibile che la consegna a domicilio sia stata la semplice collocazione di una busta anodina in una stanza qualunque, con vereconda indifferenza e reciproche cavalleresche cortesie». Escludono, dunque la possibilità di «una frusciante mazzetta», ritengono «poco plausibile» che «un candidato del prestigio di Orsoni potesse raccattare fondi con iniziative personali diffuse e petulanti». Ma dicono anche che «si è prestato, non opponendosi, a una strategia di finanziamento occulto elaborata dai vertici del partito», che aveva minacciato di non occuparsi più della campagna elettorale se lui non avesse provveduto a reperire fondi, «anche con risorse personali». Nell’interrogatorio i magistrati obiettano a Orsoni: «Lei non ha detto al partito “andateci voi a chiedere i soldi a Mazzacurati”». E lui: «È vero, questa è stata una mia debolezza, non mi sono opposto...». In un altro passaggio spiega: «In tutto questo io sono stato usato, mi pareva di essere la Madonna pellegrina...».

Uno dei punti chiave dell’accusa riguarda la consapevolezza di aver avuto i finanziamenti considerati illeciti. Domanda: «Le hanno dato conto poi del fatto che fossero arrivati i soldi?». «Non in modo esplicito, l’ho potuto desumere dal fatto che tante manifestazioni messe in dubbio poi sono state fatte e quindi ho capito che le risorse ci fossero...». Nella parte finale del verbale si parla di una lettera depositata da Orsoni il 19 marzo al procuratore capo Luigi Delpino. Dalle domande dei pm si intuisce che la mossa non è piaciuta ai magistrati. E il sindaco spiega: «Non c’era da parte mia alcuna intenzione di muovervi accuse (...) mi ero molto seccato per le voci che giravano (...) credevo fosse giusto informare il procuratore di questo mio stato d’animo che mi sembrava di non meritare».

Fonte: corriere.it

5 giu 2014

Tangenti per il Mose, 35 in manette. Venezia, arrestato il sindaco Orsoni.

«A Galan denaro e lavori in villa»
Inchiesta sulla cosiddetta «Tangentopoli del Veneto»: a Orsoni (Pd) fondi illeciti per 110 mila euro. Richiesta di custodia cautelare per l’ex ministro e governatore Galan

Corruzione, concussione, riciclaggio, finanziamento illecito di partiti, frode fiscale. Un nuovo scandalo tangenti travolge il Mose, il sistema di dighe mobili per la salvaguardia di Venezia. E nell’inchiesta delle Fiamme gialle, coordinate dalla procura del capoluogo veneto, finiscono nomi eccellenti come il sindaco Giorgio Orsoni (eletto nel 2010 nella coalizione di centro sinistra), l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, il consigliere regionale pd Giampietro Marchese, il presidente del Coveco Franco Morbiolo, il generale in pensione della Gdf Emilio Spaziante, l’amministratore della Palladio Finanziaria Roberto Meneguzzo, l’europarlamentare uscente Lia Sartori. Richiesta di arresto anche per il senatore di FI Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto: gli atti dovranno essere trasmessi a palazzo Madama.

Arrestati in 35

A vario titolo, sono finite in manette 35 persone e un altro centinaio sarebbero gli indagati. Eseguiti sequestri di beni tra Veneto, Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna per 40 milioni di euro, soldi che arrivano da frodi extracontabili di società facenti capo al Consorzio Venezia Nuova, il consorzio che sovrintende i lavori del Mose. L’indagine della Gdf, partita tre anni fa, lo scorso anno aveva già portato al fermo prima di Piergiorgio Baita, già top manager della Mantovani, colosso padovano nel campo delle costruzioni, e poi di Giovanni Mazzacurati, l’ingegnere «padre» del Mose, allora da poco dimessosi dai vertici del Cvn e accusato di turbativa d’asta in relazione ad un presunto appalto «pilotato» del 2011 per lavori portuali a Venezia.

Le somme contestate: soldi e ville ristrutturate

Dall’ordinanza del gip Alberto Scaramuzza, lunga più di 700 pagine, emerge come gli investigatori avrebbero accertato il versamento di veri e propri stipendi dalle società connesse al Cvn a politici e funzionari per «oliare» la macchina del Mose. Il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni è accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti dal Consorzio Venezia Nuova per le elezioni comunali di Venezia del 2010 dove era candidato sindaco del Pd. La somma contestata nel 2010 è di 110 mila euro (ma ci sarebbero altre contestazioni per un totale di circa 400 mila euro) versata dal Consorzio senza che fosse preventivamente deliberata dagli organi competenti e messa a bilancio come finanziamento elettorale. La somma, secondo la procura, sarebbe stata invece versata attraverso un giro di fatture per operazioni inesistenti.
Giancarlo Galan, allora presidente della Regione Veneto, è invece accusato di corruzione per aver, fra l'altro, ricevuto 200 mila euro da Piergiorgio Baita del gruppo Mantovani per accelerare le procedure di approvazione di project financing di Adria infrastrutture. Si sarebbe fatto inoltre ristrutturare la villa di Cinto euganeo attraverso il gruppo Mantovani.Nell’ordinanza si legge anche di uno stipendio versato a un magistrato della Corte dei Conti, Vittorio Giuseppone, stipendio «lievitato» fino a 600mila euro l’anno. Di «sistema radicato» ha parlato il procuratore capo di Venezia Luigi Delpino, assicurando con Nordio che «la procura di Venezia non ha nessuna intenzione di interferire nei lavori per la realizzazione del Mose».

«Accuse poco credibili»

Un tempestivo chiarimento della posizione di Giorgio Orsoni: è l’auspicio espresso dal collegio di difesa del sindaco di Venezia, formato dagli avvocati Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo, che definiscono poco credibili le vicende contestate. «La difesa del prof. Orsoni - rilevano i legali - esprime preoccupazione per l’iniziativa assunta e confida in un tempestivo chiarimento della posizione dello stesso sul piano umano, professionale e istituzionale. Le circostanze contestate nel provvedimento notificato paiono poco credibili, gli si attribuiscono condotte non compatibili con il suo ruolo ed il suo stile di vita. Le dichiarazioni di accusa vengono da soggetti già sottoposti ad indagini, nei confronti dei quali verranno assunte le dovute iniziative».

«Un sistema di intrecci e corruzione»

«L’inchiesta Mose delinea un inquietante sistema di intrecci e corruzione». È il commento del sindaco di Vicenza Achille Variati riguardo all’inchiesta della procura lagunare che ha portato all’arresto, tra gli altri, del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e dell’assessore regionale Renato Chisso. «Questa è una delle molte ragioni per cui dopo vent’anni è evidente la necessità di cambiare il governo della regione».

«Le procedure non permettevano controllo»

«Sì, ammetto, sono stupito. Ho sempre contestato le procedure assunte per dare il via ai lavori del Mose, ma non pensavo certo a provvedimenti della magistratura nei confronti dell’attuale sindaco». Così l’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, intervistato da Radio Cittá Futura dopo i 35 arresti per presunte tangenti sul Mose. «Le mie posizioni -ha aggiunto Cacciari- sono da molto tempo conosciute, agli atti. Da sindaco, durante i governi Prodi e Berlusconi avviai un processo di discussione e verifica ed in tanti passaggi ebbi modo di ripetere che le procedure assunte non permettevano alcun controllo da parte degli enti locali e che il Mose si poteva fare a condizioni più vantaggiose. L’ho ripetuto milioni di volte, ma senza essere ascoltato. Negli anni del governo Prodi, all’ultima riunione del comitatone, che diede il via libera al proseguimento dei lavori del Mose -ha ricordato Cacciari- fui l’unico a votare contro, con il solo sostegno di una parte del centrosinistra. Da allora non me ne sono più interessato».

La tangentopoli del Veneto

Gli arresti eccellenti in Veneto partono da un’inchiesta della Guardia di finanza di Venezia avviata circa tre anni fa. Il pool di pm Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonino (Dda) ha scoperto che l’ex manager della Mantovani Giorgio Baita, con il beneplacito del proprio braccio destro Nicolò Buson, aveva spostato dei fondi relativi al Mose in una serie di fondi neri all’estero. Il denaro, secondo l’accusa, veniva portato da Claudia Minutillo, imprenditrice ed ex segretaria personale di Galan, a San Marino dove i soldi venivano riciclati da William Colombelli grazie alla propria azienda finanziaria Bmc. Le Fiamme gialle avevano scoperto che almeno 20 milioni di euro, così occultati, erano finiti in conti esteri d’oltre confine e che, probabilmente, erano indirizzati alla politica, circostanza che ha fatto scattare l’operazione di mercoledì mattina all’alba.

I primi arresti

Dopo questa prima fase, lo stesso pool, coadiuvato sempre dalla Finanza, aveva portato in carcere Giovanni Mazzacurati ai vertici del Consorzio Venezia Nuova (Cvn). Mazzacurati, poi finito ai domiciliari, era stato definito «il grande burattinaio» di tutte le opere relative al Mose. Indagando su di lui erano spuntate fatture false e presunte bustarelle che hanno portato all’arresto di Pio Savioli e Federico Sutto, rispettivamente consigliere e dipendente di Cvn, e quattro imprenditori che si spartivano i lavori milionari.

Zaia: «Sospesi i dipendenti, ma io non mi dimetto»

Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, dopo gli arresti relativi all’inchiesta sul Mose, ha ritirato le deleghe all’assessore Renato Chisso, fermato stamattina dalla Gdf. Ad annunciarlo lo stesso governatore, che ha anche sospeso i tre dipendenti della Regione coinvolti. «Non è stato un buon risveglio. Non nego che mi sono tornati in mente i tempi in cui molti di noi erano ragazzi, inizio anni ‘90. Ne vien fuori uno spaccato inquietante. I tribunali fanno il loro mestiere e son gli unici a giudicare i cittadini. Spero che in tempi brevi ognuno possa chiarire la sua posizione nell’interesse dei veneti e dei singoli», ha detto in conferenza stampa commentando il caso. «Dall’ordinanza viene fuori un quadro che, se confermato, per me è nuovo e che si ripresenta come tale perché è molto articolato», ha spiegato Zaia, che non ha alcuna intenzione di dimettersi perché non è coinvolto in alcun modo: «L’unico che si è fatto risonanza magnetica e tac, e che ha fatto tutti i controlli è qui che vi parla», ha chiarito dichiarando la sua estraneità alla vicenda. Una vicenda che «lascia l’amaro in bocca, ma non mi sento assolutamente colpe da espiare».


Fonte: corriere.it

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