Il governatore Crocetta: "Adesso basta, chi si oppone al trasferimento sarà licenziato". Numeri impressionanti: su 15 mila dipendenti, in 6 mila hanno permessi sindacali e tutele da legge 104
La Regione dei dipendenti inamovibili per legge. Su 15 mila addetti, 6 mila non possono essere trasferiti da un ufficio a un altro. Proprio così: quasi la metà dei regionali è “intoccabile”, perché dentro la pancia del mostro pubblico ci sono quasi 3 mila dipendenti che usufruiscono dei permessi della “legge 104” per disabilità o per assistere un familiare, e altri 3 mila sono dirigenti sindacali. Così, al di là degli annunci, delle norme approvate al grido di «basta privilegi», delle circolari e degli atti d’imperio di qualche dirigente, alla fine il personale non si riesce a trasferire dove serve perché il lavoro nell’Isola del tesoro lo si vuole non solo nella stessa città dove si vive, ma anche sotto casa. «Adesso questa storia deve finire », dice il governatore Rosario Crocetta dopo i flop dei trasferimenti al dipartimento Formazione o alle Attività produttive, strutture nelle quali c’è un forte bisogno di funzionari.
I numeri sono impressionanti e dimostrano che davvero qualcosa non va. La Sicilia, tra i suoi 15 mila dipendenti, ha 2.838 addetti che «risultano al 31 dicembre 2015 titolari di permessi per legge 104», si legge nella relazione che ogni anno Palazzo d’Orleans, come le altre Regioni, deve inviare allo Stato e rendere pubblica. Conti alla mano, il 18 per cento dei dipendenti regionali ha una disabilità oppure deve assistere un familiare. Tradotto: ha diritto a usufruire di tre giorni di permesso retribuito al mese e non può essere trasferito senza il suo consenso. Ma sul fronte dell’inamovibilità, ai titolari della legge 104 vanno aggiunti anche i dirigenti sindacali in servizio. E anche qui la Regione siciliana ha numeri di tutto rispetto: i sindacalisti censiti al 2015 sono 2.487, ma a questi se ne aggiungono 836 che hanno usufruito di permessi sindacali. Adesso la Funzione pubblica sta incrociando i dati per capire se questi ultimi permessi siano stati dati a chi soltanto recentemente è diventato dirigente sindacale, magari proprio dopo una notifica di trasferimento. Crocetta non ha dubbi: «Qualcuno vuole fare il furbo, ma adesso basta — dice — chi usufruisce della legge 104 è vero che non può essere trasferito da una città a un’altra, ma può essere spostato da un assessorato a un altro. Inoltre va trasferito anche il dipendente che è diventato dirigente sindacale soltanto negli ultimi mesi per evitare di cambiare ufficio. Voglio essere chiaro: chi si oppone al trasferimento sarà licenziato».
La Cisl ribatte a Crocetta. “Il presidente Crocetta ha lanciato accuse che non ci toccano. Non crediamo che voglia o possa confutare lo Statuto dei Lavoratori e la legge 104 e se teme che ci siano meccanismi poco chiari saremo ben lieti, come sempre, di fornire nomi e date per fugare qualsiasi dubbio. Le procedure per la mobilità, volute da questo governo e per le quali abbiamo a lungo trattato evidenziandone gli aspetti che avrebbero causato difficoltà applicative, sono invece il vero ostacolo ai trasferimenti. Non obbediscono a nessun criterio oggettivo e funzionale per un miglioramento dell'amministrazione. I trasferimenti che devono essere deliberati dalla giunta di governo significa allungare i tempi e soprattutto affidare
ai giochi politici e ai veti incrociati l’efficienza della macchina regionale. Questo è effettivamente accaduto in questi mesi, non si dia ora la colpa ai sindacati”. Il segretario generale della Cisl Funzione pubblica Sicilia Gigi Caracausi e il segretario regionale Paolo Montera replicano alle accuse del presidente della Regione, Rosario Crocetta, in merito alle procedure di mobilità interna.
Fonte: http://palermo.repubblica.it/politica/2016/10/01/news/la_regione_degli_inamovibili_tremila_fanno_i_sindacalisti_e_2_800_assistono_parenti_malati-148884670/
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2 ott 2016
3 mar 2014
Un minuto di lavoro ogni 7 giorni: Il contratto di un veterinario nell’azienda sanitaria
«Benarrivatodottore». «Allaprossimadottore». Una volta la settimana il veterinario Manuel Bongiorno è chiamato a superare «Beep-Beep», il pennuto più veloce del West nemico di Willy il coyote: deve timbrare il cartellino d’entrata e quello d’uscita in un minuto. Fatto quello, il suo lavoro «convenzionato» settimanale all’azienda sanitaria è finito. Direte: è uno scherzo? No, è il record planetario di delirio burocratico. In provincia di Trapani. Per capire come sia nato questo pasticcio, che quattro volte al mese obbliga quel professionista a sottoporsi a Castelvetrano a quel rito ridicolo, occorre fare un passo indietro. Dovete dunque sapere che da una ventina di anni la Sicilia abusa più di chiunque altro in Italia della possibilità di avere due tipi di veterinari. I «dirigenti» assunti a suo tempo dopo un concorso e chiamati a svolgere un orario settimanale di 38 ore, assimilabili ai medici degli ospedali o degli ambulatori di base, e i «convenzionati», professionisti che magari hanno un ambulatorio per conto loro ma che vengono pagati dalle aziende sanitarie regionali per alcuni compiti specifici. Primo fra tutti quello di combattere la brucellosi, una malattia bovina che può attaccare l’uomo e che è particolarmente diffusa al Sud. Per capirci: su 1.200 veterinari «convenzionati», 350 sono siciliani.
La svolta arriva nel 2009. Quando la Regione decide di allargare a questi veterinari il contratto dei medici convenzionati esterni. Problema: l’impegno medio d’un otorino che lavora in ambulatorio può essere più o meno determinato. Ma come fissare dei parametri per i veterinari che girano le campagne e qui trovano la strada asfaltata e lì sterrata, qui le vacche nelle stalle e lì allo stato brado nei campi? Pensa e ripensa, decidono di fotografare la realtà e ripeterla nei nuovi contratti col copia incolla. Un veterinario ha fatturato all’Azienda sanitaria provinciale nell’anno di riferimento 20.000 euro? Calcolando che come i medici convenzionati deve avere 38 euro lordi l’ora, ecco un contratto annuale per 526 ore l’anno, dieci a settimana. Con un rinnovo automatico l’anno successivo. Nella speranza che un giorno, chissà, arrivi l’assunzione.
Fatto sta che nella prima tornata, di «convenzionati», ne vengono imbarcati oltre trecento. «E noi?», saltan su gli esclusi. Tira e molla, nel 2012 la Regione decide di aprire anche a quelli che erano stati chiamati solo per lavori saltuari. E di distribuire loro contrattini piccoli piccoli. «Era chiaro che sarebbero venuti fuori dei pasticci», spiega il presidente nazionale del sindacato veterinari, Paolo Ingrassia, «Ma le nostre proposte per trovare soluzioni sensate, come un minimo di sei ore settimanali, sono state respinte». Risultato: alcuni veterinari, convinti che valesse la pena comunque di mettere un piede dentro il sistema, hanno accettato convenzioni mignon. Due ore la settimana, quarantacinque minuti, quattro minuti... Fino al record di cui dicevamo.
La lettera su carta intestata del Servizio sanitario nazionale, che ha come oggetto «richiesta trasformazione del contratto di diritto privato in incarico ambulatoriale a tempo determinato», è un capolavoro di follia burocratica. Dato atto che il dottor Manuel Bongiorno ha le carte in regola per il nuovo contratto, il coordinatore e il responsabile amministrativi scrivono che «sulla base delle retribuzioni in godimento al 31 dicembre dell’ultimo anno di servizio le ore settimanali conferibili, calcolate in sessantesimi, risultano pari a 0,01 minuti». Che poi, per come è scritto, sarebbero un 100º di minuto. Nella lettera al neo «convenzionato», il coordinatore sanitario conferma: «In esecuzione della deliberazione (...) con la presente si conferisce alla Signoria Vostra incarico ambulatoriale a tempo determinato per n° 0,01 minuti settimanali per l’area funzionale di Sanità Animale con decorrenza...».
«Una volta a settimana vado nella sede dell’Asp e devo passare il badge. Entro, aspetto che passi un minuto, e poi ripasso il badge. Va avanti così da mesi», si è sfogato Manuel «Beep-Beep» Bongiorno con Ignazio Marchese, che per primo ha raccontato la storia all’Ansa. «A giugno e luglio sono dovuto andare a Trapani, penso che mi spetti anche un rimborso benzina. Io voglio solo potere svolgere la mia attività e una condizione che mi amareggia...».
Al di là del suo destino personale, il tema è: che futuro ha un Paese come il nostro se una Regione fissa regole così insensate, se dei dirigenti predispongono con trinariciuto ossequio formale una scemenza burocratica del genere, se un iter amministrativo così ridicolo viene a costare immensamente più di quanto valga quel contratto? Ma più ancora: possibile che per mesi vada avanti un delirio del genere senza che una persona di buon senso abbia l’autorità di scaraventare tutto nel cestino?
Fonte: corriere.it
La svolta arriva nel 2009. Quando la Regione decide di allargare a questi veterinari il contratto dei medici convenzionati esterni. Problema: l’impegno medio d’un otorino che lavora in ambulatorio può essere più o meno determinato. Ma come fissare dei parametri per i veterinari che girano le campagne e qui trovano la strada asfaltata e lì sterrata, qui le vacche nelle stalle e lì allo stato brado nei campi? Pensa e ripensa, decidono di fotografare la realtà e ripeterla nei nuovi contratti col copia incolla. Un veterinario ha fatturato all’Azienda sanitaria provinciale nell’anno di riferimento 20.000 euro? Calcolando che come i medici convenzionati deve avere 38 euro lordi l’ora, ecco un contratto annuale per 526 ore l’anno, dieci a settimana. Con un rinnovo automatico l’anno successivo. Nella speranza che un giorno, chissà, arrivi l’assunzione.
Fatto sta che nella prima tornata, di «convenzionati», ne vengono imbarcati oltre trecento. «E noi?», saltan su gli esclusi. Tira e molla, nel 2012 la Regione decide di aprire anche a quelli che erano stati chiamati solo per lavori saltuari. E di distribuire loro contrattini piccoli piccoli. «Era chiaro che sarebbero venuti fuori dei pasticci», spiega il presidente nazionale del sindacato veterinari, Paolo Ingrassia, «Ma le nostre proposte per trovare soluzioni sensate, come un minimo di sei ore settimanali, sono state respinte». Risultato: alcuni veterinari, convinti che valesse la pena comunque di mettere un piede dentro il sistema, hanno accettato convenzioni mignon. Due ore la settimana, quarantacinque minuti, quattro minuti... Fino al record di cui dicevamo.
La lettera su carta intestata del Servizio sanitario nazionale, che ha come oggetto «richiesta trasformazione del contratto di diritto privato in incarico ambulatoriale a tempo determinato», è un capolavoro di follia burocratica. Dato atto che il dottor Manuel Bongiorno ha le carte in regola per il nuovo contratto, il coordinatore e il responsabile amministrativi scrivono che «sulla base delle retribuzioni in godimento al 31 dicembre dell’ultimo anno di servizio le ore settimanali conferibili, calcolate in sessantesimi, risultano pari a 0,01 minuti». Che poi, per come è scritto, sarebbero un 100º di minuto. Nella lettera al neo «convenzionato», il coordinatore sanitario conferma: «In esecuzione della deliberazione (...) con la presente si conferisce alla Signoria Vostra incarico ambulatoriale a tempo determinato per n° 0,01 minuti settimanali per l’area funzionale di Sanità Animale con decorrenza...».
«Una volta a settimana vado nella sede dell’Asp e devo passare il badge. Entro, aspetto che passi un minuto, e poi ripasso il badge. Va avanti così da mesi», si è sfogato Manuel «Beep-Beep» Bongiorno con Ignazio Marchese, che per primo ha raccontato la storia all’Ansa. «A giugno e luglio sono dovuto andare a Trapani, penso che mi spetti anche un rimborso benzina. Io voglio solo potere svolgere la mia attività e una condizione che mi amareggia...».
Al di là del suo destino personale, il tema è: che futuro ha un Paese come il nostro se una Regione fissa regole così insensate, se dei dirigenti predispongono con trinariciuto ossequio formale una scemenza burocratica del genere, se un iter amministrativo così ridicolo viene a costare immensamente più di quanto valga quel contratto? Ma più ancora: possibile che per mesi vada avanti un delirio del genere senza che una persona di buon senso abbia l’autorità di scaraventare tutto nel cestino?
Fonte: corriere.it
26 set 2012
Le Regioni: soldi senza ricevute. Dal Veneto alla Campania, milioni fuori controllo ai politici.
Il governo prepara la riforma. Gli esempi virtuosi di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Liguria
Non esiste una legge nazionale. Anche sulla disciplina delle spese dei gruppi consiliari vale il principio dell'autonomia: ogni Regione fa a sé. Ma c'è un filo rosso che unisce molti dei regolamenti adottati dai consigli: partiti e consiglieri, non sono tenuti a giustificare le spese sostenute con scontrini o fatture, nemmeno a indicarne le finalità. Nel migliore dei casi basta un'autocertificazione. E anche quando gli obblighi di legge ci sono mancano i controlli. Il governo Monti sta valutando un intervento per «frenare» le spese delle Regioni: un «segnale forte» che parta da riduzione dei costi e controllo della spesa. Già nel consiglio dei ministri di venerdì verranno decisi i primi provvedimenti sui costi standard del federalismo fiscale. E anche il governatore dell'Emilia Romagna Vasco Errani porterà oggi nella Conferenza delle Regioni quella che definisce un'urgenza: «Riduzione dei costi, trasparenza, terzietà dei controlli».
La mappa dello spreco.
Dal Veneto alla Campania, dal Piemonte alla Sicilia, dal Trentino Alto Adige, che fa per due, alla Sardegna: su dodici consigli presi in esame dal Corriere otto non dispongono di un regolamento che obbliga i politici ad allegare scontrini e fatture. C'è il Lazio, certo, dove i guai nascono proprio dal fatto che non esiste una regolamentazione dei fondi erogati ai partiti. La legge che stabilisce i rimborsi è la 6/73: prevede per ciascun gruppo un contributo mensile di 1.500 euro, più una quota variabile di 750 euro per consigliere. Ogni gruppo ha poi diritto a un contributo mensile per spese di aggiornamento, collaboratori e attività politica che viene stabilito dall'ufficio di presidenza del consiglio regionale. Organo che, sotto l'amministrazione Polverini con presidente del Consiglio Mario Abbruzzese, ha aumentato da 1 a 13,9 milioni i fondi ai gruppi. Il sistema? I soldi vengono erogati ai gruppi e gestiti dal capogruppo-tesoriere. Il consigliere a sua volta porta il rimborso, tramite fatture e il capogruppo/tesoriere vista le spese e paga. Non esiste un controllo «terzo», tutto resta all'interno del gruppo. L'unico tipo di «controllo» è la presentazione del bilancio al Co.re.co. (Comitato regionale di controllo) che però, per ammissione del suo presidente, ha solo un potere di verifica contabile.
Le «regine»
C'è poi la Sicilia: 12 milioni e 600 mila di fondi destinati ai partiti e nessun obbligo di rendicontazione. Nel dettaglio: 3.500 euro per ogni deputato, più fondi vari per chi lavora nel gruppo. Un esercito di 70 persone che percepiscono dai 1.500 (il dipendente) ai 4.100 euro (il portaborse). In quest'ultimo caso la somma è girata direttamente al consigliere regionale che alla fine, capita, versa poi molto meno al suo collaboratore. Anche qui il gruppo svolge il doppio ruolo di controllore e controllato. La Sardegna le va a ruota con i suoi otto gruppi che costano 5 milioni e 152 mila euro l'anno (spesa complessiva oltre i 20 milioni e 200 mila euro). L'obbligo di presentare pezze giustificative è arginato scegliendo la strada dei rimborsi forfetari: ogni consigliere, oltre all'indennità netta di 2.720 euro al mese, percepisce una diaria che va da 3.202 a 4.163 euro, un rimborso per spese di segreteria e rappresentanza di 2.346 euro per 12 mensilità e un contributo per spese di documentazione e strumentazioni tecnologiche di 9 milioni e 263 mila euro l'anno. Il contributo, si sottolinea, è stato comunque ridotto del 20%.
In Calabria l'articolo 7 della legge 13 del 2002 prevede che le spese effettuate da ciascun capogruppo non siano rendicontate. Ma c'è già una riforma pronta all'insegna della maggiore trasparenza. La legge regionale della Campania che porta la data del 1972 ed è stata modificata nel 1996 dice: «Per le spese di funzionamento dei gruppi consiliari viene liquidato un contributo fisso mensile». Segue una cifra aggiornata nel tempo. Punto e basta. La Regione fa da «bancomat» e non esige alcun rendiconto nè impone come quei soldi debbano essere spesi. Oggi, come ha scritto il Corriere del Mezzogiorno , ai 60 consiglieri vengono distribuiti fondi per oltre un milione. I consiglieri, «ovvio» dicono, conservano scontrini e fatture, ma non esiste un ufficio ragioneria a cui affidarli e non c'è l'obbligo di farlo. Almeno così fino a maggio.
Non solo al Sud
Ma non sono solo le Regioni del Sud a non avere regolamenti rigidi. I sessanta consiglieri veneti percepiscono «fuori busta» 2.100 euro netti al mese per rimborsi esentasse che non richiedono l'obbligo di presentare giustificativi. La giustificazione è stata che quei soldi servono a coprire i costi della benzina. Fatti due calcoli, però, è come se ogni consigliere percorresse qualcosa come 16 mila chilometri al mese. Il Piemonte poi: 15 gruppi, 60 consiglieri, 7,5 milioni di euro e autocertificazione libera per ottenere il gettone di presenza. Da qui anche l'annuncio di affidare a terzi la certificazione dei bilanci da pubblicare poi online. Le Province autonome di Trento e Bolzano lo fanno già. Ma le spese sostenute dai 35 più 35 consiglieri vengono giustificate attraverso una dichiarazione di ogni capogruppo alla presidenza del Consiglio insieme a una nota riepilogativa.
Le virtuose
Toscana (50 consiglieri e 705 mila euro di spese), Liguria (40 consiglieri e 2 milioni e 900 mila euro), Emilia Romagna (50 consiglieri e 2 milioni e 332 mila euro per sole spese di funzionamento). Ci sono anche Regioni che obbligano per legge a dimostrare con scontrini e fatture le spese sostenute. Ma è poi la Presidenza del Consiglio a fare i controlli. Così è anche in Lombardia. Al Pirellone, otto gruppi consiliari per una torta da 10 milioni, lo scontrino è obbligatorio. E la delibera dell'ufficio di presidenza prevede che sia il presidente dei gruppi consiliari il «responsabile della regolarità della documentazione prodotta». Gli scontrini si allegano ai bilanci, ma l'effettiva verifica della regolarità formale dei rendiconti è affidata all'ufficio di presidenza del consiglio (quello che nella sua versione originaria contava 4 indagati sui 5). L'organismo può chiedere chiarimenti ai presidenti dei gruppi, nonché l'esibizione della documentazione relativa alle spese. «In sette anni - dice però Stefano Zamponi dell'Italia dei Valori - non mi risulta che sia mai successo». Lo scontrino insomma c'è, ma i giustificativi alle spese sostenute sono un optional. La discrezionalità del capogruppo è pressoché totale.
Fonte: corriere.it
Non esiste una legge nazionale. Anche sulla disciplina delle spese dei gruppi consiliari vale il principio dell'autonomia: ogni Regione fa a sé. Ma c'è un filo rosso che unisce molti dei regolamenti adottati dai consigli: partiti e consiglieri, non sono tenuti a giustificare le spese sostenute con scontrini o fatture, nemmeno a indicarne le finalità. Nel migliore dei casi basta un'autocertificazione. E anche quando gli obblighi di legge ci sono mancano i controlli. Il governo Monti sta valutando un intervento per «frenare» le spese delle Regioni: un «segnale forte» che parta da riduzione dei costi e controllo della spesa. Già nel consiglio dei ministri di venerdì verranno decisi i primi provvedimenti sui costi standard del federalismo fiscale. E anche il governatore dell'Emilia Romagna Vasco Errani porterà oggi nella Conferenza delle Regioni quella che definisce un'urgenza: «Riduzione dei costi, trasparenza, terzietà dei controlli».
La mappa dello spreco.
Dal Veneto alla Campania, dal Piemonte alla Sicilia, dal Trentino Alto Adige, che fa per due, alla Sardegna: su dodici consigli presi in esame dal Corriere otto non dispongono di un regolamento che obbliga i politici ad allegare scontrini e fatture. C'è il Lazio, certo, dove i guai nascono proprio dal fatto che non esiste una regolamentazione dei fondi erogati ai partiti. La legge che stabilisce i rimborsi è la 6/73: prevede per ciascun gruppo un contributo mensile di 1.500 euro, più una quota variabile di 750 euro per consigliere. Ogni gruppo ha poi diritto a un contributo mensile per spese di aggiornamento, collaboratori e attività politica che viene stabilito dall'ufficio di presidenza del consiglio regionale. Organo che, sotto l'amministrazione Polverini con presidente del Consiglio Mario Abbruzzese, ha aumentato da 1 a 13,9 milioni i fondi ai gruppi. Il sistema? I soldi vengono erogati ai gruppi e gestiti dal capogruppo-tesoriere. Il consigliere a sua volta porta il rimborso, tramite fatture e il capogruppo/tesoriere vista le spese e paga. Non esiste un controllo «terzo», tutto resta all'interno del gruppo. L'unico tipo di «controllo» è la presentazione del bilancio al Co.re.co. (Comitato regionale di controllo) che però, per ammissione del suo presidente, ha solo un potere di verifica contabile.
Le «regine»
C'è poi la Sicilia: 12 milioni e 600 mila di fondi destinati ai partiti e nessun obbligo di rendicontazione. Nel dettaglio: 3.500 euro per ogni deputato, più fondi vari per chi lavora nel gruppo. Un esercito di 70 persone che percepiscono dai 1.500 (il dipendente) ai 4.100 euro (il portaborse). In quest'ultimo caso la somma è girata direttamente al consigliere regionale che alla fine, capita, versa poi molto meno al suo collaboratore. Anche qui il gruppo svolge il doppio ruolo di controllore e controllato. La Sardegna le va a ruota con i suoi otto gruppi che costano 5 milioni e 152 mila euro l'anno (spesa complessiva oltre i 20 milioni e 200 mila euro). L'obbligo di presentare pezze giustificative è arginato scegliendo la strada dei rimborsi forfetari: ogni consigliere, oltre all'indennità netta di 2.720 euro al mese, percepisce una diaria che va da 3.202 a 4.163 euro, un rimborso per spese di segreteria e rappresentanza di 2.346 euro per 12 mensilità e un contributo per spese di documentazione e strumentazioni tecnologiche di 9 milioni e 263 mila euro l'anno. Il contributo, si sottolinea, è stato comunque ridotto del 20%.
In Calabria l'articolo 7 della legge 13 del 2002 prevede che le spese effettuate da ciascun capogruppo non siano rendicontate. Ma c'è già una riforma pronta all'insegna della maggiore trasparenza. La legge regionale della Campania che porta la data del 1972 ed è stata modificata nel 1996 dice: «Per le spese di funzionamento dei gruppi consiliari viene liquidato un contributo fisso mensile». Segue una cifra aggiornata nel tempo. Punto e basta. La Regione fa da «bancomat» e non esige alcun rendiconto nè impone come quei soldi debbano essere spesi. Oggi, come ha scritto il Corriere del Mezzogiorno , ai 60 consiglieri vengono distribuiti fondi per oltre un milione. I consiglieri, «ovvio» dicono, conservano scontrini e fatture, ma non esiste un ufficio ragioneria a cui affidarli e non c'è l'obbligo di farlo. Almeno così fino a maggio.
Non solo al Sud
Ma non sono solo le Regioni del Sud a non avere regolamenti rigidi. I sessanta consiglieri veneti percepiscono «fuori busta» 2.100 euro netti al mese per rimborsi esentasse che non richiedono l'obbligo di presentare giustificativi. La giustificazione è stata che quei soldi servono a coprire i costi della benzina. Fatti due calcoli, però, è come se ogni consigliere percorresse qualcosa come 16 mila chilometri al mese. Il Piemonte poi: 15 gruppi, 60 consiglieri, 7,5 milioni di euro e autocertificazione libera per ottenere il gettone di presenza. Da qui anche l'annuncio di affidare a terzi la certificazione dei bilanci da pubblicare poi online. Le Province autonome di Trento e Bolzano lo fanno già. Ma le spese sostenute dai 35 più 35 consiglieri vengono giustificate attraverso una dichiarazione di ogni capogruppo alla presidenza del Consiglio insieme a una nota riepilogativa.
Le virtuose
Toscana (50 consiglieri e 705 mila euro di spese), Liguria (40 consiglieri e 2 milioni e 900 mila euro), Emilia Romagna (50 consiglieri e 2 milioni e 332 mila euro per sole spese di funzionamento). Ci sono anche Regioni che obbligano per legge a dimostrare con scontrini e fatture le spese sostenute. Ma è poi la Presidenza del Consiglio a fare i controlli. Così è anche in Lombardia. Al Pirellone, otto gruppi consiliari per una torta da 10 milioni, lo scontrino è obbligatorio. E la delibera dell'ufficio di presidenza prevede che sia il presidente dei gruppi consiliari il «responsabile della regolarità della documentazione prodotta». Gli scontrini si allegano ai bilanci, ma l'effettiva verifica della regolarità formale dei rendiconti è affidata all'ufficio di presidenza del consiglio (quello che nella sua versione originaria contava 4 indagati sui 5). L'organismo può chiedere chiarimenti ai presidenti dei gruppi, nonché l'esibizione della documentazione relativa alle spese. «In sette anni - dice però Stefano Zamponi dell'Italia dei Valori - non mi risulta che sia mai successo». Lo scontrino insomma c'è, ma i giustificativi alle spese sostenute sono un optional. La discrezionalità del capogruppo è pressoché totale.
Fonte: corriere.it
26 lug 2012
Sicilia, scoppia la rivolta dei deputati. In ritardo i loro 13 mila € di stipendio
Insorgono gli onorevoli dell'Assemblea regionale: «Trattati peggio dei fornitori». Problemi anche per i dipendenti
A causa della crisi di liquidità la Regione Sicilia non ha trasferito in tempo i fondi per i pagamenti ai 90 deputati e ai dipendenti dell'Assemblea regionale siciliana e quindi lo stipendio del mese di luglio non è arrivato. Se ne riparlerà ad agosto. Secondo i calcoli ogni 30 giorni la Regione manda all'Assemblea i soldi degli stipendi: a giugno ha trasferito 12 milioni di euro, mentre a luglio ne ha «passati» soltanto cinque. E anche per i dipendenti andati in pensione ci saranno ritardi nel tfr. Per quanto riguarda i parlamentari la cifra si aggira intorno ai 13mila euro netti.
«TRATTATI PEGGIO DEI FORNITORI»
Il presidente dell'Ars (ed ex assessore) Francesco Cascio comprende che i ritardati trasferimenti siano collegati «alle più complessive difficoltà economiche», ma passa all'attacco: «L'assessore all'Economia Gaetano Armao tratta l'Ars alla stregua di un qualunque fornitore, o di un ente. Ma l'Ars è un organo istituzionale di valenza costituzionale e di conseguenza l'erogazione dei trasferimenti è sempre stata effettuata d'ufficio. Da quando c'è lui si tende a stravolgere questo concetto, e quindi l'Ars passa in coda rispetto ai fornitori, e questo non è possibile. Per Totò Cordaro, vicecapogruppo del Pid, è incomprensibile che «gli assessori, non eletti, ricevano puntualmente gli stipendi e le loro indennità e i parlamentari no». In generale i deputati si schierano con gli altri dipendenti («che vivono di stipendio»). I 90 deputati siciliani costano alla Regione circa 21 milioni l'anno, i 300 dipendenti dell'Assemblea circa 40 milioni.
«LO STATO NON PUÒ AUMENTARE I CONTROLLI»
Nel frattempo il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda ha replicato a un'interrogazione della Lega rispetto ai conti della Regione Sicilia spiegando che la richiesta di incrementare i controlli della spesa dell'Ente «incontra il limite delle garanzie derivante dallo Statuto di autonomia che non consente l'ingerenza dello Stato oltre i confini stabiliti dalle norme stesse. Allo Stato non sono consentiti controlli di merito sull'efficienza e efficacia della spesa».
Fonte: corriere.it
A causa della crisi di liquidità la Regione Sicilia non ha trasferito in tempo i fondi per i pagamenti ai 90 deputati e ai dipendenti dell'Assemblea regionale siciliana e quindi lo stipendio del mese di luglio non è arrivato. Se ne riparlerà ad agosto. Secondo i calcoli ogni 30 giorni la Regione manda all'Assemblea i soldi degli stipendi: a giugno ha trasferito 12 milioni di euro, mentre a luglio ne ha «passati» soltanto cinque. E anche per i dipendenti andati in pensione ci saranno ritardi nel tfr. Per quanto riguarda i parlamentari la cifra si aggira intorno ai 13mila euro netti.
«TRATTATI PEGGIO DEI FORNITORI»
Il presidente dell'Ars (ed ex assessore) Francesco Cascio comprende che i ritardati trasferimenti siano collegati «alle più complessive difficoltà economiche», ma passa all'attacco: «L'assessore all'Economia Gaetano Armao tratta l'Ars alla stregua di un qualunque fornitore, o di un ente. Ma l'Ars è un organo istituzionale di valenza costituzionale e di conseguenza l'erogazione dei trasferimenti è sempre stata effettuata d'ufficio. Da quando c'è lui si tende a stravolgere questo concetto, e quindi l'Ars passa in coda rispetto ai fornitori, e questo non è possibile. Per Totò Cordaro, vicecapogruppo del Pid, è incomprensibile che «gli assessori, non eletti, ricevano puntualmente gli stipendi e le loro indennità e i parlamentari no». In generale i deputati si schierano con gli altri dipendenti («che vivono di stipendio»). I 90 deputati siciliani costano alla Regione circa 21 milioni l'anno, i 300 dipendenti dell'Assemblea circa 40 milioni.
«LO STATO NON PUÒ AUMENTARE I CONTROLLI»
Nel frattempo il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda ha replicato a un'interrogazione della Lega rispetto ai conti della Regione Sicilia spiegando che la richiesta di incrementare i controlli della spesa dell'Ente «incontra il limite delle garanzie derivante dallo Statuto di autonomia che non consente l'ingerenza dello Stato oltre i confini stabiliti dalle norme stesse. Allo Stato non sono consentiti controlli di merito sull'efficienza e efficacia della spesa».
Fonte: corriere.it
5 lug 2012
La Sicilia ha più dipendenti del Governo inglese
La presidenza della Regione ne conta 1.385
Downing Street si ferma a 1.337
Esiste in Italia un ufficio pubblico dove c'è un dirigente ogni sei impiegati. Si trova a palazzo dei Normanni, Palermo: è la presidenza della Regione siciliana. Ma il governatore Raffaele Lombardo sappia che non è l'unico in Europa a guidare un esercito pieno zeppo di generali. Il premier britannico James Cameron è nelle sue stesse condizioni: anche a Downing Street ogni dirigente ha in media sei sottoposti. Il fatto è che pure i numeri sono più o meno gli stessi. Cameron ha 198 dirigenti, Lombardo 192. Quanto ai dipendenti il Cabinet Office, equivalente della nostra presidenza del Consiglio, ne ha 1.337: quarantotto meno dei 1.385 che la presidenza della Regione siciliana contava alla fine del 2011.
Downing Street si ferma a 1.337
Esiste in Italia un ufficio pubblico dove c'è un dirigente ogni sei impiegati. Si trova a palazzo dei Normanni, Palermo: è la presidenza della Regione siciliana. Ma il governatore Raffaele Lombardo sappia che non è l'unico in Europa a guidare un esercito pieno zeppo di generali. Il premier britannico James Cameron è nelle sue stesse condizioni: anche a Downing Street ogni dirigente ha in media sei sottoposti. Il fatto è che pure i numeri sono più o meno gli stessi. Cameron ha 198 dirigenti, Lombardo 192. Quanto ai dipendenti il Cabinet Office, equivalente della nostra presidenza del Consiglio, ne ha 1.337: quarantotto meno dei 1.385 che la presidenza della Regione siciliana contava alla fine del 2011.
23 giu 2010
Viaggio nella Palermo sommersa dall'immondizia
Cataste di rifiuti, mobili e eternit. I cassonetti traboccano. L'accusa: «Sono i signori che ristrutturano le loro ville»
PALERMO - Per loro fortuna i duemila turisti sbarcati ieri mattina da due palazzi galleggianti come la Fantastica e la Concordia per scoprire la città fra carrozzelle addobbate come carretti hanno seguito la direttrice che dal porto arriva a Piazza Politeama, lungo via Emerico Amari, cinquecento metri puntellati da cassonetti sporchi e scoperchiati, lerci e maleodoranti, ma svuotati nella notte. Così, forse, Palermo ha evitato di offrire ai croceristi per l’ennesima volta l’immagine e il disastro di una nuova Napoli. O, come ha sferzato con un titolo della scorsa settimana Le Monde, di «città pattumiera». Sporca, ma senza montagn
e di rifiuti. Anche se resta nelle foto ricordo il profilo tetro di contenitori simili a bocche spalancate di vecchi sdentati, i coperchi piegati o spezzati. Poteva andare peggio, direbbe con una delle sue battute Fiorello. Sarebbe bastata, infatti, una piccola deviazione sulla destra, prima della cupola del Teatro Politeama, per restare ancora più sconvolti davanti alla discarica a cielo aperto del Borgo Vecchio, un mercato nel cuore della vecchia Palermo dove si può comprare di tutto, anche la notte. A due passi da botteghe e bancarelle, da griglie con sgombri e «stigghiole» fumanti, ecco una catasta di materassi sfatti, armadi sfondati, sedie e tavoli squinternati, resti di frigo, radio e tutto ciò di cui ci si può liberare. Compreso un serbatoio di eternit, come succede nella piazzetta trasformata dai ragazzi in un campetto di calcio recintato, una gabbia, unico modo per delimitare lo spazio fra gioco e monnezza.
Inferno Bellolampo
È una delle immagini consegnate dal cuore di Palermo, dal «cuore di cactus», per usare il titolo di un libro di Antonio Calabrò che, come ogni scrittore nato da queste parti, ama e odia una terra dove sui rifiuti si scatena una guerra politica e rischia di esplodere una bomba ecologica chiamata Bellolampo. Nome di un brutto monte dove i gabbiani sembrano topi volanti. Una discarica al collasso che alimenta i liquami del cosiddetto percolato, un lago di melma che si infiltra insidiando la falda. Un girone dantesco, meta di autocompattatori rotti e insufficienti. Specchio di un’azienda colabrodo, l’Amia, un buco di oltre cento milioni di euro, proprio ieri mattina inseguita in tribunale da 2.400 creditori che chiedono 44 milioni per forniture mai saldate. Forniture in qualche caso ai raggi X di ben altre indagini. È il caso del lavaggio «esterno » al
quale si appoggiava l’Amia, quello dei boss Lo Piccolo a San Lorenzo. Sotto processo un’intera gestione, il sindaco Diego Cammarata con dodici fra direttori e amministratori. Compreso l’ex presidente Enzo Galioto, ancora ben protetto dal suo seggio di senatore Pdl. Resteranno nella storia degli scandali i viaggi ad Abu Dhabi per trasferire negli Emirati un presunto know how della «differenziata » allora mai sperimentata in Sicilia. Un buco nell’acqua. E un buco nel bilancio di un Comune sull’orlo del dissesto. Bocciata la proposta del sindaco per l’aumento della tassa immondizia, la Tarsu, non si sa cosa fare perché la prima voce dei tagli è la Gesip con i suoi duemila dipendenti assunti per cooptazione.
Sindaco in vacanza
È questa la catena di guasti antichi e recenti che sta dietro un viaggio fatto ieri mattina spostandoci da borgate decentrate come Pagliarelli e Bonagia a Villa Sperlinga, il cuore residenziale di una Palermo do ve gli abitanti di via Libertà o piazza Leoni scoprono con soddisfazione i primi esperimenti di «differenziata». Anche se proprio a piazza Leoni, di fronte all’ingresso di Villa Airoldi, sede di un Golf Club fra giardini e vasche del Settecento, la titolare dell’edicola all’angolo, Giovanna Calabrese, indica esterrefatta una vasca dei nostri giorni colma di rifiuti, come fosse un cassonetto: «La differenziata è una gran cosa, ma se i signori della cosiddetta "Palermo bene" ristrutturano casa buttando tutto per strada vince l’inciviltà...». S’intrecciano così le colpe degli amministratori e le cattive abitudini di chi a Palermo vive. Anche se fra siti web e manifesti prevale il refrain sul sindaco, «Cammarata vattene». È lo slogan pennellato su un paio di teli stesi da cittadini semplici ai loro balconi, quartiere Matteotti, il più signorile, a due passi dalla elementare Garzilli. È un crescendo. E Cammarata, appena tornato dal Sudafrica dopo una gita «mondiale», respinge le critiche di chi ha pure presentato una mozione di sfiducia: «Che male c’è a prendersi tre giorni di vacanza?». Quesito che rimbalza in una città da dove parte una sua disperata lettera appello alla Prestigiacomo, a Bertolaso, a Gianni Letta perché ministero dell’Ambiente, Protezione civile e Palazzo Chigi lo ascoltino: «Chiedo da gennaio dell’anno scorso lo stato di crisi...».
Percolato d'oro
Lo ascoltano un po' meno alla Regione, dove prevale il contropiede con Raffaele Lombardo, il governatore che ha detto no ai termovalorizzatori facendo saltare «un affare criminale», stando all’accusa lanciata anche dal suo assessore all’Energia Pier Camillo Russo. Un tecnico già andato in Procura per l’«emergenza percolato», convinto che qualcuno abbia interesse ad ampliare la misura del fenomeno: «Mi hanno chiesto di conteggiare 45 mila tonnellate di percolato smaltite in quattro mesi. Cioè 11.250 tonnellate al mese. Lavoro eseguito con autocisterne fornite di rimorchio. Trenta tonnellate ognuna a viaggio. Significa che ogni mese per 11.250 tonnellate occorrono 375 autocisterne che fanno la spola con Gioia Tauro ». I conti non tornano e Russo bacchetta: «Smaltire ogni tonnellata di percolato costa 80 euro. Così, per 45 mila tonnellate dovrei firmare un assegno da 3 milioni e 600 mila euro. Ecco perché il percolato non deve mai mancare. Non bisogna farlo finire mai...». È materia di indagine. E non è l’unico scontro, visto che adesso l’Amia litiga anche col prefetto Giancarlo Trevisone per la quinta vasca di Bellolampo collaudata senza loro tecnici. Una boccata d’ossigeno. Appena sei mesi per un nuovo possibile collasso che forse non può essere rovesciato solo sul sindaco. Ma echeggia nei suoi confronti il malessere. Nascono su Facebook gruppi come «Carta 9 gennaio» e Calabrò dialoga con uno degli allievi di Piersanti Mattarella, Antonio Piraino, un manager di Banca Nuova, sulla scia di altri scrittori, di Roberto Alajmo che denuncia incuria e degrado. In sintonia con chi raccoglie centinaia di foto sui rifiuti di Palermo e li piazza nella vetrina internet, «Il Valore delle Piccole Cose».
Cassonetti sudici
Sono foto come quella scattata ieri mattina alle 10.45 a piazza Pagliarelli, la borgata oltre la circonvallazione, dove Giuseppe Di Simone mostra schifato i cassonetti zeppi, i coperchi a pezzi: «L’autocompattatore passa, ma dentro restano luridi e nessuno li ha mai puliti». È quel che succede alle 11.10 in via del Bassotto, quartiere Bonagia. Divani, sedie, armadietti rotti circondano i cassonetti stracolmi, scrutati con disappunto da Giuseppe Santoro, pensionato: «Tutti si lamentano, ma nessuno si ribella». Venti minuti dopo ecco il replay su via Montegrappa, villaggio Santa Rosalia, vicino all’ospedale Civico. Cassonetti e discarica in area parcheggio. Un gatto spaventato dal fotografo mentre sfalda sacchetti e cerca cibo, indicato da Davide Giannini, titolare dell’autoscuola Jolly: «Adesso, anche il pomeriggio, il camion passa, ma puzza più dei cassonetti che restano sudici». Dalla periferia a piazza Unità d’Italia la rabbia è la stessa. E alle 12.30 sotto la pioggerellina una signora si tura il naso all’angolo con via Giusti. Come succede alle 12.50 a piazza Leoni davanti alla vasca-cassonetto. O alle 13.30 al mercato di via La Marmora, angolo via Sanpolo, fra panieri di insalate e pomodori stesi accanto alla spazzatura da un ambulante abusivo che non protesta: «Cade il mondo se per una notte non se la portano?». E passa veloce pure la signora che alle due del pomeriggio rischia di inciampare nell’armadio di ferro arrugginito da dieci giorni sul marciapiede di via Francesco Lo Jacono, a 50 metri dall’albero Falcone di via Notarbartolo, simbolo di un riscatto che anche la monnezza allontana.
Fonte: corriere.it
PALERMO - Per loro fortuna i duemila turisti sbarcati ieri mattina da due palazzi galleggianti come la Fantastica e la Concordia per scoprire la città fra carrozzelle addobbate come carretti hanno seguito la direttrice che dal porto arriva a Piazza Politeama, lungo via Emerico Amari, cinquecento metri puntellati da cassonetti sporchi e scoperchiati, lerci e maleodoranti, ma svuotati nella notte. Così, forse, Palermo ha evitato di offrire ai croceristi per l’ennesima volta l’immagine e il disastro di una nuova Napoli. O, come ha sferzato con un titolo della scorsa settimana Le Monde, di «città pattumiera». Sporca, ma senza montagn

Inferno Bellolampo
È una delle immagini consegnate dal cuore di Palermo, dal «cuore di cactus», per usare il titolo di un libro di Antonio Calabrò che, come ogni scrittore nato da queste parti, ama e odia una terra dove sui rifiuti si scatena una guerra politica e rischia di esplodere una bomba ecologica chiamata Bellolampo. Nome di un brutto monte dove i gabbiani sembrano topi volanti. Una discarica al collasso che alimenta i liquami del cosiddetto percolato, un lago di melma che si infiltra insidiando la falda. Un girone dantesco, meta di autocompattatori rotti e insufficienti. Specchio di un’azienda colabrodo, l’Amia, un buco di oltre cento milioni di euro, proprio ieri mattina inseguita in tribunale da 2.400 creditori che chiedono 44 milioni per forniture mai saldate. Forniture in qualche caso ai raggi X di ben altre indagini. È il caso del lavaggio «esterno » al

Sindaco in vacanza
È questa la catena di guasti antichi e recenti che sta dietro un viaggio fatto ieri mattina spostandoci da borgate decentrate come Pagliarelli e Bonagia a Villa Sperlinga, il cuore residenziale di una Palermo do ve gli abitanti di via Libertà o piazza Leoni scoprono con soddisfazione i primi esperimenti di «differenziata». Anche se proprio a piazza Leoni, di fronte all’ingresso di Villa Airoldi, sede di un Golf Club fra giardini e vasche del Settecento, la titolare dell’edicola all’angolo, Giovanna Calabrese, indica esterrefatta una vasca dei nostri giorni colma di rifiuti, come fosse un cassonetto: «La differenziata è una gran cosa, ma se i signori della cosiddetta "Palermo bene" ristrutturano casa buttando tutto per strada vince l’inciviltà...». S’intrecciano così le colpe degli amministratori e le cattive abitudini di chi a Palermo vive. Anche se fra siti web e manifesti prevale il refrain sul sindaco, «Cammarata vattene». È lo slogan pennellato su un paio di teli stesi da cittadini semplici ai loro balconi, quartiere Matteotti, il più signorile, a due passi dalla elementare Garzilli. È un crescendo. E Cammarata, appena tornato dal Sudafrica dopo una gita «mondiale», respinge le critiche di chi ha pure presentato una mozione di sfiducia: «Che male c’è a prendersi tre giorni di vacanza?». Quesito che rimbalza in una città da dove parte una sua disperata lettera appello alla Prestigiacomo, a Bertolaso, a Gianni Letta perché ministero dell’Ambiente, Protezione civile e Palazzo Chigi lo ascoltino: «Chiedo da gennaio dell’anno scorso lo stato di crisi...».
Percolato d'oro
Lo ascoltano un po' meno alla Regione, dove prevale il contropiede con Raffaele Lombardo, il governatore che ha detto no ai termovalorizzatori facendo saltare «un affare criminale», stando all’accusa lanciata anche dal suo assessore all’Energia Pier Camillo Russo. Un tecnico già andato in Procura per l’«emergenza percolato», convinto che qualcuno abbia interesse ad ampliare la misura del fenomeno: «Mi hanno chiesto di conteggiare 45 mila tonnellate di percolato smaltite in quattro mesi. Cioè 11.250 tonnellate al mese. Lavoro eseguito con autocisterne fornite di rimorchio. Trenta tonnellate ognuna a viaggio. Significa che ogni mese per 11.250 tonnellate occorrono 375 autocisterne che fanno la spola con Gioia Tauro ». I conti non tornano e Russo bacchetta: «Smaltire ogni tonnellata di percolato costa 80 euro. Così, per 45 mila tonnellate dovrei firmare un assegno da 3 milioni e 600 mila euro. Ecco perché il percolato non deve mai mancare. Non bisogna farlo finire mai...». È materia di indagine. E non è l’unico scontro, visto che adesso l’Amia litiga anche col prefetto Giancarlo Trevisone per la quinta vasca di Bellolampo collaudata senza loro tecnici. Una boccata d’ossigeno. Appena sei mesi per un nuovo possibile collasso che forse non può essere rovesciato solo sul sindaco. Ma echeggia nei suoi confronti il malessere. Nascono su Facebook gruppi come «Carta 9 gennaio» e Calabrò dialoga con uno degli allievi di Piersanti Mattarella, Antonio Piraino, un manager di Banca Nuova, sulla scia di altri scrittori, di Roberto Alajmo che denuncia incuria e degrado. In sintonia con chi raccoglie centinaia di foto sui rifiuti di Palermo e li piazza nella vetrina internet, «Il Valore delle Piccole Cose».
Cassonetti sudici
Sono foto come quella scattata ieri mattina alle 10.45 a piazza Pagliarelli, la borgata oltre la circonvallazione, dove Giuseppe Di Simone mostra schifato i cassonetti zeppi, i coperchi a pezzi: «L’autocompattatore passa, ma dentro restano luridi e nessuno li ha mai puliti». È quel che succede alle 11.10 in via del Bassotto, quartiere Bonagia. Divani, sedie, armadietti rotti circondano i cassonetti stracolmi, scrutati con disappunto da Giuseppe Santoro, pensionato: «Tutti si lamentano, ma nessuno si ribella». Venti minuti dopo ecco il replay su via Montegrappa, villaggio Santa Rosalia, vicino all’ospedale Civico. Cassonetti e discarica in area parcheggio. Un gatto spaventato dal fotografo mentre sfalda sacchetti e cerca cibo, indicato da Davide Giannini, titolare dell’autoscuola Jolly: «Adesso, anche il pomeriggio, il camion passa, ma puzza più dei cassonetti che restano sudici». Dalla periferia a piazza Unità d’Italia la rabbia è la stessa. E alle 12.30 sotto la pioggerellina una signora si tura il naso all’angolo con via Giusti. Come succede alle 12.50 a piazza Leoni davanti alla vasca-cassonetto. O alle 13.30 al mercato di via La Marmora, angolo via Sanpolo, fra panieri di insalate e pomodori stesi accanto alla spazzatura da un ambulante abusivo che non protesta: «Cade il mondo se per una notte non se la portano?». E passa veloce pure la signora che alle due del pomeriggio rischia di inciampare nell’armadio di ferro arrugginito da dieci giorni sul marciapiede di via Francesco Lo Jacono, a 50 metri dall’albero Falcone di via Notarbartolo, simbolo di un riscatto che anche la monnezza allontana.
Fonte: corriere.it
6 ott 2009
Il trucco dei palazzi che raddoppiano, nella città delle ottocento deroghe
Le norme cambiate e i cantieri sui fiumi. Gli indici di fabbricabilità da 1,5 a 3
L'ex sindaco Pulvirenti: gli imprenditori edili si muovono, parlano, avvicinano, e la variante viene approvata
MESSINA - Beffardo il gran cartello che campeggia fra il torrente e la montagna di Giampilieri, accanto alla scuola trasformata in ricovero, davanti ai mezzi dei vigili del fuoco. Ecco il «Giardino dei limoni» con l’annuncio che si vendono ville. Per la verità sembrano case popolari, appartamenti a schiera. Costruiti, come è accaduto in questo borgo disastrato per altri 32 progetti, con emendamenti e varianti in deroga al rigido piano regolatore che ancora rimproverano al sindaco-magistrato di Messina, rimasto in carica per quattro anni fino al 1998. Ed è derogando oggi, derogando domani e anche il giorno dopo, che si è arrivati a quota 800, con altrettante modifiche capaci di trasformare il cosiddetto Prg in carta straccia, piantando palazzoni ovunque, cementificando i torrenti e pure le foci.
Per l’improbabile Giardino dei limoni il proprietario del terreno, Domenico Lupò, è pronto a mostrare il via libera del consiglio comunale. Come l’ebbe, cento metri più giù, sempre all’ombra delle frane di Giampilieri, un dinamico affarista, Cesare D’Amico, costruttore di tre grigie cooperative da 60 appartamenti per poi tornare a Messina, rilevare il Jolly e finire dentro per bancarotta fraudolenta. Ecco alcuni dei beneficiari di quella che in modo grossolano viene chiamata la «variante mille deroghe». Con un numero gonfiato forse perché riflette l’aspirazione di palazzinari ben inseriti nel sistema città. Come sa l’ex sindaco-magistrato Franco Pulvirenti, un giurista di sinistra oggi impegnato in politica «solo via mail». Sorride amaro. Soprattutto pensando a quel piano regolatore che varò appena insediatosi: «Capii subito che bisognava farne uno rigido, molto rigido. Scoprii una bozza gonfiata per 300 mila abitanti. Ma se siamo poco più di 200 mila? Ordinai di ridurre. Calcolammo solo i bisogni veri. Imponendo i vincoli. Soprattutto su colline e alvei dei torrenti. Vincoli ignorati. Appunto, con varianti e deroghe che hanno stravolto il Prg».
E anche se adesso se ne sta in disparte, un po’ schifato dall’andazzo, indica la tecnica degli affaristi: «Il privato presenta un progetto e chiede una piccola variante al Prg. L’ufficio tecnico dà un parere a trasiri e nesciri (a entrare e uscire). Il costruttore si muove. Parla, avvicina. E nel consiglio comunale dove poi la variante diventa elastica si creano maggioranze casuali, intese trasversali, la delibera passa, il palazzo va...». Sa cosa accadeva anche un ex consigliere comunale di An, l’avvocato Francesco Rizzo, oggi difensore civico a Lipari: «Uno dei trucchi è portare l’edificabilità da 1,5 a 3. Su un metro quadrato puoi realizzare un metro e mezzo di altezza? Porti l’indice a tre e raddoppi il guadagno». Il caso più clamoroso, culminato in un’inchiesta con l’arresto dell’ex presidente del consiglio comunale Umberto Bonanno, dell’avvocato che mediava, Pucci Fortino, e di sei spregiudicati imprenditori è quello del «Green Park», con un indice passato da 1,5 a 5. Risultato: tre orrori in cemento armato già realizzati sotto i viadotti dell’autostrada e altri tre rimasti sulla carta.
Di «green» non c’è traccia su questa arida arteria che s’inerpica poggiata su un torrente, il «Trapani Alto», soffocato, letteralmente tappato, come indicano Anna Giordano del Wwf e l’avvocato che sostiene gli ambientalisti, Aura Notarianni. Oltrepassati gli scheletri sotto sequestro giudiziario, ecco «Il Grande Olimpo», come pomposamente annuncia il cartello, fra pecore, casermoni piantanti sulla collina e una discarica aperta sul torrente che, ancora cento metri più sopra, si vede. Il letto è largo almeno venti metri. Di botto ridotti a un buco alto due metri, proprio un canale che corre giù, sotto l’asfalto, per un ripidissimo pendio di oltre un chilometro. Un imbuto. «Naturale che ad ogni ondata di piena l’acqua rischi di traboccare trasformando la strada in una pericolosa cascata», spiega il geologo Alfredo Natoli, che con dieci suoi colleghi fu incaricato di redigere la carta geologica della provincia di Messina: «La consegnammo nel 2000, ma fingono di non sapere che esistono torrenti soffocati, terreni franosi sui quali continuano a costruire...».
E s’affaccia verso la collina «Paradiso», vista mozzafiato sulla Calabria. Per arrivarci ci si inerpica su un budello dove un camion passa a stento, «Strada Fosso», lo stesso nome del torrente che sta sotto, appunto infossato. Arrivi in cima e scopri gli operai al lavoro su quattro palazzoni ancora grezzi, vicini vicini, altra deroga. E, quindi, in regola. Non a caso fa bella mostra di sé il tabellone della ditta Minutoli, colorato ovviamente di verde e presuntuoso perché nel «Victoria Park» non c‘è spazio per piantare un albero. Ma il sogno di un innamorato può esplodere anche su un muro grezzo: «Ti giuro voleremo sull’isola ke non c’è». Qui non c’è più il torrente. Nascosto sotto la stradina con una grata ogni trecento metri. S’intravede il letto compresso del corso d’acqua. Uno di quei torrenti da niente che possono diventare valanghe d’acqua e fango. Ma senza spazio. Sempre più stretto lungo la discesa che va giù dalla collina per due chilometri di palazzoni. Una vena tortuosa che si stringe fino a sfociare sulla litoranea della città, il mare di fronte. Basta andare sulla spiaggia per capire dove finisce. Interrato sotto le pedane del «Vintage Drink & Food», stabilimento balneare e pub notturno. «Acque bianche sono», giura il capocantiere che sta smontando tutto perché siamo a fine stagione e ricompaiono i due lunghi tubi nei quali è incapsulata la foce del torrente. In pieno centro città. Senza che nessuno veda, senza bisogno di deroghe.
Fonte: corriere.it
L'ex sindaco Pulvirenti: gli imprenditori edili si muovono, parlano, avvicinano, e la variante viene approvata
MESSINA - Beffardo il gran cartello che campeggia fra il torrente e la montagna di Giampilieri, accanto alla scuola trasformata in ricovero, davanti ai mezzi dei vigili del fuoco. Ecco il «Giardino dei limoni» con l’annuncio che si vendono ville. Per la verità sembrano case popolari, appartamenti a schiera. Costruiti, come è accaduto in questo borgo disastrato per altri 32 progetti, con emendamenti e varianti in deroga al rigido piano regolatore che ancora rimproverano al sindaco-magistrato di Messina, rimasto in carica per quattro anni fino al 1998. Ed è derogando oggi, derogando domani e anche il giorno dopo, che si è arrivati a quota 800, con altrettante modifiche capaci di trasformare il cosiddetto Prg in carta straccia, piantando palazzoni ovunque, cementificando i torrenti e pure le foci.
Per l’improbabile Giardino dei limoni il proprietario del terreno, Domenico Lupò, è pronto a mostrare il via libera del consiglio comunale. Come l’ebbe, cento metri più giù, sempre all’ombra delle frane di Giampilieri, un dinamico affarista, Cesare D’Amico, costruttore di tre grigie cooperative da 60 appartamenti per poi tornare a Messina, rilevare il Jolly e finire dentro per bancarotta fraudolenta. Ecco alcuni dei beneficiari di quella che in modo grossolano viene chiamata la «variante mille deroghe». Con un numero gonfiato forse perché riflette l’aspirazione di palazzinari ben inseriti nel sistema città. Come sa l’ex sindaco-magistrato Franco Pulvirenti, un giurista di sinistra oggi impegnato in politica «solo via mail». Sorride amaro. Soprattutto pensando a quel piano regolatore che varò appena insediatosi: «Capii subito che bisognava farne uno rigido, molto rigido. Scoprii una bozza gonfiata per 300 mila abitanti. Ma se siamo poco più di 200 mila? Ordinai di ridurre. Calcolammo solo i bisogni veri. Imponendo i vincoli. Soprattutto su colline e alvei dei torrenti. Vincoli ignorati. Appunto, con varianti e deroghe che hanno stravolto il Prg».
E anche se adesso se ne sta in disparte, un po’ schifato dall’andazzo, indica la tecnica degli affaristi: «Il privato presenta un progetto e chiede una piccola variante al Prg. L’ufficio tecnico dà un parere a trasiri e nesciri (a entrare e uscire). Il costruttore si muove. Parla, avvicina. E nel consiglio comunale dove poi la variante diventa elastica si creano maggioranze casuali, intese trasversali, la delibera passa, il palazzo va...». Sa cosa accadeva anche un ex consigliere comunale di An, l’avvocato Francesco Rizzo, oggi difensore civico a Lipari: «Uno dei trucchi è portare l’edificabilità da 1,5 a 3. Su un metro quadrato puoi realizzare un metro e mezzo di altezza? Porti l’indice a tre e raddoppi il guadagno». Il caso più clamoroso, culminato in un’inchiesta con l’arresto dell’ex presidente del consiglio comunale Umberto Bonanno, dell’avvocato che mediava, Pucci Fortino, e di sei spregiudicati imprenditori è quello del «Green Park», con un indice passato da 1,5 a 5. Risultato: tre orrori in cemento armato già realizzati sotto i viadotti dell’autostrada e altri tre rimasti sulla carta.
Di «green» non c’è traccia su questa arida arteria che s’inerpica poggiata su un torrente, il «Trapani Alto», soffocato, letteralmente tappato, come indicano Anna Giordano del Wwf e l’avvocato che sostiene gli ambientalisti, Aura Notarianni. Oltrepassati gli scheletri sotto sequestro giudiziario, ecco «Il Grande Olimpo», come pomposamente annuncia il cartello, fra pecore, casermoni piantanti sulla collina e una discarica aperta sul torrente che, ancora cento metri più sopra, si vede. Il letto è largo almeno venti metri. Di botto ridotti a un buco alto due metri, proprio un canale che corre giù, sotto l’asfalto, per un ripidissimo pendio di oltre un chilometro. Un imbuto. «Naturale che ad ogni ondata di piena l’acqua rischi di traboccare trasformando la strada in una pericolosa cascata», spiega il geologo Alfredo Natoli, che con dieci suoi colleghi fu incaricato di redigere la carta geologica della provincia di Messina: «La consegnammo nel 2000, ma fingono di non sapere che esistono torrenti soffocati, terreni franosi sui quali continuano a costruire...».
E s’affaccia verso la collina «Paradiso», vista mozzafiato sulla Calabria. Per arrivarci ci si inerpica su un budello dove un camion passa a stento, «Strada Fosso», lo stesso nome del torrente che sta sotto, appunto infossato. Arrivi in cima e scopri gli operai al lavoro su quattro palazzoni ancora grezzi, vicini vicini, altra deroga. E, quindi, in regola. Non a caso fa bella mostra di sé il tabellone della ditta Minutoli, colorato ovviamente di verde e presuntuoso perché nel «Victoria Park» non c‘è spazio per piantare un albero. Ma il sogno di un innamorato può esplodere anche su un muro grezzo: «Ti giuro voleremo sull’isola ke non c’è». Qui non c’è più il torrente. Nascosto sotto la stradina con una grata ogni trecento metri. S’intravede il letto compresso del corso d’acqua. Uno di quei torrenti da niente che possono diventare valanghe d’acqua e fango. Ma senza spazio. Sempre più stretto lungo la discesa che va giù dalla collina per due chilometri di palazzoni. Una vena tortuosa che si stringe fino a sfociare sulla litoranea della città, il mare di fronte. Basta andare sulla spiaggia per capire dove finisce. Interrato sotto le pedane del «Vintage Drink & Food», stabilimento balneare e pub notturno. «Acque bianche sono», giura il capocantiere che sta smontando tutto perché siamo a fine stagione e ricompaiono i due lunghi tubi nei quali è incapsulata la foce del torrente. In pieno centro città. Senza che nessuno veda, senza bisogno di deroghe.
Fonte: corriere.it
3 set 2009
Viaggio in Sicilia /1: La Regione al collasso
Dal dissesto dei conti della Regione a quello del bilancio del Comune di Palermo; dall'emergenza rifiuti, che è frutto di quel dissesto, al dibattito sul Partito del Sud, che ha anch'esso a che vedere con l'esaursi delle risorse pubbliche per il Sud e con il crollo dell'apparato clientelare su cui si regge da decenni il sistema di potere che occupa il governo della Regione.
Cominciamo dunque questo viaggio in Sicilia dalla Regione autonoma a statuto speciale. Alla cui presidenza è stato eletto nella primavera del 2008 Raffaele Lombardo. Fondatore e segretario del Movimento per l'autonomia, Lombardo è un ex democristiano che è andato a braccetto per anni con Totò Cuffaro (il suo predecessore) e ora cerca di accreditarsi all'opinione pubblica locale e nazionale come l'uomo del riscatto economico e sociale dell'isola, contro gli sprechi, le clientele e il malaffare.
Riprenderemo il discorso su Lombardo e sulla litigiosa maggioranza che lo sostiene in uno dei prossimi post. Per ora concentriamoci sulla Regione e sui suoi disastrati conti.
Il grande crack
Il bilancio consuntivo di Palazzo dei Normanni al 31 dicembre 2008 è a dir poco squilibrato, per non dire dissestato. Le entrate correnti sono in calo e lo saranno ancora di più nel 2009 per la contrazione del Pil regionale, che provocherà una caduta del prelievo fiscale (la Sicilia, infatti, in quanto Regione a statuto speciale è già "federalista": incamera il gettito fiscale delle persone fisiche e giuridiche residenti nell'Isola e il gettito Iva). Per contro le spese correnti sono in continua crescita e i debiti sono pressoché raddoppiati. Per mantenere in equilibrio il bilancio, la Regione ricorre a espedienti contabili, tra cui quello di infarcire i conti di residui attivi che, nel 2008, hanno raggiunto i 13,6 miliardi. I residui attivi sono in teoria crediti da riscuotere, ma per stabilirne il tasso di esigibilità bisognerebbe esaminarli uno ad uno. La Regione, invece, si limita a iscriverli a bilancio tal quali, confondendo il vero con il falso. Il perché è evidente: se una parte più o meno cospicua dei residui attivi risultasse inesigibile (e secondo alcuni osservatori lo è sen'altro), la giunta sarebbe obbligata a svalutazioni per miliardi. Dai conti potrebbe emergere una voragine. Le premesse ci sono. Nelle scorse settimane l'assessore al Bilancio ha depennato 950 milioni di entrate attese che sarebbero dovute venire dalla vendita di immobili: un appostamento deciso dalla giunta Cuffaro, che Lombardo non ha esitato a definire infondato. L'ennesimo trucco per trovare la quadratura del cerchio.
Inoltre, sostiene la Corte dei conti siciliana, tutti i "saldi fondamentali" del bilancio presentano valori negativi laddove negli anni passati apparivano positivi: 1) la gestione di competenza, che nel 2007 era positiva per oltre un miliardo, ora è negativa per 183 milioni; 2) il saldo netto da finanziare è pressoché raddoppiato rispetto al 2007; 3) il deficit di competenza genera obbligazioni che dovranno essere onorate negli esercizi futuri e porranno "problemi di liquidità a medio e lungo termine"; 4) alcune operazioni finanziarie con strumenti derivati sono di segno negativo e "tendono a peggiorare"; 5) la gravità del disavanzo della sanità va ad attenuarsi grazie al piano di rientro varato dalla giunta Lombardo, ma la spesa del settore assorbe circa il 53% di quella totale regionale e permangono "criticità e inadeguatezze all'attuazione del piano" medesimo; 6) la legge di riorganizzazione della macchina burocratica non è stata accompagnata da una «puntuale analisi finanziaria dei risparmi conseguibili»; 7) e niente è stato fatto per contenere la spesa del personale. Insomma, un disastro.
Una delle poche certezze, in questo bilancio regionale, sono i debiti: 5 miliardi.
La favola di Fedro
Ma non sono solo i numeri a preoccupare. Nella requisitoria per il giudizio di parificazione del bilancio, che spetta alla Corte dei conti, il procuratore generale d'appello, Giovanni Coppola, ha usato toni allarmanti. Già l'incipit del documento è tutto un programma: "Superior stabat lupus - esordisce il magistrato -. E’ l’inizio - aggiunge - di una notissima favola di Fedro, una tra le favole più famose di tutti i tempi, “il lupo e l’agnello”: letteralmente significa “più sopra stava il lupo”. Ma, al di là del semplice significato letterale, la frase assume una notevole valenza allegorica, stando ad indicare un’incombente minaccia".
La minaccia è costituita, scrive Coppola, "dalla complessa rete di malaffare che in una Regione come la Sicilia, ad alto rischio di condizionamento mafioso, lascia poco tranquilli tutti coloro che si occupano della gestione della cosa pubblica. L’allerta va data in modo particolare in un momento, come quello attuale, in cui stanno arrivando in Sicilia i fondi Por 2007-2013 che rappresentano l’ultima erogazione in tal senso per la nostra Regione, a seguito dell’ingresso nell’Unione europea di molti paesi dell’Est che versano in condizioni economiche deteriori, e che, per l’entità delle risorse finanziarie coinvolte, pari a parecchi miliardi di euro, non possono non suscitare le brame di certi poteri forti non sempre trasparenti. Timori giustificati dalle notizie di cronaca che ci segnalano episodi sempre più frequenti di mala amministrazione a tutti i livelli ed in quasi tutti i settori".
Il Por, Programma operativo regionale, è il documento di programmazione per l’utilizzo dei fondi strutturali europei. Fondi che vengono integrati con quelli del ministero dell’Economia e della Regione.
Ce n'è per tutti, amici e parenti
Il modo più subdolo di appropriarsi di questo fiume di denaro - prosegue il procuratore generale d'appello - è quello di dirottarlo ad "amici o parenti, a terzi insomma, per scopi che non rientrano tra le finalità pubbliche" . Vent'anni fa, prima che fosse abolito, questo reato si chiamava peculato per distrazione. Se fosse ancora in vigore, un amministratore pubblico ci penserebbe non due ma quattro volte prima di impegnare denaro o effettuare pagamenti ad amici e parenti. Oggi, invece, può cavarsela con l'abuso d'ufficio, che comporta pene poco severe ed è un reato limitato entro un perimetro ristretto. Purtroppo dobbiamo convenire, leggiamo nella relazione, che “i ladri di beni privati passano la vita in carcere, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori”: frase, questa, attribuita oltre duemila anni fa da Aulo Gelio a Catone il censore, che andrebbe però riscritta. Perché in Italia nemmeno i ladri di beni privati passano la vita in carcere. I "furbetti del quartierino" hanno fatto scuola in questo senso.
Ma torniamo a bomba. "Nella nostra Sicilia - scrive ancora Coppola - assistiamo alla rappresentazione della commedia dell’assurdo. Siamo agli ultimi posti in Italia come qualità della vita, ma abbiamo un alto livello di spesa pubblica. Spendiamo una considerevole mole di pubbliche risorse, ma abbiamo la più alta percentuale di disoccupazione tra tutte le Regioni d’Italia, addirittura il doppio della percentuale media nazionale; i nostri giovani se vogliono un lavoro spesso devono emigrare".
Che fine fanno allora tutti questi soldi che escono dalle tasche dei cittadini?
"Ironicamente nella scorsa parifica ho detto che si potrebbe affermare che ogni anno, contabilmente parlando, è migliore del successivo, in quanto ogni anno a venire è peggiore del precedente e, quindi, per necessaria conseguenza, l’anno precedente è migliore del successivo. L’ironica previsione si è rivelata veritiera. Infatti l’esame della contabilità della Regione siciliana mostra nel 2008 un incremento degli impegni di spesa di 2,9 miliardi, passando dai 18,2 miliardi del 2007 ai 21,1 del 2008, con un aumento del 16 per cento".
E' vero che 2,6 miliardi sono relativi al “contratto di prestito” dello Stato per il ripianamento dei debiti della Sanità siciliana anteriori al 31 dicembre 2007. Ma anche al netto di questa cifra gli impegni di spesa superano comunque di circa 300 milioni di euro quelli del 2007. Una somma ragguardevole.
Il bilancio della Regione manca in altre parole di qualsiasi tipo di trasparenza e attendibilità: si iscrive ogni anno un avanzo presunto maggiore di quello che dovrebbe essere o una previsione di spesa inferiore, per poi constatare l'anno successivo, all'approvazione del bilancio consuntivo, che l'avanzo effettivo è inferiore a quello preventivato e la spesa superiore. Un'autentica farsa contabile.
Riforme vere, riforme finte
Prendiamo la decantata riforma dell'apparato burocratico regionale, approvata anche con i voti del Pd, che sta all'opposizione, e sbandierata da Lombardo come primo passo di una politica di rinnovamento. "Non mi pare una riforma epocale", scrive Coppola. Che - pur riconoscendo il merito, alla giunta Lombardo, di aver cercato di limitare le spese "a carattere alluvionale" di tutti i settori della finanza regionale - ricorda: prima della riforma della struttura burocratica i dipartimenti della Regione erano 37; nella riforma ne sono previsti 32 (che scenderanno a 28 nel 2010) tanti quanti erano nel 2000 al momento dell'entrata in vigore della legge con cui furono istituiti.
La macchina clientelare
Prendiamo, a proposito di riduzione degli sprechi, i corsi di formazione, che rappresentano un pilastro portante del sistema clientelare. Nel 2007 risultavano finanziati 519 progetti, l'anno successivo sono stati autorizzati 891 progetti, con un incremento di oltre il 71 per cento. Sostiene la Corte dei conti che, nel 2007, a fronte di 519 progetti erano stati avviati 3.069 corsi con 46.035 iscritti. Nel 2008, invece, sono stati attivati 2.514 corsi con 31.918 iscritti, eppure i pagamenti hanno sfiorato i 363 milioni di euro contro i 303 milioni del 2007, con un incremento di circa 60 milioni. E' stato speso, in sostanza, il 20% in più dell'anno precedente, mentre il numero dei corsi diminuiva del 18% e quello degli iscritti del 31 per cento.
Non solo: la Regione sperpera una somma del genere senza curarsi di controllare se poi i corsi vengono effettivamente portati a termine. O meglio demandando per lo più i controlli agli stessi soggetti organizzatori dei corsi. Il dipartimento Formazione professionale ha condotto lo scorso anno un'indagine su 2.324 studenti di 141 corsi da cui è emerso che solo 1.641 allievi hanno completato il percorso formativo e che quelli che hanno ottenuto mansioni definitive coerenti con il corso frequentato sono stati 196. In conclusione: il 30% degli allievi si ritira prima della fine del corso, ad ogni corso partecipano in media 11 studenti e di questi solo uno e mezzo ottiene un lavoro coerente con la qualifica conseguita. Osserva la Corte dei conti: se consideriamo che "ciascun corso costa in media 108mila euro, ne discende che ciascun frequentante costa ai contribuenti 9.391 euro; nella scuola statale siciliana uno studente, nell’ultimo anno scolastico, è costato quasi il 50% in meno, per l’esattezza 6.384 euro. Se poi si prendono in considerazione coloro che trovano un posto di lavoro..., si ricava che l’effettivo avviamento al lavoro di un singolo giovane attraverso la formazione professionale siciliana grava sulle tasche dei contribuenti per ben 72mila euro, non so fino a che punto ne valga la pena", è l'amaro commento di Coppola.
L'esercito dei dirigenti
Dulcis in fundo, il personale. I dipendenti fissi della Regione, assunti a tempo indeterminato, erano al 31 dicembre 2008 poco meno di 14mila. E già su questa cifra vi sarebbe molto da dire. Ma è il numero dei dirigenti a impressionare di più: 2.111, uno ogni 5,6 dipendenti. Nello Stato, sostiene la Corte dei conti, ve ne sono in media uno ogni 50 dipendenti. Quindi in Sicilia vi sono, secondo questo calcolo, 1.874 dirigenti di troppo.
Accanto al personale a tempo indeterminato gravano inoltre sui conti altri 7mila dipendenti a tempo determinato, che portano il totale degli occupati a 21mila unità. Questo esercito di dipendenti regionali è costato ai contribuenti siciliani, nel 2008, poco meno di 1,1 miliardi: 212 euro per abitante. Il costo medio di un dirigente a tempo indeterminato è stato di circa 109mila euro, mentre quello di un dipendente ha sfiorato i 42mila euro (senza considerare gli oneri sociali). Sulla Regione pesano poi quasi 15mila dipendenti in pensione, che nel 2008 sono costati altri 561 milioni.
La festa è finita
Affronteremo a parte il capitolo sanità. Ma già da questi numeri risulta evidente lo squilibrio di cui dicevamo all'inizio. La politica delle clientele ha generato un mostro che divora risorse senza produrre ricchezza. Lo stato dei servizi pubblici, in diverse parti dell'isola, è tutt'oggi penoso. Il degrado di certe periferie palermitane resta impressionante. In molti paesi dell'interno dove ancora cinquant'anni fa erano fiorenti l'agricoltura, l'allevamento e l'artiginatto l'economia ruota oggi intorno al rimboschimento, un'attività in buona misura fittizia, alimentata dalla Regione, che ha finito per distruggere il senso del lavoro. La più grande industria di Palermo è il Comune, che dopo aver imbarcato precari a go-go è arrivato sull'orlo del fallimento. L'edilizia si trascina un po' dappertutto grazie all'abusivismo, che non ha mai smesso di esistere nonostante tutte le sanatorie. L'interno continua a svuotarsi di energie e di abitanti. A questo sono serviti oltre 50 anni di autonomia, e la Regione è l'emblema di questo disastro. Adesso servirebbe una mastodontica opera di risanamento dei conti. Ma per risanare bisognerebbe tagliarsi i ponti alle spalle, fare piazza pulita di questo sistema di potere. Invece si continuano a rivendicare nuovi fondi pubblici nell'illusione che la macchina clientelare possa riprodursi all'infinito. I soldi sono finiti, stavolta. La Regione barcolla schiacciata da una montagna di debiti, ma le sue spese continuano a crescere. Se i rubinetti dei fondi europei si chiuderanno veramente, i nodi verranno al pettine. E saranno dolori per tutti.
Fonte: Finanza & Potere
Cominciamo dunque questo viaggio in Sicilia dalla Regione autonoma a statuto speciale. Alla cui presidenza è stato eletto nella primavera del 2008 Raffaele Lombardo. Fondatore e segretario del Movimento per l'autonomia, Lombardo è un ex democristiano che è andato a braccetto per anni con Totò Cuffaro (il suo predecessore) e ora cerca di accreditarsi all'opinione pubblica locale e nazionale come l'uomo del riscatto economico e sociale dell'isola, contro gli sprechi, le clientele e il malaffare.
Riprenderemo il discorso su Lombardo e sulla litigiosa maggioranza che lo sostiene in uno dei prossimi post. Per ora concentriamoci sulla Regione e sui suoi disastrati conti.
Il grande crack
Il bilancio consuntivo di Palazzo dei Normanni al 31 dicembre 2008 è a dir poco squilibrato, per non dire dissestato. Le entrate correnti sono in calo e lo saranno ancora di più nel 2009 per la contrazione del Pil regionale, che provocherà una caduta del prelievo fiscale (la Sicilia, infatti, in quanto Regione a statuto speciale è già "federalista": incamera il gettito fiscale delle persone fisiche e giuridiche residenti nell'Isola e il gettito Iva). Per contro le spese correnti sono in continua crescita e i debiti sono pressoché raddoppiati. Per mantenere in equilibrio il bilancio, la Regione ricorre a espedienti contabili, tra cui quello di infarcire i conti di residui attivi che, nel 2008, hanno raggiunto i 13,6 miliardi. I residui attivi sono in teoria crediti da riscuotere, ma per stabilirne il tasso di esigibilità bisognerebbe esaminarli uno ad uno. La Regione, invece, si limita a iscriverli a bilancio tal quali, confondendo il vero con il falso. Il perché è evidente: se una parte più o meno cospicua dei residui attivi risultasse inesigibile (e secondo alcuni osservatori lo è sen'altro), la giunta sarebbe obbligata a svalutazioni per miliardi. Dai conti potrebbe emergere una voragine. Le premesse ci sono. Nelle scorse settimane l'assessore al Bilancio ha depennato 950 milioni di entrate attese che sarebbero dovute venire dalla vendita di immobili: un appostamento deciso dalla giunta Cuffaro, che Lombardo non ha esitato a definire infondato. L'ennesimo trucco per trovare la quadratura del cerchio.
Inoltre, sostiene la Corte dei conti siciliana, tutti i "saldi fondamentali" del bilancio presentano valori negativi laddove negli anni passati apparivano positivi: 1) la gestione di competenza, che nel 2007 era positiva per oltre un miliardo, ora è negativa per 183 milioni; 2) il saldo netto da finanziare è pressoché raddoppiato rispetto al 2007; 3) il deficit di competenza genera obbligazioni che dovranno essere onorate negli esercizi futuri e porranno "problemi di liquidità a medio e lungo termine"; 4) alcune operazioni finanziarie con strumenti derivati sono di segno negativo e "tendono a peggiorare"; 5) la gravità del disavanzo della sanità va ad attenuarsi grazie al piano di rientro varato dalla giunta Lombardo, ma la spesa del settore assorbe circa il 53% di quella totale regionale e permangono "criticità e inadeguatezze all'attuazione del piano" medesimo; 6) la legge di riorganizzazione della macchina burocratica non è stata accompagnata da una «puntuale analisi finanziaria dei risparmi conseguibili»; 7) e niente è stato fatto per contenere la spesa del personale. Insomma, un disastro.
Una delle poche certezze, in questo bilancio regionale, sono i debiti: 5 miliardi.
La favola di Fedro
Ma non sono solo i numeri a preoccupare. Nella requisitoria per il giudizio di parificazione del bilancio, che spetta alla Corte dei conti, il procuratore generale d'appello, Giovanni Coppola, ha usato toni allarmanti. Già l'incipit del documento è tutto un programma: "Superior stabat lupus - esordisce il magistrato -. E’ l’inizio - aggiunge - di una notissima favola di Fedro, una tra le favole più famose di tutti i tempi, “il lupo e l’agnello”: letteralmente significa “più sopra stava il lupo”. Ma, al di là del semplice significato letterale, la frase assume una notevole valenza allegorica, stando ad indicare un’incombente minaccia".
La minaccia è costituita, scrive Coppola, "dalla complessa rete di malaffare che in una Regione come la Sicilia, ad alto rischio di condizionamento mafioso, lascia poco tranquilli tutti coloro che si occupano della gestione della cosa pubblica. L’allerta va data in modo particolare in un momento, come quello attuale, in cui stanno arrivando in Sicilia i fondi Por 2007-2013 che rappresentano l’ultima erogazione in tal senso per la nostra Regione, a seguito dell’ingresso nell’Unione europea di molti paesi dell’Est che versano in condizioni economiche deteriori, e che, per l’entità delle risorse finanziarie coinvolte, pari a parecchi miliardi di euro, non possono non suscitare le brame di certi poteri forti non sempre trasparenti. Timori giustificati dalle notizie di cronaca che ci segnalano episodi sempre più frequenti di mala amministrazione a tutti i livelli ed in quasi tutti i settori".
Il Por, Programma operativo regionale, è il documento di programmazione per l’utilizzo dei fondi strutturali europei. Fondi che vengono integrati con quelli del ministero dell’Economia e della Regione.
Ce n'è per tutti, amici e parenti
Il modo più subdolo di appropriarsi di questo fiume di denaro - prosegue il procuratore generale d'appello - è quello di dirottarlo ad "amici o parenti, a terzi insomma, per scopi che non rientrano tra le finalità pubbliche" . Vent'anni fa, prima che fosse abolito, questo reato si chiamava peculato per distrazione. Se fosse ancora in vigore, un amministratore pubblico ci penserebbe non due ma quattro volte prima di impegnare denaro o effettuare pagamenti ad amici e parenti. Oggi, invece, può cavarsela con l'abuso d'ufficio, che comporta pene poco severe ed è un reato limitato entro un perimetro ristretto. Purtroppo dobbiamo convenire, leggiamo nella relazione, che “i ladri di beni privati passano la vita in carcere, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori”: frase, questa, attribuita oltre duemila anni fa da Aulo Gelio a Catone il censore, che andrebbe però riscritta. Perché in Italia nemmeno i ladri di beni privati passano la vita in carcere. I "furbetti del quartierino" hanno fatto scuola in questo senso.
Ma torniamo a bomba. "Nella nostra Sicilia - scrive ancora Coppola - assistiamo alla rappresentazione della commedia dell’assurdo. Siamo agli ultimi posti in Italia come qualità della vita, ma abbiamo un alto livello di spesa pubblica. Spendiamo una considerevole mole di pubbliche risorse, ma abbiamo la più alta percentuale di disoccupazione tra tutte le Regioni d’Italia, addirittura il doppio della percentuale media nazionale; i nostri giovani se vogliono un lavoro spesso devono emigrare".
Che fine fanno allora tutti questi soldi che escono dalle tasche dei cittadini?
"Ironicamente nella scorsa parifica ho detto che si potrebbe affermare che ogni anno, contabilmente parlando, è migliore del successivo, in quanto ogni anno a venire è peggiore del precedente e, quindi, per necessaria conseguenza, l’anno precedente è migliore del successivo. L’ironica previsione si è rivelata veritiera. Infatti l’esame della contabilità della Regione siciliana mostra nel 2008 un incremento degli impegni di spesa di 2,9 miliardi, passando dai 18,2 miliardi del 2007 ai 21,1 del 2008, con un aumento del 16 per cento".
E' vero che 2,6 miliardi sono relativi al “contratto di prestito” dello Stato per il ripianamento dei debiti della Sanità siciliana anteriori al 31 dicembre 2007. Ma anche al netto di questa cifra gli impegni di spesa superano comunque di circa 300 milioni di euro quelli del 2007. Una somma ragguardevole.
Il bilancio della Regione manca in altre parole di qualsiasi tipo di trasparenza e attendibilità: si iscrive ogni anno un avanzo presunto maggiore di quello che dovrebbe essere o una previsione di spesa inferiore, per poi constatare l'anno successivo, all'approvazione del bilancio consuntivo, che l'avanzo effettivo è inferiore a quello preventivato e la spesa superiore. Un'autentica farsa contabile.
Riforme vere, riforme finte
Prendiamo la decantata riforma dell'apparato burocratico regionale, approvata anche con i voti del Pd, che sta all'opposizione, e sbandierata da Lombardo come primo passo di una politica di rinnovamento. "Non mi pare una riforma epocale", scrive Coppola. Che - pur riconoscendo il merito, alla giunta Lombardo, di aver cercato di limitare le spese "a carattere alluvionale" di tutti i settori della finanza regionale - ricorda: prima della riforma della struttura burocratica i dipartimenti della Regione erano 37; nella riforma ne sono previsti 32 (che scenderanno a 28 nel 2010) tanti quanti erano nel 2000 al momento dell'entrata in vigore della legge con cui furono istituiti.
La macchina clientelare
Prendiamo, a proposito di riduzione degli sprechi, i corsi di formazione, che rappresentano un pilastro portante del sistema clientelare. Nel 2007 risultavano finanziati 519 progetti, l'anno successivo sono stati autorizzati 891 progetti, con un incremento di oltre il 71 per cento. Sostiene la Corte dei conti che, nel 2007, a fronte di 519 progetti erano stati avviati 3.069 corsi con 46.035 iscritti. Nel 2008, invece, sono stati attivati 2.514 corsi con 31.918 iscritti, eppure i pagamenti hanno sfiorato i 363 milioni di euro contro i 303 milioni del 2007, con un incremento di circa 60 milioni. E' stato speso, in sostanza, il 20% in più dell'anno precedente, mentre il numero dei corsi diminuiva del 18% e quello degli iscritti del 31 per cento.
Non solo: la Regione sperpera una somma del genere senza curarsi di controllare se poi i corsi vengono effettivamente portati a termine. O meglio demandando per lo più i controlli agli stessi soggetti organizzatori dei corsi. Il dipartimento Formazione professionale ha condotto lo scorso anno un'indagine su 2.324 studenti di 141 corsi da cui è emerso che solo 1.641 allievi hanno completato il percorso formativo e che quelli che hanno ottenuto mansioni definitive coerenti con il corso frequentato sono stati 196. In conclusione: il 30% degli allievi si ritira prima della fine del corso, ad ogni corso partecipano in media 11 studenti e di questi solo uno e mezzo ottiene un lavoro coerente con la qualifica conseguita. Osserva la Corte dei conti: se consideriamo che "ciascun corso costa in media 108mila euro, ne discende che ciascun frequentante costa ai contribuenti 9.391 euro; nella scuola statale siciliana uno studente, nell’ultimo anno scolastico, è costato quasi il 50% in meno, per l’esattezza 6.384 euro. Se poi si prendono in considerazione coloro che trovano un posto di lavoro..., si ricava che l’effettivo avviamento al lavoro di un singolo giovane attraverso la formazione professionale siciliana grava sulle tasche dei contribuenti per ben 72mila euro, non so fino a che punto ne valga la pena", è l'amaro commento di Coppola.
L'esercito dei dirigenti
Dulcis in fundo, il personale. I dipendenti fissi della Regione, assunti a tempo indeterminato, erano al 31 dicembre 2008 poco meno di 14mila. E già su questa cifra vi sarebbe molto da dire. Ma è il numero dei dirigenti a impressionare di più: 2.111, uno ogni 5,6 dipendenti. Nello Stato, sostiene la Corte dei conti, ve ne sono in media uno ogni 50 dipendenti. Quindi in Sicilia vi sono, secondo questo calcolo, 1.874 dirigenti di troppo.
Accanto al personale a tempo indeterminato gravano inoltre sui conti altri 7mila dipendenti a tempo determinato, che portano il totale degli occupati a 21mila unità. Questo esercito di dipendenti regionali è costato ai contribuenti siciliani, nel 2008, poco meno di 1,1 miliardi: 212 euro per abitante. Il costo medio di un dirigente a tempo indeterminato è stato di circa 109mila euro, mentre quello di un dipendente ha sfiorato i 42mila euro (senza considerare gli oneri sociali). Sulla Regione pesano poi quasi 15mila dipendenti in pensione, che nel 2008 sono costati altri 561 milioni.
La festa è finita
Affronteremo a parte il capitolo sanità. Ma già da questi numeri risulta evidente lo squilibrio di cui dicevamo all'inizio. La politica delle clientele ha generato un mostro che divora risorse senza produrre ricchezza. Lo stato dei servizi pubblici, in diverse parti dell'isola, è tutt'oggi penoso. Il degrado di certe periferie palermitane resta impressionante. In molti paesi dell'interno dove ancora cinquant'anni fa erano fiorenti l'agricoltura, l'allevamento e l'artiginatto l'economia ruota oggi intorno al rimboschimento, un'attività in buona misura fittizia, alimentata dalla Regione, che ha finito per distruggere il senso del lavoro. La più grande industria di Palermo è il Comune, che dopo aver imbarcato precari a go-go è arrivato sull'orlo del fallimento. L'edilizia si trascina un po' dappertutto grazie all'abusivismo, che non ha mai smesso di esistere nonostante tutte le sanatorie. L'interno continua a svuotarsi di energie e di abitanti. A questo sono serviti oltre 50 anni di autonomia, e la Regione è l'emblema di questo disastro. Adesso servirebbe una mastodontica opera di risanamento dei conti. Ma per risanare bisognerebbe tagliarsi i ponti alle spalle, fare piazza pulita di questo sistema di potere. Invece si continuano a rivendicare nuovi fondi pubblici nell'illusione che la macchina clientelare possa riprodursi all'infinito. I soldi sono finiti, stavolta. La Regione barcolla schiacciata da una montagna di debiti, ma le sue spese continuano a crescere. Se i rubinetti dei fondi europei si chiuderanno veramente, i nodi verranno al pettine. E saranno dolori per tutti.
Fonte: Finanza & Potere
20 ago 2009
Perché mai alla Sicilia (e solo alla Sicilia) va un ottavo di tutti gli incassi delle giocate al Superenalotto fatte nell’isola?
Quell’«aiutino» milionario del Superenalotto alla Sicilia
Nelle prime settimane di agosto la norma contenuta in una legge del 1993 ha fatto entrare nelle casse di Lombardo 2,7 milioni di euro
Perché mai alla Sicilia (e solo alla Sicilia) va un ottavo di tutti gli incassi delle giocate al Superenalotto fatte nell’isola? Perché mai lo Stato non è altrettanto generoso con Lombardia, Toscana o Molise e neppure con le altre regioni a statuto speciale? La domanda, venata di irritazione, ha dilagato ieri on-line non appena è comparsa la notizia: l’erario lascia alla Regione il 12,25% della raccolta locale.
Un privilegio che ha consentito all’ente governato da Raffaele Lombardo di incassare soltanto in queste prime settimane d’agosto 2,7 milioni di euro. Quasi quanto il governo ha distribuito in tutto il 2008 alle organizzazioni di assistenza umanitaria con l’8 per mille. La notizia, a dire il vero, è l'ennesima dimostrazione di quanto sia stato geniale, a suo tempo, il lancio sulla Settimana enigmistica di una fortunatissima rubrica: «Forse non tutti sanno che...». Dove da decenni si diffondono alla rinfusa le cose più curiose: «Forse non tutti sanno che... il canguro può fare salti di nove metri!», «Forse non tutti sanno che... Antonio Gramsci era alto un metro e mezzo». «Forse non tutti sanno che... il tennista Rafael Nadal ha vinto su terra 60 partite consecutive». Cose così: note agli specialisti ma ignorate dal grande pubblico, che se le beve come ovetti freschi di giornata.
Spiegano dunque le agenzie che lo Stato incassa il 49,5% delle somme giocate agli sportelli Sisal di tutta l’Italia tranne al di là dello Stretto di Messina dove questa sua percentuale scende a poco più del 37% dato che in base all’articolo 6 della legge 599 del 1993 e del successivo decreto 11 giugno 2009 («Misure per la regolamentazione dei flussi finanziari connessi all’Enalotto») deve lasciare il 12,25% delle somme giocate nell’isola alla Regione. La quale incassa i soldi in aggiunta alla quota di diritto fisso (0,052 euro per ogni colonna giocata) e all’aggio delle ricevitorie (8% della raccolta). «Una somma non di poco conto, visto che dalla Sicilia arriva il 6,8% circa della raccolta nazionale», precisa l’Agi. Visto che da gennaio ad oggi i siciliani hanno giocato oltre 143 milioni, «a Palazzo d’Orléans sono arrivati circa 15,6 milioni nel 2009, e già 2,7 milioni nel solo mese di agosto». Eppure forse non tutti sanno che l’articolo 6 di quella legge del 1993, in realtà, non riguarda solo l’Enalotto ma tutte «le riscossioni dei giochi di abilità e dei concorsi pronostici riservati allo Stato a norma dell’articolo 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496». Vale a dire che le pubbliche casse girano alla Regione, stando alle norme, un ottavo di tutti gli incassi siciliani di tutti i giochi di questo genere.
C’è chi dirà che è giusto. Che si tratta di una cosa che alla Sicilia spetta perché il parlamento isolano «è il più antico d’Europa», perché lo Statuto di Autonomia è nato prima della Costituzione italiana e magari perché la Sicilia «avrebbe potuto diventare la 49 a stella della bandiera americana» come voleva il Partito per la Ricostruzione, che verso la fine della Seconda Guerra mondiale era arrivato ad avere oltre 40.000 iscritti dando battaglia per l’annessione della Sicilia agli Stati Uniti. Per non dire del «risarcimento» storico che sarebbe dovuto all’isola per lo sbarco di Garibaldi e dei Savoia, che qualche sicilianista fanatico ha ribattezzato sul web «nazi- piemontesi».
Che la Sicilia sia economicamente nei guai è difficile da contestare. Il tasso di disoccupazione è doppio rispetto a quello nazionale, il 39, 3% dei giovani sotto i 24 anni non riesce a trovare lavoro, il tasso di attività (51,2%) è il più basso in Italia, le famiglie che secondo l’Istat sono ai limiti dell’indigenza sono quasi una su tre e perfino il turismo, che secondo prima Prodi e poi Berlusconi avrebbe dovuto fare della Trinacria «la Florida d’Europa », riusciva ad offrire nel 2007, ha scritto Maria Marchese, «appena 36,1 posti letto su 1.000 abitanti contro i 75,2 posti offerti dall’Italia, e ad attrarre appena 2,9 giornate di presenze annue per abitante, contro una media nazionale di 6,2». La scoperta di quella «quota superEnalotto» unica ed esclusiva, tuttavia, per quanto fosse già nota alla cerchia ristretta degli addetti ai lavori, rischia di rilanciare una polemica che in questi mesi si è fatta via via più accesa non solo con il Nord (dove gli anti-meridionalisti hanno ora un nuovo spunto di polemica) ma con le altre regioni del Sud. Regioni che per bocca di vari amministratori, dal campano Antonio Bassolino al pugliese Nichi Vendola, dal calabrese Agazio Loiero al lucano Vito De Filippo hanno già storto il naso su troppi «aiutini» fatti avere negli ultimi mesi dal governo di destra alla sua roccaforte isolana capace di regalarle anni fa il famoso «cappotto» di 61 parlamentari su 61.
Prima il regalo di 140 milioni a Catania per tamponare la catastrofe finanziaria comunale... Poi i 180 milioni a fondo perduto per ripianare i debiti di Palermo... Poi il via libera di Roberto Calderoli alla pretesa della Regione («o passa la norma, o facciamo saltare il tavolo», chiarì l’allora assessore al bilancio) di trattenere sull’isola il gettito delle accise sui prodotti petroliferi, cosa che per ora è sospesa ma garantirebbe alla Sicilia nuovi introiti per circa 8 miliardi l’anno... Poi lo sblocco dei famosi 4 miliardi di fondi Fas, sblocco deciso per arginare l’offensiva sul Partito del Sud ma non concesso alle altre regioni che reclamano lo stesso trattamento... Non sarà facile, per Raffaele Lombardo, spiegare ai suoi stessi colleghi perché la sua regione deve avere questo trattamento «speciale ».
Fonte: corriere.it
Nelle prime settimane di agosto la norma contenuta in una legge del 1993 ha fatto entrare nelle casse di Lombardo 2,7 milioni di euro
Perché mai alla Sicilia (e solo alla Sicilia) va un ottavo di tutti gli incassi delle giocate al Superenalotto fatte nell’isola? Perché mai lo Stato non è altrettanto generoso con Lombardia, Toscana o Molise e neppure con le altre regioni a statuto speciale? La domanda, venata di irritazione, ha dilagato ieri on-line non appena è comparsa la notizia: l’erario lascia alla Regione il 12,25% della raccolta locale.
Un privilegio che ha consentito all’ente governato da Raffaele Lombardo di incassare soltanto in queste prime settimane d’agosto 2,7 milioni di euro. Quasi quanto il governo ha distribuito in tutto il 2008 alle organizzazioni di assistenza umanitaria con l’8 per mille. La notizia, a dire il vero, è l'ennesima dimostrazione di quanto sia stato geniale, a suo tempo, il lancio sulla Settimana enigmistica di una fortunatissima rubrica: «Forse non tutti sanno che...». Dove da decenni si diffondono alla rinfusa le cose più curiose: «Forse non tutti sanno che... il canguro può fare salti di nove metri!», «Forse non tutti sanno che... Antonio Gramsci era alto un metro e mezzo». «Forse non tutti sanno che... il tennista Rafael Nadal ha vinto su terra 60 partite consecutive». Cose così: note agli specialisti ma ignorate dal grande pubblico, che se le beve come ovetti freschi di giornata.
Spiegano dunque le agenzie che lo Stato incassa il 49,5% delle somme giocate agli sportelli Sisal di tutta l’Italia tranne al di là dello Stretto di Messina dove questa sua percentuale scende a poco più del 37% dato che in base all’articolo 6 della legge 599 del 1993 e del successivo decreto 11 giugno 2009 («Misure per la regolamentazione dei flussi finanziari connessi all’Enalotto») deve lasciare il 12,25% delle somme giocate nell’isola alla Regione. La quale incassa i soldi in aggiunta alla quota di diritto fisso (0,052 euro per ogni colonna giocata) e all’aggio delle ricevitorie (8% della raccolta). «Una somma non di poco conto, visto che dalla Sicilia arriva il 6,8% circa della raccolta nazionale», precisa l’Agi. Visto che da gennaio ad oggi i siciliani hanno giocato oltre 143 milioni, «a Palazzo d’Orléans sono arrivati circa 15,6 milioni nel 2009, e già 2,7 milioni nel solo mese di agosto». Eppure forse non tutti sanno che l’articolo 6 di quella legge del 1993, in realtà, non riguarda solo l’Enalotto ma tutte «le riscossioni dei giochi di abilità e dei concorsi pronostici riservati allo Stato a norma dell’articolo 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496». Vale a dire che le pubbliche casse girano alla Regione, stando alle norme, un ottavo di tutti gli incassi siciliani di tutti i giochi di questo genere.
C’è chi dirà che è giusto. Che si tratta di una cosa che alla Sicilia spetta perché il parlamento isolano «è il più antico d’Europa», perché lo Statuto di Autonomia è nato prima della Costituzione italiana e magari perché la Sicilia «avrebbe potuto diventare la 49 a stella della bandiera americana» come voleva il Partito per la Ricostruzione, che verso la fine della Seconda Guerra mondiale era arrivato ad avere oltre 40.000 iscritti dando battaglia per l’annessione della Sicilia agli Stati Uniti. Per non dire del «risarcimento» storico che sarebbe dovuto all’isola per lo sbarco di Garibaldi e dei Savoia, che qualche sicilianista fanatico ha ribattezzato sul web «nazi- piemontesi».
Che la Sicilia sia economicamente nei guai è difficile da contestare. Il tasso di disoccupazione è doppio rispetto a quello nazionale, il 39, 3% dei giovani sotto i 24 anni non riesce a trovare lavoro, il tasso di attività (51,2%) è il più basso in Italia, le famiglie che secondo l’Istat sono ai limiti dell’indigenza sono quasi una su tre e perfino il turismo, che secondo prima Prodi e poi Berlusconi avrebbe dovuto fare della Trinacria «la Florida d’Europa », riusciva ad offrire nel 2007, ha scritto Maria Marchese, «appena 36,1 posti letto su 1.000 abitanti contro i 75,2 posti offerti dall’Italia, e ad attrarre appena 2,9 giornate di presenze annue per abitante, contro una media nazionale di 6,2». La scoperta di quella «quota superEnalotto» unica ed esclusiva, tuttavia, per quanto fosse già nota alla cerchia ristretta degli addetti ai lavori, rischia di rilanciare una polemica che in questi mesi si è fatta via via più accesa non solo con il Nord (dove gli anti-meridionalisti hanno ora un nuovo spunto di polemica) ma con le altre regioni del Sud. Regioni che per bocca di vari amministratori, dal campano Antonio Bassolino al pugliese Nichi Vendola, dal calabrese Agazio Loiero al lucano Vito De Filippo hanno già storto il naso su troppi «aiutini» fatti avere negli ultimi mesi dal governo di destra alla sua roccaforte isolana capace di regalarle anni fa il famoso «cappotto» di 61 parlamentari su 61.
Prima il regalo di 140 milioni a Catania per tamponare la catastrofe finanziaria comunale... Poi i 180 milioni a fondo perduto per ripianare i debiti di Palermo... Poi il via libera di Roberto Calderoli alla pretesa della Regione («o passa la norma, o facciamo saltare il tavolo», chiarì l’allora assessore al bilancio) di trattenere sull’isola il gettito delle accise sui prodotti petroliferi, cosa che per ora è sospesa ma garantirebbe alla Sicilia nuovi introiti per circa 8 miliardi l’anno... Poi lo sblocco dei famosi 4 miliardi di fondi Fas, sblocco deciso per arginare l’offensiva sul Partito del Sud ma non concesso alle altre regioni che reclamano lo stesso trattamento... Non sarà facile, per Raffaele Lombardo, spiegare ai suoi stessi colleghi perché la sua regione deve avere questo trattamento «speciale ».
Fonte: corriere.it
28 lug 2009
Mafia, condannato a 10 anni e 8 mesi l'ex deputato regionale Mercadante
La decisione dei giudici di palermo dopo più di 17 ore di camera di consiglio
L'ex parlamentare sotto processo con altre 8 persone accusate di mafia, estorsione e favoreggiamento
PALERMO - Per il gip che, nel 2006, ne ordinò l'arresto, sarebbe stato tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di «una Cosa sua», più che di Cosa Nostra.
Un'espressione che spiega bene lo stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante, il medico eletto all'Assemblea Regionale Siciliana nelle fila di Forza Italia, condannato per mafia a 10 anni e 8 mesi.
La sentenza è stata pronunciata dai giudici della II sezione del tribunale di Palermo poco prima delle 2 di notte, dopo oltre 17 ore di camera di consiglio. Radiologo, 61 anni, parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, Mercadante sarebbe stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell'inchiesta e l'arresto.
A carico dell'ex deputato, alle accuse dei pentiti, si sono aggiunte le intercettazioni ambientali realizzate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante è emerso tante volte, collegato sempre ad affari illeciti. Per i pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci, l'ex parlamentare azzurro sarebbe stato «pienamente inserito nel sodalizio criminoso».
Il medico radiologo era sotto processo a Palermo insieme ad altre otto persone accusate, a vario titolo, di mafia, estorsione e favoreggiamento aggravato. Tra gli imputati proprio i boss Bernardo Provenzano e Lorenzo Di Maggio, il medico Antonino Cinà e quattro commercianti. Sedici anni la pena inflitta a Cinà, già condannato per associazione mafiosa, ritenuto uomo di fiducia del boss Totò Riina. Il capomafia Bernardo Provenzano, imputato di tentata estorsione, ha avuto, sei anni. A nove anni e quattro mesi è stato condannato il boss Lorenzo Di Maggio. Assolto invece Marcello Parisi, ex consigliere di circoscrizione di Fi. Infine sono stati assolti i commercianti Maurizio Buscemi, Calogero Immordino e Vito Lo Scrudato, che negando di avere ricevuto richieste estorsive, secondo la Procura, avrebbero favorito Cosa nostra; condannato invece a sei mesi un quarto commerciante, Paolo Buscemi. Il processo scaturisce dall'indagine denominata Gotha, che portò all'arresto di decine di colonnelli e gregari del boss Bernardo Provenzano.
«PROVATI RAPPORTI ALTO LIVELLO CON POLITICA»
«Questa sentenza è il primo riconoscimento, che arriva dai giudici, dell'esistenza di un rapporto tra mafia e politica a un livello molto alto». È il commento del pm Nino Di Matteo, che con il collega Gaetano Paci ha sostenuto l'accusa nel processo «Gotha» a Palermo. La condanna di Giovanni Mercadante a 10 anni e 8 mesi rappresenta, secondo la Dda, la conferma alle molteplici accuse rivolte a un appartenente al mondo politico, con compiti e ruoli di livello e considerato molto vicino alle cosche. Nessun commento invece da parte degli avvocati Leo Mercurio (presente in aula stanotte) e Grazia Volo, legali dell'ex parlamentare regionale di Forza Italia. Mercadante, che si trova agli arresti domiciliari per motivi di salute, si era più volte difeso sostenendo di essere stato 'vittimà della propria parentela col boss di Prizzi Tommaso Cannella.
Fonte: corriere.it
L'ex parlamentare sotto processo con altre 8 persone accusate di mafia, estorsione e favoreggiamento
PALERMO - Per il gip che, nel 2006, ne ordinò l'arresto, sarebbe stato tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di «una Cosa sua», più che di Cosa Nostra.
Un'espressione che spiega bene lo stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante, il medico eletto all'Assemblea Regionale Siciliana nelle fila di Forza Italia, condannato per mafia a 10 anni e 8 mesi.
La sentenza è stata pronunciata dai giudici della II sezione del tribunale di Palermo poco prima delle 2 di notte, dopo oltre 17 ore di camera di consiglio. Radiologo, 61 anni, parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, Mercadante sarebbe stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell'inchiesta e l'arresto.
A carico dell'ex deputato, alle accuse dei pentiti, si sono aggiunte le intercettazioni ambientali realizzate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante è emerso tante volte, collegato sempre ad affari illeciti. Per i pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci, l'ex parlamentare azzurro sarebbe stato «pienamente inserito nel sodalizio criminoso».
Il medico radiologo era sotto processo a Palermo insieme ad altre otto persone accusate, a vario titolo, di mafia, estorsione e favoreggiamento aggravato. Tra gli imputati proprio i boss Bernardo Provenzano e Lorenzo Di Maggio, il medico Antonino Cinà e quattro commercianti. Sedici anni la pena inflitta a Cinà, già condannato per associazione mafiosa, ritenuto uomo di fiducia del boss Totò Riina. Il capomafia Bernardo Provenzano, imputato di tentata estorsione, ha avuto, sei anni. A nove anni e quattro mesi è stato condannato il boss Lorenzo Di Maggio. Assolto invece Marcello Parisi, ex consigliere di circoscrizione di Fi. Infine sono stati assolti i commercianti Maurizio Buscemi, Calogero Immordino e Vito Lo Scrudato, che negando di avere ricevuto richieste estorsive, secondo la Procura, avrebbero favorito Cosa nostra; condannato invece a sei mesi un quarto commerciante, Paolo Buscemi. Il processo scaturisce dall'indagine denominata Gotha, che portò all'arresto di decine di colonnelli e gregari del boss Bernardo Provenzano.
«PROVATI RAPPORTI ALTO LIVELLO CON POLITICA»
«Questa sentenza è il primo riconoscimento, che arriva dai giudici, dell'esistenza di un rapporto tra mafia e politica a un livello molto alto». È il commento del pm Nino Di Matteo, che con il collega Gaetano Paci ha sostenuto l'accusa nel processo «Gotha» a Palermo. La condanna di Giovanni Mercadante a 10 anni e 8 mesi rappresenta, secondo la Dda, la conferma alle molteplici accuse rivolte a un appartenente al mondo politico, con compiti e ruoli di livello e considerato molto vicino alle cosche. Nessun commento invece da parte degli avvocati Leo Mercurio (presente in aula stanotte) e Grazia Volo, legali dell'ex parlamentare regionale di Forza Italia. Mercadante, che si trova agli arresti domiciliari per motivi di salute, si era più volte difeso sostenendo di essere stato 'vittimà della propria parentela col boss di Prizzi Tommaso Cannella.
Fonte: corriere.it
27 nov 2008
Il crac Il disastro dell'azienda di trasporti con 340 autisti per 21 veicoli. Finiti i soldi per gli autobus. E i messinesi restano a piedi
Dipendenti senza stipendio da agosto, servizio sospeso
Se vi dovesse capitare di andare a Messina portatevi la macchina, una moto, una bici o un asino: da dieci giorni infatti, caso unico nel mondo occidentale, la città è in ginocchio. Senza più mezzi pubblici. Paralizzata da uno sciopero dei dipendenti che non prendono lo stipendio dalla fine di agosto. Ultima tappa tragica d'una storia scellerata di gestione allegra di pubblico denaro.
Qualcuno in vena di battute amare potrebbe dire che in fondo, i messinesi, hanno avuto modo di abituarsi, all'abolizione degli autobus e dei tram. Anno dopo anno, sotto il peso sempre più schiacciante di scelte disastrose e montagne di debiti, i mezzi pubblici si erano fatti via via più rari. Fino al record del 5 novembre scorso. Quando la Atm (Azienda trasporti Messina) riuscì a mettere in strada, come ha scritto Francesco Celi sulla Gazzetta del Sud, 16 pullman e 5 vetture tranviarie.
Vi chiederete: solo 21 mezzi per una città che coi suoi 245 mila abitanti è la 13a per popolazione d'Italia e copre un territorio di 211 chilometri quadrati che si estende lungo la costa per 55 chilometri? Esatto: 21. Contro i 205 che quella mattina uscivano dalle rimesse in una città con quasi 30 mila abitanti di meno come Padova.
Eppure, sulla carta, le vetture ci sarebbero. La flotta disponibile, spiega un rapporto del direttore generale dell'Atm Claudio Conte, che ha bellicosamente ribaltato le accuse sui partiti e le giunte comunali destrorse e sinistrorse di questi anni, può contare in teoria su 168 autobus. Ma sono così vecchi che, mentre a Trieste vengono contrattualmente dismessi dopo 7 anni di servizio, questi hanno mediamente undici anni. Peggio: quindici hanno passato la ventina e di questi uno è addirittura arrivato alla veneranda età di 24 anni. Il che equivale, in questo settore, a essere acciaccati come un novantenne con l'asma e l'artrite.
Risultato: i pullman in grado concretamente di uscire la mattina per mettersi al servizio dei messinesi sono in media, stando ai dati ufficiali, 47. Peggio, denuncia la Gazzetta: solo 32. Quanto ai tram, sono una dozzina. Ma la metà è di fatto inutilizzata perché, non avendo i soldi per comprare i ricambi, l'altra metà delle vetture è stata utilizzata per recuperare un pezzo di qua, uno di là... In compenso, non difettano gli autisti. Ce ne sono 340. Cioè, se è vera la denuncia del quotidiano peloritano, undici per ogni bus effettivamente disponibile. Più un'altra settantina che anno dopo anno si è smarcata presentando un certificato medico di «inidoneità definitiva». C'è chi non può guidare perché ha la sciatica, chi perché si stressa, chi perché non sopporta il rumore o lo smog...
Totale dei dipendenti attuali (e meno male che per alcune decine è stata spalancata la porta della pensione): 682. Un po' sparsi per gli uffici, un po' nelle officine, un po' in giro per la città a vigilare sui parcheggi comunali, un po' sui pullman, accanto agli autisti, a controllare chi non paga il biglietto. Un lavoro prezioso. Ma svolto seguendo «interpretazioni» così personali che l'azienda ha cercato di licenziarne sette perché colta dal dubbio che, invece che vigilare sulla correttezza dei passeggeri, se ne andassero a passeggio. Al punto che un paio, in quasi un anno di controlli, non avevano scovato neppure un «portoghese » senza biglietto. Manco uno. Manco per sbaglio. Tentativo fallito: i sindacati, che all'Atm possono sventagliare la bellezza di 10 sigle diverse, si son messi di traverso. E l'offensiva «brunettiana», diciamo così, si è risolta in un fiasco. In compenso, come avrebbe denunciato il commissario messo alla testa della società per cercare di arginare la catastrofe, crescevano (sulla carta) gli straordinari. Tanto che molti erano arrivati ad accumulare 150 ore al mese. Cinque al giorno, domeniche comprese.
Va da sé che, mese dopo mese, il degrado è stato inarrestabile. E i chilometri percorsi dalla flotta pubblica messinese, che nel 2003 erano complessivamente 7 milioni e 300mila, sono scesi a 4 milioni e mezzo. La metà di quelli coperti dai «cugini» padovani. E intanto, parallelamente, in una spirale perversa dove non è chiaro se una cosa sia causa dell'altra o viceversa, crollavano gli incassi e i finanziamenti comunali e regionali che dovevano ripianare i debiti.
Che le pubbliche casse debbano aiutare le aziende dei trasporti municipali è ovvio: non c'è autobus al mondo che possa servire i cittadini mantenendosi da solo. Ma c'è modo e modo di «mungere » alle mammelle pubbliche. Nel Nord i biglietti pagati coprono mediamente oltre il 35% dei costi, a Padova il 42%, a Messina il 16 e mezzo. Un disastro. Accentuato col passare degli anni. I ricavi dai ticket e dagli abbonamenti arrivavano nel 1999 a tre milioni e 972 mila euro, quelli del 2007 sono precipitati a due milioni e 958: un milione di euro di perdita secca.
Contemporaneamente, raddoppiava il costo del personale: +106%. Tolta l'inflazione, +86%. «Falso!», strillerà qualcuno: è colpa dei 132 ausiliari del traffico delegati a vigilare sul sistema «gratta e sosta» e dei 90 Lsu che il Comune ha passato all'Atm sventrandone il bilancio! Vero, in parte. Ma in realtà si è impennato in questi anni anche il costo pro capite. Salito per ogni dipendente a quasi 38 mila euro. Quattromila in più di quanto costa mediamente ogni impiegato di Buckingham Palace. Prova provata che c'è qualcosa che non quadra. Come non quadra la «rendita » delle strisce blu e dei parcheggi a pagamento: Padova con 27 addetti raccoglie 10 milioni di euro, Messina con 132 ne raccatta 2.577.183. Un quarto. Col quadruplo del personale.
Fatto sta che davanti a questi dati il consiglio comunale, prima in mano alla destra, poi alla sinistra, pare aver preferito chiudere gli occhi per non vedere. E dal 2001 non ha più approvato, come invece vorrebbe la legge visto che il Comune è il padrone, un solo bilancio dell'Atm. Occhio non vede, cuore non sente, portafoglio non paga. E infatti, messi in un angolo i conti, il Municipio ha ridotto i contributi annui alla sua azienda dei trasporti da quasi 14 a meno di 11 milioni di euro l'anno. Peggio: ha imposto che il biglietto per la corsa semplice (votate, elettori, votate...) costasse 50 centesimi. Dai e dai, l'Atm si è ritrovata con 36 milioni di spese annuali e un buco colossale che cresce di anno in anno dato che i contributi di Regione e Comune, parola del direttore generale, «non coprono neanche il costo del personale».
Il sindaco Giuseppe Buzzanca e il governatore Raffaele Lombardo, adesso, stanno cercando di metterci una pezza. E forse i dipendenti, che non prendono lo stipendio da tre mesi, potranno tirare il fiato. Se anche la protesta si placasse, dopo dieci giorni di paralisi, proteste, insulti, blocchi stradali, resterà comunque il tema: quale futuro può avere un Paese dove esistono aziende pubbliche così? E chi ha sbagliato sarà mai chiamato a pagare?
Fonte: corriere.it
Se vi dovesse capitare di andare a Messina portatevi la macchina, una moto, una bici o un asino: da dieci giorni infatti, caso unico nel mondo occidentale, la città è in ginocchio. Senza più mezzi pubblici. Paralizzata da uno sciopero dei dipendenti che non prendono lo stipendio dalla fine di agosto. Ultima tappa tragica d'una storia scellerata di gestione allegra di pubblico denaro.
Qualcuno in vena di battute amare potrebbe dire che in fondo, i messinesi, hanno avuto modo di abituarsi, all'abolizione degli autobus e dei tram. Anno dopo anno, sotto il peso sempre più schiacciante di scelte disastrose e montagne di debiti, i mezzi pubblici si erano fatti via via più rari. Fino al record del 5 novembre scorso. Quando la Atm (Azienda trasporti Messina) riuscì a mettere in strada, come ha scritto Francesco Celi sulla Gazzetta del Sud, 16 pullman e 5 vetture tranviarie.
Vi chiederete: solo 21 mezzi per una città che coi suoi 245 mila abitanti è la 13a per popolazione d'Italia e copre un territorio di 211 chilometri quadrati che si estende lungo la costa per 55 chilometri? Esatto: 21. Contro i 205 che quella mattina uscivano dalle rimesse in una città con quasi 30 mila abitanti di meno come Padova.
Eppure, sulla carta, le vetture ci sarebbero. La flotta disponibile, spiega un rapporto del direttore generale dell'Atm Claudio Conte, che ha bellicosamente ribaltato le accuse sui partiti e le giunte comunali destrorse e sinistrorse di questi anni, può contare in teoria su 168 autobus. Ma sono così vecchi che, mentre a Trieste vengono contrattualmente dismessi dopo 7 anni di servizio, questi hanno mediamente undici anni. Peggio: quindici hanno passato la ventina e di questi uno è addirittura arrivato alla veneranda età di 24 anni. Il che equivale, in questo settore, a essere acciaccati come un novantenne con l'asma e l'artrite.
Risultato: i pullman in grado concretamente di uscire la mattina per mettersi al servizio dei messinesi sono in media, stando ai dati ufficiali, 47. Peggio, denuncia la Gazzetta: solo 32. Quanto ai tram, sono una dozzina. Ma la metà è di fatto inutilizzata perché, non avendo i soldi per comprare i ricambi, l'altra metà delle vetture è stata utilizzata per recuperare un pezzo di qua, uno di là... In compenso, non difettano gli autisti. Ce ne sono 340. Cioè, se è vera la denuncia del quotidiano peloritano, undici per ogni bus effettivamente disponibile. Più un'altra settantina che anno dopo anno si è smarcata presentando un certificato medico di «inidoneità definitiva». C'è chi non può guidare perché ha la sciatica, chi perché si stressa, chi perché non sopporta il rumore o lo smog...
Totale dei dipendenti attuali (e meno male che per alcune decine è stata spalancata la porta della pensione): 682. Un po' sparsi per gli uffici, un po' nelle officine, un po' in giro per la città a vigilare sui parcheggi comunali, un po' sui pullman, accanto agli autisti, a controllare chi non paga il biglietto. Un lavoro prezioso. Ma svolto seguendo «interpretazioni» così personali che l'azienda ha cercato di licenziarne sette perché colta dal dubbio che, invece che vigilare sulla correttezza dei passeggeri, se ne andassero a passeggio. Al punto che un paio, in quasi un anno di controlli, non avevano scovato neppure un «portoghese » senza biglietto. Manco uno. Manco per sbaglio. Tentativo fallito: i sindacati, che all'Atm possono sventagliare la bellezza di 10 sigle diverse, si son messi di traverso. E l'offensiva «brunettiana», diciamo così, si è risolta in un fiasco. In compenso, come avrebbe denunciato il commissario messo alla testa della società per cercare di arginare la catastrofe, crescevano (sulla carta) gli straordinari. Tanto che molti erano arrivati ad accumulare 150 ore al mese. Cinque al giorno, domeniche comprese.
Va da sé che, mese dopo mese, il degrado è stato inarrestabile. E i chilometri percorsi dalla flotta pubblica messinese, che nel 2003 erano complessivamente 7 milioni e 300mila, sono scesi a 4 milioni e mezzo. La metà di quelli coperti dai «cugini» padovani. E intanto, parallelamente, in una spirale perversa dove non è chiaro se una cosa sia causa dell'altra o viceversa, crollavano gli incassi e i finanziamenti comunali e regionali che dovevano ripianare i debiti.
Che le pubbliche casse debbano aiutare le aziende dei trasporti municipali è ovvio: non c'è autobus al mondo che possa servire i cittadini mantenendosi da solo. Ma c'è modo e modo di «mungere » alle mammelle pubbliche. Nel Nord i biglietti pagati coprono mediamente oltre il 35% dei costi, a Padova il 42%, a Messina il 16 e mezzo. Un disastro. Accentuato col passare degli anni. I ricavi dai ticket e dagli abbonamenti arrivavano nel 1999 a tre milioni e 972 mila euro, quelli del 2007 sono precipitati a due milioni e 958: un milione di euro di perdita secca.
Contemporaneamente, raddoppiava il costo del personale: +106%. Tolta l'inflazione, +86%. «Falso!», strillerà qualcuno: è colpa dei 132 ausiliari del traffico delegati a vigilare sul sistema «gratta e sosta» e dei 90 Lsu che il Comune ha passato all'Atm sventrandone il bilancio! Vero, in parte. Ma in realtà si è impennato in questi anni anche il costo pro capite. Salito per ogni dipendente a quasi 38 mila euro. Quattromila in più di quanto costa mediamente ogni impiegato di Buckingham Palace. Prova provata che c'è qualcosa che non quadra. Come non quadra la «rendita » delle strisce blu e dei parcheggi a pagamento: Padova con 27 addetti raccoglie 10 milioni di euro, Messina con 132 ne raccatta 2.577.183. Un quarto. Col quadruplo del personale.
Fatto sta che davanti a questi dati il consiglio comunale, prima in mano alla destra, poi alla sinistra, pare aver preferito chiudere gli occhi per non vedere. E dal 2001 non ha più approvato, come invece vorrebbe la legge visto che il Comune è il padrone, un solo bilancio dell'Atm. Occhio non vede, cuore non sente, portafoglio non paga. E infatti, messi in un angolo i conti, il Municipio ha ridotto i contributi annui alla sua azienda dei trasporti da quasi 14 a meno di 11 milioni di euro l'anno. Peggio: ha imposto che il biglietto per la corsa semplice (votate, elettori, votate...) costasse 50 centesimi. Dai e dai, l'Atm si è ritrovata con 36 milioni di spese annuali e un buco colossale che cresce di anno in anno dato che i contributi di Regione e Comune, parola del direttore generale, «non coprono neanche il costo del personale».
Il sindaco Giuseppe Buzzanca e il governatore Raffaele Lombardo, adesso, stanno cercando di metterci una pezza. E forse i dipendenti, che non prendono lo stipendio da tre mesi, potranno tirare il fiato. Se anche la protesta si placasse, dopo dieci giorni di paralisi, proteste, insulti, blocchi stradali, resterà comunque il tema: quale futuro può avere un Paese dove esistono aziende pubbliche così? E chi ha sbagliato sarà mai chiamato a pagare?
Fonte: corriere.it
3 apr 2008
Sicilia, a tutti i dipendenti un bonus e la promozione
In Sicilia è in arrivo un generoso regalo elettorale con la promozione in blocco dei 18mila dipendenti della Regione. Saranno tutti premiati utilizzando le risorse sottratte al Fondo creato per remunerare i lavoratori più produttivi.
La progressione economica e di carriera è prevista dal rinnovo del biennio economico del contratto nazionale 2006-2007 dei dipendenti della regione Sicilia (esclusi i dirigenti) che rende operativi anche gli aumenti economici medi del 4,85% (113,85 euro complessivi al parametro medio).
Ma iniziamo dalla distribuzione a pioggia dei 16 milioni del Famp, il fondo di amministrazione per il miglioramento delle prestazioni, che sono assegnati a tutti i dipendenti regionali, senza alcuna verifica sui risultati raggiunti. Con decorrenza 1° gennaio 2008 beneficeranno di una cifra che annualmente si attesta sui 755 euro medi (per il parametro C4), ma che raggiunge ai livelli apicali 1.474 euro (D6). Il "premio" che in media si aggira sui 63 euro mensili – per le posizioni economiche superiori sfiora i 123 euro – scatta per effetto della promozione che riguarda tutti i dipendenti che saliranno di un gradino: i 486 inquadrati al parametro C4 scivoleranno al C5, e così via.
Mercoledì i rappresentanti sindacali sono convocati per la firma dell'intesa all'Aran regionale. Non sfuggirà certo che soltanto pochi mesi fa nel Memorandum sul pubblico impiego, sindacati, governo, enti locali e amministrazioni autonome si impegnarono a premiare il merito per migliorare l'efficienza delle pubbliche amministrazioni, introducendo parametri di misurazione delle prestazioni e della qualità dei servizi.
Per questa operazione la Regione Sicilia ha previsto una deroga, in modo da aggirare il limite del 30% dell'utilizzo del Fondo produttività per le progressioni economiche dei dipendenti. Le risorse per le nuove posizioni economiche saranno assicurate per il 50% con gli accantonamenti da effettuare sul Fondo per il 2007 e per il restante 50% a valere sul 2008. Dal 2009, quando la misura entrerà a regime, l'impatto sarà totale e il Fondo (che attualmente ha una dote di 43 milioni) sarà decurtato al 100% per finanziare le progressioni economiche di tutti i dipendenti, che valgono 16 milioni di euro. Ciò significa che alla Regione Sicilia ci saranno sempre meno soldi per premiare i più meritevoli. Qualche sindacalista ammette che il contratto si poteva chiudere anche un mese fa – a gennaio sono state individuate le risorse con la Finanziaria regionale – e avanza il sospetto che volutamente la giunta regionale abbia approvato la direttiva d'indirizzo in prossimità delle elezioni. Un comunicato stampa della Regione siciliana spiega le ragioni di questa decisione: lo scopo è quello di «consentire almeno in parte il recupero del potere d'acquisto dei dipendenti». Non va trascurato che i trattamenti dei dipendenti della Regione sono considerati un modello, tanto da spingere circa un anno fa i Cobas e l'Mpa di Raffaele Lombardo a proporre l'estensione di questo contratto al personale di enti locali e sanità.
La firma del contratto sblocca anche gli aumenti del biennio 2006-2007 che in media si aggirano sui 113,85 euro, comprensivi dell'indennità di amministrazione (100 euro sul minimo tabellare). Complessivamente gli aumenti in busta paga vanno da un minimo di 73,50 ad un massimo di 139,71 euro, per un impatto finanziario che, a regime, sfiora i 27 milioni. Sul versante normativo – per il quadriennio 2006-2009 - sono state accolte le importanti novità disciplinari introdotte nei contratti nazionali sul licenziamento del dipendente arrestato perché colto in flagranza, a commettere reati di peculato, concussione o corruzione, se l'arresto è stato convalidato dal giudice per le indagini preliminari. È prevista la sospensione dal servizio e il taglio della retribuzione – da 11 giorni a 6 mesi – in caso di elusione dei sistemi di rilevamento elettronico della presenza, manomissione dei fogli di presenza (anche a carico di chi avalli o permetta simili comportamenti), alterchi gravi negli ambienti di lavoro anche con gli utenti.
Fonte: ilsole24ore.com
La progressione economica e di carriera è prevista dal rinnovo del biennio economico del contratto nazionale 2006-2007 dei dipendenti della regione Sicilia (esclusi i dirigenti) che rende operativi anche gli aumenti economici medi del 4,85% (113,85 euro complessivi al parametro medio).
Ma iniziamo dalla distribuzione a pioggia dei 16 milioni del Famp, il fondo di amministrazione per il miglioramento delle prestazioni, che sono assegnati a tutti i dipendenti regionali, senza alcuna verifica sui risultati raggiunti. Con decorrenza 1° gennaio 2008 beneficeranno di una cifra che annualmente si attesta sui 755 euro medi (per il parametro C4), ma che raggiunge ai livelli apicali 1.474 euro (D6). Il "premio" che in media si aggira sui 63 euro mensili – per le posizioni economiche superiori sfiora i 123 euro – scatta per effetto della promozione che riguarda tutti i dipendenti che saliranno di un gradino: i 486 inquadrati al parametro C4 scivoleranno al C5, e così via.
Mercoledì i rappresentanti sindacali sono convocati per la firma dell'intesa all'Aran regionale. Non sfuggirà certo che soltanto pochi mesi fa nel Memorandum sul pubblico impiego, sindacati, governo, enti locali e amministrazioni autonome si impegnarono a premiare il merito per migliorare l'efficienza delle pubbliche amministrazioni, introducendo parametri di misurazione delle prestazioni e della qualità dei servizi.
Per questa operazione la Regione Sicilia ha previsto una deroga, in modo da aggirare il limite del 30% dell'utilizzo del Fondo produttività per le progressioni economiche dei dipendenti. Le risorse per le nuove posizioni economiche saranno assicurate per il 50% con gli accantonamenti da effettuare sul Fondo per il 2007 e per il restante 50% a valere sul 2008. Dal 2009, quando la misura entrerà a regime, l'impatto sarà totale e il Fondo (che attualmente ha una dote di 43 milioni) sarà decurtato al 100% per finanziare le progressioni economiche di tutti i dipendenti, che valgono 16 milioni di euro. Ciò significa che alla Regione Sicilia ci saranno sempre meno soldi per premiare i più meritevoli. Qualche sindacalista ammette che il contratto si poteva chiudere anche un mese fa – a gennaio sono state individuate le risorse con la Finanziaria regionale – e avanza il sospetto che volutamente la giunta regionale abbia approvato la direttiva d'indirizzo in prossimità delle elezioni. Un comunicato stampa della Regione siciliana spiega le ragioni di questa decisione: lo scopo è quello di «consentire almeno in parte il recupero del potere d'acquisto dei dipendenti». Non va trascurato che i trattamenti dei dipendenti della Regione sono considerati un modello, tanto da spingere circa un anno fa i Cobas e l'Mpa di Raffaele Lombardo a proporre l'estensione di questo contratto al personale di enti locali e sanità.
La firma del contratto sblocca anche gli aumenti del biennio 2006-2007 che in media si aggirano sui 113,85 euro, comprensivi dell'indennità di amministrazione (100 euro sul minimo tabellare). Complessivamente gli aumenti in busta paga vanno da un minimo di 73,50 ad un massimo di 139,71 euro, per un impatto finanziario che, a regime, sfiora i 27 milioni. Sul versante normativo – per il quadriennio 2006-2009 - sono state accolte le importanti novità disciplinari introdotte nei contratti nazionali sul licenziamento del dipendente arrestato perché colto in flagranza, a commettere reati di peculato, concussione o corruzione, se l'arresto è stato convalidato dal giudice per le indagini preliminari. È prevista la sospensione dal servizio e il taglio della retribuzione – da 11 giorni a 6 mesi – in caso di elusione dei sistemi di rilevamento elettronico della presenza, manomissione dei fogli di presenza (anche a carico di chi avalli o permetta simili comportamenti), alterchi gravi negli ambienti di lavoro anche con gli utenti.
Fonte: ilsole24ore.com
4 mar 2008
La lega Lombardo
Assunzioni. Consulenze. Clientele. Dalla sanità agli enti pubblici. Così il leader dell'Movimento per le autonomie (Mpa) ha costruito il suo sistema di potere. Che piace a Silvio Berlusconi. Per vincere la sfida in Sicilia
La lettera della Tor di Valle Costruzioni porta la data del 21 gennaio e accusa la Provincia di non essere riuscita in cinque anni a espropriare i terreni dove dovrebbe sorgere la nuova caserma dei vigili del fuoco di Catania. Eppure solo una settimana prima decine di persone avevano assistito alla posa della prima pietra: una inaugurazione virtuale che, una volta smascherata, sarebbe diventata un de profundis per qualunque amministratore pubblico. Non per lui. Non per don Raffaele Lombardo da Grammichele, provincia di Catania, psichiatra e europarlamentare, presidente della provincia e leader del Movimento politico autonomista, ex carcerato (poi assolto) ed ex democristiano.
Una ricerca del 'Sole 24 Ore' racconta che nel 2007 gli elettori hanno collocato Lombardo al secondo posto tra i presidenti di provincia più graditi d'Italia. I sondaggi pronosticano che sarà lui, e non la democratica Anna Finocchiaro, a succedere a Totò Cuffaro sulla poltrona di governatore della Sicilia. Mentre Silvio Berlusconi, sebbene non ne ami né i baffi né il riporto di capelli, conta su Lombardo (125 mila preferenze alle europee e 13 per cento alle regionali) per ottenere nell'isola quel premio di maggioranza al Senato che a Roma gli permetterà di governare. E allora cosa volete che importi a Lombardo di quella lettera, inviata in copia anche alla Corte dei conti. Certo, dentro si legge che presto l'impresa potrebbe chiedere un risarcimento danni a causa "dell'incapacità dell'ente appaltante (la Provincia di Catania) a sbloccare la situazione"; che "la Provincia ha omesso di effettuare un atto necessario, ovvero l'esproprio dell'area". Ma Lombardo, intanto, è tranquillo. Ventiquattr'ore prima della cerimonia, aveva fatto sapere di non poter partecipare. E così per una volta la sua foto sui giornali non c'era finita.
In trent'anni di attività l'ex delfino del ministro dc Calogero Mannino ha del resto imparato che in politica il punto non è essere. È apparire. E anche se nell'incontro che ha sancito l'alleanza con Berlusconi, Lombardo ha snocciolato una serie di richieste in cui, Ponte sullo Stretto a parte, spicca la "lotta agli sprechi, a partire da quelli della sanità", lui e l'Mpa, badano più a occupare i centri di potere che ad amministrare. Paradossalmente infatti in Sicilia più si governa e più si ottiene consenso. Più saranno gli amministratori del tuo partito e più saranno i voti perché molti, anzi moltissimi, saranno i favori che si potranno elargire.
Così Angelo Lombardo, il fratello di don Raffaele, dopo essere entrato in Regione sull'onda di 25 mila preferenze, ha presentato un unico disegno di legge: quello che dovrebbe permettere la creazione di nuove province, a partire da Caltagirone che casualmente dista solo 13 chilometri dalla natia Grammichele. Altre province, altri stipendi e gettoni di presenza, altri amministratori, ovvero altri voti da aggiungere a quelli che già porta l'esercito dell'Mpa: 800 consiglieri comunali, 40 presidenti di consigli comunali, 50 sindaci, più tre assessori e dieci deputati regionali. Un'invincibile armata sempre più forte. Lombardo recluta nuovi colonnelli tra le fila del teorico nemico (l'ultimo è stato Giuseppe Lauricella, figlio dello storico leader Psi, due anni fa candidato all'Ars con i Ds); in altre regioni (in Campania il leader del movimento sarà l'ex ministro dc, Enzo Scotti); e soprattutto rafforza il suo formidabile apparato di vettovagliamento.
Sì, perché è nelle retrovie che sta la vera forza di Lombardo. A partire dal 2005, anno di nascita dell'Mpa, i suoi uomini hanno inesorabilmente conquistato gli enti pubblici, occupato le società partecipate, assunto o fatto assumere centinaia di precari. Che quella sia la sua tattica, lui non ne ha mai fatto mistero. Quando in tribunale si era ritrovato a difendersi dall'accusa di aver ricevuto parte delle tangenti versate dall'ex presidente dell'Inter Ernesto Pellegrini per accaparrarsi le forniture all'Usl 35, Lombardo aveva sostenuto di aver respinto le offerte di denaro, e di "essersi limitato a chiedere assunzioni".
E la decisione di uno dei manager di Pellegrini di avvalersi in aula della facoltà di non rispondere, dopo aver invece detto ai pm di avergli versato 200 milioni, aveva fatto il resto: Lombardo assolto con tanto di risarcimento di 33 mila euro per ingiusta detenzione. Stessa storia, o quasi, per i concorsi truccati della medesima Usl. Secondo i giudici la sua segreteria aveva anticipato ad alcuni candidati i temi di un concorso. Nella sentenza si legge che dalle intercettazioni telefoniche era emerso che uno dei membri del comitato dei garanti della Usl e Lombardo "erano uniti da enormi interessi in concorsi e pratiche di enti pubblici". Ma dopo la condanna per abuso d'ufficio. in appello era arrivata l'assoluzione.
Dal punto di vista giudiziario, insomma, don Raffaele è bianco come un giglio. Tanto da essere riuscito a prendere con sé l'ex procuratore generale di Catania, Giacomo Scalzo, e Romeo Palma, magistrato della Corte dei conti e fratello dell'ex procuratore aggiunto di Palermo, Anna Palma. Da quello politico, beh è tutta un'altra storia. Nella sanità siciliana (ma non solo) la militarizzazione prosegue spedita. Battendo le orme dell'amico Clemente Mastella, Lombardo, ha messo alla testa della Ausl di Enna suo cognato Francesco Judica, poi ha conquistato a Catania un direttore amministrativo all'ospedale Cannizzaro, un direttore sanitario all'ospedale Garibaldi, un direttore generale a quello di Caltagirone... L'elenco è lunghissimo e va aggiornato di continuo, anche con le altre poltrone di peso occupate nelle aziende dei rifiuti e nei parchi regionali.
Ma è all'aeroporto Fontanarossa di Catania che Lombardo ha compiuto il suo capolavoro. La Sac, la società che lo gestisce, è partecipata dalla Provincia. Così l'Mpa può intervenire sulle assunzioni, tramite la Sac Service capitanata da un uomo di Lombardo, e soprattutto occuparsi del costruendo aeroporto di Comiso, in società con Mario Ciancio Sanfilippo. E a Catania, Ciancio vuol dire la stampa, tutta la stampa (sono sue 'La Sicilia' e buona parte delle tv private). Se si considera poi che Ciancio è socio di un'importante iniziativa immobiliare di Ennio Virlinzi, sponsor di Lombardo fin dalla prima ora, diventa chiaro perché sulle metodologie dell'eurodeputato, l'opinione pubblica non sia pienamente informata.
Tutti i catanesi, per esempio, hanno ben presente che l'amministrazione del Comune da parte del medico personale di Berlusconi, Umberto Scapagnini, oggi dimissionario, è stata un disastro. Il municipio è a un passo dal fallimento. Nel 2007 sono mancati persino i soldi per illuminare interi quartieri, ma per tutti il colpevole è lui: l'etereo Scapagnini. In realtà in giunta e in consiglio negli ultimi tre anni l'ha fatta da padrone l'Mpa, che in città ha raccolto grazie a un gioco di prestigio (Lombardo aveva presentato quattro diverse liste, contando che familiari e amici di tutti i candidati sarebbero corsi a votare) il 20 per cento dei consensi. E soprattutto Catania è l'unica amministrazione d'Italia dove il capo del personale, l'ingegnere capo e il ragioniere generale, lavorano sia per la Provincia che per il Comune. Miracolo dei contratti di consulenza che Lombardo alla Provincia ha utilizzato con maestria.
Pippo Pignataro, un consigliere provinciale di centrosinistra, spiega che le consulenze servono a Lombardo per convincere gli uomini degli altri partiti a passare con lui: "A rotazione fa dimettere gli assessori per nominarne altri e ricompensare i dimissionari scegliendoli come consulenti o dando loro altri incarichi". Eclatante il caso dell'assessore allo Sport Daniele Capuana, dimessosi in vista delle regionali del 2006, poi tornato all'assessorato, e nell'intermezzo nominato consulente.
A scorrere l'elenco dei benificiati c'è da restare impressionati. Dentro c'è di tutto. Anche il vero Richelieu di Lombardo, il professor Elio Rossitto, un ex comunista, consigliere negli anni '80 del presidente della Regione, Rino Nicolosi, poi accusato dallo stesso Nicolosi di aver fatto parte del comitato di affari che spartiva tutti gli appalti siciliani, ma infine assolto. In totale fanno circa 300 persone, da aggiungere ai 760 dipendenti della Provincia, e ai 500 che ricevono invece lo stipendio dalla Publiservizi, una controllata di diritto privato che si può così permettere il lusso di assumere gente senza concorsi pubblici. Il risultato è che gli autisti della Publiservizi a volte sono consiglieri comunali (o loro parenti) di paesi dell'hinterland, e che tra gli altri assunti ve ne è uno la cui occupazione principale è pulire una voliera per uccelli. Per questo persino gli alleati di Forza Italia si lamentano. Dice il consigliere azzurro Carmelo Giuffrida: "Ha usato l'ente per aggregare persone di varie aree politiche. Appena insediato, aveva detto di volere giunte snelle. Due mesi fa invece ha nominato un ennesimo assessore, l'ex consigliere di An Filippo Condorelli, precedentemente nominato consulente alla protezione civile, e alle ultime comunali di Paternò candidato sindaco dell'Mpa". Come dire: attento Silvio, con Lombardo si vince, ma governare poi è tutta un'altra storia.
Fonte: espresso.repubblica.it
La lettera della Tor di Valle Costruzioni porta la data del 21 gennaio e accusa la Provincia di non essere riuscita in cinque anni a espropriare i terreni dove dovrebbe sorgere la nuova caserma dei vigili del fuoco di Catania. Eppure solo una settimana prima decine di persone avevano assistito alla posa della prima pietra: una inaugurazione virtuale che, una volta smascherata, sarebbe diventata un de profundis per qualunque amministratore pubblico. Non per lui. Non per don Raffaele Lombardo da Grammichele, provincia di Catania, psichiatra e europarlamentare, presidente della provincia e leader del Movimento politico autonomista, ex carcerato (poi assolto) ed ex democristiano.
Una ricerca del 'Sole 24 Ore' racconta che nel 2007 gli elettori hanno collocato Lombardo al secondo posto tra i presidenti di provincia più graditi d'Italia. I sondaggi pronosticano che sarà lui, e non la democratica Anna Finocchiaro, a succedere a Totò Cuffaro sulla poltrona di governatore della Sicilia. Mentre Silvio Berlusconi, sebbene non ne ami né i baffi né il riporto di capelli, conta su Lombardo (125 mila preferenze alle europee e 13 per cento alle regionali) per ottenere nell'isola quel premio di maggioranza al Senato che a Roma gli permetterà di governare. E allora cosa volete che importi a Lombardo di quella lettera, inviata in copia anche alla Corte dei conti. Certo, dentro si legge che presto l'impresa potrebbe chiedere un risarcimento danni a causa "dell'incapacità dell'ente appaltante (la Provincia di Catania) a sbloccare la situazione"; che "la Provincia ha omesso di effettuare un atto necessario, ovvero l'esproprio dell'area". Ma Lombardo, intanto, è tranquillo. Ventiquattr'ore prima della cerimonia, aveva fatto sapere di non poter partecipare. E così per una volta la sua foto sui giornali non c'era finita.
In trent'anni di attività l'ex delfino del ministro dc Calogero Mannino ha del resto imparato che in politica il punto non è essere. È apparire. E anche se nell'incontro che ha sancito l'alleanza con Berlusconi, Lombardo ha snocciolato una serie di richieste in cui, Ponte sullo Stretto a parte, spicca la "lotta agli sprechi, a partire da quelli della sanità", lui e l'Mpa, badano più a occupare i centri di potere che ad amministrare. Paradossalmente infatti in Sicilia più si governa e più si ottiene consenso. Più saranno gli amministratori del tuo partito e più saranno i voti perché molti, anzi moltissimi, saranno i favori che si potranno elargire.
Così Angelo Lombardo, il fratello di don Raffaele, dopo essere entrato in Regione sull'onda di 25 mila preferenze, ha presentato un unico disegno di legge: quello che dovrebbe permettere la creazione di nuove province, a partire da Caltagirone che casualmente dista solo 13 chilometri dalla natia Grammichele. Altre province, altri stipendi e gettoni di presenza, altri amministratori, ovvero altri voti da aggiungere a quelli che già porta l'esercito dell'Mpa: 800 consiglieri comunali, 40 presidenti di consigli comunali, 50 sindaci, più tre assessori e dieci deputati regionali. Un'invincibile armata sempre più forte. Lombardo recluta nuovi colonnelli tra le fila del teorico nemico (l'ultimo è stato Giuseppe Lauricella, figlio dello storico leader Psi, due anni fa candidato all'Ars con i Ds); in altre regioni (in Campania il leader del movimento sarà l'ex ministro dc, Enzo Scotti); e soprattutto rafforza il suo formidabile apparato di vettovagliamento.
Sì, perché è nelle retrovie che sta la vera forza di Lombardo. A partire dal 2005, anno di nascita dell'Mpa, i suoi uomini hanno inesorabilmente conquistato gli enti pubblici, occupato le società partecipate, assunto o fatto assumere centinaia di precari. Che quella sia la sua tattica, lui non ne ha mai fatto mistero. Quando in tribunale si era ritrovato a difendersi dall'accusa di aver ricevuto parte delle tangenti versate dall'ex presidente dell'Inter Ernesto Pellegrini per accaparrarsi le forniture all'Usl 35, Lombardo aveva sostenuto di aver respinto le offerte di denaro, e di "essersi limitato a chiedere assunzioni".
E la decisione di uno dei manager di Pellegrini di avvalersi in aula della facoltà di non rispondere, dopo aver invece detto ai pm di avergli versato 200 milioni, aveva fatto il resto: Lombardo assolto con tanto di risarcimento di 33 mila euro per ingiusta detenzione. Stessa storia, o quasi, per i concorsi truccati della medesima Usl. Secondo i giudici la sua segreteria aveva anticipato ad alcuni candidati i temi di un concorso. Nella sentenza si legge che dalle intercettazioni telefoniche era emerso che uno dei membri del comitato dei garanti della Usl e Lombardo "erano uniti da enormi interessi in concorsi e pratiche di enti pubblici". Ma dopo la condanna per abuso d'ufficio. in appello era arrivata l'assoluzione.
Dal punto di vista giudiziario, insomma, don Raffaele è bianco come un giglio. Tanto da essere riuscito a prendere con sé l'ex procuratore generale di Catania, Giacomo Scalzo, e Romeo Palma, magistrato della Corte dei conti e fratello dell'ex procuratore aggiunto di Palermo, Anna Palma. Da quello politico, beh è tutta un'altra storia. Nella sanità siciliana (ma non solo) la militarizzazione prosegue spedita. Battendo le orme dell'amico Clemente Mastella, Lombardo, ha messo alla testa della Ausl di Enna suo cognato Francesco Judica, poi ha conquistato a Catania un direttore amministrativo all'ospedale Cannizzaro, un direttore sanitario all'ospedale Garibaldi, un direttore generale a quello di Caltagirone... L'elenco è lunghissimo e va aggiornato di continuo, anche con le altre poltrone di peso occupate nelle aziende dei rifiuti e nei parchi regionali.
Ma è all'aeroporto Fontanarossa di Catania che Lombardo ha compiuto il suo capolavoro. La Sac, la società che lo gestisce, è partecipata dalla Provincia. Così l'Mpa può intervenire sulle assunzioni, tramite la Sac Service capitanata da un uomo di Lombardo, e soprattutto occuparsi del costruendo aeroporto di Comiso, in società con Mario Ciancio Sanfilippo. E a Catania, Ciancio vuol dire la stampa, tutta la stampa (sono sue 'La Sicilia' e buona parte delle tv private). Se si considera poi che Ciancio è socio di un'importante iniziativa immobiliare di Ennio Virlinzi, sponsor di Lombardo fin dalla prima ora, diventa chiaro perché sulle metodologie dell'eurodeputato, l'opinione pubblica non sia pienamente informata.
Tutti i catanesi, per esempio, hanno ben presente che l'amministrazione del Comune da parte del medico personale di Berlusconi, Umberto Scapagnini, oggi dimissionario, è stata un disastro. Il municipio è a un passo dal fallimento. Nel 2007 sono mancati persino i soldi per illuminare interi quartieri, ma per tutti il colpevole è lui: l'etereo Scapagnini. In realtà in giunta e in consiglio negli ultimi tre anni l'ha fatta da padrone l'Mpa, che in città ha raccolto grazie a un gioco di prestigio (Lombardo aveva presentato quattro diverse liste, contando che familiari e amici di tutti i candidati sarebbero corsi a votare) il 20 per cento dei consensi. E soprattutto Catania è l'unica amministrazione d'Italia dove il capo del personale, l'ingegnere capo e il ragioniere generale, lavorano sia per la Provincia che per il Comune. Miracolo dei contratti di consulenza che Lombardo alla Provincia ha utilizzato con maestria.
Pippo Pignataro, un consigliere provinciale di centrosinistra, spiega che le consulenze servono a Lombardo per convincere gli uomini degli altri partiti a passare con lui: "A rotazione fa dimettere gli assessori per nominarne altri e ricompensare i dimissionari scegliendoli come consulenti o dando loro altri incarichi". Eclatante il caso dell'assessore allo Sport Daniele Capuana, dimessosi in vista delle regionali del 2006, poi tornato all'assessorato, e nell'intermezzo nominato consulente.
A scorrere l'elenco dei benificiati c'è da restare impressionati. Dentro c'è di tutto. Anche il vero Richelieu di Lombardo, il professor Elio Rossitto, un ex comunista, consigliere negli anni '80 del presidente della Regione, Rino Nicolosi, poi accusato dallo stesso Nicolosi di aver fatto parte del comitato di affari che spartiva tutti gli appalti siciliani, ma infine assolto. In totale fanno circa 300 persone, da aggiungere ai 760 dipendenti della Provincia, e ai 500 che ricevono invece lo stipendio dalla Publiservizi, una controllata di diritto privato che si può così permettere il lusso di assumere gente senza concorsi pubblici. Il risultato è che gli autisti della Publiservizi a volte sono consiglieri comunali (o loro parenti) di paesi dell'hinterland, e che tra gli altri assunti ve ne è uno la cui occupazione principale è pulire una voliera per uccelli. Per questo persino gli alleati di Forza Italia si lamentano. Dice il consigliere azzurro Carmelo Giuffrida: "Ha usato l'ente per aggregare persone di varie aree politiche. Appena insediato, aveva detto di volere giunte snelle. Due mesi fa invece ha nominato un ennesimo assessore, l'ex consigliere di An Filippo Condorelli, precedentemente nominato consulente alla protezione civile, e alle ultime comunali di Paternò candidato sindaco dell'Mpa". Come dire: attento Silvio, con Lombardo si vince, ma governare poi è tutta un'altra storia.
Fonte: espresso.repubblica.it
4 ago 2007
Palermo: assunti 110 autisti senza patente
PALERMO - Domandina facile facile: cosa deve avere un autista? La patente, direte voi. Esatto. Ma non a Palermo. Non sotto elezioni. L'assessore al personale ha fatto assumere infatti all'azienda dei trasporti 110 conducenti. Tutti e 110 ignari di come si debba guidare un autobus. «Impareranno», ha risposto a chi si scandalizzava: «Questione di pochi mesi». Giusto il tempo di incassare il voto riconoscente dei beneficiati alle prossime «comunali». E se poi non imparano a guidare? Boh...
Il protagonista della storia si chiama Alberto Campagna, ha 53 anni, un diploma di perito industriale, i capelli radi tirati all'indietro e un paio di baffi alla Pasqualino Settebellezze. Ricordate quando Silvio Berlusconi scese in campo dicendo che Forza Italia era una «nave di sognatori» carica di «uomini nuovi alla politica» e «campioni nelle proprie professioni» e decisi a «sradicare il clientelismo»? Ecco, lui gestisce quel sogno a modo suo. Consigliere comunale azzurro dal 1997, ha ottenuto dal sindaco Diego Cammarata un mucchio di deleghe: «Risorse umane, Servizi demografici, Postazioni anagrafiche, Rapporti col consiglio comunale, Attività Socialmente Utili e Risorse non Contrattualizzate». Traduzione: è assessore al personale assunto e a quello da assumere. Possibilmente accontentando innanzitutto gli amici e gli amici degli amici. La prima ad essergli riconoscente, in verità, è stata la moglie. Si chiama Cinzia Ficarra, è stata assunta negli uffici dell'ex «Municipalgas» e ha visto il suo nome al centro delle prime polemiche intorno al marito e ai suoi sistemi di gestire le antiche municipalizzate piuttosto lontani dallo «sradicamento del clientelismo». Era il settembre dell'anno scorso e dopo un lungo braccio di ferro il consigliere comunale diessino Davide Faraone aveva ottenuto finalmente l'elenco di centinaia di persone assunte all'Amg (gas), all'Amat (trasporti urbani), Amap (acqua), alla Sispi (sistemi informatici), Amia (servizi di igiene e rifiuti). Si capì allora perché quell'elenco fosse stato tenuto segreto per mesi e mesi con una motivazione ridicola («c'è la privacy...») rimossa solo da un intervento dell'authority che aveva spiegato come fosse assurdo invocare la segretezza in una materia come quella.
La lista degli assunti, arruolati nelle ex municipalizzate per chiamata diretta e senza concorso, era infatti zeppa di amici politici, candidati trombati da risarcire con uno stipendio pubblico, segretari e funzionari di partito da sistemare. E poi mogli (quella di Campagna), figli (come Giuseppe e Tania Tito, rampolli di quello che allora era il presidente dell'Authority sulle aziende municipali per poi diventare addirittura il «difensore civico» comunale nonostante la legge escludesse chi era stato come lui candidato alle elezioni!) e sorelle, cognati, nuore, generi, cugini... Una schifezza. Che infangò soprattutto i partiti della Casa delle Libertà, da Alleanza Nazionale all'Udc, ma che lasciò qualche schizzo di fango anche sulla sinistra per il sorprendente inserimento, tra i raccomandati che avevano trovato una sistemazione, di Tiberio, il figlio di Francesco Cantafia, già segretario della Camera del lavoro e poi deputato regionale della Quercia. E che costrinse la magistratura, seppellita sotto una catasta di lettere e di esposti, ad aprire un'inchiesta. Insomma: che qualcuno approfittasse in modo indecente della libertà concessa alle nuove SpA municipali di potersi muovere sul fronte delle assunzioni senza quel minimo di rigidità (concorsi, documenti, graduatorie...) imposto dalla legge agli enti pubblici, era già chiaro da un pezzo. Né i siciliani si facevano illusioni su una svolta liberale, pulita, meritocratica.
Tutto già visto. Troppe volte. Basti ricordare le recenti, incredibili, assunzioni al 118 di autisti delle ambulanze del tutto ignari delle strade e di portantini così inesperti, sciatti e incapaci da rovesciare i malati dalle barelle o peggio ancora decisi a presentare subito dopo l'assunzione certificati medici attestanti che come portantini non potevano portare nulla perché affetti da questa o quella invalidità. Una storia come quella accaduta all'Amat e raccontata ieri sulle pagine locali da «Repubblica», però, non si era mai vista neppure in Sicilia, dove una settantina di Lsu sono stati assunti un anno fa per «contare i tombini e le caditoie, cioè le feritoie nei marciapiedi che permettono il deflusso delle acque piovane» e dove Totò Cuffaro si fa vanto nella biografia ufficiale curata da Francesco Foresta di avere stabilizzato (cioè assunto definitivamente) 55 mila precari.
A metà febbraio, con una lettera ufficiale ai vertici di Palazzo delle Aquile, cioè del Comune, il presidente della società dei trasporti Sergio Rodi aveva segnalato l'urgenza di tappare i buchi lasciati negli organici dal pensionamento di oltre un centinaio di autisti. Buchi che impedivano all'azienda di svolgere la sua funzione. Va da sé che in qualunque altro posto al mondo avrebbero fatto un bando: «A.A.A. Azienda comunale trasporti cerca 110 autisti, indispensabile la patente D». In qualunque posto, ma non a Palermo alla vigilia delle elezioni comunali che vedranno lo scontro tra Diego Cammarata e il suo predecessore Leoluca Orlando. E così la giunta comunale ha deliberato l'assunzione di 110 precari dei quali non uno, neanche per sbaglio, ha la patente D (la più difficile da ottenere) richiesta per guidare i pullman pubblici. Di più: ha scritto nero su bianco che «nel periodo di addestramento e dunque nella fase antecedente il conseguimento della patente di guida richiesta, i lavoratori selezionati saranno utilizzati come lsu presso l'Amat». E se qualcuno non ce la facesse a passare l'esame o non avesse alcuna voglia di mettersi al volante? Amen, ha risposto Alberto Campagna: «Perché dovremmo assumere nuovo personale quando abbiamo ancora gli lsu da stabilizzare? Abbiamo fatto una promessa a questi lavoratori precari: abbiamo assicurato loro che sarebbero stati assunti. Dobbiamo rispettare la parola data». E meno male che non c'erano da assumere ingegneri chimici, urbanisti o chirurghi: l'attesa che si laureassero sarebbe stata più lunga...
Fonte: corriere.it
Il protagonista della storia si chiama Alberto Campagna, ha 53 anni, un diploma di perito industriale, i capelli radi tirati all'indietro e un paio di baffi alla Pasqualino Settebellezze. Ricordate quando Silvio Berlusconi scese in campo dicendo che Forza Italia era una «nave di sognatori» carica di «uomini nuovi alla politica» e «campioni nelle proprie professioni» e decisi a «sradicare il clientelismo»? Ecco, lui gestisce quel sogno a modo suo. Consigliere comunale azzurro dal 1997, ha ottenuto dal sindaco Diego Cammarata un mucchio di deleghe: «Risorse umane, Servizi demografici, Postazioni anagrafiche, Rapporti col consiglio comunale, Attività Socialmente Utili e Risorse non Contrattualizzate». Traduzione: è assessore al personale assunto e a quello da assumere. Possibilmente accontentando innanzitutto gli amici e gli amici degli amici. La prima ad essergli riconoscente, in verità, è stata la moglie. Si chiama Cinzia Ficarra, è stata assunta negli uffici dell'ex «Municipalgas» e ha visto il suo nome al centro delle prime polemiche intorno al marito e ai suoi sistemi di gestire le antiche municipalizzate piuttosto lontani dallo «sradicamento del clientelismo». Era il settembre dell'anno scorso e dopo un lungo braccio di ferro il consigliere comunale diessino Davide Faraone aveva ottenuto finalmente l'elenco di centinaia di persone assunte all'Amg (gas), all'Amat (trasporti urbani), Amap (acqua), alla Sispi (sistemi informatici), Amia (servizi di igiene e rifiuti). Si capì allora perché quell'elenco fosse stato tenuto segreto per mesi e mesi con una motivazione ridicola («c'è la privacy...») rimossa solo da un intervento dell'authority che aveva spiegato come fosse assurdo invocare la segretezza in una materia come quella.
La lista degli assunti, arruolati nelle ex municipalizzate per chiamata diretta e senza concorso, era infatti zeppa di amici politici, candidati trombati da risarcire con uno stipendio pubblico, segretari e funzionari di partito da sistemare. E poi mogli (quella di Campagna), figli (come Giuseppe e Tania Tito, rampolli di quello che allora era il presidente dell'Authority sulle aziende municipali per poi diventare addirittura il «difensore civico» comunale nonostante la legge escludesse chi era stato come lui candidato alle elezioni!) e sorelle, cognati, nuore, generi, cugini... Una schifezza. Che infangò soprattutto i partiti della Casa delle Libertà, da Alleanza Nazionale all'Udc, ma che lasciò qualche schizzo di fango anche sulla sinistra per il sorprendente inserimento, tra i raccomandati che avevano trovato una sistemazione, di Tiberio, il figlio di Francesco Cantafia, già segretario della Camera del lavoro e poi deputato regionale della Quercia. E che costrinse la magistratura, seppellita sotto una catasta di lettere e di esposti, ad aprire un'inchiesta. Insomma: che qualcuno approfittasse in modo indecente della libertà concessa alle nuove SpA municipali di potersi muovere sul fronte delle assunzioni senza quel minimo di rigidità (concorsi, documenti, graduatorie...) imposto dalla legge agli enti pubblici, era già chiaro da un pezzo. Né i siciliani si facevano illusioni su una svolta liberale, pulita, meritocratica.
Tutto già visto. Troppe volte. Basti ricordare le recenti, incredibili, assunzioni al 118 di autisti delle ambulanze del tutto ignari delle strade e di portantini così inesperti, sciatti e incapaci da rovesciare i malati dalle barelle o peggio ancora decisi a presentare subito dopo l'assunzione certificati medici attestanti che come portantini non potevano portare nulla perché affetti da questa o quella invalidità. Una storia come quella accaduta all'Amat e raccontata ieri sulle pagine locali da «Repubblica», però, non si era mai vista neppure in Sicilia, dove una settantina di Lsu sono stati assunti un anno fa per «contare i tombini e le caditoie, cioè le feritoie nei marciapiedi che permettono il deflusso delle acque piovane» e dove Totò Cuffaro si fa vanto nella biografia ufficiale curata da Francesco Foresta di avere stabilizzato (cioè assunto definitivamente) 55 mila precari.
A metà febbraio, con una lettera ufficiale ai vertici di Palazzo delle Aquile, cioè del Comune, il presidente della società dei trasporti Sergio Rodi aveva segnalato l'urgenza di tappare i buchi lasciati negli organici dal pensionamento di oltre un centinaio di autisti. Buchi che impedivano all'azienda di svolgere la sua funzione. Va da sé che in qualunque altro posto al mondo avrebbero fatto un bando: «A.A.A. Azienda comunale trasporti cerca 110 autisti, indispensabile la patente D». In qualunque posto, ma non a Palermo alla vigilia delle elezioni comunali che vedranno lo scontro tra Diego Cammarata e il suo predecessore Leoluca Orlando. E così la giunta comunale ha deliberato l'assunzione di 110 precari dei quali non uno, neanche per sbaglio, ha la patente D (la più difficile da ottenere) richiesta per guidare i pullman pubblici. Di più: ha scritto nero su bianco che «nel periodo di addestramento e dunque nella fase antecedente il conseguimento della patente di guida richiesta, i lavoratori selezionati saranno utilizzati come lsu presso l'Amat». E se qualcuno non ce la facesse a passare l'esame o non avesse alcuna voglia di mettersi al volante? Amen, ha risposto Alberto Campagna: «Perché dovremmo assumere nuovo personale quando abbiamo ancora gli lsu da stabilizzare? Abbiamo fatto una promessa a questi lavoratori precari: abbiamo assicurato loro che sarebbero stati assunti. Dobbiamo rispettare la parola data». E meno male che non c'erano da assumere ingegneri chimici, urbanisti o chirurghi: l'attesa che si laureassero sarebbe stata più lunga...
Fonte: corriere.it
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