L'inchiesta Quadra
«Basta conflitti d'interesse». Il Pd fa autocritica nella bufera
Abbiamo avuto «scarsa attenzione » sul principio della «trasparenza». Va tracciata una riga per riportare «coerenza» tra «valori etici e comportamenti». Ma non si può non criticare gli altri livelli del partito, che finora hanno solo usato «toni diplomatici», lasciandoci di fatto soli. È una sintesi (ragionata) del documento del gruppo consiliare del Pd, partorito ieri dopo una riunione durata tre ore. Non c’è Salvatore Scino, il consigliere eletto nella lista Renzi e poi passato al Pd, indagato anche lui per un presunto falso su una dichiarazione di inizio attività in scadenza: si parla di sospensione o dimissione dal ruolo che ora ricopre, quello di vicepresidente del consiglio. Potrebbe essere uno dei segnali che il Pd vuole dare, dopo essere stato indicato al centro delle relazioni sull’urbanistica finite, ormai, in diverse inchieste della Procura. Il documento del gruppo consiliare cita persino Lenin: «Che fare?».
BASTA CONFLITTI D'INTERESSI
Il primo dovere è, per il gruppo del Pd, «superare il distacco che, nel tempo, si è venuto a creare tra i cittadini e la politica, rimettendo, con forza, al centro della sua azione la coerenza fra i valori etici dichiarati e i comportamenti posti in essere. In sostanza, non dovranno ripetersi circostanze o situazioni in cui si possano intravedere più o meno latenti forme di conflitto d’interessi o, comunque, zone d’ombra che si caratterizzano per l’opacità dei rapporti ». Basta «consigli» ai propri esponenti per dimissioni, non bisogna neanche arrivarci, come è successo con Formigli (geometra, progettista, presidente della commissione urbanistica). Una cesura, insomma, rispetto al passato e alle vicende che emergono dall’inchiesta su Quadra. Inchiesta sulla quale non si danno commenti «giuridici », «noi riponiamo la massima fiducia nell’operato della magistratura, precisando che, non essendo a conoscenza dei particolari riguardanti le indagini sin qui svolte, non siamo in grado di compiere nessun tipo di valutazione concreta, fermo restando naturalmente il principio di non colpevolezza sancito dalla Costituzione». Ma anche se tutti i consiglieri comunali confidano che «chi oggi si trova coinvolto nella vicenda giudiziaria risulterà completamente estraneo ai fatti contestati», c’è la politica: «L’impressione che si ritrae, forse condizionata anche dalla complessa fase di costituzione ed organizzazione del nuovo partito, è quella di un movimento che non ha corrisposto pienamente ai dichiarati valori dell’etica politica e del necessario rigore», scrivono. Per questo motivo, nasce la scelta di «prendere le distanze da un modo di agire che certamente non risponde al principio della trasparenza». Il partito si deve fare carico della «carenza di attenzione» che c’è stato sui comportamenti scorretti, ma senza cadere nell’errore di ritenere che «comportamenti non trasparenti ascrivibili ai singoli, siano attribuiti all’intero partito». Ma il gruppo ce l’ha anche con il resto del Pd, che in sostanza li ha lasciati soli: nessuno ha parlato «forte e chiaro», il segretario cittadino non c’è, quelle metropolitano e regionale hanno evitato di esporsi, pensano nel gruppo consiliare. Troppo poco: «Il Pd fiorentino non può dare l’impressione di affrontare solo “in modo diplomatico” un così elevato obiettivo, ma ne deve fare una bandiera da perseguire e difendere per essere all’altezza del grande investimento di fiducia e di speranza che milioni di persone ci hanno riconosciuto votando alle primarie».
RISPOSTA INDIRETTA A DOMENICI
È anche questa una risposta, indiretta, al sindaco Domenici, che dalle pagine del Corriere fiorentino aveva detto: «Il Pd parli ». Ma c’è chi non ha preso bene quell’affermazione. «La risposta del Pd c’è stata, anche allora — afferma l'ex segretario cittadino del Pd Giacomo Billi, ora assessore provinciale al turismo — eccome se c’è stata, fino al punto di mettere sul piatto le mie dimissioni se non si fosse dimesso Formigli (e Cioni ndr ). Credo di essere stato uno dei pochi a rispondere con i fatti senza emettere alcuna condanna, con la consapevolezza che chi ha una responsabilità pubblica non deve essere soltanto onesto ma anche apparire tale». E l’ex segretario socialista Tommaso Ciuffoletti ha ricevuto 20 commenti su Facebook scrivendo: «Domenici sembra un alieno capitato per caso a Palazzo Vecchio». Parole diverse arrivano dalla coalizione: «L’entità di questa vicenda non era assolutamente prevedibile – dice Eros Cruccolini, ex presidente del consiglio comunale, ora esponente de La sinistra – Domenici non c’entra e non credo assolutamente fosse informato. Ora spetta a noi andare a vedere gli atti e capire se ci sono state difformità di trattamento. E se questo dipende dalle norme, dobbiamo scriverne di più rigide». Ma la vicenda Quadra ha uno strascico fuori Firenze: Il capogruppo del Pdl a Scandicci, Paolo Marcheschi, ha scritto al direttore generale del Comune per conoscere «se sono intercorsi rapporti tra il Comune e la società Quadra». Così come l’ex consigliere comunale Pino Comanzo, assieme alla Sinistra per Scandicci. E le Rdb di Firenze parlano di una «questione morale».
Fonte: corrierefiorentino.it
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29 ott 2009
21 dic 2008
Scandalosa Firenze, ecco le buonuscite d'oro
La Firenze degli scandali offre nuovi tasselli di perplessità. Piccole tessere, forse, che compoiono un mosaico carico di interrogativi sulla gestione della metropoli.
L'ultima scoperta riguarda le buonuscite d'oro della Ataf, la municipalizzata dei trasporti: cinque manager si sono portati via un ricco extra, in tutto un milione di euro. Un bel regalo, confezionato con soldi pubblici. La Guardia di Finanza è entrata in azione dopo un esposto dei Cobas e una polemica sollevata a Palazzo Vecchio dal capogruppo del Ps. L'Ataf infatti è un corsorzio di nove municipi, ma il Comune di Firenze ovviamente è di fatto l'azionista più importante.
E mentre l'opposizione si è rivolta al sindaco Leonardo Domenici chiedendo spiegazioni, gli investigatori hanno rifatto i calcoli e hanno presentato denuncia alla magistratura contabile. Secondo le Fiamme Gialle, la responsabilità per quei doni che valgono un milione è dell'assessore fiorentino Tea Albini, del presidente e di uno dei membri del Cda ed 'ex sindaco della confinante Campi Bisenzio: gli viene contestato di non avere esercitato il dovere di controllo sulle elargizioni. Solo nel caso del direttore generale Sassoli, sostituito con l'ex top manager della Trambus capitolina, l'azienda fiorentina ha rischiato di dovere regalare tre anni di stipendio: più di mezzo milione, solo per essersi scordata di dargli il preavviso.
Fonte: spreconi.it
L'ultima scoperta riguarda le buonuscite d'oro della Ataf, la municipalizzata dei trasporti: cinque manager si sono portati via un ricco extra, in tutto un milione di euro. Un bel regalo, confezionato con soldi pubblici. La Guardia di Finanza è entrata in azione dopo un esposto dei Cobas e una polemica sollevata a Palazzo Vecchio dal capogruppo del Ps. L'Ataf infatti è un corsorzio di nove municipi, ma il Comune di Firenze ovviamente è di fatto l'azionista più importante.
E mentre l'opposizione si è rivolta al sindaco Leonardo Domenici chiedendo spiegazioni, gli investigatori hanno rifatto i calcoli e hanno presentato denuncia alla magistratura contabile. Secondo le Fiamme Gialle, la responsabilità per quei doni che valgono un milione è dell'assessore fiorentino Tea Albini, del presidente e di uno dei membri del Cda ed 'ex sindaco della confinante Campi Bisenzio: gli viene contestato di non avere esercitato il dovere di controllo sulle elargizioni. Solo nel caso del direttore generale Sassoli, sostituito con l'ex top manager della Trambus capitolina, l'azienda fiorentina ha rischiato di dovere regalare tre anni di stipendio: più di mezzo milione, solo per essersi scordata di dargli il preavviso.
Fonte: spreconi.it
4 dic 2008
Quel parco "mi fa cagare da sempre"...
Quel parco "mi fa cagare da sempre". Quando il sindaco di Firenze vuole cancellare 80 ettari di alberi, unico polmone previsto tra fiumi di cemento ligrestiano, per inserire lo stadio di un imprenditore amico e per farlo è pronto a "smitizzare il parco e dire che questo è tutto contro una certa sinistra", allora è il segno che non si tratta solo di una questione morale. Da Firenze a Napoli, da Genova a Perugia, da Crotone a Trento, dall'Aquila a Foggia le inchieste giudiziarie che continuano ad abbattersi sulle giunte rosse aprono una questione più profonda: mettono in discussione la capacità di costruire il futuro delle città italiane. Più delle dimensioni degli illeciti, spesso poche migliaia di euro, sorprendono i loro effetti: le opere inutili e i cantieri eterni figli di questa malapolitica che ama il cavillo come strumento di potere. Più che le guerre intestine tra correnti del Pd, stupisce la capacità di impastare ogni genere di interesse privato in danno del bene pubblico: trasversalità e consociativismo sono mode condivise con la destra e con speculatori d'ogni risma.
Le giunte traballano sotto il peso di intercettazioni che svelano intrallazzi più che tangenti: i pm contestano contributi elettorali, come le cene dei Ds pagate con i 250 mila euro che sarebbero stati estorti ai broker dal presidente del Porto di Napoli; sponsorizzazioni, come quella del gruppo Ligresti all'opuscolo sulla crociata anti-lavavetri dell'assessore fiorentino Graziano Cioni; oppure incarichi professionali smistati a figli, amici e compari. È una Via Crucis di piccoli episodi, spesso di dubbia rilevanza processuale, e di grandi favori intrecciati in consorterie dove la politica giustifica il disprezzo di qualunque regola, etica o penale, arrivando a negare il buonsenso. Le parole di Leonardo Domenici, presidente di tutti i sindaci italiani, sul parco da cancellare e "smitizzare" testimoniano un male che va oltre la corruzione addebitata ai due assessori di Palazzo Vecchio in rapporti troppo intimi con Salvatore Ligresti.
Inutile invocare la questione morale. Finora c'è stata a malapena una questione legale. Si muove solo la magistratura, che arresta o manda avvisi di garanzia. La segreteria nazionale non interviene e i vertici locali si barricano dietro la presunzione di innocenza: rinviano qualunque valutazione alla sentenza definitiva e così proseguono sulla stessa strada con le stesse persone. Persino le dimissioni arrivano solo se inevitabili. E la valanga che rischia di sommergere la sinistra toscana ha smascherato figure molto differenti. Ci sono i piccoli Machiavelli di Palazzo Vecchio, maestri dell'intrigo e dell'intesa sottobanco, circondati da una corte di professionisti. Il provvedimento del giudice è spietato nelle imputazioni: l'assessore Gianni Biagi costringe la Provincia a entrare nel progetto Castello e costruire la nuova sede sui terreni di Ligresti. Lo fa - scrivono - con ogni mezzo, arrivando a sfruttare la suo carica per intimidire ogni immobiliarista e impedire soluzioni alternative. I magistrati lo accusano di avere amputato pezzi di parco per consentire altre colate di cemento, di avere fatto passare in secondo piano le opere di urbanizzazione, ossia gli impianti per migliorare la vita dei cittadini. In compenso, infila architetti suoi amici, con parcelle da mezzo milione di euro per progetti che i tecnici di Ligresti predicono come inutili ("Finirà che vi paghiamo e li buttiamo"). Il risultato finale è un mostro, il progetto urbanistico che determina lo sviluppo di Firenze assomiglia "a una discarica", affollata di uffici e abitazioni, dove i palazzi di Provincia e Regione fanno strage di alberi e poi si inserisce anche lo stadio voluto da Diego Della Valle con rischi di ingorghi epocali.
Se Biagi si è dimesso, lo 'sceriffo' Cioni invece promette battaglia. È l'altra faccia dello scandalo: il barone rosso, arrogante, populista, con un feudo che garantisce voti. "Chi ha la puzza sotto il naso, cambi mestiere. Io sto con chi combatte", lo difende pubblicamente uno dei suoi consiglieri. Ma Cioni è anche la storia del Pci fiorentino: da 35 anni passa da una poltrona all'altra, dalla Provincia al Comune, poi Montecitorio, il Senato e di nuovo al Comune dove puntava adesso alla fascia di sindaco. Ha conquistato la platea nazionale lanciando il celebre regolamento contro mendicanti e lavavetri. Poi lo hanno intercettato mentre rassicurava gli uomini di Ligresti: "Sto lavorando per voi". In cambio lo 'sceriffo' chiede e ottiene in un paio di minuti da Fondiaria un contributo di 30 mila euro per i 200 mila opuscoli che pubblicizzano la sua tolleranza zero. Chiede un premio, ottenuto, e una promozione, in valutazione, per il figlio che lavora proprio per Fondiaria. Chiede e ottiene al prezzo politico di 600 euro mensili una casa di oltre sette vani "di pregio e in centro" per una sua amica. Alza il telefono per tutto. C'è da mettere la parabola di Sky nell'appartamento della sua amica? Chiama direttamente il braccio destro di Ligresti, Fausto Rapisarda. Il capoufficio sgrida suo figlio e lo rimprovera per i ritardi? Il papà assessore mobilita Rapisarda, la voce del padrone, che bacchetta il capoufficio e poi blandisce il rampollo: "Mi telefoni per qualunque cosa".
Per Cioni non c'è il partito né il Comune, ma uno schieramento che chiama "la famiglia". Né lui né gli altri indagati temevano la legge, sembravano sentirsi protetti. L'inchiesta del nuovo procuratore capo Giuseppe Quattrocchi e le registrazioni del Ros li hanno spiazzati. È uno choc, che rischia di abbattere il mito dello sviluppo sostenibile toscano, di uno stile di vita capace di coniugare progresso e tradizione costruito dal Pci in mezzo secolo di governo. Gli eredi di questa tradizione sembrano avere smarrito il contatto con la realtà della città. Progettano opere discusse e discutibili come la linea tramviaria. Infilano nei contratti pubblici società personali, come quella del capogruppo Alberto Formigli: il consiglio comunale che ha respinto le sue dimissioni si è trasformato in una rissa. E l'inchiesta è solo agli inizi. Ogni giorno il Ros va in altri uffici a setacciare capitolati: ci sono accertamenti su decine di progetti di Comune, Regione e Provincia con migliaia di telefonate scottanti da analizzare. Insomma, in Toscana si prepara un inverno di passione.
Ascolta la ricostruzione delle intercettazioni > Le telefonate
A Napoli il dramma si è già materializzato nella scelta estrema di Gianni Nugnes, l'ex assessore che si è ucciso dopo l'arresto per i disordini contro una discarica. Un politico che restava ancorato alla sua Pianura, il quartiere con il record di edifici clandestini. Dicono che si sia sentito isolato, chiuso in un angolo per le scelte di suoi ex colleghi. Come Enrico Cardillo, potente assessore al Bilancio, che con le sue dimissioni pare cercare riparo per sé e per il sindaco Rosa Russo Iervolino dal prossimo tsunami giudiziario. In due anni la giunta Iervolino ha già perso sette assessori, tutti azzoppati dalla magistratura e finora sostituiti con personaggi di alto livello. Le anticipazioni del 'Mattino' prefigurano un nuovo terremoto in quei palazzi infausti per la sinistra, dove solo dieci mesi fa naufragò il governo Prodi. Questa volta l'epicentro dovrebbe essere in municipio, tra le poltrone della Margherita. Al centro delle indagini c'è il potere di Alfredo Romeo, un superstite della vecchia Tangentopoli partenopea diventato il monopolista nella gestione di immobili pubblici e considerato vicino all'area di Francesco Rutelli. Il gruppo Romeo ha una rete di relazioni che arriva ovunque: cura persino la manutenzione del Quirinale, del Senato e del ministero dell'Economia. Gli hanno affidato centinaia di migliaia di case popolari e gran parte delle cartolarizzazioni: nel 2001 è stato pure incaricato di vendere lo stadio Olimpico. Gli atti giudiziari lo accusano di aver osato l'impossibile: fa lavori abusivi nella sua splendida villa di Posillipo e quando la procura mette i sigilli al cantiere, lui va avanti. E quando la magistratura lo denuncia, secondo un'inchiesta appena chiusa, un importante giudice si sarebbe mosso per convincere i colleghi ad archiviare la pratica.
Ma la questione Romeo potrebbe non essere solo campana. Le sue aziende arrivarono sul Campidoglio negli anni di Rutelli. Poi dalla giunta Veltroni hanno ottenuto il mega-appalto da 650 milioni per la manutenzione stradale, sospeso a fine agosto da Gianni Alemanno con il risultato di lasciare le strade costellate di buche e cantieri che hanno inghiottito fiumi di denaro. Sono disastri che mostrano come il problema non è solo etico: la malapolitica produce arretratezza, servizi inefficienti, sprechi. Se nel Lazio ci fosse un sistema moderno di smaltimento dei rifiuti, la convivialità alla vaccinara tra l'assessore Mario Di Carlo, già numero uno della Margherita, e il monopolista delle discariche forse avrebbe suscitato meno clamore. Invece di emergenza in emergenza la spazzatura dei romani continua a marcire nell'orrido di Malagrotta. O lo spettacolo finale del centrosinistra abruzzese, dove alla vigilia del voto la maggioranza colata a picco dall'arresto di Ottaviano Del Turco corre ad assumere in pianta stabile schiere di portaborse.
Non ci sono pregiudiziali etiche: le porte restano sempre aperte per presunti corrotti o tangentisti. Quando al sindaco pd di Perugia Renato Locchi i magistrati hanno chiesto se aveva incontrato un costruttore, finanziatore della sua campagna, poi arrestato per mazzette e scarcerato, lui risponde: "Il fatto che sia stato 50 giorni in cella non significa che non possa continuare a svolgere il suo lavoro". Anche a Trento la presunzione di innocenza ha un sapore beffardo. Prima delle elezioni un'inchiesta ha coinvolto i vertici dell'Autostrada A22, ipotizzando reati bipartisan: c'era un uomo di Forza Italia ma anche il presidente Silvano Grisenti, legatissimo al governatore pd della Provincia, Lorenzo Dellai. Grisenti viene accusato di corruzione, turbativa d'asta, tentata concussione per sponsorizzazioni e contratti da assegnare a società di suoi familiari: è l'uomo della 'magnadora', la mangiatoia. Una grana a poche settimane dalle elezioni? Dellai l'ha trasformata in un punto di forza, costringendo l'indagato a dimettersi senza se e senza ma. La condanna politica ha trasmesso negli elettori un'immagine di pulizia, contribuendo alla vittoria del centrosinistra. Ma lunedì 1 dicembre, tre settimane dopo il voto e 70 giorni dopo le dimissioni, si scopre che Grisenti ha ottenuto un incarico nell'ente presieduto da Dellai: un ufficio creato su misura per coordinare i programmi di cooperazione internazionale. "Ha il pieno diritto di tornare al lavoro", ha spiegato Dellai, citando la Costituzione. Sintetico il commento dell'interessato: "Ho una famiglia numerosa".
'Tengo famiglia' è un argomento che funziona meglio dell'indulto: fa perdonare tutto. Così come si chiude un occhio per cavalleria sulle frequentazioni femminili. A Foggia, per esempio, il sindaco è sotto processo per i favori concessi alla sua "segretaria particolare". L'ha assunta nello staff, con stipendio di 3.500 euro al mese, l'ha poi nominata nel consiglio d'amministrazione di una municipalizzata, ma la signora avrebbe continuato a usare beni del Comune senza titolo: solo di telefonino 6 mila euro di bolletta. Per difenderla il sindaco, sempre secondo i magistrati, avrebbe anche falsificato documenti. Peccati veniali? Orazio Ciliberti è sotto processo per questa storiaccia e per un'altra vicenda, ma rimane primo cittadino, membro della Costituente del Pd e vicepresidente nazionale dell'Anci.
Restano relegati in periferia anche i peccati d'omissione, veri o presunti. A Crotone la procura ha preso di mira Europaradiso, il faraonico insediamento turistico dove si sarebbero concentrati gli interessi della nuova mafia calabrese. I pentiti hanno parlato di summit tra emissari delle cosche e i dirigenti locali del Partito democratico: il capogruppo Giuseppe Mercurio si è dimesso dopo un avviso per concorso esterno in associazione mafiosa. Il problema è che questo scenario era stato denunciato un anno fa da Marilina Intrieri, all'epoca parlamentare Pd, per cercare di bloccare l'ingresso nelle liste dei nomi vicini ai clan. Si rivolse a Marco Minniti, all'epoca sottosegretario agli Interni e oggi ministro ombra, e a Marina Sereni, vicepresidente dei deputati Pd. Spiega Marina Sereni: "Vista la gravità di quanto sosteneva, le dissi di rivolgersi alla magistratura". Il Pd non c'entra: l'etica non riguarda il partito, ma è compito esclusivo delle procure. E allora a cosa si riduce la politica?
Perché tutta la mappa dell'Italia rossa è costellata di inchieste che rischiano di esplodere o che hanno sfiorato il sistema di potere passato dal vecchio Pci al Pd. Prendete l'Umbria. Il sindaco di Perugia nello stesso verbale in cui difendeva la presunzione di innocenza del costruttore inquisito, parla delle sue frequentazioni con Carlo Carini, il re dell'asfalto. Nello scorso maggio Carini è finito in manette assieme ad altri 30 tra impresari e funzionari di Regione, Provincia e di alcuni comuni. Tre assessori provinciali hanno presentato le dimissioni, subito respinte. Le intercettazioni hanno fatto emergere una cupola che dominava i lavori stradali e che si compiaceva di usare il lessico mafioso: "Sì, sono il capo dei capi". Nessuno ha collaborato, l'istruttoria non è arrivata ai piani alti: è rimasta una storia di geometri. Almeno per ora.
Genova invece si è appena ripresa dallo choc per la retata che a maggio fece traballare il sindaco Marta Vincenzi e le tolse letteralmente il sonno: "Quei cattivi guaglioni mi hanno pugnalato a tradimento". Gli investigatori sono partiti dal municipio e adesso scavano nelle attività di altri enti. Il peggio è passato? I magistrati potrebbero regalare un brutto Natale al centrosinistra ligure: è in arrivo la chiusura delle indagini, che toglierà il segreto su molti dossier. La storia è nota. Un industriale della ristorazione cerca di mettere le mani nel piatto delle mense cittadine, 26 mila pasti al giorno, e vuole "oliare il meccanismo". Sono finiti in carcere il portavoce della Vincenzi e due consiglieri comunali mentre due assessori indagati si sono dimessi. Solo pochi giorni fa è stato pubblicato il verbale di Massimo Casagrande, l'ex consigliere arrestato, che ricostruisce l'inizio della trama: "Era ancora in corso la campagna elettorale della Vincenzi. Roberto Alessio si dichiarò disponibile a dare un contributo. Ventimila euro. Nel frattempo chiese un nostro interessamento...".
Rispetto a questi scandali, la crisi sarda è storia diversa: è la sfida finale tra due modi di fare politica e costruire il consenso. La pancia del Pd si è mossa contro Renato Soru per logiche di partito più che affaristiche: l'entroterra non interessa ai palazzinari da spiaggia. Ma l'abitudine di trasformare i capanni agricoli in casette è diffusa nell'isola tra tutti i ceti urbani e rurali. Un mondo che Antonello Cabras, l'antagonista di Soru, conosce bene: è stato segretario del Psi negli anni Ottanta, poi presidente della Regione e parlamentare ds. Soru invece vola alto e vuole chiudere il suo impegno di tutela ambientale: le dimissioni dimostrano che è pronto a tutto, anche a proseguire senza il Pd. E il maltempo furioso di questi giorni, con alluvioni e frane, concretizza gli effetti disastrosi del 'mattone ovunque e comunque', diventando una sorta di spot per Soru. 'Piove, governatore virtuoso', ironizzano i suoi fan: forse l'unica eccezione alla slavina morale del centrosinistra.
Fonte: espresso.repubblica.it
Le giunte traballano sotto il peso di intercettazioni che svelano intrallazzi più che tangenti: i pm contestano contributi elettorali, come le cene dei Ds pagate con i 250 mila euro che sarebbero stati estorti ai broker dal presidente del Porto di Napoli; sponsorizzazioni, come quella del gruppo Ligresti all'opuscolo sulla crociata anti-lavavetri dell'assessore fiorentino Graziano Cioni; oppure incarichi professionali smistati a figli, amici e compari. È una Via Crucis di piccoli episodi, spesso di dubbia rilevanza processuale, e di grandi favori intrecciati in consorterie dove la politica giustifica il disprezzo di qualunque regola, etica o penale, arrivando a negare il buonsenso. Le parole di Leonardo Domenici, presidente di tutti i sindaci italiani, sul parco da cancellare e "smitizzare" testimoniano un male che va oltre la corruzione addebitata ai due assessori di Palazzo Vecchio in rapporti troppo intimi con Salvatore Ligresti.
Inutile invocare la questione morale. Finora c'è stata a malapena una questione legale. Si muove solo la magistratura, che arresta o manda avvisi di garanzia. La segreteria nazionale non interviene e i vertici locali si barricano dietro la presunzione di innocenza: rinviano qualunque valutazione alla sentenza definitiva e così proseguono sulla stessa strada con le stesse persone. Persino le dimissioni arrivano solo se inevitabili. E la valanga che rischia di sommergere la sinistra toscana ha smascherato figure molto differenti. Ci sono i piccoli Machiavelli di Palazzo Vecchio, maestri dell'intrigo e dell'intesa sottobanco, circondati da una corte di professionisti. Il provvedimento del giudice è spietato nelle imputazioni: l'assessore Gianni Biagi costringe la Provincia a entrare nel progetto Castello e costruire la nuova sede sui terreni di Ligresti. Lo fa - scrivono - con ogni mezzo, arrivando a sfruttare la suo carica per intimidire ogni immobiliarista e impedire soluzioni alternative. I magistrati lo accusano di avere amputato pezzi di parco per consentire altre colate di cemento, di avere fatto passare in secondo piano le opere di urbanizzazione, ossia gli impianti per migliorare la vita dei cittadini. In compenso, infila architetti suoi amici, con parcelle da mezzo milione di euro per progetti che i tecnici di Ligresti predicono come inutili ("Finirà che vi paghiamo e li buttiamo"). Il risultato finale è un mostro, il progetto urbanistico che determina lo sviluppo di Firenze assomiglia "a una discarica", affollata di uffici e abitazioni, dove i palazzi di Provincia e Regione fanno strage di alberi e poi si inserisce anche lo stadio voluto da Diego Della Valle con rischi di ingorghi epocali.
Se Biagi si è dimesso, lo 'sceriffo' Cioni invece promette battaglia. È l'altra faccia dello scandalo: il barone rosso, arrogante, populista, con un feudo che garantisce voti. "Chi ha la puzza sotto il naso, cambi mestiere. Io sto con chi combatte", lo difende pubblicamente uno dei suoi consiglieri. Ma Cioni è anche la storia del Pci fiorentino: da 35 anni passa da una poltrona all'altra, dalla Provincia al Comune, poi Montecitorio, il Senato e di nuovo al Comune dove puntava adesso alla fascia di sindaco. Ha conquistato la platea nazionale lanciando il celebre regolamento contro mendicanti e lavavetri. Poi lo hanno intercettato mentre rassicurava gli uomini di Ligresti: "Sto lavorando per voi". In cambio lo 'sceriffo' chiede e ottiene in un paio di minuti da Fondiaria un contributo di 30 mila euro per i 200 mila opuscoli che pubblicizzano la sua tolleranza zero. Chiede un premio, ottenuto, e una promozione, in valutazione, per il figlio che lavora proprio per Fondiaria. Chiede e ottiene al prezzo politico di 600 euro mensili una casa di oltre sette vani "di pregio e in centro" per una sua amica. Alza il telefono per tutto. C'è da mettere la parabola di Sky nell'appartamento della sua amica? Chiama direttamente il braccio destro di Ligresti, Fausto Rapisarda. Il capoufficio sgrida suo figlio e lo rimprovera per i ritardi? Il papà assessore mobilita Rapisarda, la voce del padrone, che bacchetta il capoufficio e poi blandisce il rampollo: "Mi telefoni per qualunque cosa".
Per Cioni non c'è il partito né il Comune, ma uno schieramento che chiama "la famiglia". Né lui né gli altri indagati temevano la legge, sembravano sentirsi protetti. L'inchiesta del nuovo procuratore capo Giuseppe Quattrocchi e le registrazioni del Ros li hanno spiazzati. È uno choc, che rischia di abbattere il mito dello sviluppo sostenibile toscano, di uno stile di vita capace di coniugare progresso e tradizione costruito dal Pci in mezzo secolo di governo. Gli eredi di questa tradizione sembrano avere smarrito il contatto con la realtà della città. Progettano opere discusse e discutibili come la linea tramviaria. Infilano nei contratti pubblici società personali, come quella del capogruppo Alberto Formigli: il consiglio comunale che ha respinto le sue dimissioni si è trasformato in una rissa. E l'inchiesta è solo agli inizi. Ogni giorno il Ros va in altri uffici a setacciare capitolati: ci sono accertamenti su decine di progetti di Comune, Regione e Provincia con migliaia di telefonate scottanti da analizzare. Insomma, in Toscana si prepara un inverno di passione.
Ascolta la ricostruzione delle intercettazioni > Le telefonate
A Napoli il dramma si è già materializzato nella scelta estrema di Gianni Nugnes, l'ex assessore che si è ucciso dopo l'arresto per i disordini contro una discarica. Un politico che restava ancorato alla sua Pianura, il quartiere con il record di edifici clandestini. Dicono che si sia sentito isolato, chiuso in un angolo per le scelte di suoi ex colleghi. Come Enrico Cardillo, potente assessore al Bilancio, che con le sue dimissioni pare cercare riparo per sé e per il sindaco Rosa Russo Iervolino dal prossimo tsunami giudiziario. In due anni la giunta Iervolino ha già perso sette assessori, tutti azzoppati dalla magistratura e finora sostituiti con personaggi di alto livello. Le anticipazioni del 'Mattino' prefigurano un nuovo terremoto in quei palazzi infausti per la sinistra, dove solo dieci mesi fa naufragò il governo Prodi. Questa volta l'epicentro dovrebbe essere in municipio, tra le poltrone della Margherita. Al centro delle indagini c'è il potere di Alfredo Romeo, un superstite della vecchia Tangentopoli partenopea diventato il monopolista nella gestione di immobili pubblici e considerato vicino all'area di Francesco Rutelli. Il gruppo Romeo ha una rete di relazioni che arriva ovunque: cura persino la manutenzione del Quirinale, del Senato e del ministero dell'Economia. Gli hanno affidato centinaia di migliaia di case popolari e gran parte delle cartolarizzazioni: nel 2001 è stato pure incaricato di vendere lo stadio Olimpico. Gli atti giudiziari lo accusano di aver osato l'impossibile: fa lavori abusivi nella sua splendida villa di Posillipo e quando la procura mette i sigilli al cantiere, lui va avanti. E quando la magistratura lo denuncia, secondo un'inchiesta appena chiusa, un importante giudice si sarebbe mosso per convincere i colleghi ad archiviare la pratica.
Ma la questione Romeo potrebbe non essere solo campana. Le sue aziende arrivarono sul Campidoglio negli anni di Rutelli. Poi dalla giunta Veltroni hanno ottenuto il mega-appalto da 650 milioni per la manutenzione stradale, sospeso a fine agosto da Gianni Alemanno con il risultato di lasciare le strade costellate di buche e cantieri che hanno inghiottito fiumi di denaro. Sono disastri che mostrano come il problema non è solo etico: la malapolitica produce arretratezza, servizi inefficienti, sprechi. Se nel Lazio ci fosse un sistema moderno di smaltimento dei rifiuti, la convivialità alla vaccinara tra l'assessore Mario Di Carlo, già numero uno della Margherita, e il monopolista delle discariche forse avrebbe suscitato meno clamore. Invece di emergenza in emergenza la spazzatura dei romani continua a marcire nell'orrido di Malagrotta. O lo spettacolo finale del centrosinistra abruzzese, dove alla vigilia del voto la maggioranza colata a picco dall'arresto di Ottaviano Del Turco corre ad assumere in pianta stabile schiere di portaborse.
Non ci sono pregiudiziali etiche: le porte restano sempre aperte per presunti corrotti o tangentisti. Quando al sindaco pd di Perugia Renato Locchi i magistrati hanno chiesto se aveva incontrato un costruttore, finanziatore della sua campagna, poi arrestato per mazzette e scarcerato, lui risponde: "Il fatto che sia stato 50 giorni in cella non significa che non possa continuare a svolgere il suo lavoro". Anche a Trento la presunzione di innocenza ha un sapore beffardo. Prima delle elezioni un'inchiesta ha coinvolto i vertici dell'Autostrada A22, ipotizzando reati bipartisan: c'era un uomo di Forza Italia ma anche il presidente Silvano Grisenti, legatissimo al governatore pd della Provincia, Lorenzo Dellai. Grisenti viene accusato di corruzione, turbativa d'asta, tentata concussione per sponsorizzazioni e contratti da assegnare a società di suoi familiari: è l'uomo della 'magnadora', la mangiatoia. Una grana a poche settimane dalle elezioni? Dellai l'ha trasformata in un punto di forza, costringendo l'indagato a dimettersi senza se e senza ma. La condanna politica ha trasmesso negli elettori un'immagine di pulizia, contribuendo alla vittoria del centrosinistra. Ma lunedì 1 dicembre, tre settimane dopo il voto e 70 giorni dopo le dimissioni, si scopre che Grisenti ha ottenuto un incarico nell'ente presieduto da Dellai: un ufficio creato su misura per coordinare i programmi di cooperazione internazionale. "Ha il pieno diritto di tornare al lavoro", ha spiegato Dellai, citando la Costituzione. Sintetico il commento dell'interessato: "Ho una famiglia numerosa".
'Tengo famiglia' è un argomento che funziona meglio dell'indulto: fa perdonare tutto. Così come si chiude un occhio per cavalleria sulle frequentazioni femminili. A Foggia, per esempio, il sindaco è sotto processo per i favori concessi alla sua "segretaria particolare". L'ha assunta nello staff, con stipendio di 3.500 euro al mese, l'ha poi nominata nel consiglio d'amministrazione di una municipalizzata, ma la signora avrebbe continuato a usare beni del Comune senza titolo: solo di telefonino 6 mila euro di bolletta. Per difenderla il sindaco, sempre secondo i magistrati, avrebbe anche falsificato documenti. Peccati veniali? Orazio Ciliberti è sotto processo per questa storiaccia e per un'altra vicenda, ma rimane primo cittadino, membro della Costituente del Pd e vicepresidente nazionale dell'Anci.
Restano relegati in periferia anche i peccati d'omissione, veri o presunti. A Crotone la procura ha preso di mira Europaradiso, il faraonico insediamento turistico dove si sarebbero concentrati gli interessi della nuova mafia calabrese. I pentiti hanno parlato di summit tra emissari delle cosche e i dirigenti locali del Partito democratico: il capogruppo Giuseppe Mercurio si è dimesso dopo un avviso per concorso esterno in associazione mafiosa. Il problema è che questo scenario era stato denunciato un anno fa da Marilina Intrieri, all'epoca parlamentare Pd, per cercare di bloccare l'ingresso nelle liste dei nomi vicini ai clan. Si rivolse a Marco Minniti, all'epoca sottosegretario agli Interni e oggi ministro ombra, e a Marina Sereni, vicepresidente dei deputati Pd. Spiega Marina Sereni: "Vista la gravità di quanto sosteneva, le dissi di rivolgersi alla magistratura". Il Pd non c'entra: l'etica non riguarda il partito, ma è compito esclusivo delle procure. E allora a cosa si riduce la politica?
Perché tutta la mappa dell'Italia rossa è costellata di inchieste che rischiano di esplodere o che hanno sfiorato il sistema di potere passato dal vecchio Pci al Pd. Prendete l'Umbria. Il sindaco di Perugia nello stesso verbale in cui difendeva la presunzione di innocenza del costruttore inquisito, parla delle sue frequentazioni con Carlo Carini, il re dell'asfalto. Nello scorso maggio Carini è finito in manette assieme ad altri 30 tra impresari e funzionari di Regione, Provincia e di alcuni comuni. Tre assessori provinciali hanno presentato le dimissioni, subito respinte. Le intercettazioni hanno fatto emergere una cupola che dominava i lavori stradali e che si compiaceva di usare il lessico mafioso: "Sì, sono il capo dei capi". Nessuno ha collaborato, l'istruttoria non è arrivata ai piani alti: è rimasta una storia di geometri. Almeno per ora.
Genova invece si è appena ripresa dallo choc per la retata che a maggio fece traballare il sindaco Marta Vincenzi e le tolse letteralmente il sonno: "Quei cattivi guaglioni mi hanno pugnalato a tradimento". Gli investigatori sono partiti dal municipio e adesso scavano nelle attività di altri enti. Il peggio è passato? I magistrati potrebbero regalare un brutto Natale al centrosinistra ligure: è in arrivo la chiusura delle indagini, che toglierà il segreto su molti dossier. La storia è nota. Un industriale della ristorazione cerca di mettere le mani nel piatto delle mense cittadine, 26 mila pasti al giorno, e vuole "oliare il meccanismo". Sono finiti in carcere il portavoce della Vincenzi e due consiglieri comunali mentre due assessori indagati si sono dimessi. Solo pochi giorni fa è stato pubblicato il verbale di Massimo Casagrande, l'ex consigliere arrestato, che ricostruisce l'inizio della trama: "Era ancora in corso la campagna elettorale della Vincenzi. Roberto Alessio si dichiarò disponibile a dare un contributo. Ventimila euro. Nel frattempo chiese un nostro interessamento...".
Rispetto a questi scandali, la crisi sarda è storia diversa: è la sfida finale tra due modi di fare politica e costruire il consenso. La pancia del Pd si è mossa contro Renato Soru per logiche di partito più che affaristiche: l'entroterra non interessa ai palazzinari da spiaggia. Ma l'abitudine di trasformare i capanni agricoli in casette è diffusa nell'isola tra tutti i ceti urbani e rurali. Un mondo che Antonello Cabras, l'antagonista di Soru, conosce bene: è stato segretario del Psi negli anni Ottanta, poi presidente della Regione e parlamentare ds. Soru invece vola alto e vuole chiudere il suo impegno di tutela ambientale: le dimissioni dimostrano che è pronto a tutto, anche a proseguire senza il Pd. E il maltempo furioso di questi giorni, con alluvioni e frane, concretizza gli effetti disastrosi del 'mattone ovunque e comunque', diventando una sorta di spot per Soru. 'Piove, governatore virtuoso', ironizzano i suoi fan: forse l'unica eccezione alla slavina morale del centrosinistra.
Fonte: espresso.repubblica.it
29 ott 2007
A Firenze si moltiplicano solo gli sprechi
Progetti sbagliati, forniture gonfiate di materiali, architetti che si distraggono. Così sono stati buttati via 10 milioni. Ecco l'accusa delle Fiamme Gialle
Firenze canzone triste. Perché sarebbe bastato poco per incidere senza traumi nel tessuto storico del gioiello del Rinascimento, sperimentando metodi finanziari d'avanguardia nel gestire opere moderne con pareti di cotto per fare la pace con la storia. Il tutto sulla carta nel segno del buon governo. Peccato che dai cantieri sia spuntato qualcosa di molto diverso dalla città ideale. Con una serie di sprechi, di sospette malversazioni e di pacchiane superficialità che sembrano testimoniare una gara al peggio tra tecnici e amministratori comunali. Il rapporto delle Fiamme Gialle incaricate dal procuratore capo della Corte dei Conti Claudio Galtieri di fare luce sulle spese folli del piano di costruzioni comunali è un documento sorprendente: una parata di assessori distratti o incompetenti, architetti superficiali o spregiudicati, supervisori addormentati e controlli inesistenti.
Quelle passate ai raggi X dai finanzieri dell'allora Gruppo servizi vari diretto dal maggiore Stefano Saletti sono due opere ormai tristemente famose, il sottopasso di viale Strozzi e il parcheggio sotterraneo della Fortezza da Basso, diventate un simbolo della 'Firenze bella addormentata' che non riesce a concretizzare i suoi sogni di sviluppo. Due opere che dovevano far parte di una rosa di interventi molto più larga, che ha però perso un pezzo dietro l'altro. E che doveva servire da prova generale per quella contestata rivoluzione cittadina delle tramvie.
A leggere i risultati degli accertamenti sui costi, in città sono tanti gli amministratori a dormire sogni d'oro. Secondo il dossier nella realizzazione dei due progetti il Comune avrebbe buttato via oltre 10 milioni di euro: denaro sprecato per correggere errori grossolani nei disegni, per rettificare previsioni approssimative o addirittura abbattere strutture che strada facendo si sono rivelate mostruose. E c'è anche di peggio. Perché quando i militari del Nucleo di polizia tributaria hanno dato un'occhiata al famigerato sottopasso sono rimasti perplessi. È bastato fare i 'conti della serva' per capire che anche in superficie le spese non quadravano. È 'il miracolo di sanpietrino' con la moltiplicazione delle mattonelle e delle travi. Prendiamo le lastre in pietra Santa Fiora, un materiale richiesto dalla soprintendenza per limitare l'impatto della costruzione. La ditta fornitrice ne ha fatturati 2.416 metri quadrati; i responsabili dell'opera invece ne hanno fatti pagare al Comune 2.792. Un giochetto che, secondo i finanzieri, sarebbe costato ai cittadini 130 mila euro. Ancora più grave sarebbe la 'cresta' sulla pavimentazione in porfido, che lievita nel transito dalle fatture al contratto finale: dal momento della consegna i cubetti di porfido misteriosamente si dilatano. Un sistema che avrebbe permesso ai costruttori di intascare 158 mila euro di troppo. La fantasia prosegue anche con le travi che sostengono il tetto, che sulla carta assumono dimensioni ben più grosse del reale. I finanzieri le contano e le confrontano con la superficie fatta saldare al Comune: anche qui 167 mila euro di troppo. Persino nella bonifica dei terreni dai residuati dei bombardamenti di guerra la spesa esplode: 71 mila euro non dovuti.
Insomma, sarebbe bastato fare quattro calcoli da geometra neodiplomato per scoprire una lista gonfiata per circa mezzo milione di euro. Senza mettere il naso in una innovazione tutta fiorentina che supera la creatività meridionale in fatto di appalti. Perché se un tempo dominava il famigerato adeguamento in corso d'opera, che faceva ingigantire i costi dei cantieri, sulle rive dell'Arno hanno invece inventato l'adeguamento a cose fatte: le spese extra, sottolineano i finanzieri, saltano fuori persino dopo l'apertura al traffico del sottopasso. Al centro di tutto il tentativo di usare il project financing, una rivoluzione nella gestione degli appalti, che avrebbe dovuto garantire consegne chiavi in mano senza sorprese di dubbia origine. Per questo tutto viene assegnato al consorzio Firenze Mobilità, incentrato sul colosso locale Baldassini-Tognozzi-Pontello.
Il risultato invece, secondo l'inchiesta, è l'opposto delle buone speranze di partenza. La conclusione? Nessuno controllava l'attendibilità degli importi richiesti dalla società a cui era affidata la costruzione. Non esisteva nessuna contabilità dei lavori: si andava avanti alla cieca. I finanzieri sono chiari nel definire le responsabilità erariali. L'architetto Gaetano Di Benedetto, numero uno della direzione urbanistica del Comune, viene indicato al primo posto. Lo segue l'assessore Tea Albini, che ha gestito la parte finale del piano finanziario delle opere. Ma tutta la giunta ha avallato nel silenzio le spese folli del sottopasso: tutti si sono limitati a sancire 'l'indirizzo politico' senza nemmeno chiedere lumi sui costi extra. Il sindaco Leonardo Domenici, il vicesindaco Matulli, gli assessori Coggiola, Nencini, Bevilacqua, De Siervo, Siliani Gori, Biagi, Del Lungo, Lastri e quel Graziano Cioni, celebre per l'ordinanza sui lavavetri,si sarebbero accodati con un comportamento che, per gli inquirenti, non è solo negligenza, ma anche una colpa grave nel non difendere il denaro pubblico. Ovviamente ce n'è anche per il direttore dei lavori. Il danno provocato dalla mancanza di controlli? Tre milioni e 187 mila euro.
L'assedio alla Fortezza da Basso invece ha aspetti tragicamente fantozziani. Il cantiere con parcheggi sotterranei, negozi e uffici parte e comincia a spuntare in modo minaccioso dal sottosuolo, facendo ombra ai bastioni del Sangallo. La città insorge: non erano questi i piani. L'opera viene fermata e si decide di demolire quelle costruzioni uscite fuori come funghi dal terreno. Ma neanche il secondo tentativo fa centro nel rispettare il contesto antico. La prima visita ai lavori mostra faraglioni di cemento armato che inorridiscono cittadini e assessori: nuova interruzione ordinata personalmente dal sindaco, altra revisione dei disegni. Strada facendo, il costruttore ha dovuto rinunciare a parcheggi da vendere e uffici da affittare oltre ai costi delle demolizioni. Totale: a carico del municipio ci sono 6 milioni e mezzo di euro di spese in più. Che secondo le conclusioni della Finanza andavano evitate.
La colpa, secondo gli investigatori, è dei tecnici di Soprintendenza e Comune. Nessuno si è preoccupato di verificare se i progetti rispettavano le indicazioni per salvaguardare la Fortezza medicea. Ci sono architetti che candidamente ammettono di essersi fidati della buona fede del costruttore e di avere controllato solo sull'estetica dei giardini. Sì, proprio così: mentre si innalzavano cubi di calcestruzzo l'attenzione era tutta per le armonie del parco. Così come gli esperti della Commissione edilizia che non si erano accorti delle strutture. Scriveva nel 2005 Antonio Paolucci, un'autorità dei beni culturali: "La questione della Fortezza sta diventando ogni giorno più imbarazzante". E invocava: "Nessuno che abbia un minimo di pudore può sostenere quel progetto". Il fatto triste è che i fiorentini hanno pagato due volte quegli errori. Perché per far fronte agli sbagli, il Comune in parte ha tirato fuori soldi cash, in parte ha rinunciato ad altre opere già finanziate. Come il parco fluviale del Mensola, 75 mila metri quadrati di verde attrezzato dissolti nel nulla.
Fonte: espresso.repubblica.it
Firenze canzone triste. Perché sarebbe bastato poco per incidere senza traumi nel tessuto storico del gioiello del Rinascimento, sperimentando metodi finanziari d'avanguardia nel gestire opere moderne con pareti di cotto per fare la pace con la storia. Il tutto sulla carta nel segno del buon governo. Peccato che dai cantieri sia spuntato qualcosa di molto diverso dalla città ideale. Con una serie di sprechi, di sospette malversazioni e di pacchiane superficialità che sembrano testimoniare una gara al peggio tra tecnici e amministratori comunali. Il rapporto delle Fiamme Gialle incaricate dal procuratore capo della Corte dei Conti Claudio Galtieri di fare luce sulle spese folli del piano di costruzioni comunali è un documento sorprendente: una parata di assessori distratti o incompetenti, architetti superficiali o spregiudicati, supervisori addormentati e controlli inesistenti.
Quelle passate ai raggi X dai finanzieri dell'allora Gruppo servizi vari diretto dal maggiore Stefano Saletti sono due opere ormai tristemente famose, il sottopasso di viale Strozzi e il parcheggio sotterraneo della Fortezza da Basso, diventate un simbolo della 'Firenze bella addormentata' che non riesce a concretizzare i suoi sogni di sviluppo. Due opere che dovevano far parte di una rosa di interventi molto più larga, che ha però perso un pezzo dietro l'altro. E che doveva servire da prova generale per quella contestata rivoluzione cittadina delle tramvie.
A leggere i risultati degli accertamenti sui costi, in città sono tanti gli amministratori a dormire sogni d'oro. Secondo il dossier nella realizzazione dei due progetti il Comune avrebbe buttato via oltre 10 milioni di euro: denaro sprecato per correggere errori grossolani nei disegni, per rettificare previsioni approssimative o addirittura abbattere strutture che strada facendo si sono rivelate mostruose. E c'è anche di peggio. Perché quando i militari del Nucleo di polizia tributaria hanno dato un'occhiata al famigerato sottopasso sono rimasti perplessi. È bastato fare i 'conti della serva' per capire che anche in superficie le spese non quadravano. È 'il miracolo di sanpietrino' con la moltiplicazione delle mattonelle e delle travi. Prendiamo le lastre in pietra Santa Fiora, un materiale richiesto dalla soprintendenza per limitare l'impatto della costruzione. La ditta fornitrice ne ha fatturati 2.416 metri quadrati; i responsabili dell'opera invece ne hanno fatti pagare al Comune 2.792. Un giochetto che, secondo i finanzieri, sarebbe costato ai cittadini 130 mila euro. Ancora più grave sarebbe la 'cresta' sulla pavimentazione in porfido, che lievita nel transito dalle fatture al contratto finale: dal momento della consegna i cubetti di porfido misteriosamente si dilatano. Un sistema che avrebbe permesso ai costruttori di intascare 158 mila euro di troppo. La fantasia prosegue anche con le travi che sostengono il tetto, che sulla carta assumono dimensioni ben più grosse del reale. I finanzieri le contano e le confrontano con la superficie fatta saldare al Comune: anche qui 167 mila euro di troppo. Persino nella bonifica dei terreni dai residuati dei bombardamenti di guerra la spesa esplode: 71 mila euro non dovuti.
Insomma, sarebbe bastato fare quattro calcoli da geometra neodiplomato per scoprire una lista gonfiata per circa mezzo milione di euro. Senza mettere il naso in una innovazione tutta fiorentina che supera la creatività meridionale in fatto di appalti. Perché se un tempo dominava il famigerato adeguamento in corso d'opera, che faceva ingigantire i costi dei cantieri, sulle rive dell'Arno hanno invece inventato l'adeguamento a cose fatte: le spese extra, sottolineano i finanzieri, saltano fuori persino dopo l'apertura al traffico del sottopasso. Al centro di tutto il tentativo di usare il project financing, una rivoluzione nella gestione degli appalti, che avrebbe dovuto garantire consegne chiavi in mano senza sorprese di dubbia origine. Per questo tutto viene assegnato al consorzio Firenze Mobilità, incentrato sul colosso locale Baldassini-Tognozzi-Pontello.
Il risultato invece, secondo l'inchiesta, è l'opposto delle buone speranze di partenza. La conclusione? Nessuno controllava l'attendibilità degli importi richiesti dalla società a cui era affidata la costruzione. Non esisteva nessuna contabilità dei lavori: si andava avanti alla cieca. I finanzieri sono chiari nel definire le responsabilità erariali. L'architetto Gaetano Di Benedetto, numero uno della direzione urbanistica del Comune, viene indicato al primo posto. Lo segue l'assessore Tea Albini, che ha gestito la parte finale del piano finanziario delle opere. Ma tutta la giunta ha avallato nel silenzio le spese folli del sottopasso: tutti si sono limitati a sancire 'l'indirizzo politico' senza nemmeno chiedere lumi sui costi extra. Il sindaco Leonardo Domenici, il vicesindaco Matulli, gli assessori Coggiola, Nencini, Bevilacqua, De Siervo, Siliani Gori, Biagi, Del Lungo, Lastri e quel Graziano Cioni, celebre per l'ordinanza sui lavavetri,si sarebbero accodati con un comportamento che, per gli inquirenti, non è solo negligenza, ma anche una colpa grave nel non difendere il denaro pubblico. Ovviamente ce n'è anche per il direttore dei lavori. Il danno provocato dalla mancanza di controlli? Tre milioni e 187 mila euro.
L'assedio alla Fortezza da Basso invece ha aspetti tragicamente fantozziani. Il cantiere con parcheggi sotterranei, negozi e uffici parte e comincia a spuntare in modo minaccioso dal sottosuolo, facendo ombra ai bastioni del Sangallo. La città insorge: non erano questi i piani. L'opera viene fermata e si decide di demolire quelle costruzioni uscite fuori come funghi dal terreno. Ma neanche il secondo tentativo fa centro nel rispettare il contesto antico. La prima visita ai lavori mostra faraglioni di cemento armato che inorridiscono cittadini e assessori: nuova interruzione ordinata personalmente dal sindaco, altra revisione dei disegni. Strada facendo, il costruttore ha dovuto rinunciare a parcheggi da vendere e uffici da affittare oltre ai costi delle demolizioni. Totale: a carico del municipio ci sono 6 milioni e mezzo di euro di spese in più. Che secondo le conclusioni della Finanza andavano evitate.
La colpa, secondo gli investigatori, è dei tecnici di Soprintendenza e Comune. Nessuno si è preoccupato di verificare se i progetti rispettavano le indicazioni per salvaguardare la Fortezza medicea. Ci sono architetti che candidamente ammettono di essersi fidati della buona fede del costruttore e di avere controllato solo sull'estetica dei giardini. Sì, proprio così: mentre si innalzavano cubi di calcestruzzo l'attenzione era tutta per le armonie del parco. Così come gli esperti della Commissione edilizia che non si erano accorti delle strutture. Scriveva nel 2005 Antonio Paolucci, un'autorità dei beni culturali: "La questione della Fortezza sta diventando ogni giorno più imbarazzante". E invocava: "Nessuno che abbia un minimo di pudore può sostenere quel progetto". Il fatto triste è che i fiorentini hanno pagato due volte quegli errori. Perché per far fronte agli sbagli, il Comune in parte ha tirato fuori soldi cash, in parte ha rinunciato ad altre opere già finanziate. Come il parco fluviale del Mensola, 75 mila metri quadrati di verde attrezzato dissolti nel nulla.
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