Il pentito e i nomi dei politici: spuntano Landolfi e Bocchino
NAPOLI - «Sappi che il mio padrone è Nicola Cosentino, e più di quello nessuno ti poteva raccomandare... fai conto che sei già dentro». Così diceva l’imprenditore in odore di camorra al giovane che aspettava l’assunzione nel consorzio Eco4, nato per gestire lo smaltimento dei rifiuti nell’area casertana. E lui, Nicola Cosentino, confermava: «L’Eco4 è una mia creatura, l’Eco4 song’io ! ». È la storia di questo consorzio già al centro di altre indagini antimafia che porta il sottosegretario all’Economia, nonché coordinatore del Pdl in Campania, all’accusa di concorso esterno in associazione camorristica, con la richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata dalla procura di Napoli al giudice per le indagini preliminari. I capi di imputazione contro Cosentino sono pesanti. «Contribuiva, sin dagli anni Novanta, a rafforzare vertici e attività dei gruppi camorristi Bidognetti e Schiavone, dai quali riceveva puntuale sostegno elettorale». Inoltre, negli anni avrebbe «garantito il permanere dei rapporti tra imprenditoria mafiosa e amministrazioni pubbliche». E la richiesta di arresto viene giustificata anche con «la persistenza del debito di gratitudine» che il sottosegretario avrebbe verso i clan di Casal di Principe.
Il tessuto criminale
L’inchiesta si basa sulle dichiarazioni di sei collaboratori di giustizia. Il ruolo centrale è quello di Gaetano Vassallo, un imprenditore legato, per sua stessa ammissione, alla cosca di Francesco Bidognetti. Il nome dell’esponente politico del Pdl Vassallo lo fa ai magistrati per la prima volta l’1 aprile del 2008, raccontando di un incontro tra il sottosegretario e Sergio Orsi, l’imprenditore che definiva Cosentino «mio padrone», e che con il fratello Michele (ucciso a Casal di Principe nel giugno del 2008) gestiva l’Eco4. «Posso dire che la società Eco4 era controllata dall’onorevole Cosentino e anche l’onorevole Landolfi (Mario Landolfi, parlamentare e vicecoordinatore del Pdl in Campania; ndr ) aveva svariati interessi in quella società. Presenziai personalmente alla consegna di cinquantamila euro in contanti da parte di Orsi Sergio all’onorevole Cosentino, incontro avvenuto a casa di quest’ultimo a Casal di Principe». In un’altra deposizione, Vassallo riferisce quanto gli avrebbe raccontato uno degli esponenti della famiglia Bidognetti nel corso di un summit: «Ricordo che si fecero i nomi anche di alcuni politici nazionali. In particolare, Bidognetti Raffaele (...) riferì che gli onorevoli Italo Bocchino (vicecapogruppo del Pdl alla Camera; ndr ), Nicola Cosentino, Gennaro Coronella (senatore Pdl; ndr ) e Landolfi facevano parte del 'nostro tessuto camorristico'».
La camorra
L’Eco4 era un’azienda che il gip definisce «pura espressione della criminalità organizzata». Va ricordato che si tratta di società a capitale misto, quindi anche pubblico, governata di fatto da personaggi detti «Zio» (soprannome di Francesco Bidognetti), «Panzone» e «Gigino o’ drink» e dove aveva un ruolo anche un personaggio come Emilio Di Caterino (poi pentito), uno degli autori del massacro di Castelvolturno, in cui il gruppo stragista dei Casalesi uccise sette immigrati. Nel 2002, Eco4 entra nel progetto per la realizzazione del termovalorizzatore nella provincia di Caserta. La sede viene scelta a Santa Maria La Fossa, attraverso una procedura che passa dal Commissariato straordinario per i rifiuti, all’epoca gestito da Antonio Bassolino, il quale, chiamato a testimoniare, «non sapeva fornire ragioni» sull’ordinanza firmata dal suo vice Giulio Facchi, nome che appare più volte nelle intercettazioni telefoniche dei «dirigenti» di Eco4. A quel tempo, Santa Maria La Fossa non è però sotto il controllo dei Bidognetti ma degli Schiavone, il più potente clan dei casalesi. Quindi Vassallo, che nella società è il referente dei Bidognetti, viene messo da parte: «L’onorevole Cosentino mi spiegò quali erano le ragioni della mia esclusione dal consorzio. Mi spiegò che ormai gli interessi economici del clan dei casalesi si erano focalizzati, per quanto riguarda il tipo di attività in questione, nell’area geografica controllata dagli Schiavone (...) e che pertanto il gruppo Bidognetti era stato 'fatto fuori' perché non aveva alcun potere su Santa Maria La Fossa. Ne derivava la mia estromissione. In poche parole l’onorevole Cosentino mi disse che si era adeguato alle scelte fatte 'a monte' dal clan dei casalesi».
I nipoti del cardinale
Dell’Eco4 e di Cosentino parla ai giudici anche Michele Orsi, in una deposizione del giugno 2007: «Circa il 70 per cento delle assunzioni che vennero operate per la Eco4 erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Valente (Giuseppe Valente, presidente del consorzio; ndr ), Cosentino e Landolfi (...) Ricordo ad esempio le assunzioni di Picone Nicola, vicesindaco di Trentola, e quella di Oliviero, consigliere di Villa Literno, entrambe richieste dall’on. Cosentino. Sempre Cosentino ci richiese l’assunzione di due nipoti del Cardinale Sepe, da noi regolarmente attuate».
Fonte: corriere.it
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25 dic 2007
Arrestato il segretario di Landolfi. "Lucrava anche con l'autoricarica del telefonino"
Giovedì 21 dicembre, mentre Mario Landolfi criticava il comportamento del Tg1 sulla diffusione delle intercettazioni di Silvio Berlusconi, i carabinieri arrestavano l'ex capo della sua segreteria personale al ministero.
Cosimo Chianese, imprenditore di Mondragone, città natale e feudo elettorale di Landolfi, è da sempre uno dei più stretti collaboratori del parlamentare di An.
Chianese è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa: assieme al fratello e ad altri familiari avrebbe ottenuto 250 mila euro di finanziamenti pubblici per realizzare dei corsi di formazione professionale mai eseguiti.
Una vicenda con un corollario surreale.
Scrive il giudice nell'ordine di cattura: «Chianese utilizzava il telefono cellulare intestato al ministero delle Comunicazioni, nella sua disponibilità quale segretario particolare del ministro (Mario Landolfi, appunto) per intrattenere lunghe telefonate con i congiunti al fine di consentire loro l'autoricarica''. Per il gip l'episodio testimonia ''la propensione di Chianese all'approfittamento delle pubbliche risorse''. Ed è singolare notare come i tabulati sui viaggi dei ministri a bordo di motovedette della Guardia di Finanza mostrino Chianese con il ministro in una missione sulla rotta Napoli-Capri...
Da un mese Chianese e Landolfi sono sotto inchiesta anche con un'accusa molto più grave: corruzione con l'aggravante di avere agevolato un clan camorristico locale. Saranno i magistrati a stabilire la rilevanza delle ipotesi penali.
Ma resta una questione etica e politica. La carica di presidente della commissione di vigilanza sulla Rai, con un ruolo istituzionale così importante in questa stagione, può essere affidata a un personaggio che, quanto meno, non ha saputo vigilare sui suoi più stretti collaboratori?
Fonte: espresso.repubblica.it
Cosimo Chianese, imprenditore di Mondragone, città natale e feudo elettorale di Landolfi, è da sempre uno dei più stretti collaboratori del parlamentare di An.
Chianese è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa: assieme al fratello e ad altri familiari avrebbe ottenuto 250 mila euro di finanziamenti pubblici per realizzare dei corsi di formazione professionale mai eseguiti.
Una vicenda con un corollario surreale.
Scrive il giudice nell'ordine di cattura: «Chianese utilizzava il telefono cellulare intestato al ministero delle Comunicazioni, nella sua disponibilità quale segretario particolare del ministro (Mario Landolfi, appunto) per intrattenere lunghe telefonate con i congiunti al fine di consentire loro l'autoricarica''. Per il gip l'episodio testimonia ''la propensione di Chianese all'approfittamento delle pubbliche risorse''. Ed è singolare notare come i tabulati sui viaggi dei ministri a bordo di motovedette della Guardia di Finanza mostrino Chianese con il ministro in una missione sulla rotta Napoli-Capri...
Da un mese Chianese e Landolfi sono sotto inchiesta anche con un'accusa molto più grave: corruzione con l'aggravante di avere agevolato un clan camorristico locale. Saranno i magistrati a stabilire la rilevanza delle ipotesi penali.
Ma resta una questione etica e politica. La carica di presidente della commissione di vigilanza sulla Rai, con un ruolo istituzionale così importante in questa stagione, può essere affidata a un personaggio che, quanto meno, non ha saputo vigilare sui suoi più stretti collaboratori?
Fonte: espresso.repubblica.it
25 nov 2007
Il padrone di Mondragone. Una città in mano alla camorra.
Camorra e politica insieme per gestire il business della spazzatura.
Mondragone è un paesone del Casertano, ricco di storia e povero di lavoro: uno dei tanti in Campania. Lì un graduato dei vigili urbani chiedeva le mazzette ai venditori del mercato, come forse accade in tanti paesi. Un sindacalista degli ambulanti si presentò ai magistrati e denunciò tutto: e forse anche questo accade in molti comuni. Solo che nel 2002, alla vigilia del processo contro il vigile, il sindacalista venne assassinato. E questo è accaduto solo a Mondragone. Perché secondo i magistrati allora come oggi lì i confini tra camorra e pubblica amministrazione sono così confusi che non si capisce più dove finiscano i partiti e comincino i clan.
Con una certezza: i feroci padrini dei Casalesi contano più dei politici. Una regola che avrebbe una sola eccezione: Mario. Nelle intercettazioni che hanno registrato il sistema di potere di Mondragone 'Mario' è quasi una parola magica. Basta pronunciare quel nome per risolvere crisi di giunta, farsi assumere, trovare la strada per ottenere la certificazione antimafia. Non un Mario qualsiasi: secondo i pm si tratta di Mario Landolfi, ex ministro e attuale presidente della Commissione di vigilanza della Rai.
Landolfi è sempre stato presentato come il volto pulito di An: fedelissimo a Gianfranco Fini, insediato due anni fa nello strategico dicastero delle Telecomunicazioni, appena confermato nel vertice di Alleanza nazionale. L'unica vicenda che lo vide protagonista negativo fu quel foglietto sventolato da Gad Lerner nel giorno delle dimissioni dal Tg1: "Landolfi mi ha chiesto: 'Ci sarebbe questa persona da sistemare...'". Invece quella che lo vede accusato di corruzione e truffa "con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan mafioso La Torre" è tutt'altra storia.
Mondragone è la sua città: Landolfi è nato lì e quello è il suo collegio elettorale. Non si perde un'inaugurazione e durante il governo del centrodestra non ha lesinato attenzioni e fondi. Ma per la direzione distrettuale antimafia di Napoli in più occasioni l'ex ministro avrebbe violato la legge. Contro di lui ci sono soprattutto le telefonate di Raffaele Chianese, ex vicesindaco, amico e collaboratore che lo seguì a Roma come capo dello staff ministeriale. E ci sono le accuse dei fratelli Orsi: due imprenditori diventati i re dei rifiuti in Campania grazie al legame con la camorra e le relazioni politiche a destra e sinistra. Perché al centro di questa storiaccia ci sono proprio gli appalti dell'immondizia, il grande business sporco che avvelena l'intera regione.
Le dichiarazioni raccolte dagli investigatori oscillano tra il folcloristico e l'inquietante. La materia prima sono i posti di lavoro: il mattone che serve a costruire il sistema di potere. Quando i politici chiedevano, il contratto doveva spuntare fuori a tutti i costi. Spiega Michele Orsi: "Circa il 70 per cento delle assunzioni poi operate erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Landolfi, Valente (il presidente del consorzio comunale, ndr) e Cosentino (il coordinatore regionale di Forza Italia, ndr)... Molte delle assunzioni erano non solo inutili ma sostanzialmente fittizie, dato che questi non svolgevano alcuna attività". Questi 'favori' poi diventavano voti. Chianese, il 'braccio destro' di Landolfi nel raccomandare un uomo vicino alle cosche sottolinea: "Quello vale cento voti!". E Orsi replica promettendo il contratto: "Tieni presente che siamo vicini a te e Mario per queste elezioni. Qualunque cosa...". La risposta? "Grazie, a buon rendere".
Spiega uno dei pentiti di questo romanzo criminale: "Quasi tutte le persone che a Mondragone lavorano per la nettezza urbana sono state raccomandate dal clan. Qualunque iniziativa volessero prendere i lavoratori dovevano concordarla con il clan, compreso l'iscrizione al sindacato o iniziative di protesta. Mi risulta che nel corso degli anni sono stati organizzati dalla cosca vari pranzi elettorali per cercare di far votare tutti i dipendenti della nettezza urbana per una certa persona. Certamente è stato organizzato un incontro per far votare Paolo Russo (onorevole di Forza Italia, ndr). Per le ultime politiche è stato organizzato un rinfresco a favore di Landolfi a cui pure hanno partecipato tutti i dipendenti della nettezza urbana. In quest'ultima occasione il clan si è occupato soltanto di far andare tutti all'incontro".
D'altronde i consorzi che gestiscono i rifiuti sono espressione diretta dei partiti. In questa istruttoria lo ammette Giuseppe Valente, numero uno della società mista che si occupa di pulire 18 comuni sul litorale Domiziano, che dopo l'arresto spiega con candore di avere "assunto la presidenza quale incarico squisitamente politico, previa intesa con i referenti politici, i parlamentari Landolfi, Cosentino e Coronella (senatore e leader provinciale di An, ndr)". È difficile ritenerla una normale lottizzazione. E questo non solo alla luce della drammatica situazione che la questione della spazzatura ha assunto. C'è infatti il dominio della criminalità, che controlla tutto e pretende che i suoi uomini vengano retribuiti per non fare nulla. Il 'portaborse' di Landolfi dice al telefono che prima nella società della nettezza urbana "c'erano 22 assunti ma dieci erano camorristi. Non lavoravano, si pigliavano solo lo stipendio". Il seguito dell'intercettazione è anche peggiore: "Quanti ce ne possono servire per pulire Mondragone? Trentacinque a esagerare. Invece ora ce ne stanno 86, 51 chi li deve pagare?"
La camorra non si accontenta del lavoro: vuole anche i soldi. L'azienda della spazzatura paga ogni mese 15 mila euro di pizzo agli emissari dei padrini. A sollecitare la tangente, scrivono i magistrati, è proprio il presidente del consorzio pubblico. Quello che dichiara di essere stato nominato grazie a Landolfi e Cosentino. Spesso però i boss decidono di fare politica in proprio, violando ogni regola: usano il loro pacchetto di voti per condizionare le scelte del Comune.
Di fronte a questo dilagare della camorra cosa fa lo Stato? Poco o nulla. Dalla Prefettura di Caserta - recitano gli atti della Procura - le informative di polizia arrivavano direttamente nelle mani sbagliate. Anche figure chiave del Commissariato per l'emergenza rifiuti erano a 'disposizione' dei padrini della spazzatura: come Claudio De Biasio, il vice di Bertolaso arrestato nella scorsa primavera. E se si cercava di applicare le misure minime di legge, come l'obbligo di certificato antimafia per gli appalti, c'era sempre un parlamentare pronto a trovare una scorciatoia.
Spiega il solito Orsi: "Quanto alle mie richieste rivolte ai politici di interessarsi per il rilascio della certificazione antimafia, faccio presente che sollecitai direttamente l'onorevole Cosentino e - tramite Valente - Mario Landolfi. Cosentino mi diede assicurazioni sul fatto che si sarebbe interessato: ricordo che questi ebbe a chiamare telefonicamente, innanzi a me, il dottor Provolo (il viceprefetto, ndr) con il quale prese un appuntamento per avere dei chiarimenti". E Landolfi? "Chianese ci disse di aver ricevuto da Landolfi l'indicazione proveniente dalla Prefettura... sottolineando che grazie a lui Landolfi si era recato presso la Prefettura per perorare il rilascio della certificazione antimafia".
Gli elementi di accusa contro il parlamentare di An sono ancora in parte coperti dal segreto. Ma dagli atti spunta un dialogo impressionante. Sergio Orsi, uno dei re dei rifiuti, si fa avanti offrendo "amicizia". E Chianese replica: "Mario i soldi se li può prendere solo da me, e non se li può prendere da nessun altro, quindi è inutile...". Poi precisa: "Lui soldi non ne piglia... Cioè, i soldi che danno per fare l'attività. finanzia il partito... Io me ne avvantaggio dal partito, perché io prendo un incarico... e giustamente devo dare un contributo...". E a quel punto 'il portaborse' spiega: "Tu puoi partecipare... se tu devi prendere un appalto per un lavoro, anziché darlo ad un altro, lo dai a me... È un contributo anche questo...".
Di fronte alle accuse di truffa e corruzione avanzate dai pm, Landolfi ha mostrato serenità: "Non ho ricevuto nessuna comunicazione, ma sono a disposizione dei giudici: il mio impegno politico è limpido. In vita mia non ho mai corrotto né truffato, non mi sono mai occupato di appalti e cose del genere". Ma oltre agli aspetti penali restano gli interrogativi sulla gestione della Campania e il ruolo che la classe politica ha avuto nel contrasto della camorra. Quando due anni finì per la prima volta sotto inchiesta il 'portaborse' Chianese, la risposta dei vertici regionali di An fu un'interrogazione parlamentare contro il pm Cantone. E il primo intervento di Landolfi sul caso Mondragone risale al 2003.
Non fu una denuncia, ma una dichiarazione in favore della sorella del padrino Augusto La Torre. All'epoca intervenne sul 'Corriere del Mezzogiorno' per fare sfoggio di garantismo: "Certo che conosco la professoressa La Torre. Abbiamo abitato nella stessa scala per anni. Il suo arresto mi ha sorpreso ma sospenderei il giudizio". Al cronista che chiedeva qual è l'impegno di un leader nazionale in "in una città di frontiera come Mondragone", rispondeva: "Anche un ruolo pedagogico: spiegando alle persone che non tutto è diritto e non tutto può essere risolto dalla politica. Ma dopo l'incalzante attività delle forze dell'ordine, a Mondragone siamo in una fase di ripresa. Alla fine, vince sempre lo Stato". Speriamo
Fonte: espresso.repubblica.it
Mondragone è un paesone del Casertano, ricco di storia e povero di lavoro: uno dei tanti in Campania. Lì un graduato dei vigili urbani chiedeva le mazzette ai venditori del mercato, come forse accade in tanti paesi. Un sindacalista degli ambulanti si presentò ai magistrati e denunciò tutto: e forse anche questo accade in molti comuni. Solo che nel 2002, alla vigilia del processo contro il vigile, il sindacalista venne assassinato. E questo è accaduto solo a Mondragone. Perché secondo i magistrati allora come oggi lì i confini tra camorra e pubblica amministrazione sono così confusi che non si capisce più dove finiscano i partiti e comincino i clan.
Con una certezza: i feroci padrini dei Casalesi contano più dei politici. Una regola che avrebbe una sola eccezione: Mario. Nelle intercettazioni che hanno registrato il sistema di potere di Mondragone 'Mario' è quasi una parola magica. Basta pronunciare quel nome per risolvere crisi di giunta, farsi assumere, trovare la strada per ottenere la certificazione antimafia. Non un Mario qualsiasi: secondo i pm si tratta di Mario Landolfi, ex ministro e attuale presidente della Commissione di vigilanza della Rai.
Landolfi è sempre stato presentato come il volto pulito di An: fedelissimo a Gianfranco Fini, insediato due anni fa nello strategico dicastero delle Telecomunicazioni, appena confermato nel vertice di Alleanza nazionale. L'unica vicenda che lo vide protagonista negativo fu quel foglietto sventolato da Gad Lerner nel giorno delle dimissioni dal Tg1: "Landolfi mi ha chiesto: 'Ci sarebbe questa persona da sistemare...'". Invece quella che lo vede accusato di corruzione e truffa "con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan mafioso La Torre" è tutt'altra storia.
Mondragone è la sua città: Landolfi è nato lì e quello è il suo collegio elettorale. Non si perde un'inaugurazione e durante il governo del centrodestra non ha lesinato attenzioni e fondi. Ma per la direzione distrettuale antimafia di Napoli in più occasioni l'ex ministro avrebbe violato la legge. Contro di lui ci sono soprattutto le telefonate di Raffaele Chianese, ex vicesindaco, amico e collaboratore che lo seguì a Roma come capo dello staff ministeriale. E ci sono le accuse dei fratelli Orsi: due imprenditori diventati i re dei rifiuti in Campania grazie al legame con la camorra e le relazioni politiche a destra e sinistra. Perché al centro di questa storiaccia ci sono proprio gli appalti dell'immondizia, il grande business sporco che avvelena l'intera regione.
Le dichiarazioni raccolte dagli investigatori oscillano tra il folcloristico e l'inquietante. La materia prima sono i posti di lavoro: il mattone che serve a costruire il sistema di potere. Quando i politici chiedevano, il contratto doveva spuntare fuori a tutti i costi. Spiega Michele Orsi: "Circa il 70 per cento delle assunzioni poi operate erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Landolfi, Valente (il presidente del consorzio comunale, ndr) e Cosentino (il coordinatore regionale di Forza Italia, ndr)... Molte delle assunzioni erano non solo inutili ma sostanzialmente fittizie, dato che questi non svolgevano alcuna attività". Questi 'favori' poi diventavano voti. Chianese, il 'braccio destro' di Landolfi nel raccomandare un uomo vicino alle cosche sottolinea: "Quello vale cento voti!". E Orsi replica promettendo il contratto: "Tieni presente che siamo vicini a te e Mario per queste elezioni. Qualunque cosa...". La risposta? "Grazie, a buon rendere".
Spiega uno dei pentiti di questo romanzo criminale: "Quasi tutte le persone che a Mondragone lavorano per la nettezza urbana sono state raccomandate dal clan. Qualunque iniziativa volessero prendere i lavoratori dovevano concordarla con il clan, compreso l'iscrizione al sindacato o iniziative di protesta. Mi risulta che nel corso degli anni sono stati organizzati dalla cosca vari pranzi elettorali per cercare di far votare tutti i dipendenti della nettezza urbana per una certa persona. Certamente è stato organizzato un incontro per far votare Paolo Russo (onorevole di Forza Italia, ndr). Per le ultime politiche è stato organizzato un rinfresco a favore di Landolfi a cui pure hanno partecipato tutti i dipendenti della nettezza urbana. In quest'ultima occasione il clan si è occupato soltanto di far andare tutti all'incontro".
D'altronde i consorzi che gestiscono i rifiuti sono espressione diretta dei partiti. In questa istruttoria lo ammette Giuseppe Valente, numero uno della società mista che si occupa di pulire 18 comuni sul litorale Domiziano, che dopo l'arresto spiega con candore di avere "assunto la presidenza quale incarico squisitamente politico, previa intesa con i referenti politici, i parlamentari Landolfi, Cosentino e Coronella (senatore e leader provinciale di An, ndr)". È difficile ritenerla una normale lottizzazione. E questo non solo alla luce della drammatica situazione che la questione della spazzatura ha assunto. C'è infatti il dominio della criminalità, che controlla tutto e pretende che i suoi uomini vengano retribuiti per non fare nulla. Il 'portaborse' di Landolfi dice al telefono che prima nella società della nettezza urbana "c'erano 22 assunti ma dieci erano camorristi. Non lavoravano, si pigliavano solo lo stipendio". Il seguito dell'intercettazione è anche peggiore: "Quanti ce ne possono servire per pulire Mondragone? Trentacinque a esagerare. Invece ora ce ne stanno 86, 51 chi li deve pagare?"
La camorra non si accontenta del lavoro: vuole anche i soldi. L'azienda della spazzatura paga ogni mese 15 mila euro di pizzo agli emissari dei padrini. A sollecitare la tangente, scrivono i magistrati, è proprio il presidente del consorzio pubblico. Quello che dichiara di essere stato nominato grazie a Landolfi e Cosentino. Spesso però i boss decidono di fare politica in proprio, violando ogni regola: usano il loro pacchetto di voti per condizionare le scelte del Comune.
Di fronte a questo dilagare della camorra cosa fa lo Stato? Poco o nulla. Dalla Prefettura di Caserta - recitano gli atti della Procura - le informative di polizia arrivavano direttamente nelle mani sbagliate. Anche figure chiave del Commissariato per l'emergenza rifiuti erano a 'disposizione' dei padrini della spazzatura: come Claudio De Biasio, il vice di Bertolaso arrestato nella scorsa primavera. E se si cercava di applicare le misure minime di legge, come l'obbligo di certificato antimafia per gli appalti, c'era sempre un parlamentare pronto a trovare una scorciatoia.
Spiega il solito Orsi: "Quanto alle mie richieste rivolte ai politici di interessarsi per il rilascio della certificazione antimafia, faccio presente che sollecitai direttamente l'onorevole Cosentino e - tramite Valente - Mario Landolfi. Cosentino mi diede assicurazioni sul fatto che si sarebbe interessato: ricordo che questi ebbe a chiamare telefonicamente, innanzi a me, il dottor Provolo (il viceprefetto, ndr) con il quale prese un appuntamento per avere dei chiarimenti". E Landolfi? "Chianese ci disse di aver ricevuto da Landolfi l'indicazione proveniente dalla Prefettura... sottolineando che grazie a lui Landolfi si era recato presso la Prefettura per perorare il rilascio della certificazione antimafia".
Gli elementi di accusa contro il parlamentare di An sono ancora in parte coperti dal segreto. Ma dagli atti spunta un dialogo impressionante. Sergio Orsi, uno dei re dei rifiuti, si fa avanti offrendo "amicizia". E Chianese replica: "Mario i soldi se li può prendere solo da me, e non se li può prendere da nessun altro, quindi è inutile...". Poi precisa: "Lui soldi non ne piglia... Cioè, i soldi che danno per fare l'attività. finanzia il partito... Io me ne avvantaggio dal partito, perché io prendo un incarico... e giustamente devo dare un contributo...". E a quel punto 'il portaborse' spiega: "Tu puoi partecipare... se tu devi prendere un appalto per un lavoro, anziché darlo ad un altro, lo dai a me... È un contributo anche questo...".
Di fronte alle accuse di truffa e corruzione avanzate dai pm, Landolfi ha mostrato serenità: "Non ho ricevuto nessuna comunicazione, ma sono a disposizione dei giudici: il mio impegno politico è limpido. In vita mia non ho mai corrotto né truffato, non mi sono mai occupato di appalti e cose del genere". Ma oltre agli aspetti penali restano gli interrogativi sulla gestione della Campania e il ruolo che la classe politica ha avuto nel contrasto della camorra. Quando due anni finì per la prima volta sotto inchiesta il 'portaborse' Chianese, la risposta dei vertici regionali di An fu un'interrogazione parlamentare contro il pm Cantone. E il primo intervento di Landolfi sul caso Mondragone risale al 2003.
Non fu una denuncia, ma una dichiarazione in favore della sorella del padrino Augusto La Torre. All'epoca intervenne sul 'Corriere del Mezzogiorno' per fare sfoggio di garantismo: "Certo che conosco la professoressa La Torre. Abbiamo abitato nella stessa scala per anni. Il suo arresto mi ha sorpreso ma sospenderei il giudizio". Al cronista che chiedeva qual è l'impegno di un leader nazionale in "in una città di frontiera come Mondragone", rispondeva: "Anche un ruolo pedagogico: spiegando alle persone che non tutto è diritto e non tutto può essere risolto dalla politica. Ma dopo l'incalzante attività delle forze dell'ordine, a Mondragone siamo in una fase di ripresa. Alla fine, vince sempre lo Stato". Speriamo
Fonte: espresso.repubblica.it
19 mar 2007
E donna Maria creò un partito.
Maria D'Agostino è una donna tosta, che sa sempre come ottenere rispetto. Ed è lei forse la protagonista più sorprendente dell'inchiesta che coinvolge Mario Landolfi. Nel 1988, a soli 22 anni, la polizia la sorprende assieme alla cugina mentre nasconde due boss latitanti: le due ragazze vengono anche accusate di custodire le armi del clan. Per questo viene processata e condannata. Ma lei non se ne cura. Assieme al compagno Gennaro Sorrentino pensa in grande. Secondo i magistrati raccolgono il pacchetto di voti controllato dalla camorra e fondano un loro partito. Dopo qualche tentennamento lo battezzano Forza Giovani. Al loro fianco un altro amico più volte coinvolto in storie di mafia: quel Giuseppe Diana promotore della misteriosa cordata che tentò di comprare la Lazio con il sostegno di Giorgio Chinaglia. Forza Giovani ottiene mille preferenze e fa entrare donna Maria nel consiglio comunale: è lei l'ago della bilancia per creare a Mondragone la giunta di centrodestra. Decide di passare in Forza Italia e fa insediare il sindaco Ugo Conte, ora indagato.
Il partito di donna Maria per la Procura è di fatto la camorra. Che così partecipa direttamente alle decisioni del Comune: una pacchia per pilotare appalti e assunzioni. Peccato che la legge vieti l'elezione dei pregiudicati come donna Maria.
Quando la prefettura lo scopre e timidamente segnala l'illecito, a Mondragone si teme la rivoluzione. La rimozione della D'Agostino farebbe entrare in consiglio un nemico del sindaco: tutto il sistema di potere verrebbe messo in discussione, una perdita letale per boss e partiti. Così secondo la Procura antimafia scatta un piano diabolico: viene architettata una complessa operazione di bassa politica e alti interessi. Donna Maria si sarebbe dimessa in cambio dell'assunzione sua e di quattro parenti nella solita 'munnezza spa'. Assunzione fittizia: avrebbero intascato lo stipendio senza lavorare. Immediatamente prima, però, viene fatto dimettere anche un consigliere d'opposizione, Massimo Romano, lasciando la poltrona a un uomo schierato con il sindaco. Il prezzo di Romano? Un posto per sé e per la moglie. Secondo la Procura antimafia il garante di quest'ultima tranche della manovra sarebbe stato proprio Landolfi. Che poi viene invocato per far mantenere le promesse
Il partito di donna Maria per la Procura è di fatto la camorra. Che così partecipa direttamente alle decisioni del Comune: una pacchia per pilotare appalti e assunzioni. Peccato che la legge vieti l'elezione dei pregiudicati come donna Maria.
Quando la prefettura lo scopre e timidamente segnala l'illecito, a Mondragone si teme la rivoluzione. La rimozione della D'Agostino farebbe entrare in consiglio un nemico del sindaco: tutto il sistema di potere verrebbe messo in discussione, una perdita letale per boss e partiti. Così secondo la Procura antimafia scatta un piano diabolico: viene architettata una complessa operazione di bassa politica e alti interessi. Donna Maria si sarebbe dimessa in cambio dell'assunzione sua e di quattro parenti nella solita 'munnezza spa'. Assunzione fittizia: avrebbero intascato lo stipendio senza lavorare. Immediatamente prima, però, viene fatto dimettere anche un consigliere d'opposizione, Massimo Romano, lasciando la poltrona a un uomo schierato con il sindaco. Il prezzo di Romano? Un posto per sé e per la moglie. Secondo la Procura antimafia il garante di quest'ultima tranche della manovra sarebbe stato proprio Landolfi. Che poi viene invocato per far mantenere le promesse
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