Ex manager di Fastweb ammette dal giudice: il meccanismo criminoso esisteva
ROMA — I terreni nel Lazio, in Umbria e in Abruzzo. Le case a Roma e all’Argentario. Le Ferrari e le Jaguar. Adesso, però, i carabinieri del Ros hanno individuato il tassello che ancora mancava per ricostruire il patrimonio del senatore Nicola Di Girolamo: i soldi. Non è ancora nota la cifra esatta, ma ieri sera gli investigatori hanno scoperto alcuni conti correnti in Svizzera, a Lugano. Riconducibili, ritengono, al parlamentare Pdl e a Gennaro Mokbel, considerato il capo dell’organizzazione: questi, stando all’ordinanza di custodia, «si è avvalso della professionalità» del legale «per costituire le società internazionali di comodo funzionali al riciclaggio».
I carabinieri non hanno potuto sequestrare i conti correnti sia perché Di Girolamo è senatore sia perché occorre una rogatoria in Svizzera. Ma ai militari era già noto che Lugano è stata il quartier generale dell’avvocato dal 3 gennaio 2005 al 24 maggio 2007. In quegli anni infatti il senatore è stato «membro con firma collettiva a due» della Egobank, l’istituto di credito in cui aveva un conto corrente la Platon, una delle società coinvolte nel riciclaggio.
In queste ore Di Girolamo sta decidendo se dimettersi: l’addio al Senato potrebbe arrivare già domani. È pronto, così assicura, a collaborare con la magistratura, ma soprattutto a dimostrare che le accuse sono infondate. Dall’Aquila il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, lo invita a fare un passo indietro, mentre da Potenza Piero Fassino sostiene che «le dimissioni sono una questione che attiene alla sua sensibilità e alle sue valutazioni». C’è polemica però sul voto all’estero e soprattutto sull’applicazione della legge.
Si amplia intanto il numero dei manager coinvolti nell’inchiesta: sono indagati per «dichiarazione infedele mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» Emanuele Angelidis, Mario Rossi, Alberto Calcagno (Fastweb) e Amandino Pavani (Telecom Italia Sparkle). Proprio in relazione alla società fondata da Silvio Scaglia ieri l’interrogatorio di Bruno Zito, a Milano, avrebbe fatto incassare un punto all’accusa. Il dirigente, per il quale Fastweb ha avviato le procedure di licenziamento, avrebbe confermato l’esistenza del «meccanismo criminoso » . Non avrebbe tirato in ballo Scaglia, ma avrebbe sostenuto che i rapporti con le società «cartiere», riferibili a Mokbel, erano già iniziati prima della sua nomina a responsabile del settore «Grandi aziende». «Ha dato ampie spiegazioni — precisa l’avvocato Bruno Assumma — di come in azienda venissero condotte le operazioni contestate dall’accusa». Il manager è accusato di aver procurato le fatture necessarie per ottenere i rimborsi, non dovuti, dell’Iva e di aver ricevuto, insieme alla Super Harvest (una delle società coinvolte nel riciclaggio), più di cinque milioni di euro su un conto corrente aperto a Hong Kong. Zito si è difeso anche da questa contestazione, ma qui non avrebbe convinto i magistrati.
Non hanno invece risposto alle domande del gip Aldo Morgigni né altri due manager di Fastweb (Giuseppe Crudele e Mario Rossetti), nè Francesco Fragomeli, amministratore della Fcz. L’interrogatorio di Scaglia, l’ultimo della serie, si svolgerà probabilmente martedì.
Fonte: corriere.it
28 feb 2010
Di Girolamo pensa alla resa «È pronto a dimettersi e a parlare». I magistrati hanno deciso il sequestro di tutti i beni del parlamentare
Il colloquio con l’amico senatore De Gregorio. «Mi hanno fatto simbolo di ciò che c'è da buttare in questo Paese»
ROMA — La voce è tesa, la faccia pallida, scavata da giorni di paura e di vergogna. «Sergio, io non ce la faccio più, mi dimetto». «Fai bene, Nicola, fai bene». «Mi dimetto e parlo: collaboro». «Sì, vai dai magistrati e affronta il processo: evitati il calvario del voto in aula». Metà pomeriggio, ufficio a Palazzo Madama del senatore De Gregorio. Il giorno più lungo per Nicola Di Girolamo si consuma qui, in una trentina di minuti che pesano quanto trent'anni di vita. Lo «schiavo» di Gennaro Mokbel nelle intercettazioni telefoniche, il parafulmini della gigantesca inchiesta antiriciclaggio che fa ballare da giorni la politica italiana, l’uomo per il quale i picciotti della 'ndrangheta erano andati a raccogliere voti porta a porta fino in Germania, è pronto a gettare la spugna: «Lunedì voglio presentare le dimissioni al Senato», dice a De Gregorio, che gli è stato consigliere e amico in questi due anni. Ma già oggi la decisione potrebbe essere formalizzata, dopo una serata e una nottata a studiare le carte, mordersi le mani, imprecare, guardare la tv e le agenzie mentre il martellamento continua, mentre gli piove in casa un decreto di sequestro su tutti i beni, appartamenti, barca, automobili, conti correnti. Mentre la moglie Antonella e i ragazzi, Francesco e Alessandro, gli dicono: «Siamo con te, resisti». Almeno quello, almeno loro.
Come sta, senatore? Alle sette di sera scorrono i titoli del tg. Lui alza la testa dal tavolo dove sta leggendo la monumentale ordinanza con 56 richieste d'arresto, fa un risolino nervoso e risponde: «Non ha un'altra domanda?». Pare che non la conosca più nessuno, in Italia... Pare che lei sia sceso improvvisamente dalla luna e si sia messo in lista da solo. «Sì, sono diventato il simbolo di tutto ciò che si deve buttare via in questo Paese». Il suo avvocato, Paolo Dell'Anno, mente per difenderlo, per tenerlo lontano dall'assalto dei giornalisti: «Oggi non l'ho visto», dice al telefono, mentre il senatore gli sta davanti.
Il Pd parla di pericolo di fuga, il capogruppo democratico nella giunta per le immunità, Francesco Sanna, si rivolge al presidente della giunta, Marco Follini, perché gli venga imposto di rimanere a Roma. E' quest'idea della fuga, probabilmente, che colma la misura. «Di scappare non mi passa neanche per la testa». Dice Di Girolamo: «Adesso basta». Già da ore ha in mente un gesto che metta fine a tutta la storia. Prima di decidere, tuttavia, non può che andare da «Sergio», dal senatore De Gregorio che, in fondo, s'è assunto anche il ruolo di portavoce informale per i colleghi come lui, per la pattuglia della «legione straniera», gli eletti all'estero che ha fatto entrare nella sua fondazione, «Italiani nel Mondo».
Il caso vuole che proprio nelle stesse ore il tribunale del Riesame di Napoli respinga per la seconda volta una richiesta di arresto in una vecchia storia di riciclaggio su cui la procura napoletana continua a stare appresso a De Gregorio. Sicché sulla scrivania del senatore del Pdl arrivano i rallegramenti dei colleghi. In quei pochi metri quadrati di ufficio a Palazzo Madama lo stato d'animo dei due amici non potrebbe essere più diverso. De Gregorio è combattivo: «Hanno trasformato Nicola nel mostro nazionale. Non scapperebbe mai, ma, persino se volesse scappare, non ha più nemmeno i soldi per prendere l'autobus, gli è stato sequestrato tutto».
«Nicola» fa fatica a parlare anche con la propria immagine allo specchio. Però la decisione sembra, a questo punto, presa e condivisa. «Rincuoro la mia famiglia, leggo le carte e mi consegno alla giustizia», annuncia. «Secondo me, devi evitare la discussione in aula», gli suggerisce l'amico. Il tempo di lasciare il Senato e di spostarsi nello studio del suo legale e comincia la seconda parte di questa giornata interminabile. «Tutti hanno letto le mille e ottocento pagine dell'ordinanza tranne lui», sbuffa De Gregorio. Passano le dichiarazioni in agenzia, Berlusconi che spiega di non avere «mai conosciuto il senatore indagato»; D'Alema, dal Copasir, che chiede il rispetto per quelle leggi che «Di Girolamo ha violato». E poi Schifani e poi i colleghi, e poi gli (ex) amici di partito: se ha un merito, questo senatore compromesso e impresentabile, è avere dimostrato quanto compromessa e impresentabile sia la legge che ne ha regolato l’elezione.
Dalla prossima settimana Di Girolamo avrà da spiegare molte cose ai magistrati. C’è quella frase di Mokbel, «tu sei lo schiavo mio, ricordatelo», che è la sintesi dei suoi errori, pesa e peserà come un macigno sul resto dei suoi giorni. De Gregorio in qualche misura l’accompagna a distanza in questa terribile serata, adesso parla per lui. Dice: «A uno come Mokbel staccherei la testa a ceffoni se si permettesse di darmi dello "schiavo". Ma bisogna partire dal presupposto che Nicola è un ragazzo cresciuto nella bambagia, negli agi, e vive la politica come una fissazione. Gli si avvicina questa banda di "fetienti" e lui sta al gioco, lascia fare. Alla fine quelli gli presentano il conto». Forse l’analisi è un po’ benevola ... «D’accordo, è vero che Mokbel gli ha messo a disposizione la struttura e i mezzi, ma appena lui è stato eletto, gli ha presentato il conto. Lui ha tentato di affrancarsi ma aveva fatto un miliardo di cavolate, non c’era più verso di uscirne». Ora hanno ragione di tremare altri politici del Pdl? In fondo, in una intervista piuttosto allusiva al Sole 24 Ore lei lo ha fatto capire. «No, no. Io dico solo: attenti a consegnare durante la campagna elettorale un senatore al suo destino».
Fonte: corriere.it
ROMA — La voce è tesa, la faccia pallida, scavata da giorni di paura e di vergogna. «Sergio, io non ce la faccio più, mi dimetto». «Fai bene, Nicola, fai bene». «Mi dimetto e parlo: collaboro». «Sì, vai dai magistrati e affronta il processo: evitati il calvario del voto in aula». Metà pomeriggio, ufficio a Palazzo Madama del senatore De Gregorio. Il giorno più lungo per Nicola Di Girolamo si consuma qui, in una trentina di minuti che pesano quanto trent'anni di vita. Lo «schiavo» di Gennaro Mokbel nelle intercettazioni telefoniche, il parafulmini della gigantesca inchiesta antiriciclaggio che fa ballare da giorni la politica italiana, l’uomo per il quale i picciotti della 'ndrangheta erano andati a raccogliere voti porta a porta fino in Germania, è pronto a gettare la spugna: «Lunedì voglio presentare le dimissioni al Senato», dice a De Gregorio, che gli è stato consigliere e amico in questi due anni. Ma già oggi la decisione potrebbe essere formalizzata, dopo una serata e una nottata a studiare le carte, mordersi le mani, imprecare, guardare la tv e le agenzie mentre il martellamento continua, mentre gli piove in casa un decreto di sequestro su tutti i beni, appartamenti, barca, automobili, conti correnti. Mentre la moglie Antonella e i ragazzi, Francesco e Alessandro, gli dicono: «Siamo con te, resisti». Almeno quello, almeno loro.
Come sta, senatore? Alle sette di sera scorrono i titoli del tg. Lui alza la testa dal tavolo dove sta leggendo la monumentale ordinanza con 56 richieste d'arresto, fa un risolino nervoso e risponde: «Non ha un'altra domanda?». Pare che non la conosca più nessuno, in Italia... Pare che lei sia sceso improvvisamente dalla luna e si sia messo in lista da solo. «Sì, sono diventato il simbolo di tutto ciò che si deve buttare via in questo Paese». Il suo avvocato, Paolo Dell'Anno, mente per difenderlo, per tenerlo lontano dall'assalto dei giornalisti: «Oggi non l'ho visto», dice al telefono, mentre il senatore gli sta davanti.
Il Pd parla di pericolo di fuga, il capogruppo democratico nella giunta per le immunità, Francesco Sanna, si rivolge al presidente della giunta, Marco Follini, perché gli venga imposto di rimanere a Roma. E' quest'idea della fuga, probabilmente, che colma la misura. «Di scappare non mi passa neanche per la testa». Dice Di Girolamo: «Adesso basta». Già da ore ha in mente un gesto che metta fine a tutta la storia. Prima di decidere, tuttavia, non può che andare da «Sergio», dal senatore De Gregorio che, in fondo, s'è assunto anche il ruolo di portavoce informale per i colleghi come lui, per la pattuglia della «legione straniera», gli eletti all'estero che ha fatto entrare nella sua fondazione, «Italiani nel Mondo».
Il caso vuole che proprio nelle stesse ore il tribunale del Riesame di Napoli respinga per la seconda volta una richiesta di arresto in una vecchia storia di riciclaggio su cui la procura napoletana continua a stare appresso a De Gregorio. Sicché sulla scrivania del senatore del Pdl arrivano i rallegramenti dei colleghi. In quei pochi metri quadrati di ufficio a Palazzo Madama lo stato d'animo dei due amici non potrebbe essere più diverso. De Gregorio è combattivo: «Hanno trasformato Nicola nel mostro nazionale. Non scapperebbe mai, ma, persino se volesse scappare, non ha più nemmeno i soldi per prendere l'autobus, gli è stato sequestrato tutto».
«Nicola» fa fatica a parlare anche con la propria immagine allo specchio. Però la decisione sembra, a questo punto, presa e condivisa. «Rincuoro la mia famiglia, leggo le carte e mi consegno alla giustizia», annuncia. «Secondo me, devi evitare la discussione in aula», gli suggerisce l'amico. Il tempo di lasciare il Senato e di spostarsi nello studio del suo legale e comincia la seconda parte di questa giornata interminabile. «Tutti hanno letto le mille e ottocento pagine dell'ordinanza tranne lui», sbuffa De Gregorio. Passano le dichiarazioni in agenzia, Berlusconi che spiega di non avere «mai conosciuto il senatore indagato»; D'Alema, dal Copasir, che chiede il rispetto per quelle leggi che «Di Girolamo ha violato». E poi Schifani e poi i colleghi, e poi gli (ex) amici di partito: se ha un merito, questo senatore compromesso e impresentabile, è avere dimostrato quanto compromessa e impresentabile sia la legge che ne ha regolato l’elezione.
Dalla prossima settimana Di Girolamo avrà da spiegare molte cose ai magistrati. C’è quella frase di Mokbel, «tu sei lo schiavo mio, ricordatelo», che è la sintesi dei suoi errori, pesa e peserà come un macigno sul resto dei suoi giorni. De Gregorio in qualche misura l’accompagna a distanza in questa terribile serata, adesso parla per lui. Dice: «A uno come Mokbel staccherei la testa a ceffoni se si permettesse di darmi dello "schiavo". Ma bisogna partire dal presupposto che Nicola è un ragazzo cresciuto nella bambagia, negli agi, e vive la politica come una fissazione. Gli si avvicina questa banda di "fetienti" e lui sta al gioco, lascia fare. Alla fine quelli gli presentano il conto». Forse l’analisi è un po’ benevola ... «D’accordo, è vero che Mokbel gli ha messo a disposizione la struttura e i mezzi, ma appena lui è stato eletto, gli ha presentato il conto. Lui ha tentato di affrancarsi ma aveva fatto un miliardo di cavolate, non c’era più verso di uscirne». Ora hanno ragione di tremare altri politici del Pdl? In fondo, in una intervista piuttosto allusiva al Sole 24 Ore lei lo ha fatto capire. «No, no. Io dico solo: attenti a consegnare durante la campagna elettorale un senatore al suo destino».
Fonte: corriere.it
26 feb 2010
Di Girolamo, ecco le foto
Il senatore del Pdl nega di aver mai avuto rapporti con la malavita organizzata. Ma "L'espresso" ha trovato le sue immagini amichevoli insieme a un boss della 'Ndrangheta, Franco Pugliese
"I fatti contestati non mi appartengono. Non ho mai avuto contatti con mafia, camorra e 'Ndrangheta". Così ha dichiarato il senatore Pdl Nicola Di Girolamo nel corso della conferenza stampa che ha convocato per precisare ai giornalisti la propria posizione in merito all'inchiesta che lo vede accusato di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio internazionale e di essere stato eletto all'estero con il contributo determinante di una famiglia mafiosa.
Il senatore si è concesso pochi minuti, senza rispondere alle domande che gli venivano rivolte, numerosissime, dai cronisti. "Ho rispetto del lavori della magistratura ma mi riservo di vedere prima gli atti per poter contestare le accuse", si è limitato ad aggiungere.
Quell'unica, perentoria, affermazione "non ho mai avuto contatti con mafia, camorra e 'ndrangheta" viene tuttavia smentita da un servizio fotografico pubblicato in esclusiva nel prossimo numero de "L'espresso" e che qui anticipiamo. Il servizio documenta una cena elettorale svoltasi nell'aprile 2008 durante la quale il senatore Di Girolamo è ritratto in atteggiamento amichevole insieme al boss Franco Pugliese e questi, a sua volta, con Gennaro Mokbel (considerato l'ambasciatore delle famiglie mafiose calabresi nel potere politico romano): tutti coinvolti nella maxi inchiesta che vede implicati i vertici di Fastweb e Telecom.
Fonte: espresso.repubblica.it
Pugliese (boss), Di Girolamo (senatore), Mokbel (faccendiere) ad una cena elettorale per il Di Girolamo
Di Girolamo (seantore a sx) e Pugliese (boss della 'nrandgheta a dx)
Mokbel (a sx con il trench), ragazze immagine, e il Di Girolamo
"I fatti contestati non mi appartengono. Non ho mai avuto contatti con mafia, camorra e 'Ndrangheta". Così ha dichiarato il senatore Pdl Nicola Di Girolamo nel corso della conferenza stampa che ha convocato per precisare ai giornalisti la propria posizione in merito all'inchiesta che lo vede accusato di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio internazionale e di essere stato eletto all'estero con il contributo determinante di una famiglia mafiosa.
Il senatore si è concesso pochi minuti, senza rispondere alle domande che gli venivano rivolte, numerosissime, dai cronisti. "Ho rispetto del lavori della magistratura ma mi riservo di vedere prima gli atti per poter contestare le accuse", si è limitato ad aggiungere.
Quell'unica, perentoria, affermazione "non ho mai avuto contatti con mafia, camorra e 'ndrangheta" viene tuttavia smentita da un servizio fotografico pubblicato in esclusiva nel prossimo numero de "L'espresso" e che qui anticipiamo. Il servizio documenta una cena elettorale svoltasi nell'aprile 2008 durante la quale il senatore Di Girolamo è ritratto in atteggiamento amichevole insieme al boss Franco Pugliese e questi, a sua volta, con Gennaro Mokbel (considerato l'ambasciatore delle famiglie mafiose calabresi nel potere politico romano): tutti coinvolti nella maxi inchiesta che vede implicati i vertici di Fastweb e Telecom.
Fonte: espresso.repubblica.it


Mokbel (a sx con il trench), ragazze immagine, e il Di Girolamo

24 feb 2010
Il gip: «La più colossale frode di sempre». Chiesto l'arresto per gli ex ad di Fastweb e Telecom Italia Sparkle, Scaglia e Mazzitelli.
I boss avrebbero messo il nome del senatore pdl Di Gerolamo sulle schede bianche
Tlc e 'ndrangheta, riciclaggio da 2 mld
ROMA - Una gigantesca rete di riciclaggio di denaro sporco con ramificazioni internazionali per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro e 400 milioni di Iva evasa. Che vede coinvolti un senatore del Pdl, Nicola Di Girolamo, la cosca della 'ndrangheta degli Arena (accusata di aver compilato schede elettorali false per farlo eleggere) i vertici di Telecom Sparkle e Fastweb, che accumulano fondi neri. È questo il quadro dell'operazione Phunchards-Broker, i cui dettagli sono stati resi noti dal procuratore della direzione distrettuale antimafia di Roma, Giancarlo Capaldo. Quella emersa, stando alle parole usate dal gip, è «una delle più colossali frodi poste in essere nella storia nazionale». Cinquantadue le ordinanze di custodia cautelare in carcere, e quattro agli arresti domiciliari, con l'accusa di associazione per delinquere. La vicenda chiama in causa in particolare Fastweb e Telecom Sparkle. E secondo il gip, le modalità operative di quest'ultima «pongono con solare evidenza il problema delle responsabilità degli amministratori e dirigenti della società capogruppo alla quale appartiene Tis, ossia Telecom Italia Spa».
ARRESTI E INDAGATI - Nella vicenda sono coinvolti alcuni dei protagonisti nel campo delle telecomunicazioni. Per Silvio Scaglia, ex amministratore delegato e fondatore di Fastweb, è stato emesso mandato di arresto: l'uomo al momento è ricercato all'estero. Scaglia ha dato mandato ai suoi difensori di concordare il suo interrogatorio nei tempi più brevi per chiarire tutti i profili della vicenda. Agli arresti anche Stefano Mazzitelli, ex amministratore delegato della Telecom Italia Sparkle, Nicola Di Girolamo, senatore del Pdl eletto nella circoscrizione estera Europa e Luca Berriola, un ufficiale della Guardia di finanza attualmente in servizio al Comando di tutela finanza pubblica. Risultano poi indagati Stefano Parisi, attuale amministratore delegato di Fastweb e Riccardo Ruggiero, all'epoca dei fatti presidente di Telecom Italia Sparkle. Complessivamente il gip di Roma ha disposto 56 arresti.
LE ORDINANZE - Sono stati i carabinieri dei Ros e la Guardia di Finanza a condurre l'inchiesta che ha portato ai 56 arresti. Alcuni indagati sono stati fermati Inghilterra, Lussemburgo e Stati Uniti. Nelle richieste di arresto ci sono anche altri ex dirigenti di Fastweb in carica tra il 2003 e il 2006 e di Sparkle. Viene loro contestato di non avere adottato le necessarie cautele per evitare che le società fittizie lucrassero crediti d'imposta per operazioni inesistenti relativi all'acquisto di servizi telefonici per grossi importi. Le parole del gip, secondo cui si sarebbe appunto di fronte ad una delle più colossali frodi della storia italiana, sono legate a diversi fattori: «L'eccezionale entità del danno arrecato allo Stato, la sistematicità delle condotte la loro protrazione negli anni e la qualità di primari operatori di borsa e mercato di Fastweb (Fweb) e Telecom Italia Sparkle».
LE ACCUSE - Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illecitamente acquisiti attraverso un articolato sistema di frodi fiscali. Il riciclaggio veniva realizzato attraverso la falsa fatturazione di servizi telefonici e telematici inesistenti, venduti nell'ambito di due successive operazioni commerciali a Fastweb e a Telecom Italia Sparkle rispettivamente dalle compagini italiane Cmc e Web Wizzard nonché da I-Globe e Planetarium che evadevano il pagamento dell'Iva per un ammontare complessivo di circa 400 milioni di euro, trasferendoli poi all'estero. Per realizzare la colossale operazione di riciclaggio, il sodalizio si è avvalso di società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese e off-shore. L'Iva lucrata veniva incassata su conti esteri e poi i soldi venivano reinvestiti in appartamenti, gioielli e automobili.
CHIESTA L'INTERDIZIONE - La procura capitolina ha anche fatto richiesta formale di commissariamento di Fastweb e Telecom Sparkle. La richiesta è motivata dalla «mancata vigilanza» ed è stata fatta sulla base della legge 231 del 2001 che prevede sanzioni per quelle società che non predispongono misure idonee ad evitare danni all'intero assetto societario. Fastweb però ha fatto sapere che nei confronti delle due aziende sarebbe stata avanzata anche una richiesta di misura interdittiva dell’esercizio dell’attività, precisando che la richiesta sarà valutata dal giudice il prossimo 2 marzo. La stessa Fastweb, in un comunicato, ha spiegato di ritenersi estranea e parte lesa in relazione alla vicenda e in ogni caso si è detta pronta a garantire la continuità dell'attività ai clienti e ai 3.500 dipendenti e alle oltre 8.000 persone che lavorano per la società. Le indagini hanno avuto ripercussioni anche sulla quotazione delle due società in Borsa.
METODI MAFIOSI - Nell'inchiesta poi è emerso, come detto, il ruolo della 'ndrangheta. Per i magistrati, l'organizzazione smantellata dall'inchiesta è anche «tra le più pericolose mai individuate», proprio a causa dell'abituale collaborazione con appartenenti alle cosche, cui venivano intestati beni di lusso e attività economiche degli associati. Il gip parla addirittura di metodi mafiosi per descrivere l'organizzazione: «Unisce - scrive il giudice per le indagini preliminari - all'inusitata disponibilità diretta di enormi capitali e di strutture societarie apparentemente lecite l'eccezionale capacità intimidatoria tipica degli appartenenti ad organizzazioni legate da vincoli omertosi, la cui violazione è notoriamente sanzionata da intimidazioni e violenze che, spesso, giungono a cagionare l'uccisione sia di quanti si oppongano ai progetti delittuosi che degli stessi appartenenti al sodalizio criminale ritenuti non più affidabili».
LA 'NDRANGHETA E LE ELEZIONI - Non solo. Tramite emissari calabresi in Germania, soprattutto a Stoccarda, l'organizzazione criminale avrebbe messo le mani sulle schede bianche per l'elezione dei candidati al Senato votati dagli italiani residenti all'estero e le avrebbero riempite con il nome di Nicola Di Girolamo. Per il senatore l'accusa è di violazione della legge elettorale «con l'aggravante mafiosa». Sponsor di questa operazione di supporto nell'elezione del parlamentare, sarebbe stato l'imprenditore romano Gennaro Mokbel, collegato in passato ad ambienti della destra eversiva, e che più recentemente aveva fondato il movimento Alleanza federalista del Lazio e poi il Partito federalista. Dalle indagini si è scoperto che si sono tenute alcune riunioni a Isola di Capo Rizzuto con esponenti della 'ndrangheta per la raccolta di voti tra gli emigrati calabresi in Germania. Agli incontri avrebbero partecipato esponenti della cosca Arena. Il 7 giugno 2008 venne emesso nei confronti di Di Girolamo una misura cautelare agli arresti domiciliari, con richiesta di autorizzazione all'arresto che venne negata dal Senato (posizione che ora il Pd chiede venga rivista dall'Aula). Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, ha commentato: «Se dalle carte della magistratura emergeranno elementi, deve essere chiaro che nessuno è intoccabile. Non ci saranno impedimenti a nessun tipo di indagine». Di Girolamo ha invece bollato le accuse nei suoi confronti come «roba da fantascienza». Dicendo che «non so per quale motivo amaro mi capita questo», ha rimandato a mercoledì un suo intervento per spiegare la propria posizione.
BENI SEQUESTRATI - Nell'ambito della operazione condotta dai Ros e dalla Guardia di Finanza sono stati sequestrati 247 immobili, per un valore dichiarato di 48 milioni di euro, 133 autovetture, 5 imbarcazioni per un valore di 3milioni e 700mila euro; 743 rapporti finanziari; 58 quote societarie per un valore di un milione e 944mila euro. Le fiamme gialle hanno poi sequestrato «crediti» nei confronti di Fastweb e Telecom Italia Sparkle, per complessivi 340 milioni di euro, e due gioiellerie. Inoltre il valore dei beni localizzati all’estero ammonta a circa 15 milioni di euro.
SWISSCOM: «NOI SAPEVAMO» - «Sapevamo delle accuse di riciclaggio e frode fiscale contro Fastweb quando la comprò nel 2007 e sapeva dei rischi a cui andava incontro» ha detto martedì pomeriggio all'agenzia Ansa Josef Huber, capo ufficio stampa di Swisscom, la società che ha acquisito il controllo di Fastweb, aggiungendo che le accuse contro la società italiana erano di «dominio pubblico». Nella definizione del prezzo d'acquisto di Fastweb, spiega ancora il portavoce di Swisscom, che ha rilevato la società italiana nel 2007 versando 47 euro ad azione, «si tenne conto dei rischi legati alle accuse» mosse contro la società italiana. Swisscom, ha aggiunto Huber, valuterà con attenzione cosa fare nei prossimi giorni e «se le verrà richiesto, collaborerà con le autorità italiane» come «ha già indicato Silvio Scaglia».
Fonte: corriere.it
Tlc e 'ndrangheta, riciclaggio da 2 mld
ROMA - Una gigantesca rete di riciclaggio di denaro sporco con ramificazioni internazionali per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro e 400 milioni di Iva evasa. Che vede coinvolti un senatore del Pdl, Nicola Di Girolamo, la cosca della 'ndrangheta degli Arena (accusata di aver compilato schede elettorali false per farlo eleggere) i vertici di Telecom Sparkle e Fastweb, che accumulano fondi neri. È questo il quadro dell'operazione Phunchards-Broker, i cui dettagli sono stati resi noti dal procuratore della direzione distrettuale antimafia di Roma, Giancarlo Capaldo. Quella emersa, stando alle parole usate dal gip, è «una delle più colossali frodi poste in essere nella storia nazionale». Cinquantadue le ordinanze di custodia cautelare in carcere, e quattro agli arresti domiciliari, con l'accusa di associazione per delinquere. La vicenda chiama in causa in particolare Fastweb e Telecom Sparkle. E secondo il gip, le modalità operative di quest'ultima «pongono con solare evidenza il problema delle responsabilità degli amministratori e dirigenti della società capogruppo alla quale appartiene Tis, ossia Telecom Italia Spa».

ARRESTI E INDAGATI - Nella vicenda sono coinvolti alcuni dei protagonisti nel campo delle telecomunicazioni. Per Silvio Scaglia, ex amministratore delegato e fondatore di Fastweb, è stato emesso mandato di arresto: l'uomo al momento è ricercato all'estero. Scaglia ha dato mandato ai suoi difensori di concordare il suo interrogatorio nei tempi più brevi per chiarire tutti i profili della vicenda. Agli arresti anche Stefano Mazzitelli, ex amministratore delegato della Telecom Italia Sparkle, Nicola Di Girolamo, senatore del Pdl eletto nella circoscrizione estera Europa e Luca Berriola, un ufficiale della Guardia di finanza attualmente in servizio al Comando di tutela finanza pubblica. Risultano poi indagati Stefano Parisi, attuale amministratore delegato di Fastweb e Riccardo Ruggiero, all'epoca dei fatti presidente di Telecom Italia Sparkle. Complessivamente il gip di Roma ha disposto 56 arresti.
LE ORDINANZE - Sono stati i carabinieri dei Ros e la Guardia di Finanza a condurre l'inchiesta che ha portato ai 56 arresti. Alcuni indagati sono stati fermati Inghilterra, Lussemburgo e Stati Uniti. Nelle richieste di arresto ci sono anche altri ex dirigenti di Fastweb in carica tra il 2003 e il 2006 e di Sparkle. Viene loro contestato di non avere adottato le necessarie cautele per evitare che le società fittizie lucrassero crediti d'imposta per operazioni inesistenti relativi all'acquisto di servizi telefonici per grossi importi. Le parole del gip, secondo cui si sarebbe appunto di fronte ad una delle più colossali frodi della storia italiana, sono legate a diversi fattori: «L'eccezionale entità del danno arrecato allo Stato, la sistematicità delle condotte la loro protrazione negli anni e la qualità di primari operatori di borsa e mercato di Fastweb (Fweb) e Telecom Italia Sparkle».
LE ACCUSE - Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illecitamente acquisiti attraverso un articolato sistema di frodi fiscali. Il riciclaggio veniva realizzato attraverso la falsa fatturazione di servizi telefonici e telematici inesistenti, venduti nell'ambito di due successive operazioni commerciali a Fastweb e a Telecom Italia Sparkle rispettivamente dalle compagini italiane Cmc e Web Wizzard nonché da I-Globe e Planetarium che evadevano il pagamento dell'Iva per un ammontare complessivo di circa 400 milioni di euro, trasferendoli poi all'estero. Per realizzare la colossale operazione di riciclaggio, il sodalizio si è avvalso di società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese e off-shore. L'Iva lucrata veniva incassata su conti esteri e poi i soldi venivano reinvestiti in appartamenti, gioielli e automobili.
CHIESTA L'INTERDIZIONE - La procura capitolina ha anche fatto richiesta formale di commissariamento di Fastweb e Telecom Sparkle. La richiesta è motivata dalla «mancata vigilanza» ed è stata fatta sulla base della legge 231 del 2001 che prevede sanzioni per quelle società che non predispongono misure idonee ad evitare danni all'intero assetto societario. Fastweb però ha fatto sapere che nei confronti delle due aziende sarebbe stata avanzata anche una richiesta di misura interdittiva dell’esercizio dell’attività, precisando che la richiesta sarà valutata dal giudice il prossimo 2 marzo. La stessa Fastweb, in un comunicato, ha spiegato di ritenersi estranea e parte lesa in relazione alla vicenda e in ogni caso si è detta pronta a garantire la continuità dell'attività ai clienti e ai 3.500 dipendenti e alle oltre 8.000 persone che lavorano per la società. Le indagini hanno avuto ripercussioni anche sulla quotazione delle due società in Borsa.
METODI MAFIOSI - Nell'inchiesta poi è emerso, come detto, il ruolo della 'ndrangheta. Per i magistrati, l'organizzazione smantellata dall'inchiesta è anche «tra le più pericolose mai individuate», proprio a causa dell'abituale collaborazione con appartenenti alle cosche, cui venivano intestati beni di lusso e attività economiche degli associati. Il gip parla addirittura di metodi mafiosi per descrivere l'organizzazione: «Unisce - scrive il giudice per le indagini preliminari - all'inusitata disponibilità diretta di enormi capitali e di strutture societarie apparentemente lecite l'eccezionale capacità intimidatoria tipica degli appartenenti ad organizzazioni legate da vincoli omertosi, la cui violazione è notoriamente sanzionata da intimidazioni e violenze che, spesso, giungono a cagionare l'uccisione sia di quanti si oppongano ai progetti delittuosi che degli stessi appartenenti al sodalizio criminale ritenuti non più affidabili».
LA 'NDRANGHETA E LE ELEZIONI - Non solo. Tramite emissari calabresi in Germania, soprattutto a Stoccarda, l'organizzazione criminale avrebbe messo le mani sulle schede bianche per l'elezione dei candidati al Senato votati dagli italiani residenti all'estero e le avrebbero riempite con il nome di Nicola Di Girolamo. Per il senatore l'accusa è di violazione della legge elettorale «con l'aggravante mafiosa». Sponsor di questa operazione di supporto nell'elezione del parlamentare, sarebbe stato l'imprenditore romano Gennaro Mokbel, collegato in passato ad ambienti della destra eversiva, e che più recentemente aveva fondato il movimento Alleanza federalista del Lazio e poi il Partito federalista. Dalle indagini si è scoperto che si sono tenute alcune riunioni a Isola di Capo Rizzuto con esponenti della 'ndrangheta per la raccolta di voti tra gli emigrati calabresi in Germania. Agli incontri avrebbero partecipato esponenti della cosca Arena. Il 7 giugno 2008 venne emesso nei confronti di Di Girolamo una misura cautelare agli arresti domiciliari, con richiesta di autorizzazione all'arresto che venne negata dal Senato (posizione che ora il Pd chiede venga rivista dall'Aula). Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, ha commentato: «Se dalle carte della magistratura emergeranno elementi, deve essere chiaro che nessuno è intoccabile. Non ci saranno impedimenti a nessun tipo di indagine». Di Girolamo ha invece bollato le accuse nei suoi confronti come «roba da fantascienza». Dicendo che «non so per quale motivo amaro mi capita questo», ha rimandato a mercoledì un suo intervento per spiegare la propria posizione.
BENI SEQUESTRATI - Nell'ambito della operazione condotta dai Ros e dalla Guardia di Finanza sono stati sequestrati 247 immobili, per un valore dichiarato di 48 milioni di euro, 133 autovetture, 5 imbarcazioni per un valore di 3milioni e 700mila euro; 743 rapporti finanziari; 58 quote societarie per un valore di un milione e 944mila euro. Le fiamme gialle hanno poi sequestrato «crediti» nei confronti di Fastweb e Telecom Italia Sparkle, per complessivi 340 milioni di euro, e due gioiellerie. Inoltre il valore dei beni localizzati all’estero ammonta a circa 15 milioni di euro.
SWISSCOM: «NOI SAPEVAMO» - «Sapevamo delle accuse di riciclaggio e frode fiscale contro Fastweb quando la comprò nel 2007 e sapeva dei rischi a cui andava incontro» ha detto martedì pomeriggio all'agenzia Ansa Josef Huber, capo ufficio stampa di Swisscom, la società che ha acquisito il controllo di Fastweb, aggiungendo che le accuse contro la società italiana erano di «dominio pubblico». Nella definizione del prezzo d'acquisto di Fastweb, spiega ancora il portavoce di Swisscom, che ha rilevato la società italiana nel 2007 versando 47 euro ad azione, «si tenne conto dei rischi legati alle accuse» mosse contro la società italiana. Swisscom, ha aggiunto Huber, valuterà con attenzione cosa fare nei prossimi giorni e «se le verrà richiesto, collaborerà con le autorità italiane» come «ha già indicato Silvio Scaglia».
Fonte: corriere.it
Riciclaggio, via agli interrogatori. «Somme rilevanti a Di Girolamo»
Rubini dal Gip. Il senatore pdl ascoltato dalla Giunta per l'immunità: «Voglio conoscere le carte»
MILANO - Primi interrogatori di garanzia a Regina Coeli all'indomani della maxi-operazione (52 ordinanze di custodia cautelare in carcere e quattro ai domiciliari) che ha preso spunto da un presunto maxi-riciclaggio da circa due miliardi di euro che sarebbe ruotato intorno ad operazioni eseguite da Fastweb e Telecom Italia Sparkle. A tenere gli interrogatori è il Gip Aldo Morgigni, lo stesso che ha firmato i provvedimenti restrittivi. Ancora ricercato Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb ed ex amministratore delegato della società; tra gli arrestati Stefano Mazzitelli, già amministratore delegato di Telecom Italia Sparkle, mentre una richiesta di custodia cautelare è stata sollecitata per il senatore Nicola Di Girolamo (Pdl), del quale si sospetta che l'elezione sia avvenuta grazie all'intervento della criminalità organizzata. Nell'inchiesta, culminata nella richiesta di commissariamento delle due società Tlc, sono coinvolti anche l'attuale amministratore delegato di Fastweb Stefano Parisi e Riccardo Ruggiero, presidente del Cda di Telecom Sparkle.
DI GIROLAMO - Nel corso dell'interrogatorio di garanzia il commercialista Fabrizio Rubini ha raccontato di aver versato molti soldi, anzi «somme rilevanti» a favore del senatore Nicola Di Girolamo. Anche Rubini è stato raggiunto martedì dall’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di 56 persone ed è accusato di riciclaggio transnazionale. Il senatore del Pdl è stato ascoltato in mattinata dalla Giunta per le elezioni e l'immunità, alla quale ha chiesto di poter prendere visione delle carte dell'inchiesta che lo riguardano «perché le indicazioni fornite dai giornali sono parziali per imputazioni così gravi come quelle che mi vengono rivolte», ha spiegato il parlamentare. «La Giunta si è riservata di rispondere e a breve sapremo - ha aggiunto -. Sono stato accusato di essere camorrista è una cosa incredibile. È impossibile: sono stato in Calabria una sola volta, un solo giorno ospite di un collega avvocato calabrese, che conosco da vent’anni e che mi ha organizzato un meeting elettorale». «Sono sostenuto. Mi sento sostenuto e sono certo che la verità verrà fuori sia rispetto alle Istituzioni, sia rispetto al Senato, sia rispetto alla Magistratura» ha aggiunto Di Girolamo, che in mattinata aveva spiegato di non aver mai avuto contatti «né con la mafia, né con la 'ndrangheta, né con la camorra».
MOKBEL - La richiesta di arresto firmata dal Gip per Di Girolamo fa luce anche sulla figura di Gennaro Mokbel, segretario del Partito federalista con trascorsi vicini all'estrema destra eversiva e amicizie nella banda della Magliana . Secondo il Gip, Mokbel ebbe contatti «con primari esponenti della scena politica nazionale» per trovare «un posto» alla candidatura dell'esponente del Pdl. Dalle conversazioni intercettate e dai contatti che il Mokbel ebbe, emerge che l'unico «posto disponibile» per Di Girolamo fu nelle liste per il Senato circoscrizione italiani residenti all'estero. In una delle intercettazioni di Mokbel con Di Girolamo si legge: «Dobbiamo trovare un altro partito dove infilarti, perché ieri sera qui è venuto: il senatore De Gregorio, l'onorevole Bezzi, tutti quanti si so messi a taranterellà. Però, siccome De Gregorio è l'unico che ha l'accordo blindato con Berlusconi... Cioè si presenta in una delle liste...». «... So successi de tutti accordi, e poi fanno la segreteria nazionale, non io, allora io adesso preferisco vedere se te trovo la strada sempre per Forza Italia, che sarebbe ancora meglio, domani mi viene la persona in ufficio...».
BERRIOLA - Tra gli interrogati a Regina Coeli anche il maggiore della Guardia di Finanza, Luca Berriola. «Il nostro assistito ha respinto tutte le accuse, professando la sua piena innocenza» hanno detto i suoi legali Gustavo Pansini e Nicola Chinappi. «Ora dovremo lavorare sulle carte - hanno concluso - un'imponente mole di circa 130 faldoni».
SWISSCOM - Quanto a Fastweb, la controllante Swisscom ha comunicato di aver «preso atto delle indagini e delle accuse formulate dalle autorità italiane. Al momento dell'acquisizione di Fastweb nel 2007, Swisscom era a conoscenza dell'indagine per evasione fiscale che si era verificata fra il 2003 ed il 2006». In particolare, ha spiegato il gruppo svizzero in una nota, «Swisscom sta attualmente conducendo un'indagine approfondita in merito alle possibili implicazioni collegate agli ultimi sviluppi. Swisscom e Fastweb hanno offerto la loro piena collaborazione agli inquirenti». Il comunicato di Swisscom ripercorre le tappe della vicenda, spiegando che fra il 2003 e il 2006, «Fastweb ha acquistato e venduto servizi da fornitori italiani, con l'Iva inclusa nel prezzo d'acquisto. Nel gennaio 2007, Fastweb ha reso nota l'esistenza un'indagine nei suoi confronti. Secondo le accuse, i venditori hanno dato luogo a queste transazioni solo per evitare che quell'Iva, pagata da Fastweb, venisse poi versata al Fisco. Come risultato di questa indagine, è emerso che Fastweb non è mai stata pienamente rimborsata dell'Iva». La società svizzera ribadisce quindi che «al tempo dell'acquisizione di Fastweb nel 2007, Swisscom era a conoscenza delle indagini. Secondo due diversi pareri da studi di consulenza, le transazioni erano corrette e Fastweb aveva quindi il diritto alla restituzione dell'Iva. Tenendo conto delle informazioni disponibili al tempo, il rischio che l'Iva non potesse venire recuperata è stato contabilizzato nel prezzo d'offerta per l'acquisto di Fastweb». Swisscom si dice quindi «sorpresa dagli ultimi sviluppi: l'indagine è stata estesa a ulteriori soggetti. Sono stati emessi ordini di cattura contro 56 persone, fra cui 5 persone dell'ex management di Fastweb». Le accuse di violazione delle norme Iva, per un totale di due miliardi di euro di cui 40 milioni per Fastweb, sono state «integrate con accuse di riciclaggio di denaro sporco». La nota si chiude spiegando che i pm hanno chiesto il commissariamento per Fastweb, una soluzione che «secondo gli elementi in possesso al momento non pregiudica la continuazione delle attività aziendali».
Fonte: corriere.it
MILANO - Primi interrogatori di garanzia a Regina Coeli all'indomani della maxi-operazione (52 ordinanze di custodia cautelare in carcere e quattro ai domiciliari) che ha preso spunto da un presunto maxi-riciclaggio da circa due miliardi di euro che sarebbe ruotato intorno ad operazioni eseguite da Fastweb e Telecom Italia Sparkle. A tenere gli interrogatori è il Gip Aldo Morgigni, lo stesso che ha firmato i provvedimenti restrittivi. Ancora ricercato Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb ed ex amministratore delegato della società; tra gli arrestati Stefano Mazzitelli, già amministratore delegato di Telecom Italia Sparkle, mentre una richiesta di custodia cautelare è stata sollecitata per il senatore Nicola Di Girolamo (Pdl), del quale si sospetta che l'elezione sia avvenuta grazie all'intervento della criminalità organizzata. Nell'inchiesta, culminata nella richiesta di commissariamento delle due società Tlc, sono coinvolti anche l'attuale amministratore delegato di Fastweb Stefano Parisi e Riccardo Ruggiero, presidente del Cda di Telecom Sparkle.
DI GIROLAMO - Nel corso dell'interrogatorio di garanzia il commercialista Fabrizio Rubini ha raccontato di aver versato molti soldi, anzi «somme rilevanti» a favore del senatore Nicola Di Girolamo. Anche Rubini è stato raggiunto martedì dall’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di 56 persone ed è accusato di riciclaggio transnazionale. Il senatore del Pdl è stato ascoltato in mattinata dalla Giunta per le elezioni e l'immunità, alla quale ha chiesto di poter prendere visione delle carte dell'inchiesta che lo riguardano «perché le indicazioni fornite dai giornali sono parziali per imputazioni così gravi come quelle che mi vengono rivolte», ha spiegato il parlamentare. «La Giunta si è riservata di rispondere e a breve sapremo - ha aggiunto -. Sono stato accusato di essere camorrista è una cosa incredibile. È impossibile: sono stato in Calabria una sola volta, un solo giorno ospite di un collega avvocato calabrese, che conosco da vent’anni e che mi ha organizzato un meeting elettorale». «Sono sostenuto. Mi sento sostenuto e sono certo che la verità verrà fuori sia rispetto alle Istituzioni, sia rispetto al Senato, sia rispetto alla Magistratura» ha aggiunto Di Girolamo, che in mattinata aveva spiegato di non aver mai avuto contatti «né con la mafia, né con la 'ndrangheta, né con la camorra».
MOKBEL - La richiesta di arresto firmata dal Gip per Di Girolamo fa luce anche sulla figura di Gennaro Mokbel, segretario del Partito federalista con trascorsi vicini all'estrema destra eversiva e amicizie nella banda della Magliana . Secondo il Gip, Mokbel ebbe contatti «con primari esponenti della scena politica nazionale» per trovare «un posto» alla candidatura dell'esponente del Pdl. Dalle conversazioni intercettate e dai contatti che il Mokbel ebbe, emerge che l'unico «posto disponibile» per Di Girolamo fu nelle liste per il Senato circoscrizione italiani residenti all'estero. In una delle intercettazioni di Mokbel con Di Girolamo si legge: «Dobbiamo trovare un altro partito dove infilarti, perché ieri sera qui è venuto: il senatore De Gregorio, l'onorevole Bezzi, tutti quanti si so messi a taranterellà. Però, siccome De Gregorio è l'unico che ha l'accordo blindato con Berlusconi... Cioè si presenta in una delle liste...». «... So successi de tutti accordi, e poi fanno la segreteria nazionale, non io, allora io adesso preferisco vedere se te trovo la strada sempre per Forza Italia, che sarebbe ancora meglio, domani mi viene la persona in ufficio...».
BERRIOLA - Tra gli interrogati a Regina Coeli anche il maggiore della Guardia di Finanza, Luca Berriola. «Il nostro assistito ha respinto tutte le accuse, professando la sua piena innocenza» hanno detto i suoi legali Gustavo Pansini e Nicola Chinappi. «Ora dovremo lavorare sulle carte - hanno concluso - un'imponente mole di circa 130 faldoni».
SWISSCOM - Quanto a Fastweb, la controllante Swisscom ha comunicato di aver «preso atto delle indagini e delle accuse formulate dalle autorità italiane. Al momento dell'acquisizione di Fastweb nel 2007, Swisscom era a conoscenza dell'indagine per evasione fiscale che si era verificata fra il 2003 ed il 2006». In particolare, ha spiegato il gruppo svizzero in una nota, «Swisscom sta attualmente conducendo un'indagine approfondita in merito alle possibili implicazioni collegate agli ultimi sviluppi. Swisscom e Fastweb hanno offerto la loro piena collaborazione agli inquirenti». Il comunicato di Swisscom ripercorre le tappe della vicenda, spiegando che fra il 2003 e il 2006, «Fastweb ha acquistato e venduto servizi da fornitori italiani, con l'Iva inclusa nel prezzo d'acquisto. Nel gennaio 2007, Fastweb ha reso nota l'esistenza un'indagine nei suoi confronti. Secondo le accuse, i venditori hanno dato luogo a queste transazioni solo per evitare che quell'Iva, pagata da Fastweb, venisse poi versata al Fisco. Come risultato di questa indagine, è emerso che Fastweb non è mai stata pienamente rimborsata dell'Iva». La società svizzera ribadisce quindi che «al tempo dell'acquisizione di Fastweb nel 2007, Swisscom era a conoscenza delle indagini. Secondo due diversi pareri da studi di consulenza, le transazioni erano corrette e Fastweb aveva quindi il diritto alla restituzione dell'Iva. Tenendo conto delle informazioni disponibili al tempo, il rischio che l'Iva non potesse venire recuperata è stato contabilizzato nel prezzo d'offerta per l'acquisto di Fastweb». Swisscom si dice quindi «sorpresa dagli ultimi sviluppi: l'indagine è stata estesa a ulteriori soggetti. Sono stati emessi ordini di cattura contro 56 persone, fra cui 5 persone dell'ex management di Fastweb». Le accuse di violazione delle norme Iva, per un totale di due miliardi di euro di cui 40 milioni per Fastweb, sono state «integrate con accuse di riciclaggio di denaro sporco». La nota si chiude spiegando che i pm hanno chiesto il commissariamento per Fastweb, una soluzione che «secondo gli elementi in possesso al momento non pregiudica la continuazione delle attività aziendali».
Fonte: corriere.it
«Tu sei uno schiavo mio». Chiesto l'arresto per il senatore pdl Di Girolamo - I pm: eletto grazie alle cosche
La telefonata fra Gennaro Mokbel e il suo legale, il senatore Nicola Di Girolamo

ROMA — «Se t'è venuta la senatorite è un problema tuo Nico'... A me non me ne frega un c... di quello di quello che dici tu... Puoi diventa' pure presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio... Tu sei uno schiavo mio». È il 17 aprile 2008 quando i carabinieri del Ros intercettano questa telefonata fra Gennaro Mokbel e il suo legale, Nicola Di Girolamo. Il primo, considerato il capo dell'organizzazione finita ieri in carcere, imprenditore vicino all'estrema destra (in passato avrebbe avuto contatti anche con Antonio D'Inzillo, accusato di aver ucciso il boss della banda della Magliana Enrico De Pedis), è appena riuscito a far eleggere Di Girolamo al Senato, nelle file del Pdl. Con l'aiuto della cosca della 'ndrangheta guidata da Giuseppe Arena e dell'avvocato romano Paolo Colosimo. L'ordinanza ricostruisce i rapporti tra Mokbel e Di Girolamo. In un primo tempo l'imprenditore cerca una poltrona libera: emerge che si può provare solo nella circoscrizione estera. Poi prende il via la campagna elettorale: «Dobbiamo trovare un altro partito dove infilarti — spiega in un incontro Mokbel al suo candidato —, perché ieri sera qui è venuto il senatore De Gregorio, l'onorevole Bezzi, tutti quanti si sono messi a tarantellà però... siccome De Gregorio è l'unico che c'ha l'accordo blindato con Berlusconi... allora io adesso preferisco vedere se te trovo la strada sempre per Forza Italia».
Il 1° aprile, poi, Mokbel spiega a Di Girolamo: «Adesso tu fai soltanto quelli tutti bianchi, capito», riferendosi, probabilmente, alle schede su cui gli elettori, soprattutto calabresi emigrati, dovranno scrivere il nome «giusto». «Non vi sono dubbi — scrive il gip Aldo Morgigni — su chi organizza le operazioni inerenti non soltanto la candidatura di Di Girolamo, ma anche su chi lo dirigerà nella sua attività politica». E per il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo il senatore «risulta organicamente inserito nell'associazione criminale con incarico di "consulente legale e finanziario"». La sua collaborazione al riciclaggio sarebbe stata ricompensata con quattro milioni di euro, mentre «tutta la vicenda relativa all'elezione è frutto di attività criminosa». Dopo l'approdo al Senato, l'imprenditore dà istruzioni a Di Girolamo: «Devi paga' tutte le cambiali che so' state aperte e in più poi devi paga' lo scotto sulla tua vita, perché tu una vita non ce l'avrai più. Poi dovrai fa' tutte le tue segreterie, tutta la gente sul territorio, chi te segue le commissioni, li portaborse, l'addetto stampa». Ma fin dai primi giorni i rapporti fra i due non sono idilliaci: Mokbel ha difficoltà a far capire chi comanda. In un incontro con un certo Franco Capaldo, racconta che ha dovuto rimproverare Di Girolamo: «... poi da viale Parioli (il quartier general dell'imprenditore, ndr) si decide co' chi devi sta' a pranzo, co' chi devi sta' a cena, chi devi incontra'... Se lo capisci bene, sennò vattene pe' i c... tua, mettemo un altro, non c'ho tempo da perde... Lui è legato a me a doppio filo, a cento fili».
Al telefono, Mokbel se la prende più volte con il senatore: «Oggi m'hai riempito proprio le palle Nico'». E ancora: «Sei una delusione, Nico'». L'imprenditore rivendica di aver speso denaro suo per ottenere l'elezione: «Calcola che il 70 per cento dei soldi tirati fuori qua non li avete tirati fuori voi, li ho tirati fuori io». Alle accuse che emergono dalle carte il senatore replica: «Stanno cercando di mettermi sulla croce. È roba da fantascienza, mi sento paracadutato in un territorio di guerra. Mi sento nel frullatore». Già un'altra richiesta di arresto è stata respinta dal Senato, ma ora c'è di mezzo la 'ndrangheta. «Durante la campagna elettorale — spiega Di Girolamo — sono stato in Calabria una sola volta. Solo a Stoccarda ho preso gli stessi voti raccolti in altre città europee. Quanto alla telefonia, è una realtà che ignoro: io, sì e no, so accendere il cellulare».
Fonte: corriere.it
ROMA — «Se t'è venuta la senatorite è un problema tuo Nico'... A me non me ne frega un c... di quello di quello che dici tu... Puoi diventa' pure presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio... Tu sei uno schiavo mio». È il 17 aprile 2008 quando i carabinieri del Ros intercettano questa telefonata fra Gennaro Mokbel e il suo legale, Nicola Di Girolamo. Il primo, considerato il capo dell'organizzazione finita ieri in carcere, imprenditore vicino all'estrema destra (in passato avrebbe avuto contatti anche con Antonio D'Inzillo, accusato di aver ucciso il boss della banda della Magliana Enrico De Pedis), è appena riuscito a far eleggere Di Girolamo al Senato, nelle file del Pdl. Con l'aiuto della cosca della 'ndrangheta guidata da Giuseppe Arena e dell'avvocato romano Paolo Colosimo. L'ordinanza ricostruisce i rapporti tra Mokbel e Di Girolamo. In un primo tempo l'imprenditore cerca una poltrona libera: emerge che si può provare solo nella circoscrizione estera. Poi prende il via la campagna elettorale: «Dobbiamo trovare un altro partito dove infilarti — spiega in un incontro Mokbel al suo candidato —, perché ieri sera qui è venuto il senatore De Gregorio, l'onorevole Bezzi, tutti quanti si sono messi a tarantellà però... siccome De Gregorio è l'unico che c'ha l'accordo blindato con Berlusconi... allora io adesso preferisco vedere se te trovo la strada sempre per Forza Italia».
Il 1° aprile, poi, Mokbel spiega a Di Girolamo: «Adesso tu fai soltanto quelli tutti bianchi, capito», riferendosi, probabilmente, alle schede su cui gli elettori, soprattutto calabresi emigrati, dovranno scrivere il nome «giusto». «Non vi sono dubbi — scrive il gip Aldo Morgigni — su chi organizza le operazioni inerenti non soltanto la candidatura di Di Girolamo, ma anche su chi lo dirigerà nella sua attività politica». E per il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo il senatore «risulta organicamente inserito nell'associazione criminale con incarico di "consulente legale e finanziario"». La sua collaborazione al riciclaggio sarebbe stata ricompensata con quattro milioni di euro, mentre «tutta la vicenda relativa all'elezione è frutto di attività criminosa». Dopo l'approdo al Senato, l'imprenditore dà istruzioni a Di Girolamo: «Devi paga' tutte le cambiali che so' state aperte e in più poi devi paga' lo scotto sulla tua vita, perché tu una vita non ce l'avrai più. Poi dovrai fa' tutte le tue segreterie, tutta la gente sul territorio, chi te segue le commissioni, li portaborse, l'addetto stampa». Ma fin dai primi giorni i rapporti fra i due non sono idilliaci: Mokbel ha difficoltà a far capire chi comanda. In un incontro con un certo Franco Capaldo, racconta che ha dovuto rimproverare Di Girolamo: «... poi da viale Parioli (il quartier general dell'imprenditore, ndr) si decide co' chi devi sta' a pranzo, co' chi devi sta' a cena, chi devi incontra'... Se lo capisci bene, sennò vattene pe' i c... tua, mettemo un altro, non c'ho tempo da perde... Lui è legato a me a doppio filo, a cento fili».
Al telefono, Mokbel se la prende più volte con il senatore: «Oggi m'hai riempito proprio le palle Nico'». E ancora: «Sei una delusione, Nico'». L'imprenditore rivendica di aver speso denaro suo per ottenere l'elezione: «Calcola che il 70 per cento dei soldi tirati fuori qua non li avete tirati fuori voi, li ho tirati fuori io». Alle accuse che emergono dalle carte il senatore replica: «Stanno cercando di mettermi sulla croce. È roba da fantascienza, mi sento paracadutato in un territorio di guerra. Mi sento nel frullatore». Già un'altra richiesta di arresto è stata respinta dal Senato, ma ora c'è di mezzo la 'ndrangheta. «Durante la campagna elettorale — spiega Di Girolamo — sono stato in Calabria una sola volta. Solo a Stoccarda ho preso gli stessi voti raccolti in altre città europee. Quanto alla telefonia, è una realtà che ignoro: io, sì e no, so accendere il cellulare».
Fonte: corriere.it
23 feb 2010
Scardinata rete di riciclaggio: richiesto l'arresto per Scaglia. La 'ndrangheta avrebbe messo il nome del senatore Pdl Di Gerolamo sulle schede bianche.
Capitali provenienti da operazioni di compravendita fittizia di interconnessioni telefoniche internazionali
ROMA - Una gigantesca rete di riciclaggio di denaro sporco con ramificazioni internazionali per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro. Una rete che coinvolge anche Silvio Scaglia, ex amministratore delegato di Fastweb, al momento ricercato dal dda di Roma che ha emesso nei suoi confronti un mandato di arresto nell'ambito dell'inchiesta 'Broker'. Tra i coinvolti anche Nicola Di Girolamo, senatore del Pdl eletto nella circoscrizione estera Europa: anche per lui è stato richiesto l'arresto.
La scoperta è stata fatta del Ros e dalla Guardia di Finanza nel corso dell'inchiesta Phunchard-Broker, che ha portato a 56 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Roma, su richiesta della procura distrettuale antimafia. Alcuni indagati sono stati arrestati in Usa, Inghilterra e Lussemburgo. Nelle richieste di arresto ci sono anche alti funzionari e amministratori di Fastweb e Sparkle, indicata come consociata di Telecom. Viene loro contestato di non avere adottato le necessarie cautele per evitare che le società fittizie lucrassero crediti d'imposta per operazioni inesistenti relativi all'acquisto di servizi telefonici per grossi importi.
RICICLAGGIO - L'accusa è associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illecitamente acquisiti attraverso un articolato sistema di frodi fiscali. La struttura transnazionale individuata - si legge in un comunicato dei carabinieri - riciclava centinaia di milioni di euro tramite una rete di società appositamente costituite in Italia e all’estero. I capitali illeciti provenivano da una serie di operazioni commerciali fittizie di compravendita di servizi di interconnessione telefonica internazionale. Per realizzare la colossale operazione di riciclaggio, il sodalizio si è avvalso di società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese e off-shore. L'Iva lucrata veniva incassata su conti esteri e poi i soldi venivano reinvestiti in appartamenti, gioielli e automobili.
'NDRANGHETA - La 'ndrangheta, tramite emissari calabresi in Germania, soprattutto a Stoccarda, avrebbe messo le mani sulle schede bianche per l'elezione dei candidati al Senato votati dagli italiani residenti all'estero e le avrebbero riempite con il nome di Nicola Di Girolamo. Sponsor di questa operazione di supporto nell'elezione del parlamentare, sarebbe stato l'imprenditore romano Mokbell, che in passato aveva fondato il movimento Alleanza federalista del Lazio e poi un partito federalista.
Fonte: corriere.it
ROMA - Una gigantesca rete di riciclaggio di denaro sporco con ramificazioni internazionali per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro. Una rete che coinvolge anche Silvio Scaglia, ex amministratore delegato di Fastweb, al momento ricercato dal dda di Roma che ha emesso nei suoi confronti un mandato di arresto nell'ambito dell'inchiesta 'Broker'. Tra i coinvolti anche Nicola Di Girolamo, senatore del Pdl eletto nella circoscrizione estera Europa: anche per lui è stato richiesto l'arresto.
La scoperta è stata fatta del Ros e dalla Guardia di Finanza nel corso dell'inchiesta Phunchard-Broker, che ha portato a 56 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Roma, su richiesta della procura distrettuale antimafia. Alcuni indagati sono stati arrestati in Usa, Inghilterra e Lussemburgo. Nelle richieste di arresto ci sono anche alti funzionari e amministratori di Fastweb e Sparkle, indicata come consociata di Telecom. Viene loro contestato di non avere adottato le necessarie cautele per evitare che le società fittizie lucrassero crediti d'imposta per operazioni inesistenti relativi all'acquisto di servizi telefonici per grossi importi.
RICICLAGGIO - L'accusa è associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illecitamente acquisiti attraverso un articolato sistema di frodi fiscali. La struttura transnazionale individuata - si legge in un comunicato dei carabinieri - riciclava centinaia di milioni di euro tramite una rete di società appositamente costituite in Italia e all’estero. I capitali illeciti provenivano da una serie di operazioni commerciali fittizie di compravendita di servizi di interconnessione telefonica internazionale. Per realizzare la colossale operazione di riciclaggio, il sodalizio si è avvalso di società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese e off-shore. L'Iva lucrata veniva incassata su conti esteri e poi i soldi venivano reinvestiti in appartamenti, gioielli e automobili.
'NDRANGHETA - La 'ndrangheta, tramite emissari calabresi in Germania, soprattutto a Stoccarda, avrebbe messo le mani sulle schede bianche per l'elezione dei candidati al Senato votati dagli italiani residenti all'estero e le avrebbero riempite con il nome di Nicola Di Girolamo. Sponsor di questa operazione di supporto nell'elezione del parlamentare, sarebbe stato l'imprenditore romano Mokbell, che in passato aveva fondato il movimento Alleanza federalista del Lazio e poi un partito federalista.
Fonte: corriere.it
22 feb 2010
Tangenti dalla 'ndrangheta, arrestati l'ex sindaco di Trezzano e un assessore. Inchiesta sul clan Barbaro-Papalia
In manette anche un geometra. Avrebbero incassato mazzette per favorire la società «Kreiamo»
MILANO - «Un vero e proprio sistema di corruzione». Lo scrive il gip di Milano, Giuseppe Gennari, nelle 77 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere l'ex sindaco Pd di Trezzano sul Naviglio Tiziano Butturini, marito dell'attuale sindaco Liana Daniela Scundi, oggi presidente del Cda di Tasm e di Amiacque (aziende pubbliche che si occupano della tutela e della gestione delle risorse idriche nel milanese), e l'ex assessore al lavori Pubblici dello stesso Comune, oggi consigliere comunale Pdl e nel Cda di Tasm, Michele Iannuzzi. I due politici sono stati arrestati con l'accusa di corruzione nel corso di un'operazione contro la 'ndrangheta condotta dalla Dia di Milano nella zona del Parco Agricolo Sud. Agli arresti anche Gino Terenghi, geometra comunale; una quarta persona, l'imprenditore Andrea Madaffari, vicepresidente della società immobiliare «Kreiamo», già detenuto, ha ricevuto un nuovo ordine d'arresto. L'ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip di Milano, Giuseppe Gennari su richiesta del Procuratore aggiunto della Dda Ilda Boccassini e dei sostituti Dolci, Venditti e Storari.
I PRIMI ARRESTI - L'inchiesta, che ha avuto impulso dalle dichiarazioni di un imprenditore, era stata avviata nel novembre del 2009 e aveva già portato in carcere 17 persone con il sequestro di beni immobiliari e quote societarie a carico di affiliati al clan della 'ndrangheta Barbaro-Papalia. L'indagine ha quindi portato a scoprire «plurimi episodi di corruzione» nei confronti di politici portati avanti da Alfredo Iorio e Andrea Madaffari, rispettivamente presidente e vicepresidente della società «Kreiamo». I due imprenditori furono arrestati e si trovano ora nel carcere di Opera accusati di corruzione per atti contrari ai doveri e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici d'ufficio (Madaffari anche per associazione mafiosa).
LE TANGENTI - Il contesto, secondo il giudice, è «quello di soggetti che mettono la loro intera rete di poteri e conoscenze al servizio dell'imprenditore disposto a retribuirli profumatamente». Il nuovo filone d'inchiesta ha portato alla luce un «sistema consolidato di pagamenti illeciti funzionali all'ottenimento da parte del Gruppo Kreiamo di favori» (autorizzazioni, concessioni e incarichi di consulenza) da pubblici funzionari. Da qui l'arresto di Butturini, Iannuzzi e Terenghi. Il primo è accusato di aver incassato una tangente di 5mila euro «nonché la promessa di somme di denaro, allo stato non quantificate, in percentuale sull'ammontare del conferendo incarico, in tal modo - scrivono gli investigatori - facendo mercimonio della funzione pubblica». Iannuzzi invece avrebbe ottenuto 9 mila euro (200mila quelli promessi) per «garantire l'approvazione» di un programma d'intervento su alcune aree di Trezzano. Di circa 2mila euro invece la tangente incassata da Terenghi insieme a «utilità consistite in lavori di ristrutturazione gratuiti presso la sua abitazione per un ammontare complessivo di 28.500 euro», per rilasciare un permesso di costruzione «in assenza di una relazione idrogeologica». Sequestrati agli indagati inoltre conti correnti per un valore complessivo di 256.500 euro.
Fonte: milano.corriere.it
MILANO - «Un vero e proprio sistema di corruzione». Lo scrive il gip di Milano, Giuseppe Gennari, nelle 77 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere l'ex sindaco Pd di Trezzano sul Naviglio Tiziano Butturini, marito dell'attuale sindaco Liana Daniela Scundi, oggi presidente del Cda di Tasm e di Amiacque (aziende pubbliche che si occupano della tutela e della gestione delle risorse idriche nel milanese), e l'ex assessore al lavori Pubblici dello stesso Comune, oggi consigliere comunale Pdl e nel Cda di Tasm, Michele Iannuzzi. I due politici sono stati arrestati con l'accusa di corruzione nel corso di un'operazione contro la 'ndrangheta condotta dalla Dia di Milano nella zona del Parco Agricolo Sud. Agli arresti anche Gino Terenghi, geometra comunale; una quarta persona, l'imprenditore Andrea Madaffari, vicepresidente della società immobiliare «Kreiamo», già detenuto, ha ricevuto un nuovo ordine d'arresto. L'ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip di Milano, Giuseppe Gennari su richiesta del Procuratore aggiunto della Dda Ilda Boccassini e dei sostituti Dolci, Venditti e Storari.
I PRIMI ARRESTI - L'inchiesta, che ha avuto impulso dalle dichiarazioni di un imprenditore, era stata avviata nel novembre del 2009 e aveva già portato in carcere 17 persone con il sequestro di beni immobiliari e quote societarie a carico di affiliati al clan della 'ndrangheta Barbaro-Papalia. L'indagine ha quindi portato a scoprire «plurimi episodi di corruzione» nei confronti di politici portati avanti da Alfredo Iorio e Andrea Madaffari, rispettivamente presidente e vicepresidente della società «Kreiamo». I due imprenditori furono arrestati e si trovano ora nel carcere di Opera accusati di corruzione per atti contrari ai doveri e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici d'ufficio (Madaffari anche per associazione mafiosa).
LE TANGENTI - Il contesto, secondo il giudice, è «quello di soggetti che mettono la loro intera rete di poteri e conoscenze al servizio dell'imprenditore disposto a retribuirli profumatamente». Il nuovo filone d'inchiesta ha portato alla luce un «sistema consolidato di pagamenti illeciti funzionali all'ottenimento da parte del Gruppo Kreiamo di favori» (autorizzazioni, concessioni e incarichi di consulenza) da pubblici funzionari. Da qui l'arresto di Butturini, Iannuzzi e Terenghi. Il primo è accusato di aver incassato una tangente di 5mila euro «nonché la promessa di somme di denaro, allo stato non quantificate, in percentuale sull'ammontare del conferendo incarico, in tal modo - scrivono gli investigatori - facendo mercimonio della funzione pubblica». Iannuzzi invece avrebbe ottenuto 9 mila euro (200mila quelli promessi) per «garantire l'approvazione» di un programma d'intervento su alcune aree di Trezzano. Di circa 2mila euro invece la tangente incassata da Terenghi insieme a «utilità consistite in lavori di ristrutturazione gratuiti presso la sua abitazione per un ammontare complessivo di 28.500 euro», per rilasciare un permesso di costruzione «in assenza di una relazione idrogeologica». Sequestrati agli indagati inoltre conti correnti per un valore complessivo di 256.500 euro.
Fonte: milano.corriere.it
15 feb 2010
Milano: tangenti, il sistema Pennisi. Indagini sui funzionari comunali
Nei conti del consigliere arrestato depositi in contanti per migliaia di euro
MILANO - Cinquemila euro, seimila, cinquemila ancora, poi altri quattromila e di nuovo altri seimila. E via così, di deposito in deposito. Sempre rigorosamente in contanti.
«Sono regali del mio vecchio padre...», ha tentato di dire Milko Pennisi, il presidente della Commissione urbanistica del Comune di Milano arrestato l’altro pomeriggio mentre intascava la tangente da un costruttore bresciano. Ma non gli hanno creduto. Né i tre magistrati che lo stavano interrogando subito dopo avergli teso la trappola in via Hoepli, nel cuore di Milano, né i finanzieri e i poliziotti che anche in queste ore del fine settimana stanno spulciando tra la montagna di carte e documenti sequestrati nell’ufficio di Pennisi e nella sua abitazione. Il «vecchio padre» di Pennisi in verità sta in Brasile, è un pensionato che non naviga certo nell’oro e soprattutto negli ultimi tempi non avrebbe fatto al figliolo particolari regali.
Per i pm Tiziana Siciliano, Grazia Pradella e Laura Pedio, titolari dell’inchiesta, quelle banconote di grosso taglio portate in banca con una certa frequenza altro non sarebbero che la «traccia contabile» evidente del «sistema Pennisi». Ed è quindi in questa direzione che si stanno muovendo gli sforzi maggiori delle fiamme gialle. Per arrivare a tracciare la doppia vita di Milko Pennisi - uno che amava comunque esserci e farsi vedere in giro con belle donne, uno a zonzo per i locali alla moda di Milano tutte le sere o quasi - si sta confrontando il parallelo tra i versamenti in banca e la trattazione delle varie pratiche in transito per la Commissione urbanistica del Consiglio comunale. Tempi e soldi potrebbero portare a capire chi, tra gli imprenditori o qualche semplice privato cittadino, potrebbe avere avuto interesse a pagare. E di nuovo arriva, neanche tanto tra le righe, l’invito della Procura di Milano perché si facciano avanti spontaneamente coloro che sono rimasti coinvolti nel «sistema Pennisi». Se hanno pagato su esplicita richiesta, come ha fatto il costruttore Mario Basso, non rischiano proprio nulla. Meglio farsi avanti, allora. Ma non è solo tra gli imprenditori che la procura di Milano sta concentrando le sue attenzioni. La notizia che siano state fatte nuove iscrizioni nel registro degli indagati non trova conferme ufficiali, ma è certo che tra gli interessi investigativi dei magistrati ci siano i ruoli giocati da almeno tre o quattro funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione. Anche loro parte del «sistema Pennisi»? Parlando con l’immobiliarista di Brescia che poi lo ha fatto arrestare, il politico del Pdl ha raccontato di alcuni personaggi che, nel ricco pianeta dell’urbanistica milanese, sarebbero in grado di «fare il bello e cattivo tempo». «A Milano lo sanno tutti — ha detto Pennisi a Basso — se vuoi essere sicuro che una certa pratica non abbia intoppi ti devi rivolgere a certi professionisti...». E su questi «nominati» la procura scava e verifica. Intanto, proprio oggi Pennisi comparirà davanti al gip per l’interrogatorio di convalida del suo arresto. Dirà di più?
Fonte: milano.corriere.it
MILANO - Cinquemila euro, seimila, cinquemila ancora, poi altri quattromila e di nuovo altri seimila. E via così, di deposito in deposito. Sempre rigorosamente in contanti.
«Sono regali del mio vecchio padre...», ha tentato di dire Milko Pennisi, il presidente della Commissione urbanistica del Comune di Milano arrestato l’altro pomeriggio mentre intascava la tangente da un costruttore bresciano. Ma non gli hanno creduto. Né i tre magistrati che lo stavano interrogando subito dopo avergli teso la trappola in via Hoepli, nel cuore di Milano, né i finanzieri e i poliziotti che anche in queste ore del fine settimana stanno spulciando tra la montagna di carte e documenti sequestrati nell’ufficio di Pennisi e nella sua abitazione. Il «vecchio padre» di Pennisi in verità sta in Brasile, è un pensionato che non naviga certo nell’oro e soprattutto negli ultimi tempi non avrebbe fatto al figliolo particolari regali.
Per i pm Tiziana Siciliano, Grazia Pradella e Laura Pedio, titolari dell’inchiesta, quelle banconote di grosso taglio portate in banca con una certa frequenza altro non sarebbero che la «traccia contabile» evidente del «sistema Pennisi». Ed è quindi in questa direzione che si stanno muovendo gli sforzi maggiori delle fiamme gialle. Per arrivare a tracciare la doppia vita di Milko Pennisi - uno che amava comunque esserci e farsi vedere in giro con belle donne, uno a zonzo per i locali alla moda di Milano tutte le sere o quasi - si sta confrontando il parallelo tra i versamenti in banca e la trattazione delle varie pratiche in transito per la Commissione urbanistica del Consiglio comunale. Tempi e soldi potrebbero portare a capire chi, tra gli imprenditori o qualche semplice privato cittadino, potrebbe avere avuto interesse a pagare. E di nuovo arriva, neanche tanto tra le righe, l’invito della Procura di Milano perché si facciano avanti spontaneamente coloro che sono rimasti coinvolti nel «sistema Pennisi». Se hanno pagato su esplicita richiesta, come ha fatto il costruttore Mario Basso, non rischiano proprio nulla. Meglio farsi avanti, allora. Ma non è solo tra gli imprenditori che la procura di Milano sta concentrando le sue attenzioni. La notizia che siano state fatte nuove iscrizioni nel registro degli indagati non trova conferme ufficiali, ma è certo che tra gli interessi investigativi dei magistrati ci siano i ruoli giocati da almeno tre o quattro funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione. Anche loro parte del «sistema Pennisi»? Parlando con l’immobiliarista di Brescia che poi lo ha fatto arrestare, il politico del Pdl ha raccontato di alcuni personaggi che, nel ricco pianeta dell’urbanistica milanese, sarebbero in grado di «fare il bello e cattivo tempo». «A Milano lo sanno tutti — ha detto Pennisi a Basso — se vuoi essere sicuro che una certa pratica non abbia intoppi ti devi rivolgere a certi professionisti...». E su questi «nominati» la procura scava e verifica. Intanto, proprio oggi Pennisi comparirà davanti al gip per l’interrogatorio di convalida del suo arresto. Dirà di più?
Fonte: milano.corriere.it
Milko Pennisi resta in carcere, convalidato l'arresto. E in Comune parte l'ispezione interna. Il consigliere nascose una mazzetta nella libreria Hoepli.
Il giudice: pericolo di inquinamento delle prove. Saranno controllate tutte le pratiche dello sportello edilizia
MILANO - Il gip di Milano, Simone Luerti, ha convalidato l'arresto e disposto la custodia cautelare in carcere per Milko Pennisi, il consigliere comunale milanese del Pdl arrestato giovedì scorso mentre intascava una mazzetta da 5mila euro. Il giudice ha confermato anche l'ipotesi accusatoria di concussione ravvisando l'esistenza in particolare del pericolo di inquinamento delle prove.
LA TANGENTE IN LIBRERIA - Nel frattempo è emerso che Pennisi aveva nascosto giovedì scorso dietro il calorifero del bagno seminterrato della libreria Hoepli un fascio di banconote. La scoperta è avvenuta venerdì a opera di un dipendente: dopo avere recuperato il denaro ed avere informato il titolare della libreria, ha consegnato la somma alla guardia di finanza. Ma su dove avesse nascosto i soldi, Pennisi, interrogato in carcere, ha cercato di confondere le acque. Anche per questo il gip di Milano, Simone Luerti, annota nella sua ordinanza di convalida del fermo che «l'indagato ha fornito progressivamente diverse versioni adottandole via via alle contestazioni obiettive che gli venivano sollevate, dimostrando fino all'ultimo, con la vicenda del denaro, di volere nascondere almeno parte dei fatti».
CONTROLLI - E dopo l'episodio di corruzione la Giunta Moratti ha deciso di avviare un audit interno su tutte le procedure dell'edilizia privata in capo ai propri uffici. Ad annunciarlo è stato l'assessore all'Urbanistica Carlo Masseroli che ha già concordato le modalità di questa ispezione interna con il city manager Giuseppe Sala. «Sono certo - ha affermato Masseroli - che l'audit interno su tutte le procedure dell'edilizia privata darà conferma a quella trasparenza che io mi aspetto».
L'ISPEZIONE - Nelle prossime ore passeranno sotto la lente di ingrandimento degli ispettori comunali le pratiche e i permessi per costruire dello sportello edilizia e di tutti gli uffici competenti. Masseroli ha assicurato che l'avvio dell'audit non dovrà in alcun modo interferire con i tempi di approvazione del piano di governo del territorio, il nuovo piano regolatore da alcune settimane all'esame del consiglio comunale per l'adozione. «Credo fortemente nella riforma urbanistica che stiamo portando avanti - ha affermato Masseroli - e che tra gli altri obiettivi ha quello di rendere più snelli i processi amministrativi e di eliminare passaggi burocratici che, se arrivano nelle mani sbagliate, possono diventare strumenti di anomalie. Questa riforma deve fondarsi su radici salde: per questo è necessario avere certezza su tutte le procedure e tutti i comportamenti all'interno delle strutture comunali».
«NON AFFIDABILE» - Domenica Pennisi, durante l'interrogatorio di convalida davanti al giudice Simone Luerti, ha ammesso di aver incassato la tangente (è stato arrestato in flagranza di reato), ma ha cercato di sostenere di non aver concusso l'imprenditore Mario Basso, l'immobiliarista che l'ha denunciato. In sostanza ha cercato di avvalorare la sua versione, e cioè di non aver minacciato nessuno per ottenere denaro per sbloccare la pratica ferma in Comune da tempo e che riguardava la ristrutturazione di un immobile alla Bovisa. Il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, scrive di «iniziativa illecita intrapresa e coltivata per alcuni mesi non senza una certa furbesca programmazione che unitamente alla posizione strategica in seno al consiglio comunale costituisce il terreno fertile di una possibile concreta reiterazione del reato». E aggiunge che Pennisi «non appare completamente affidabile quando afferma di essere stato colto nella flagranza dell'unico delitto commesso».
ABUSO DI POTERE - Nei confronti di Milko Pennisi, per il giudice, «sussistono inoltre i requisiti dell'abuso di potere integrati dalla ventilata rappresentazione di possibili «ostacoli» che fantomatiche terze persone potrebbero frapporre ad una pratica già pendente da molti anni, prospettata ad un imprenditore (Mario Basso, ndr) che ha già subito evidenti danni economici da una pratica avviata cinque anni prima e che, al momento in cui sembrava vedere la fine, si incaglia ancora una volta». In uno dei passaggi del provvedimento il giudice ha scritto: «La pressione esercitata dall'indagato sull'imprenditore è direttamente e casualmente correlata alla iniziale promessa di pagamento ed alle successive prestazioni in denaro, a nulla rilevando l'intenzione maturata successivamente di ribellarsi, documentare e denunciare l'accaduto». «Grazie a questa provvidenziale intenzione - ha proseguito il gip Luerti - si è spezzato il laccio che stringeva Pennisi tra la debolezza umana e la fascinazione del potere: certamente un bene per la collettività e, forse, una fortuna per il diretto interessato».
I CONSIGLIERI «AMICI» - A quanto riferito da Mauro Basso, Pennisi disse che avrebbe potuto contare su due o tre consiglieri della commissione urbanistica per «accelerare» la sua pratica. «Il dottor Pennisi - ha spiegato Basso ai pm - era totalmente disinteressato al mio racconto ed alla documentazione che portavo alla sua attenzione e (...) mi disse che a suo parere era strano che una pratica richiedesse più di cinque anni per essere portata termine, ventilando la possibilità che qualcuno volesse osteggiare» la pratica stessa. Basso ha raccontato ai pm che secondo Pennisi «era indispensabile che ci fosse la certezza del buon esito del parere, che lui avrebbe potuto contare su 2/3 consiglieri (...) e che però bisognava essere "riconoscenti"». Pennisi, sempre secondo il racconto di Basso, gli disse «che lui doveva soddisfare anche le richieste degli altri due o tre componenti e (...) tutto si sarebbe risolto con un versamento di una somma in contanti di 10 mila euro».
Fonte: milano.corriere.it
MILANO - Il gip di Milano, Simone Luerti, ha convalidato l'arresto e disposto la custodia cautelare in carcere per Milko Pennisi, il consigliere comunale milanese del Pdl arrestato giovedì scorso mentre intascava una mazzetta da 5mila euro. Il giudice ha confermato anche l'ipotesi accusatoria di concussione ravvisando l'esistenza in particolare del pericolo di inquinamento delle prove.
LA TANGENTE IN LIBRERIA - Nel frattempo è emerso che Pennisi aveva nascosto giovedì scorso dietro il calorifero del bagno seminterrato della libreria Hoepli un fascio di banconote. La scoperta è avvenuta venerdì a opera di un dipendente: dopo avere recuperato il denaro ed avere informato il titolare della libreria, ha consegnato la somma alla guardia di finanza. Ma su dove avesse nascosto i soldi, Pennisi, interrogato in carcere, ha cercato di confondere le acque. Anche per questo il gip di Milano, Simone Luerti, annota nella sua ordinanza di convalida del fermo che «l'indagato ha fornito progressivamente diverse versioni adottandole via via alle contestazioni obiettive che gli venivano sollevate, dimostrando fino all'ultimo, con la vicenda del denaro, di volere nascondere almeno parte dei fatti».
CONTROLLI - E dopo l'episodio di corruzione la Giunta Moratti ha deciso di avviare un audit interno su tutte le procedure dell'edilizia privata in capo ai propri uffici. Ad annunciarlo è stato l'assessore all'Urbanistica Carlo Masseroli che ha già concordato le modalità di questa ispezione interna con il city manager Giuseppe Sala. «Sono certo - ha affermato Masseroli - che l'audit interno su tutte le procedure dell'edilizia privata darà conferma a quella trasparenza che io mi aspetto».
L'ISPEZIONE - Nelle prossime ore passeranno sotto la lente di ingrandimento degli ispettori comunali le pratiche e i permessi per costruire dello sportello edilizia e di tutti gli uffici competenti. Masseroli ha assicurato che l'avvio dell'audit non dovrà in alcun modo interferire con i tempi di approvazione del piano di governo del territorio, il nuovo piano regolatore da alcune settimane all'esame del consiglio comunale per l'adozione. «Credo fortemente nella riforma urbanistica che stiamo portando avanti - ha affermato Masseroli - e che tra gli altri obiettivi ha quello di rendere più snelli i processi amministrativi e di eliminare passaggi burocratici che, se arrivano nelle mani sbagliate, possono diventare strumenti di anomalie. Questa riforma deve fondarsi su radici salde: per questo è necessario avere certezza su tutte le procedure e tutti i comportamenti all'interno delle strutture comunali».
«NON AFFIDABILE» - Domenica Pennisi, durante l'interrogatorio di convalida davanti al giudice Simone Luerti, ha ammesso di aver incassato la tangente (è stato arrestato in flagranza di reato), ma ha cercato di sostenere di non aver concusso l'imprenditore Mario Basso, l'immobiliarista che l'ha denunciato. In sostanza ha cercato di avvalorare la sua versione, e cioè di non aver minacciato nessuno per ottenere denaro per sbloccare la pratica ferma in Comune da tempo e che riguardava la ristrutturazione di un immobile alla Bovisa. Il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, scrive di «iniziativa illecita intrapresa e coltivata per alcuni mesi non senza una certa furbesca programmazione che unitamente alla posizione strategica in seno al consiglio comunale costituisce il terreno fertile di una possibile concreta reiterazione del reato». E aggiunge che Pennisi «non appare completamente affidabile quando afferma di essere stato colto nella flagranza dell'unico delitto commesso».
ABUSO DI POTERE - Nei confronti di Milko Pennisi, per il giudice, «sussistono inoltre i requisiti dell'abuso di potere integrati dalla ventilata rappresentazione di possibili «ostacoli» che fantomatiche terze persone potrebbero frapporre ad una pratica già pendente da molti anni, prospettata ad un imprenditore (Mario Basso, ndr) che ha già subito evidenti danni economici da una pratica avviata cinque anni prima e che, al momento in cui sembrava vedere la fine, si incaglia ancora una volta». In uno dei passaggi del provvedimento il giudice ha scritto: «La pressione esercitata dall'indagato sull'imprenditore è direttamente e casualmente correlata alla iniziale promessa di pagamento ed alle successive prestazioni in denaro, a nulla rilevando l'intenzione maturata successivamente di ribellarsi, documentare e denunciare l'accaduto». «Grazie a questa provvidenziale intenzione - ha proseguito il gip Luerti - si è spezzato il laccio che stringeva Pennisi tra la debolezza umana e la fascinazione del potere: certamente un bene per la collettività e, forse, una fortuna per il diretto interessato».
I CONSIGLIERI «AMICI» - A quanto riferito da Mauro Basso, Pennisi disse che avrebbe potuto contare su due o tre consiglieri della commissione urbanistica per «accelerare» la sua pratica. «Il dottor Pennisi - ha spiegato Basso ai pm - era totalmente disinteressato al mio racconto ed alla documentazione che portavo alla sua attenzione e (...) mi disse che a suo parere era strano che una pratica richiedesse più di cinque anni per essere portata termine, ventilando la possibilità che qualcuno volesse osteggiare» la pratica stessa. Basso ha raccontato ai pm che secondo Pennisi «era indispensabile che ci fosse la certezza del buon esito del parere, che lui avrebbe potuto contare su 2/3 consiglieri (...) e che però bisognava essere "riconoscenti"». Pennisi, sempre secondo il racconto di Basso, gli disse «che lui doveva soddisfare anche le richieste degli altri due o tre componenti e (...) tutto si sarebbe risolto con un versamento di una somma in contanti di 10 mila euro».
Fonte: milano.corriere.it
Pennisi arrestato, la Moratti: «Lasci ogni incarico comunale»
La Guardia di Finanza ha perquisito casa e ufficio del consigliere: «Tracce di altri versamenti»
MILANO - Le perquisizioni della Guardia di Finanza avrebbero fatto emergere altre tangenti versate a Camillo «Milko» Pennisi, il presidente dimissionario della Commissione urbanistica del Comune di Milano arrestato giovedì con l'accusa di aver incassato una mazzetta da 10mila euro da un imprenditore, Mario Basso, responsabile della società immobiliare Style, per sbloccare una pratica edilizia. I finanzieri hanno setacciato i conti correnti, l'ufficio e l'abitazione del politico del Pdl, individuando tracce di versamenti a lui riconducibili. Gli investigatori stanno analizzando i contenuti di tre computer appartenenti al politico e di due pc della sua segretaria, anche lei indagata in concorso per concussione. Nell'interrogatorio a cui è stato sottoposto fino a tarda notte, Pennisi ha fornito risposte definite «insoddisfacenti» dagli investigatori, che ora vogliono capire se il consigliere di Palazzo Marino ha ricevuto mazzette da altri imprenditori. Non è escluso che nei prossimi giorni vengano convocati i legali rappresentanti di altre aziende che hanno avuto a che fare per varie ragioni con Pennisi. Come spiegato dai suoi legali, gli avvocati Antonio e Giovanni Bana, Pennisi sta anche valutando una autosospensione dalla carica di consigliere.
LA MORATTI: SI DIMETTA - «Auspico che il consigliere Pennisi, dopo aver dato dimissioni da presidente della Commissione urbanistica, dia le dimissioni anche da tutti gli incarichi comunali o collegati al Comune», ha dichiarato il sindaco di Milano Letizia Moratti. Venerdì mattina Pennisi si è dimesso da presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino, ma non da consigliere comunale. A chi ha chiesto al sindaco se l'arresto possa implicare uno stop al Pgt, come peraltro già paventato dall'opposizione, Letizia Moratti ha risposto che «non ci sono i motivi, perché c'è un vicepresidente di Commissione, Pasquale Salvatore, che potrà continuare a portare avanti i lavori». La Giunta comunale di Milano, in una nota, ha giudicato «grave» l'episodio delle mazzette e, «pur confermando solidarietà umana» al consigliere, «condanna in modo assoluto ogni episodio di illegalità». L'udienza di convalida dell’arresto di Pennisi - l'accusa è di concussione - si terrà con ogni probabilità sabato mattina. Intanto, i pm Grazia Pradella, Laura Pedio e Tiziana Siciliano, che coordinano l'inchiesta, hanno preparato la richiesta di convalida dell'arresto.
MAJORINO: NUOVA TANGENTOPOLI - Il capogruppo del Partito Democratico in consiglio comunale di Milano Pierfrancesco Majorino attacca: «Se un "ladro" ha presieduto in questi quattro anni la Commissione urbanistica noi abbiamo il dovere di conoscere l'intero sistema di relazioni a cui faceva riferimento e di verificare il complesso delle scelte compiute. Dobbiamo cioè capire se la discussione sull'urbanistica a Milano, in tutti questi anni, sia stata drogata da interessi di parte e pratiche illecite. Finché non avremo acquisito questi elementi non potremo riprendere su materie simili alcun tipo di confronto e discussione». Majorino chiede le dimissioni di Pennisi da consigliere comunale e l'assegnazione della presidenza della Commissione Urbanistica a un membro dell'opposizione «che eserciti prima di tutto il necessario potere di controllo». «Il sindaco Moratti deve intervenire lunedì in Consiglio Comunale - continua Majorino - esponendo in modo non ambiguo il suo punto di vista sui fatti e fornendo gli elementi che garantiscano alla città e all'istituzione di procedere serenamente qualsiasi confronto sulla materia urbanistica. Siamo tornati a Tangentopoli. Non possiamo sottovalutare né minimizzare. Anche per Sergio Piffari, coordinatore Regionale dell'Idv, «è inevitabile il riaffiorare alla memoria di storie e di immagini appartenenti alla Prima repubblica». Per il parlamentare bergamasco, la vicenda «getta molte ombre sulla politica portata avanti dalla giunta Moratti in città specialmente in merito al Pgt, in discussione proprio in questi giorni, e sulle "non scelte" sulla gestione e sul controllo sui fondi Expo 2015».
PODESTA': SOSPENSIONE DAL PDL - Il coordinatore lombardo del Pdl, Guido Podestà, non ha escluso che Pennisi possa essere sospeso dal partito. «Ne parlerò all'interno del partito, è possibile», ha risposto Podestà a una precisa domanda. «Certi comportamenti patologici - ha aggiunto - devono essere eliminati e allontanati alla politica». Podestà ha però negato che l'episodio che ha coinvolto Pennisi possa aver aperto, all'interno del Pdl, un problema legato alla cosidetta questione morale. «Se parliamo di questione morale - ha osservato Podestà - allora vado a vedere altre situazioni che possono esserci anche nel Pd o in altri partiti: credo che ci sia una questione morale legata a chi interpreta la politica in modo sbagliato. La politica è servizio ai cittadini, ma se diventa appropriazione dei mezzi che sono dei cittadini, allora significa che non si è capito cosa sia fare politica».
LA PALAZZINA ALLA BOVISA - La pratica edilizia da cui è scaturita la presunta concussione - costata a Pennisi l'arresto in flagranza - è relativa a un intervento in via Broglio, nel quartiere Bovisa, periferia nord del capoluogo lombardo. Dopo aver ottenuto il parere contrario del consiglio di Zona 9, cioè della circoscrizione, il permesso di costruire è approdato all'attenzione della commissione presieduta da Pennisi il 15 ottobre scorso, perché esprimesse l'obbligatorio, ancorché non vincolante, parere dell'organismo consiliare. L'intervento prevede la realizzazione di una palazzina residenziale di tre piani, con una corte interna e un patio, una palestra e alcuni box auto nei seminterrati. Come recita l'ordine del giorno della seduta della commissione, il permesso di costruire era «a parziale sanatoria presentata il 23 marzo 2009» dovuta «al crollo del fabbricato esistente». Il regolamento comunale sul decentramento impone che ogni permesso di costruire che abbia ricevuto il voto negativo del consiglio di circoscrizione debba essere sottoposto all'esame della commissione Urbanistica. Spetta al presidente decidere quando discutere le pratiche di questo tipo. Il parere dell'organismo consiliare, pure obbligatorio, non è vincolante, visto che gli uffici tecnici in un secondo momento hanno comunque la facoltà di autorizzare l'intervento. Nell'inchiesta è indagata anche la segretaria del politico, Silvana Rezzani, assistita dall'avvocato Daniel Sussman, che avrebbe fornito spiegazioni che gli inquirenti ritengono credibili. Gli agenti della polizia giudiziaria hanno perquisito giovedì sera anche lo studio dell'architetto milanese Giulio Orsi, ex dirigente del Comune di Milano come responsabile dello sportello edilizia del Comune. Il professionista non risulta però indagato.
Fonte: corriere.it
MILANO - Le perquisizioni della Guardia di Finanza avrebbero fatto emergere altre tangenti versate a Camillo «Milko» Pennisi, il presidente dimissionario della Commissione urbanistica del Comune di Milano arrestato giovedì con l'accusa di aver incassato una mazzetta da 10mila euro da un imprenditore, Mario Basso, responsabile della società immobiliare Style, per sbloccare una pratica edilizia. I finanzieri hanno setacciato i conti correnti, l'ufficio e l'abitazione del politico del Pdl, individuando tracce di versamenti a lui riconducibili. Gli investigatori stanno analizzando i contenuti di tre computer appartenenti al politico e di due pc della sua segretaria, anche lei indagata in concorso per concussione. Nell'interrogatorio a cui è stato sottoposto fino a tarda notte, Pennisi ha fornito risposte definite «insoddisfacenti» dagli investigatori, che ora vogliono capire se il consigliere di Palazzo Marino ha ricevuto mazzette da altri imprenditori. Non è escluso che nei prossimi giorni vengano convocati i legali rappresentanti di altre aziende che hanno avuto a che fare per varie ragioni con Pennisi. Come spiegato dai suoi legali, gli avvocati Antonio e Giovanni Bana, Pennisi sta anche valutando una autosospensione dalla carica di consigliere.
LA MORATTI: SI DIMETTA - «Auspico che il consigliere Pennisi, dopo aver dato dimissioni da presidente della Commissione urbanistica, dia le dimissioni anche da tutti gli incarichi comunali o collegati al Comune», ha dichiarato il sindaco di Milano Letizia Moratti. Venerdì mattina Pennisi si è dimesso da presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino, ma non da consigliere comunale. A chi ha chiesto al sindaco se l'arresto possa implicare uno stop al Pgt, come peraltro già paventato dall'opposizione, Letizia Moratti ha risposto che «non ci sono i motivi, perché c'è un vicepresidente di Commissione, Pasquale Salvatore, che potrà continuare a portare avanti i lavori». La Giunta comunale di Milano, in una nota, ha giudicato «grave» l'episodio delle mazzette e, «pur confermando solidarietà umana» al consigliere, «condanna in modo assoluto ogni episodio di illegalità». L'udienza di convalida dell’arresto di Pennisi - l'accusa è di concussione - si terrà con ogni probabilità sabato mattina. Intanto, i pm Grazia Pradella, Laura Pedio e Tiziana Siciliano, che coordinano l'inchiesta, hanno preparato la richiesta di convalida dell'arresto.
MAJORINO: NUOVA TANGENTOPOLI - Il capogruppo del Partito Democratico in consiglio comunale di Milano Pierfrancesco Majorino attacca: «Se un "ladro" ha presieduto in questi quattro anni la Commissione urbanistica noi abbiamo il dovere di conoscere l'intero sistema di relazioni a cui faceva riferimento e di verificare il complesso delle scelte compiute. Dobbiamo cioè capire se la discussione sull'urbanistica a Milano, in tutti questi anni, sia stata drogata da interessi di parte e pratiche illecite. Finché non avremo acquisito questi elementi non potremo riprendere su materie simili alcun tipo di confronto e discussione». Majorino chiede le dimissioni di Pennisi da consigliere comunale e l'assegnazione della presidenza della Commissione Urbanistica a un membro dell'opposizione «che eserciti prima di tutto il necessario potere di controllo». «Il sindaco Moratti deve intervenire lunedì in Consiglio Comunale - continua Majorino - esponendo in modo non ambiguo il suo punto di vista sui fatti e fornendo gli elementi che garantiscano alla città e all'istituzione di procedere serenamente qualsiasi confronto sulla materia urbanistica. Siamo tornati a Tangentopoli. Non possiamo sottovalutare né minimizzare. Anche per Sergio Piffari, coordinatore Regionale dell'Idv, «è inevitabile il riaffiorare alla memoria di storie e di immagini appartenenti alla Prima repubblica». Per il parlamentare bergamasco, la vicenda «getta molte ombre sulla politica portata avanti dalla giunta Moratti in città specialmente in merito al Pgt, in discussione proprio in questi giorni, e sulle "non scelte" sulla gestione e sul controllo sui fondi Expo 2015».
PODESTA': SOSPENSIONE DAL PDL - Il coordinatore lombardo del Pdl, Guido Podestà, non ha escluso che Pennisi possa essere sospeso dal partito. «Ne parlerò all'interno del partito, è possibile», ha risposto Podestà a una precisa domanda. «Certi comportamenti patologici - ha aggiunto - devono essere eliminati e allontanati alla politica». Podestà ha però negato che l'episodio che ha coinvolto Pennisi possa aver aperto, all'interno del Pdl, un problema legato alla cosidetta questione morale. «Se parliamo di questione morale - ha osservato Podestà - allora vado a vedere altre situazioni che possono esserci anche nel Pd o in altri partiti: credo che ci sia una questione morale legata a chi interpreta la politica in modo sbagliato. La politica è servizio ai cittadini, ma se diventa appropriazione dei mezzi che sono dei cittadini, allora significa che non si è capito cosa sia fare politica».
LA PALAZZINA ALLA BOVISA - La pratica edilizia da cui è scaturita la presunta concussione - costata a Pennisi l'arresto in flagranza - è relativa a un intervento in via Broglio, nel quartiere Bovisa, periferia nord del capoluogo lombardo. Dopo aver ottenuto il parere contrario del consiglio di Zona 9, cioè della circoscrizione, il permesso di costruire è approdato all'attenzione della commissione presieduta da Pennisi il 15 ottobre scorso, perché esprimesse l'obbligatorio, ancorché non vincolante, parere dell'organismo consiliare. L'intervento prevede la realizzazione di una palazzina residenziale di tre piani, con una corte interna e un patio, una palestra e alcuni box auto nei seminterrati. Come recita l'ordine del giorno della seduta della commissione, il permesso di costruire era «a parziale sanatoria presentata il 23 marzo 2009» dovuta «al crollo del fabbricato esistente». Il regolamento comunale sul decentramento impone che ogni permesso di costruire che abbia ricevuto il voto negativo del consiglio di circoscrizione debba essere sottoposto all'esame della commissione Urbanistica. Spetta al presidente decidere quando discutere le pratiche di questo tipo. Il parere dell'organismo consiliare, pure obbligatorio, non è vincolante, visto che gli uffici tecnici in un secondo momento hanno comunque la facoltà di autorizzare l'intervento. Nell'inchiesta è indagata anche la segretaria del politico, Silvana Rezzani, assistita dall'avvocato Daniel Sussman, che avrebbe fornito spiegazioni che gli inquirenti ritengono credibili. Gli agenti della polizia giudiziaria hanno perquisito giovedì sera anche lo studio dell'architetto milanese Giulio Orsi, ex dirigente del Comune di Milano come responsabile dello sportello edilizia del Comune. Il professionista non risulta però indagato.
Fonte: corriere.it
Arrestato consigliere comunale del Pdl
In carcere a Milano il presidente della commissione Urbanistica a Palazzo Marino
Milko Pennisi in manette per concussione in flagranza di reato: preso con 5mila euro in un pacchetto di sigarette
MILANO - Milko Pennisi, presidente della commissione Urbanistica a Palazzo Marino, e consigliere comunale del Pdl è stato arrestato per concussione in flagranza di reato nell'ambito di un'indagine coordinata dai pm Tiziana Siciliano e Grazia Travella.
5MILA EURO NEL PACCHETTO DI SIGARETTE - Milko Pennisi e il rappresentante legale di una società immobiliare, che ha denunciato la concussione, si sono incontrati nella seconda metà del novembre scorso tra via Montenapoleone e via Manzoni, dove è avvenuta la consegna della prima tranche della mazzetta del valore di 5 mila euro, con banconote nascoste in un pacchetto di sigarette. Il rappresentante della società immobiliare, M.B., secondo quanto ricostruito dalle indagini era interessato a una pratica edilizia per un progetto di ristrutturazione immobiliare di una palazzina in zona Bovisa e si era messo in contatto con il politico, anche attraverso la sua segretaria, già dal settembre scorso. I due si sarebbero incontrati diverse volte all'interno di Palazzo Marino e anche in alcuni locali di Milano. Pennisi, secondo l'accusa, avrebbe spiegato al rappresentante della società che se non avesse versato a lui 10 mila euro, la pratica non sarebbe andata a buon fine. Così, a metà novembre, il rappresentante della società incontrò Pennisi e gli consegnò la prima parte della mazzetta, filmando però la consegna. A ricevere i soldi furono il consigliere comunale del Pdl assieme alla sua segretaria.
DUE INCONTRI - Dato che la commissione urbanistica si era riunita successivamente dando parere favorevole allo sblocco della pratica, Pennisi, stando alle indagini, intimò che venisse versata la seconda tranche. L'8 febbraio, però, M.B. si è presentato in procura a Milano, denunciando tutto. Da qui sono scattate le indagini e oggi pomeriggio i due si sono incontrati in via Hoepli, mentre gli investigatori li seguivano. Al momento della consegna «organizzata» della seconda tranche - composta da banconote precedentemente fotocopiate dalle forze dell'ordine - avvenuta in Piazzetta San Fedele, vicino a Palazzo Marino, il politico è stato arrestato. Nell'inchiesta è indagata in concorso anche la segretaria del consigliere comunale Pdl. Secondo quanto ricostruito dalle indagini condotte dalla Gdf e dalla polizia della sezione di polizia giudiziaria, la segretaria di Pennisi avrebbe avuto diversi colloqui telefonici con l'imprenditore.
LA MORATTI: CHIARISCA - Il sindaco di Milano Letizia Moratti, appresa la notizia, ha voluto confermare la propria fiducia nella magistratura augurandosi che l'esponente politico possa chiarire presto la sua posizione rispetto all'indagine. «Ho piena fiducia nella magistratura - ha affermato, affidando le sue parole a un breve comunicato - mi auguro che il consigliere Pennisi possa chiarire al più presto la sua posizione di fronte alla giustizia». Dal canto suo l'assessore all'Urbanistica Carlo Masseroli ha voluto esprimere la sua personale solidarietà a Pennisi ma ha escluso categoricamente che il suo arresto possa incidere negativamente sulla discussione in corso al consiglio comunale sul documento che sostituirà il piano regolatore: il piano di governo del territorio. «Umanamente sono molto dispiaciuto per lui - ha affermato a caldo Masseroli - ma questo episodio non deve incidere sui lavori del Pgt: il Pgt rappresenta una responsabilità che abbiamo assunto davanti alla città e quindi dobbiamo andare avanti, a maggior ragione adesso con più forza».
Per il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, è infondato ogni paragone storico tra Tangentopoli e l'arresto per concussione di Milko Pennisi. «Tangentopoli è stato un fenomeno molto più complesso - ha ricordato De Corato, che allora sedeva come consigliere comunale del Msi nei banchi dell'opposizione - qui siamo di fronte a un episodio su cui la magistratura farà chiarezza». «Confermo la mia piena fiducia nell'autorità giudiziaria - ha aggiunto De Corato - e spero che Pennisi possa chiarire al più presto la sua posizione anche in relazione alla dinamica con cui si è svolto il suo arresto».
Fonte: corriere.it
Milko Pennisi in manette per concussione in flagranza di reato: preso con 5mila euro in un pacchetto di sigarette
MILANO - Milko Pennisi, presidente della commissione Urbanistica a Palazzo Marino, e consigliere comunale del Pdl è stato arrestato per concussione in flagranza di reato nell'ambito di un'indagine coordinata dai pm Tiziana Siciliano e Grazia Travella.
5MILA EURO NEL PACCHETTO DI SIGARETTE - Milko Pennisi e il rappresentante legale di una società immobiliare, che ha denunciato la concussione, si sono incontrati nella seconda metà del novembre scorso tra via Montenapoleone e via Manzoni, dove è avvenuta la consegna della prima tranche della mazzetta del valore di 5 mila euro, con banconote nascoste in un pacchetto di sigarette. Il rappresentante della società immobiliare, M.B., secondo quanto ricostruito dalle indagini era interessato a una pratica edilizia per un progetto di ristrutturazione immobiliare di una palazzina in zona Bovisa e si era messo in contatto con il politico, anche attraverso la sua segretaria, già dal settembre scorso. I due si sarebbero incontrati diverse volte all'interno di Palazzo Marino e anche in alcuni locali di Milano. Pennisi, secondo l'accusa, avrebbe spiegato al rappresentante della società che se non avesse versato a lui 10 mila euro, la pratica non sarebbe andata a buon fine. Così, a metà novembre, il rappresentante della società incontrò Pennisi e gli consegnò la prima parte della mazzetta, filmando però la consegna. A ricevere i soldi furono il consigliere comunale del Pdl assieme alla sua segretaria.
DUE INCONTRI - Dato che la commissione urbanistica si era riunita successivamente dando parere favorevole allo sblocco della pratica, Pennisi, stando alle indagini, intimò che venisse versata la seconda tranche. L'8 febbraio, però, M.B. si è presentato in procura a Milano, denunciando tutto. Da qui sono scattate le indagini e oggi pomeriggio i due si sono incontrati in via Hoepli, mentre gli investigatori li seguivano. Al momento della consegna «organizzata» della seconda tranche - composta da banconote precedentemente fotocopiate dalle forze dell'ordine - avvenuta in Piazzetta San Fedele, vicino a Palazzo Marino, il politico è stato arrestato. Nell'inchiesta è indagata in concorso anche la segretaria del consigliere comunale Pdl. Secondo quanto ricostruito dalle indagini condotte dalla Gdf e dalla polizia della sezione di polizia giudiziaria, la segretaria di Pennisi avrebbe avuto diversi colloqui telefonici con l'imprenditore.
LA MORATTI: CHIARISCA - Il sindaco di Milano Letizia Moratti, appresa la notizia, ha voluto confermare la propria fiducia nella magistratura augurandosi che l'esponente politico possa chiarire presto la sua posizione rispetto all'indagine. «Ho piena fiducia nella magistratura - ha affermato, affidando le sue parole a un breve comunicato - mi auguro che il consigliere Pennisi possa chiarire al più presto la sua posizione di fronte alla giustizia». Dal canto suo l'assessore all'Urbanistica Carlo Masseroli ha voluto esprimere la sua personale solidarietà a Pennisi ma ha escluso categoricamente che il suo arresto possa incidere negativamente sulla discussione in corso al consiglio comunale sul documento che sostituirà il piano regolatore: il piano di governo del territorio. «Umanamente sono molto dispiaciuto per lui - ha affermato a caldo Masseroli - ma questo episodio non deve incidere sui lavori del Pgt: il Pgt rappresenta una responsabilità che abbiamo assunto davanti alla città e quindi dobbiamo andare avanti, a maggior ragione adesso con più forza».
Per il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, è infondato ogni paragone storico tra Tangentopoli e l'arresto per concussione di Milko Pennisi. «Tangentopoli è stato un fenomeno molto più complesso - ha ricordato De Corato, che allora sedeva come consigliere comunale del Msi nei banchi dell'opposizione - qui siamo di fronte a un episodio su cui la magistratura farà chiarezza». «Confermo la mia piena fiducia nell'autorità giudiziaria - ha aggiunto De Corato - e spero che Pennisi possa chiarire al più presto la sua posizione anche in relazione alla dinamica con cui si è svolto il suo arresto».
Fonte: corriere.it
11 feb 2010
Pm aggredita in aula, paura in tribunale. Minacciata di morte durante un processo per usura
L’Anm: assurdo, non c’è sicurezza a Palazzo di giustizia
NAPOLI – Hanno giudicato troppo alte le richieste di condanna, adatte, a loro modo di vedere, più a un caso di omicidio che a uno di usura ed estorsione. La conseguenza è stata l’assalto all’aula di udienza e al pubblico ministero Ivana Fulco, insultata e minacciata di morte. Un’altra mattinata di tensione ieri a Palazzo di giustizia; per Francesco Cananzi, presidente della giunta distrettuale dell’Anm, «sarebbe opportuno convocare il comitato per l’ordine e la sicurezza; una soluzione possibile a questi problemi potrebbe essere vietare l’ingresso in tribunale ai familiari degli imputati in processi con rito abbreviato, che per legge si svolgono a porte chiuse».
Imputati e clan - Il processo in questione è quello in corso davanti al gup Luisa Toscano per usura ed estorsione aggravate dall’agire per conto di un clan camorristico. Sei gli imputati, vicini ai clan Reale di San Giovanni a Teduccio e Ferone – Pagano di Casavatore; due le parti offese, Alberto Costa, impresario di cantanti neomelodici, e Benedetto Letizia, grossista di libri e cugino omonimo del padre di Noemi. Nell’ordinanza di custodia notificata alla banda (ai sei va aggiunto Vincenzo Pagano, l’unico che abbia optato per il dibattimento) erano inserite alcune intercettazioni telefoniche che davano l’idea del terrore inculcato dagli usurai a Letizia, arrivato a pensare al suicidio.
L’ira delle donne - L’udienza di ieri si è svolta nell’aula 211, fuori alla quale (proprio perché i processi con rito abbreviato si svolgono a porte chiuse) si sono radunate una settantina di persone; molte le donne. Al termine della requisitoria, le richieste di condanna: dieci anni per Domenico Caiazza e Massimo Minichini, nove per Ernesto Ferone, quattordici per Assunta Vicchiariello, dodici per Salvatore Donadeo e dieci per Ciro Vicchiariello. I familiari degli imputati stavano con l’orecchio incollato alla porta. Quando hanno sentito richieste di condanna così dure (chi opta per il rito abbreviato confida in una condanna blanda a causa dello «sconto» di un terzo) sono cominciate le proteste: urla, pugni e calci contro la porta, invettive contro i magistrati. Sono intervenuti alcuni agenti penitenziari di scorta ai detenuti presenti in altre aule e hanno improvvisato un cordone. Ma non è stato difficile forzarlo: decine di persone si sono riversate nell’aula e hanno minacciato il pm (te’ tagliammo ‘a capa).
Pm in fuga - Ivana Fulco si è rifugiata in camera di consiglio. Il gup e due avvocati presenti in aula, Leopoldo Perone e Giuseppe Ricciulli, hanno cercato di riportare la calma; il parapiglia è durato una ventina di minuti, poi il gruppo si è allontanato prima che carabinieri e polizia riuscisse a identificarne i componenti. Il pm ha fatto normalmente ritorno nel suo ufficio da dove ha informato dell’accaduto l’aggiunto coordinatore della sezione, Giovanni Melillo. Il processo non subirà intoppi né rinvii: gli avvocati discuteranno regolarmente il 26 febbraio. Ciò nonostante, la vicenda sembra ugualmente grave a Francesco Cananzi, che esprime solidarietà al pm e al gup. Il presidente dell’Anm ricorda che quello di ieri «purtroppo non è l’unica intimidazione a un magistrato intento a svolgere il proprio servizio» e auspica che il ministro dell’Interno intervenga per rendere più sicuro il Palazzo di giustizia aumentando le forze dell’ordine addette alla vigilanza delle aule. «Tuttavia— riflette Cananzi – sarebbe importante evitare che i familiari degli imputati in processi con rito abbreviato abbiano accesso al Tribunale»: un filtro a monte, dunque, per evitare le risse e i problemi di ordine pubblico che frequentemente avvengono durante le udienze preliminari e i processi con rito alternativo.
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
NAPOLI – Hanno giudicato troppo alte le richieste di condanna, adatte, a loro modo di vedere, più a un caso di omicidio che a uno di usura ed estorsione. La conseguenza è stata l’assalto all’aula di udienza e al pubblico ministero Ivana Fulco, insultata e minacciata di morte. Un’altra mattinata di tensione ieri a Palazzo di giustizia; per Francesco Cananzi, presidente della giunta distrettuale dell’Anm, «sarebbe opportuno convocare il comitato per l’ordine e la sicurezza; una soluzione possibile a questi problemi potrebbe essere vietare l’ingresso in tribunale ai familiari degli imputati in processi con rito abbreviato, che per legge si svolgono a porte chiuse».
Imputati e clan - Il processo in questione è quello in corso davanti al gup Luisa Toscano per usura ed estorsione aggravate dall’agire per conto di un clan camorristico. Sei gli imputati, vicini ai clan Reale di San Giovanni a Teduccio e Ferone – Pagano di Casavatore; due le parti offese, Alberto Costa, impresario di cantanti neomelodici, e Benedetto Letizia, grossista di libri e cugino omonimo del padre di Noemi. Nell’ordinanza di custodia notificata alla banda (ai sei va aggiunto Vincenzo Pagano, l’unico che abbia optato per il dibattimento) erano inserite alcune intercettazioni telefoniche che davano l’idea del terrore inculcato dagli usurai a Letizia, arrivato a pensare al suicidio.
L’ira delle donne - L’udienza di ieri si è svolta nell’aula 211, fuori alla quale (proprio perché i processi con rito abbreviato si svolgono a porte chiuse) si sono radunate una settantina di persone; molte le donne. Al termine della requisitoria, le richieste di condanna: dieci anni per Domenico Caiazza e Massimo Minichini, nove per Ernesto Ferone, quattordici per Assunta Vicchiariello, dodici per Salvatore Donadeo e dieci per Ciro Vicchiariello. I familiari degli imputati stavano con l’orecchio incollato alla porta. Quando hanno sentito richieste di condanna così dure (chi opta per il rito abbreviato confida in una condanna blanda a causa dello «sconto» di un terzo) sono cominciate le proteste: urla, pugni e calci contro la porta, invettive contro i magistrati. Sono intervenuti alcuni agenti penitenziari di scorta ai detenuti presenti in altre aule e hanno improvvisato un cordone. Ma non è stato difficile forzarlo: decine di persone si sono riversate nell’aula e hanno minacciato il pm (te’ tagliammo ‘a capa).
Pm in fuga - Ivana Fulco si è rifugiata in camera di consiglio. Il gup e due avvocati presenti in aula, Leopoldo Perone e Giuseppe Ricciulli, hanno cercato di riportare la calma; il parapiglia è durato una ventina di minuti, poi il gruppo si è allontanato prima che carabinieri e polizia riuscisse a identificarne i componenti. Il pm ha fatto normalmente ritorno nel suo ufficio da dove ha informato dell’accaduto l’aggiunto coordinatore della sezione, Giovanni Melillo. Il processo non subirà intoppi né rinvii: gli avvocati discuteranno regolarmente il 26 febbraio. Ciò nonostante, la vicenda sembra ugualmente grave a Francesco Cananzi, che esprime solidarietà al pm e al gup. Il presidente dell’Anm ricorda che quello di ieri «purtroppo non è l’unica intimidazione a un magistrato intento a svolgere il proprio servizio» e auspica che il ministro dell’Interno intervenga per rendere più sicuro il Palazzo di giustizia aumentando le forze dell’ordine addette alla vigilanza delle aule. «Tuttavia— riflette Cananzi – sarebbe importante evitare che i familiari degli imputati in processi con rito abbreviato abbiano accesso al Tribunale»: un filtro a monte, dunque, per evitare le risse e i problemi di ordine pubblico che frequentemente avvengono durante le udienze preliminari e i processi con rito alternativo.
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
10 feb 2010
Firenze indaga sugli appalti del G8. Indagato Bertolaso
Da Castello fino alla Maddalena
Angelo Balducci arrestato nell'ambito di un'inchiesta della procura fiorentina che parte dall'indagine su Castello e da un'intercettazione di Casamonti.
FIRENZE - Perquisizioni sono in corso alla sede del Dipartimento della Protezione civile a Roma nell’ambito di un’inchiesta, secondo quanto si è appreso, che riguarda Angelo Balducci, soggetto attuatore delle opere per il G8 alla Maddalena, arrestato oggi. L'inchiesta è coordinata dalla procura di Firenze e dai carabinieri del Ros fiorentino. Angelo Balducci è stato nominato soggetto attuatore delle opere per il G8 alla Maddalena con ordinanza della Protezione civile del 2008; successivamente è stato sostituito nell’incarico. Non è mai stato un dirigente della protezione civile. In passato aveva avuto incarichi per gli interventi legati al 150/o anniversario dell’Unità d’Italia e per la ricostruzione del teatro Petruzzelli di Bari. È stato, inoltre, provveditore alle opere pubbliche di Lazio e Sardegna. Oltre a Balducci sarebbero state arrestate anche altre persone. Tra gli indagati anche il capo del Dipartimento della Protezione civile, Guido Bertolaso
DA CASTELLO ALLA MADDALENA - Tutto partirebbe dall'indagine su Castello, da un’intercettazione sull’affaire Ligresti a Firenze, una frase sospetta sul G8. La notizia era stata anticipata dall'Espresso qualche mese fa: si spiegava che l’indagine è condotta dai Ros dei carabinieri e che parte dal ruolo di un architetto, Marco Casamonti, chiamato all’ultimo momento per completare la progettazione dell’ex ospedale militare.
L'INTERCETTAZIONE - L’inchiesta sul G8, coordinata dalla procura di Firenze, avrebbe preso avvio proprio da una telefonata di Marco Casamonti fatta ad agosto del 2008. L’architetto, fondatore dello studio Archea, era controllato dai Ros che stavano indagando sull’affare Ligresti: il costruttore siciliano possiede un’area a Castello di 168 ettari e, per l’accusa, stava per ottenere dall’amministrazione comunale una serie di favori sulle licenze edilizie (l’indagine è ancora in corso): l'inchiesta ha coinvolto anche due ex assessori della vecchia giunta comunale, Biagi e Cioni. L'intercettazione, riportata a maggio dell'anno scorso dall'Espresso era questa. Parlava Casamonti: «Ci hanno chiamato per dare una mano per i progetti del G8 alla Maddalena - dice l'architetto nella telefonata registrata ad agosto del 2008 - Perché stanno facendo i lavori e sono nella cacca più nera. Perché hanno dato incarico agli architetti di Berlusconi che non sono in grado...». Casamonti poi andrà alla Maddalena all’improvviso, subito dopo la consegna dei lavori. E infatti il suo studio, Archea, ha firmato il progetto dell’ex ospedale trasformato in albergo. Accanto al nome di Archea, c’è quello di Gf studio, una snc dell’architetto Facchini di Roma, il primo progettista incaricato dal commissario del G8 Bertolaso.Così i Ros hanno cominciato a indagare da quella frase che li ha insospettiti
Fonte: corrierefiorentino.it
Angelo Balducci arrestato nell'ambito di un'inchiesta della procura fiorentina che parte dall'indagine su Castello e da un'intercettazione di Casamonti.
FIRENZE - Perquisizioni sono in corso alla sede del Dipartimento della Protezione civile a Roma nell’ambito di un’inchiesta, secondo quanto si è appreso, che riguarda Angelo Balducci, soggetto attuatore delle opere per il G8 alla Maddalena, arrestato oggi. L'inchiesta è coordinata dalla procura di Firenze e dai carabinieri del Ros fiorentino. Angelo Balducci è stato nominato soggetto attuatore delle opere per il G8 alla Maddalena con ordinanza della Protezione civile del 2008; successivamente è stato sostituito nell’incarico. Non è mai stato un dirigente della protezione civile. In passato aveva avuto incarichi per gli interventi legati al 150/o anniversario dell’Unità d’Italia e per la ricostruzione del teatro Petruzzelli di Bari. È stato, inoltre, provveditore alle opere pubbliche di Lazio e Sardegna. Oltre a Balducci sarebbero state arrestate anche altre persone. Tra gli indagati anche il capo del Dipartimento della Protezione civile, Guido Bertolaso
DA CASTELLO ALLA MADDALENA - Tutto partirebbe dall'indagine su Castello, da un’intercettazione sull’affaire Ligresti a Firenze, una frase sospetta sul G8. La notizia era stata anticipata dall'Espresso qualche mese fa: si spiegava che l’indagine è condotta dai Ros dei carabinieri e che parte dal ruolo di un architetto, Marco Casamonti, chiamato all’ultimo momento per completare la progettazione dell’ex ospedale militare.
L'INTERCETTAZIONE - L’inchiesta sul G8, coordinata dalla procura di Firenze, avrebbe preso avvio proprio da una telefonata di Marco Casamonti fatta ad agosto del 2008. L’architetto, fondatore dello studio Archea, era controllato dai Ros che stavano indagando sull’affare Ligresti: il costruttore siciliano possiede un’area a Castello di 168 ettari e, per l’accusa, stava per ottenere dall’amministrazione comunale una serie di favori sulle licenze edilizie (l’indagine è ancora in corso): l'inchiesta ha coinvolto anche due ex assessori della vecchia giunta comunale, Biagi e Cioni. L'intercettazione, riportata a maggio dell'anno scorso dall'Espresso era questa. Parlava Casamonti: «Ci hanno chiamato per dare una mano per i progetti del G8 alla Maddalena - dice l'architetto nella telefonata registrata ad agosto del 2008 - Perché stanno facendo i lavori e sono nella cacca più nera. Perché hanno dato incarico agli architetti di Berlusconi che non sono in grado...». Casamonti poi andrà alla Maddalena all’improvviso, subito dopo la consegna dei lavori. E infatti il suo studio, Archea, ha firmato il progetto dell’ex ospedale trasformato in albergo. Accanto al nome di Archea, c’è quello di Gf studio, una snc dell’architetto Facchini di Roma, il primo progettista incaricato dal commissario del G8 Bertolaso.Così i Ros hanno cominciato a indagare da quella frase che li ha insospettiti
Fonte: corrierefiorentino.it
5 feb 2010
Sprechi, l'assessorato all'Agricoltura assume i consulenti a pranzi e cenette.
Dalla Regione 240mila euro per gli esperti ai banchetti
NAPOLI — Una virtù va riconosciuta alla giunta di Palazzo Santa Lucia: la tenacia. Perché nonostante le critiche e le minacce politiche, il governatore ed i suoi fedelissimi non hanno mai smesso di nominare consulenti. Anche oggi, a poche settimane dalla fine del mandato ed in prossimità delle elezioni. Finita la pacchia di Agenda 2000, quella dei fondi europei 2000-2006 che ha regalato qualche vagonata di tecnici esterni garantiti da lauta ricompensa, ecco che provvidenzialmente è arrivato in soccorso il nuovo «Piano di risorse comunitarie 2007-2013» per replicare e moltiplicare le consulenze. Tra i più originali assertori dell’affidamento di incarichi c’è, sicuramente, l’assessorato all’Agricoltura. Che è riuscito addirittura a bandire una gara d’appalto per organizzare, e non è certo un eufemismo, pranzi e cenette.
L’idea è stata partorita dalla poco nota sigla Sesirca. Al secolo «Settore sperimentazione, informazione, ricerca e consulenza in agricoltura» di Palazzo Santa Lucia. Facendo leva, per l'ennesima volta, sull'assunto che nella pianta organica dell’ente c'è carenza di personale specializzato — perché è proprio vero che per noleggiare una sala riunioni c'è bisogno di un professionista esterno con esperienza pluriennale — la Regione ha indetto una «procedura per l'affidamento triennale della realizzazione di eventi quali: convegni, conferenze stampa e seminari, comprensivo di tutte le relative prestazioni». Il costo complessivo dell'operazione è di 240 mila euro per tre anni. Ed il mandato non è certo tutto incluso. Giammai. Il compito principale della società di consulenza, o del gruppo di professionisti che otterranno l'appalto, sarà quello di stilare preventivi economici. In particolare per i «welcome o coffee break, i lunch e le cene» a margine delle presentazioni del nuovo Psr, il Programma di sviluppo rurale 2007-2013 che porta in dote parecchi milioni di euro da gestire. I convegnisti, secondo quanto recita la delibera di giunta numero 479, saranno anche di bocca buona. Perché nella pausa tra una relazione e l'altra, vedranno servirsi, come prevede l’appalto, «caffè, dolci vari adatti, succhi, acqua minerale».
A pranzo potranno godere della successione di portate con «3 antipasti, 2 primi (di cui 1 con condimento a base di soli prodotti vegetali), 2 secondi (carne e pesce), 4 contorni (verdure ed ortaggi sia cotti che crudi), frutti (varia), 3 tipi di dolci (di cui almeno 1 senza farcitura e 1 a base di frutta), vino rosso e bianco, acqua minerale liscia e gassata, bibite, caffè». Infine a cena saranno gastronomicamente solleticati da «un antipasto misto, 2 primi (di cui 1 con condimento a base di soli prodotti vegetali), 2 secondi (carne e pesce), 2 contorni (verdure ed ortaggi sia cotti che crudi), frutta (varia), dolce a scelta, vino bianco e rosso, acqua minerale liscia e gassata, bibite, caffè». Ma sia chiaro che, anche in questo caso, la Regione ha voluto mantenere una linea di coerenza politica, organolettica e programmatica. Stabilendo che «per la preparazione di coffee break, del lunch e della cena — è precisato nel bando di gara — bisogna privilegiare prodotti freschi e tipici campani». Evitando, così, di rendere infelici i convegnisti che potrebbero essere infastiditi da qualche prodotto surgelato. A desinare non saranno neanche in pochi, sono tanti gli affamati previsti: si parte da «gruppi di persone fino a 50» per arrivare a «oltre 300». Garantita la qualità del prodotto da deglutire, la Regione ha anche pensato alla comodità degli ambienti dove ospitare i partecipanti. Mica è opportuno mandarli in una fredda e buia sala di periferia. Anche qui viene in soccorso il capitolato d'appalto: «Le sale dovranno appartenere a strutture alberghiere di buon livello — è specificato nel bando — almeno quattro stelle per le conferenze stampa e i convegni, o location di interesse storico-culturale facilmente raggiungibili e munite di parcheggio». Ma il lavoro dei consulenti sarà veramente duro. Perché oltre alle cibarie dovranno impegnarsi nell'individuare il «costo delle penne» per gli eventi. Mica semplici stilo, ma biro «personalizzate con apposita serigrafia raffigurante l'immagine dell'evento». Anche qui la Regione non dimentica di essere guidata da un'amministrazione ecologically correct, perché le penne dovranno assolutamente avere un «rivestimento in materiale riciclato». Che dire poi dello snervante servizio di fotocopiatura per il quale il consulente dovrà rendicontare «il costo per ogni 50 fotocopie in bianco e nero» e il «sovrapprezzo espresso in percentuale per stampa e fotocopiatura a quattro colori». Naturalmente anche le nuove tecnologie e gli esperti di comunicazioni vanno pagati. Ed infatti l'appalto non ha dimenticato davvero nulla: neanche i costi «per la diffusione di un comunicato stampa» e la «definizione di una mailing list, inclusa la stampa». Ma il vero capolavoro del bando di gara della Regione è la richiesta di preventivo per un click. Al massimo per due click. Comprensivi, forse, dell'usura del dito che dovrà premere il pulsante di un computer, collegato ad internet, per stabilire la connessione. Quindi ecco previsto «il costo della spedizione, tramite e-mail, con successiva riconferma prima dell'evento» dell'invito al convegno. Non potevamo mancare, naturalmente, anche le hostess. E che non siano delle dilettanti. Bensì «di buona professionalità», altrimenti si rischia di far sminuire il ruolo della Regione Campania. Infine una sollecitazione ai superburocrati di Palazzo Santa Lucia. Visto che la corsa ai consulenti sembra irrimediabilmente ripresa in questo lasso finale di legislatura, forse sarebbe opportuno assoldarne qualcuno che mastichi l’inglese. Per evitare, come successo a pagina 5 del bando di gara, che la versione anglosassone del pranzo, ovvero il «lunch», si trasformi nel «lanch». Che, probabilmente, deve essere la trasposizione partenopea della colazione di metà giornata «made in Uk».
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
NAPOLI — Una virtù va riconosciuta alla giunta di Palazzo Santa Lucia: la tenacia. Perché nonostante le critiche e le minacce politiche, il governatore ed i suoi fedelissimi non hanno mai smesso di nominare consulenti. Anche oggi, a poche settimane dalla fine del mandato ed in prossimità delle elezioni. Finita la pacchia di Agenda 2000, quella dei fondi europei 2000-2006 che ha regalato qualche vagonata di tecnici esterni garantiti da lauta ricompensa, ecco che provvidenzialmente è arrivato in soccorso il nuovo «Piano di risorse comunitarie 2007-2013» per replicare e moltiplicare le consulenze. Tra i più originali assertori dell’affidamento di incarichi c’è, sicuramente, l’assessorato all’Agricoltura. Che è riuscito addirittura a bandire una gara d’appalto per organizzare, e non è certo un eufemismo, pranzi e cenette.
L’idea è stata partorita dalla poco nota sigla Sesirca. Al secolo «Settore sperimentazione, informazione, ricerca e consulenza in agricoltura» di Palazzo Santa Lucia. Facendo leva, per l'ennesima volta, sull'assunto che nella pianta organica dell’ente c'è carenza di personale specializzato — perché è proprio vero che per noleggiare una sala riunioni c'è bisogno di un professionista esterno con esperienza pluriennale — la Regione ha indetto una «procedura per l'affidamento triennale della realizzazione di eventi quali: convegni, conferenze stampa e seminari, comprensivo di tutte le relative prestazioni». Il costo complessivo dell'operazione è di 240 mila euro per tre anni. Ed il mandato non è certo tutto incluso. Giammai. Il compito principale della società di consulenza, o del gruppo di professionisti che otterranno l'appalto, sarà quello di stilare preventivi economici. In particolare per i «welcome o coffee break, i lunch e le cene» a margine delle presentazioni del nuovo Psr, il Programma di sviluppo rurale 2007-2013 che porta in dote parecchi milioni di euro da gestire. I convegnisti, secondo quanto recita la delibera di giunta numero 479, saranno anche di bocca buona. Perché nella pausa tra una relazione e l'altra, vedranno servirsi, come prevede l’appalto, «caffè, dolci vari adatti, succhi, acqua minerale».
A pranzo potranno godere della successione di portate con «3 antipasti, 2 primi (di cui 1 con condimento a base di soli prodotti vegetali), 2 secondi (carne e pesce), 4 contorni (verdure ed ortaggi sia cotti che crudi), frutti (varia), 3 tipi di dolci (di cui almeno 1 senza farcitura e 1 a base di frutta), vino rosso e bianco, acqua minerale liscia e gassata, bibite, caffè». Infine a cena saranno gastronomicamente solleticati da «un antipasto misto, 2 primi (di cui 1 con condimento a base di soli prodotti vegetali), 2 secondi (carne e pesce), 2 contorni (verdure ed ortaggi sia cotti che crudi), frutta (varia), dolce a scelta, vino bianco e rosso, acqua minerale liscia e gassata, bibite, caffè». Ma sia chiaro che, anche in questo caso, la Regione ha voluto mantenere una linea di coerenza politica, organolettica e programmatica. Stabilendo che «per la preparazione di coffee break, del lunch e della cena — è precisato nel bando di gara — bisogna privilegiare prodotti freschi e tipici campani». Evitando, così, di rendere infelici i convegnisti che potrebbero essere infastiditi da qualche prodotto surgelato. A desinare non saranno neanche in pochi, sono tanti gli affamati previsti: si parte da «gruppi di persone fino a 50» per arrivare a «oltre 300». Garantita la qualità del prodotto da deglutire, la Regione ha anche pensato alla comodità degli ambienti dove ospitare i partecipanti. Mica è opportuno mandarli in una fredda e buia sala di periferia. Anche qui viene in soccorso il capitolato d'appalto: «Le sale dovranno appartenere a strutture alberghiere di buon livello — è specificato nel bando — almeno quattro stelle per le conferenze stampa e i convegni, o location di interesse storico-culturale facilmente raggiungibili e munite di parcheggio». Ma il lavoro dei consulenti sarà veramente duro. Perché oltre alle cibarie dovranno impegnarsi nell'individuare il «costo delle penne» per gli eventi. Mica semplici stilo, ma biro «personalizzate con apposita serigrafia raffigurante l'immagine dell'evento». Anche qui la Regione non dimentica di essere guidata da un'amministrazione ecologically correct, perché le penne dovranno assolutamente avere un «rivestimento in materiale riciclato». Che dire poi dello snervante servizio di fotocopiatura per il quale il consulente dovrà rendicontare «il costo per ogni 50 fotocopie in bianco e nero» e il «sovrapprezzo espresso in percentuale per stampa e fotocopiatura a quattro colori». Naturalmente anche le nuove tecnologie e gli esperti di comunicazioni vanno pagati. Ed infatti l'appalto non ha dimenticato davvero nulla: neanche i costi «per la diffusione di un comunicato stampa» e la «definizione di una mailing list, inclusa la stampa». Ma il vero capolavoro del bando di gara della Regione è la richiesta di preventivo per un click. Al massimo per due click. Comprensivi, forse, dell'usura del dito che dovrà premere il pulsante di un computer, collegato ad internet, per stabilire la connessione. Quindi ecco previsto «il costo della spedizione, tramite e-mail, con successiva riconferma prima dell'evento» dell'invito al convegno. Non potevamo mancare, naturalmente, anche le hostess. E che non siano delle dilettanti. Bensì «di buona professionalità», altrimenti si rischia di far sminuire il ruolo della Regione Campania. Infine una sollecitazione ai superburocrati di Palazzo Santa Lucia. Visto che la corsa ai consulenti sembra irrimediabilmente ripresa in questo lasso finale di legislatura, forse sarebbe opportuno assoldarne qualcuno che mastichi l’inglese. Per evitare, come successo a pagina 5 del bando di gara, che la versione anglosassone del pranzo, ovvero il «lunch», si trasformi nel «lanch». Che, probabilmente, deve essere la trasposizione partenopea della colazione di metà giornata «made in Uk».
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
3 feb 2010
Lottizzazioni pilotate per favorire amministratori e imprenditori. Su questa ipotesi indagate 13 persone
L'inchiesta riguarda opere legate al nuovo casello di Barberino del Mugello e il vicino outlet. Le vecchie giunte sono interessate dagli avvisi di garanzia
Sono almeno 13 gli indagati nell'ambito dell'inchiesta della procura di Firenze per la quale stamani la polizia stradale ha svolto perquisizioni a Firenze e in provincia. Avvisi di garanzia sono stati notificati, tra gli altri, all'assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi (Pd), in passato è stato sindaco di Barberino del Mugello, e al consigliere regionale Gianluca Parrini (Pd).
Entrambi sono accusati di abusi di ufficio. Fra gli altri indagati compaiono ex amministratori del Comune di Barberino del Mugello, un tecnico provinciale, un tecnico regionale, e imprenditori. Le accuse vanno dall'abuso di ufficio alla corruzione. Nel mirino degli investigatori scambi di favori e di denaro tra politici e imprenditori in occasione di lottizzazioni che hanno riguardato il Comune di Barberino.
Fra gli altri indagati ci sono l'ex sindaco di Barberino del Mugello Gianpiero Luchi e due componenti della sua giunta di centrosinistra (1999-2009), Alberto Lotti, ex vicesindaco, e Daniele Giovannini, ex assessore.
Oltre a loro il fratello dell'ex sindaco, Luca, che é proprietario di terreni a Barberino, e alcuni imprenditori.
L'inchiesta è coordinata dal pm Leopoldo De Gregorio. In base a quanto si apprende, gli investigatori ipotizzano una serie di singoli scambi di favori - come viaggi e vacanze - ma anche di denaro, seppur, questi ultimi, limitati e per cifre contenute.
In pratica, la procura ipotizzerebbe una gestione del territorio volta a favorire amministratori locali e imprenditori.
I reati sarebbero legati all'acquisto di terreni da lottizzare o alla lottizzazione di terreni di proprietà di persone legate agli indagati e sui cui sarebbero sorti - o sarebbero dovuti sorgere - immobili come centri commerciali, uffici, appartamenti o cave.
In un'occasione, si sarebbe trattato di una scuola, non realizzata, che sarebbe dovuta sorgere in un'area ancora non in sicurezza.
L'inchiesta sarebbe nata da accertamenti, condotti da polstrada e corpo forestale, sulla costruzione di opere connesse alla realizzazione della nuova viabilità autostradale nel Mugello, contemporanee alla costruzione dell’outlet di Barberino, e riguarderebbero opere progettate dal 1990 al 2008.
Fonte: gonews.it
Sono almeno 13 gli indagati nell'ambito dell'inchiesta della procura di Firenze per la quale stamani la polizia stradale ha svolto perquisizioni a Firenze e in provincia. Avvisi di garanzia sono stati notificati, tra gli altri, all'assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi (Pd), in passato è stato sindaco di Barberino del Mugello, e al consigliere regionale Gianluca Parrini (Pd).
Entrambi sono accusati di abusi di ufficio. Fra gli altri indagati compaiono ex amministratori del Comune di Barberino del Mugello, un tecnico provinciale, un tecnico regionale, e imprenditori. Le accuse vanno dall'abuso di ufficio alla corruzione. Nel mirino degli investigatori scambi di favori e di denaro tra politici e imprenditori in occasione di lottizzazioni che hanno riguardato il Comune di Barberino.
Fra gli altri indagati ci sono l'ex sindaco di Barberino del Mugello Gianpiero Luchi e due componenti della sua giunta di centrosinistra (1999-2009), Alberto Lotti, ex vicesindaco, e Daniele Giovannini, ex assessore.
Oltre a loro il fratello dell'ex sindaco, Luca, che é proprietario di terreni a Barberino, e alcuni imprenditori.
L'inchiesta è coordinata dal pm Leopoldo De Gregorio. In base a quanto si apprende, gli investigatori ipotizzano una serie di singoli scambi di favori - come viaggi e vacanze - ma anche di denaro, seppur, questi ultimi, limitati e per cifre contenute.
In pratica, la procura ipotizzerebbe una gestione del territorio volta a favorire amministratori locali e imprenditori.
I reati sarebbero legati all'acquisto di terreni da lottizzare o alla lottizzazione di terreni di proprietà di persone legate agli indagati e sui cui sarebbero sorti - o sarebbero dovuti sorgere - immobili come centri commerciali, uffici, appartamenti o cave.
In un'occasione, si sarebbe trattato di una scuola, non realizzata, che sarebbe dovuta sorgere in un'area ancora non in sicurezza.
L'inchiesta sarebbe nata da accertamenti, condotti da polstrada e corpo forestale, sulla costruzione di opere connesse alla realizzazione della nuova viabilità autostradale nel Mugello, contemporanee alla costruzione dell’outlet di Barberino, e riguarderebbero opere progettate dal 1990 al 2008.
Fonte: gonews.it
Indagato l'assessore Paolo Cocchi. Gestione volta a favorire amministratori locali e imprenditori
FIRENZE - Sono almeno 13 gli indagati nell’ambito dell’inchiesta della procura di Firenze per la quale la polizia stradale ha svolto perquisizioni a Firenze, Barberino del Mugello, Signa e Borgo San Lorenzo. Avvisi di garanzia sono stati notificati, tra gli altri, all’assessore regionale alla cultura e al commercio Paolo Cocchi (Pd) e al consigliere regionale Gianluca Parrini (Pd). Entrambi sono accusati di abusi di ufficio.
LOTTIZZAZIONE DEL TERRITORIO
Fra gli altri indagati ci sono l’ex sindaco di Barberino del Mugello Gianpiero Luchi e due componenti della sua giunta di centrosinistra (1999-2009), Alberto Lotti, ex vicesindaco, e Daniele Giovannini, ex assessore. Oltre a loro il fratello dell’ex sindaco, Luca, che è proprietario di terreni a Barberino, e alcuni imprenditori. Le accuse vanno dall’abuso di ufficio alla corruzione. Nel mirino degli investigatori scambi di favori e di denaro tra politici e imprenditori in occasione di lottizzazioni che hanno riguardato il Comune di Barberino. L’inchiesta è coordinata dal pm Leopoldo De Gregorio. In base a quanto si apprende, gli investigatori ipotizzano una serie di singoli scambi di favori - come viaggi e vacanze - ma anche di denaro, seppur, questi ultimi, limitati e per cifre contenute. In pratica, la procura ipotizza una gestione del territorio volta a favorire amministratori locali e imprenditori. I reati sarebbero legati all’acquisto di terreni da lottizzare o alla lottizzazione di terreni di proprietà di persone legate agli indagati e sui cui sarebbero sorti - o sarebbero dovuti sorgere - immobili come centri commerciali, uffici, appartamenti o cave. In un’occasione, si sarebbe trattato di una scuola, non realizzata, che sarebbe dovuta sorgere in un’area ancora non in sicurezza. L’inchiesta è nata da accertamenti, condotti da polstrada e corpo forestale, sulla costruzione di opere connesse alla realizzazione della nuova viabilità autostradale nel Mugello, contemporanee alla costruzione di un outlet, e riguarderebbero opere progettate dal 1990 al 2008. Le lottizzazioni non avrebbero provocato danni ambientali diretti.
Fonte: corrierefiorentino.it
LOTTIZZAZIONE DEL TERRITORIO
Fra gli altri indagati ci sono l’ex sindaco di Barberino del Mugello Gianpiero Luchi e due componenti della sua giunta di centrosinistra (1999-2009), Alberto Lotti, ex vicesindaco, e Daniele Giovannini, ex assessore. Oltre a loro il fratello dell’ex sindaco, Luca, che è proprietario di terreni a Barberino, e alcuni imprenditori. Le accuse vanno dall’abuso di ufficio alla corruzione. Nel mirino degli investigatori scambi di favori e di denaro tra politici e imprenditori in occasione di lottizzazioni che hanno riguardato il Comune di Barberino. L’inchiesta è coordinata dal pm Leopoldo De Gregorio. In base a quanto si apprende, gli investigatori ipotizzano una serie di singoli scambi di favori - come viaggi e vacanze - ma anche di denaro, seppur, questi ultimi, limitati e per cifre contenute. In pratica, la procura ipotizza una gestione del territorio volta a favorire amministratori locali e imprenditori. I reati sarebbero legati all’acquisto di terreni da lottizzare o alla lottizzazione di terreni di proprietà di persone legate agli indagati e sui cui sarebbero sorti - o sarebbero dovuti sorgere - immobili come centri commerciali, uffici, appartamenti o cave. In un’occasione, si sarebbe trattato di una scuola, non realizzata, che sarebbe dovuta sorgere in un’area ancora non in sicurezza. L’inchiesta è nata da accertamenti, condotti da polstrada e corpo forestale, sulla costruzione di opere connesse alla realizzazione della nuova viabilità autostradale nel Mugello, contemporanee alla costruzione di un outlet, e riguarderebbero opere progettate dal 1990 al 2008. Le lottizzazioni non avrebbero provocato danni ambientali diretti.
Fonte: corrierefiorentino.it
La Provincia di Vibo inventa 5 Circondari e moltiplica le poltrone. Avranno presidente, vice e consiglieri. Con rimborsi
ROMA — Il 6 marzo la Provincia di Vibo Valentia compie 18 anni. E apprestandosi a conquistare la maggiore età, si è riprodotta con successo: per partenogenesi, come le alghe dello splendido mare calabrese. Da un solo ente sono così nate altre cinque piccole Province, chiamate Circondari. Ciascuna con presidente, vicepresidente, e relativo consiglio circondariale.
Sull’abolizione delle Province, promessa in campagna elettorale, è stata messa una pietra sopra. Come pure sui consorzi di bonifica, i tribunali delle acque, i commissariati per gli usi civici, i bacini imbriferi montani... Che però, dopo aver tagliato i tagli, almeno non si creassero nuovi enti, era davvero il minimo. Evidentemente non in quel pezzo di Calabria che nel 1992 è stato sottratto per legge alla Provincia di Catanzaro e reso autonomo. Il 30 dicembre 2009, mentre si preparavano i botti di Capodanno, il consiglio provinciale di Vibo Valentia ha pensato bene di approvare un regolamento che suddivide il territorio della Provincia in cinque Circondari. Che cosa sono? Enti intermedi fra le Province e i Comuni che erano stati istituiti nel 1859 dal ministro dell’Interno del Regno di Sardegna Urbano Rattazzi, per essere poi soppressi nel 1927. Nel 2000 il testo unico degli enti locali li ha tuttavia formalmente riesumati e in giro per l’Italia ne è spuntato di nuovo qualcuno. Per esempio nei dintorni di Torino, Bologna, Siena, Livorno, Forlì-Cesena, Firenze e Reggio Calabria. Ma cinque Circondari nuovi di zecca tutti insieme, in una Provincia che conta in tutto 270 mila abitanti, e poi in questo momento, a pochi mesi dalle elezioni regionali, non possono passare inosservati.
E poi, a che cosa servono? «Con il Circondario», dice il regolamento, «la Provincia attua il decentramento dei servizi e degli uffici, compatibilmente con le concrete esigenze di gestione, mediante l’istituzione di propri uffici decentrati e funzionali ». Insomma, un decentramento del decentramento. Che comporterà l’apertura di altre strutture provinciali nei «capoluoghi di Circondario ». Perché ognuno di questi nuovi enti intermedi avrà anche un capoluogo, coincidente con il comune più popoloso, a meno che i sindaci della zona non decidano diversamente. Il capoluogo del Circondario di Tropea non potrà che essere Tropea, 6.836 abitanti. Quello di Serra San Bruno, Serra San Bruno: 7.068 residenti, un record. Quello di Nicotera, Nicotera: 6.778 persone. Quello dell’Alto Mesima, Acquaro: che di anime ne ha appena 3.046. Mentre la scelta del capoluogo del Circondario di Filadelfia cadrà senza alcun dubbio su Filadelfia. Comune di 6.283 abitanti dove c’è un sindaco democratico ex popolare, Francesco De Nisi, che è contemporaneamente anche il presidente della giunta provinciale.
E in quanto principale esponente della maggioranza si becca la stroncatura senza appello di Giovanni Macrì, consigliere provinciale del Pdl: «Sa con quale motivazione questi nuovi enti inutili sono stati creati? Per far sentire la Provincia più vicina al cittadino in un territorio dove le strade sono disastrate, dicono. Le pare un motivo serio? I Circondari non servono assolutamente a nulla. È una ragione di poltrone e basta». Opinioni, naturalmente. Anche se qualche strapuntino, va detto, ci sarà. Ogni Circondario ha un presidente e un vicepresidente che durano in carica due anni e possono essere scelti fra i rappresentanti dei Comuni o i consiglieri provinciali. C’è poi un «consiglio circondariale » composto dagli stessi consiglieri della Provincia eletti in quel territorio nonché dai sindaci dei Comuni che ne fanno parte, oppure dai loro delegati. Non basta: c’è anche un «collegio dei presidenti dei Circondari », presieduto dal presidente della Provincia e di cui dovrebbe far parte anche il sindaco di Vibo Valentia, Francesco Sammarco. Ma è tutto gratis. Ai consiglieri, al presidente e al suo vice «non spetta alcuna indennità per l’esercizio delle proprie funzioni, né alcun gettone di presenza». Certo, se però nella loro autonomia i Comuni lo decidono, nessuno gli potrà impedire «la corresponsione, ai propri rappresentanti, di indennità di missione e/o rimborso delle spese sostenute e di quelle di viaggio». Sia chiaro, sempre «con oneri a proprio carico ». Ci mancherebbe...
Fonte: corriere.it
Sull’abolizione delle Province, promessa in campagna elettorale, è stata messa una pietra sopra. Come pure sui consorzi di bonifica, i tribunali delle acque, i commissariati per gli usi civici, i bacini imbriferi montani... Che però, dopo aver tagliato i tagli, almeno non si creassero nuovi enti, era davvero il minimo. Evidentemente non in quel pezzo di Calabria che nel 1992 è stato sottratto per legge alla Provincia di Catanzaro e reso autonomo. Il 30 dicembre 2009, mentre si preparavano i botti di Capodanno, il consiglio provinciale di Vibo Valentia ha pensato bene di approvare un regolamento che suddivide il territorio della Provincia in cinque Circondari. Che cosa sono? Enti intermedi fra le Province e i Comuni che erano stati istituiti nel 1859 dal ministro dell’Interno del Regno di Sardegna Urbano Rattazzi, per essere poi soppressi nel 1927. Nel 2000 il testo unico degli enti locali li ha tuttavia formalmente riesumati e in giro per l’Italia ne è spuntato di nuovo qualcuno. Per esempio nei dintorni di Torino, Bologna, Siena, Livorno, Forlì-Cesena, Firenze e Reggio Calabria. Ma cinque Circondari nuovi di zecca tutti insieme, in una Provincia che conta in tutto 270 mila abitanti, e poi in questo momento, a pochi mesi dalle elezioni regionali, non possono passare inosservati.
E poi, a che cosa servono? «Con il Circondario», dice il regolamento, «la Provincia attua il decentramento dei servizi e degli uffici, compatibilmente con le concrete esigenze di gestione, mediante l’istituzione di propri uffici decentrati e funzionali ». Insomma, un decentramento del decentramento. Che comporterà l’apertura di altre strutture provinciali nei «capoluoghi di Circondario ». Perché ognuno di questi nuovi enti intermedi avrà anche un capoluogo, coincidente con il comune più popoloso, a meno che i sindaci della zona non decidano diversamente. Il capoluogo del Circondario di Tropea non potrà che essere Tropea, 6.836 abitanti. Quello di Serra San Bruno, Serra San Bruno: 7.068 residenti, un record. Quello di Nicotera, Nicotera: 6.778 persone. Quello dell’Alto Mesima, Acquaro: che di anime ne ha appena 3.046. Mentre la scelta del capoluogo del Circondario di Filadelfia cadrà senza alcun dubbio su Filadelfia. Comune di 6.283 abitanti dove c’è un sindaco democratico ex popolare, Francesco De Nisi, che è contemporaneamente anche il presidente della giunta provinciale.
E in quanto principale esponente della maggioranza si becca la stroncatura senza appello di Giovanni Macrì, consigliere provinciale del Pdl: «Sa con quale motivazione questi nuovi enti inutili sono stati creati? Per far sentire la Provincia più vicina al cittadino in un territorio dove le strade sono disastrate, dicono. Le pare un motivo serio? I Circondari non servono assolutamente a nulla. È una ragione di poltrone e basta». Opinioni, naturalmente. Anche se qualche strapuntino, va detto, ci sarà. Ogni Circondario ha un presidente e un vicepresidente che durano in carica due anni e possono essere scelti fra i rappresentanti dei Comuni o i consiglieri provinciali. C’è poi un «consiglio circondariale » composto dagli stessi consiglieri della Provincia eletti in quel territorio nonché dai sindaci dei Comuni che ne fanno parte, oppure dai loro delegati. Non basta: c’è anche un «collegio dei presidenti dei Circondari », presieduto dal presidente della Provincia e di cui dovrebbe far parte anche il sindaco di Vibo Valentia, Francesco Sammarco. Ma è tutto gratis. Ai consiglieri, al presidente e al suo vice «non spetta alcuna indennità per l’esercizio delle proprie funzioni, né alcun gettone di presenza». Certo, se però nella loro autonomia i Comuni lo decidono, nessuno gli potrà impedire «la corresponsione, ai propri rappresentanti, di indennità di missione e/o rimborso delle spese sostenute e di quelle di viaggio». Sia chiaro, sempre «con oneri a proprio carico ». Ci mancherebbe...
Fonte: corriere.it
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