30 mar 2011

Le cosche calabresi sugli ambulanti

L'affitto dei negozi che si trovano nelle stazioni della metropolitana di Milano è un pallino fisso della cosca Flachi, calabrese di origine ma ormai milanese.
Il 18 settembre 2009 gli investigatori intercettano una telefonata in cui un tale Max sta tornando dall'Atm dove «è andato a parlare con la persona da lui conosciuta che si occupa dell'affidamento in gestione delle strutture commerciali, presenti all'interno delle stazioni della metropolitana milanese e chiede un incontro con Flachi» ma Davide, figlio di don Pepè Flachi, risponde che per lui non è possibile ma gli manderà qualcuno di fiducia. Il giorno successivo un'altra telefonata con Flachi chiarirà «che non ci sono problemi e che quando andrà a parlare con la persona che si occupa della cosa, questa non gli dirà di no».
Il "controllo del territorio" è espressione che spaventa. A Scampia o a Isola di Capo Rizzuto è concepibile perché richiama alla memoria gli ordini dei boss di mafia che non si possono discutere e che condizionano la vita economica ma ancor prima quella sociale.
A Milano e in Lombardia no, anche se, proprio ieri, il procuratore generale facente funzioni della Corte dei conti lombarda, Paolo Evangelista, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario ha messo in guardia sugli appetiti delle mafie in vista di Expo 2015.
La frase non è concepibile perché il tessuto, seppur debilitato dalle infiltrazioni della 'ndrangheta che ha messo all'angolo Cosa nostra e Casalesi e che ha inquinato con capitali sporchi l'economia e la società, è ancora sano. Eppure quella telefonata – agli atti della Direzione distrettuale antimafia di Milano e che svela parte degli affari della famiglia Flachi che, oltre a puntare ai subappalti dei lavori della metro, già che era sottoterra voleva piantarci tende e negozi – sembra dimostrare il contrario. Così come l'altro dialogo. Quello sul pizzo per gli ambulanti.
L'"affare dei paninari", lo chiama senza mezzi termini il Gip di Milano Giuseppe Gennari, che la scorsa settimana ha firmato l'ordinanza Redux Caposaldo che ha mandato all'aria il sodalizio criminale della famiglia Flachi. Un business nel quale Milano è spartita per quartieri. «Noi abbiamo la zona di Corso Como, quindi discoteche e serali... abbiamo circa sette, otto camion, abbiamo tutta Città Studi, zona Piazzale Lagosta fino a via Carlo Farini», spiega un portaordine a un ambulante che non aveva capito l'antifona. I chioschi che vendono birre e panini pagano il pizzo o si spostano. Ma se cambiano zona, cambiano anche esattore.
Con la movida le mafie entrano nella vita dei cittadini. La stessa cosa accade a Varese o nelle località intorno ai laghi dove gli investimenti immobiliari sporchi continuano. Se il panino non è mafia-free non lo sono dunque neanche disco e pub. In quello che la Dda di Milano chiama «slancio confessorio», un uomo di una cosca calabrese dirà agli agenti sotto copertura che sono riusciti ad avvicinarlo: «Io ho un'agenzia di servizi di sicurezza e anche là è tutta una mafia... ve lo dico... noi abbiamo i nostri locali e curiamo i nostri locali... mettiamo i nostri uomini a lavorare perché devono lavorare... i locali stanno tranquilli perché ci siamo noi dietro... hai capito? Come per i locali così per i panini... come per i panini così per altre attività... capito? Perché ci sono anche altre attività!».

Fonte: ilsole24ore.com

23 mar 2011

Falso il master della Santanché. E lei s'infuria.

Figura nel curriculum del sottosegretario, ma alla Bocconi non risulta. Il Pd: «Si dimetta»

MILANO - È giallo sul master alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Daniela Santanchè dice di avere conseguito. Il settimanale Oggi in edicola mercoledì spiega infatti che si tratta di un falso, visto che negli archivi della Sda della Bocconi non ve ne sarebbe traccia. «Laureata in Scienze politiche, consegue un master alla Sda Bocconi» c'è scritto invece nel curriculum del sottosegretario postato sul sito del governo. La diretta interessata si difende parlando di una «ridicola campagna». «Può essere messa a tacere - spiega la Santanchè in una nota - soltanto dalla presa visione dell'attestato rilasciato dalla Sda Bocconi, dove si evince la mia frequentazione del corso della durata di 12 mesi, sotto la direzione del Professor Carlo Brugnoli. Per chi non conosce l'inglese - conclude il sottosegretario - un master è un corso di specializzazione postuniveristario, ossia dopo la laurea, laurea che ho conseguito in Scienze Politiche precedentemente a Torino».

BANCA DATI - «Abbiamo verificato, e dalla nostra banca dati alunni - riferisce a Oggi la Sda Bocconi - non risulta abbia frequentato un nostro master. Non possiamo escludere, ma non abbiamo modo di verificare, che abbia frequentato un corso breve». «La Sda Bocconi organizza in continuazione seminari di aggiornamento per manager che durano uno o più giornate. E di queste decine di migliaia di persone non conserva traccia. Ma sono corsi - conclude il settimanale - che non possono essere certo confusi con un master».

SI DIMETTA - Prima ancora che sulla faccenda intervenisse la diretta interessata, la questione aveva già sollevato un vespaio di polemiche. Le critiche più dure da Pd e Idv, che chiedono che al sottosegretario di dimettersi. «Non è accettabile - dice il dipietrista Leoluca Orlando - che un membro del governo inserisca il proprio curriculum taroccato e lo esponga in bella vista sul sito ufficiale dell'esecutivo, prendendo così in giro gli italiani».

Fonte: corriere.it

22 mar 2011

Buccinasco, sindaco e assessore arrestati. Tangenti da 10 mila euro

Gare d'appalto truccate per realizzare ipermercati
In manette anche un consigliere comunale e tre imprenditori. Corrotti con orologi e auto di lusso

MILANO - I militari della Guardia di finanza di Corsico martedì mattina hanno arrestato il sindaco di Buccinasco (Milano), Loris Cereda, 49 anni, l'assessore ai lavori pubblici Marco Cattaneo, un consigliere comunale, Antonio Trimboli e altre tre persone per presunte tangenti legate agli appalti per alcuni lavori pubblici. Le accuse a vario titolo sono corruzione e falso in atto pubblico. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state firmate dal gip Gaetano Brusa su richiesta dei pm Maurizio Romanelli, Paola Pirotta e Sergio Spadaro. Le Fiamme Gialle hanno effettuato perquisizioni e sequestro di documenti. Le altre persone arrestate nell'ambito dell'operazione condotta dalla Gdf di Corsico sono Umberto Pastori, dirigente di una società che opera nel settore degli ipermercati; Cesare Lanati, amministratore di una società edile, e Ettore Colella, commercialista di Buccinasco.

LE TANGENTI
Gli episodi di corruzione contestati riguardano gare d'appalto nel settore dell'edilizia pubblica e contratti di forniture di servizi e in particolare la concessione di terreni al fine di realizzare ipermercati. Al momento sono state individuate tangenti per 10 mila euro mentre per altre presunte mazzette sono in corso accertamenti tra cui indagini bancarie. Nell'operazione, la Guarda di Finanza di Corsico ha sequestro a Loris Cereda 11 mila euro in contanti e una decina di orologi di lusso, tra cui Rolex e Eberhard, custoditi nella sua abitazione.

MAZZETTE PER L'IPERMERCATO
Al centro del presunto episodio di corruzione che ha portato in carcere il sindaco di Buccinasco (Milano), Loris Cereda, c'è, stando all'ordinanza firmata dal gip Gaetano Brusa, anche la realizzazione di un nuovo centro commerciale nel piccolo comune e in particolare la trasformazione di un'area verde in un parcheggio accanto al «punto vendita Auchan». Il sindaco Cereda sarebbe stato corrotto con una tangente da diecimila euro, divisa con l«'intermediario» Umberto Pastori, per l'approvazione «della convenzione tra il Comune di Buccinasco e la Sodibelco Srl per la concessione d'uso di un'area verde di proprietà del Comune da destinare a parcheggio, per favorire il buon esito di una operazione commerciale in corso» tra la stessa società edile, di cui l'amministratore è Cesare Lanati (altro arrestato), e la «Auchan Spa in relazione all'apertura di un nuovo punto vendita Auchan». La mazzetta sarebbe stata versata da Cesare Lanati e si riferiva alla «realizzazione del futuro "drive Auchan"», che sarebbe stato utilizzato «non come parcheggio pubblico». Dunque c'era bisogno di una «modifica di destinazione d'uso». L'episodio di corruzione si sarebbe verificato nel maggio 2010. Inoltre, al sindaco, per il «rinnovo del contratto per i servizi di igiene urbana» a favore di una società, sarebbero state messe a disposizione o promesse tre auto di lusso. In particolare, una Ferrari F-141 di colore nero «avuta a disposizione per almeno una settimana alla fine di maggio 2010». E poi una Bentley «promessa in sostituzione della Ferrari» e una Ferrari 599 di colore rosso «avuta a disposizione per circa 90 giorni da metà luglio a fine agosto 2010». Nell'inchiesta risulta indagato anche il vicesindaco e assessore all'ecologia del Comune di Buccinasco, Antonio Luciani, che ha cercato di corrompere un imprenditore, però non riuscendoci, nel giugno del 2008.

L'INCHIESTA
Il gip che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare a carico del sindaco Cereda parla di un «atteggiamento tra talune delle forze politiche insediate nel comune di Buccinasco» per fare «privato mercimonio» della funzione pubblica, asservendola «agli esclusivi interessi privati», con la compiacenza di «privati imprenditori». «Si tratta di evenienze che valutate insieme alle intercettazioni, prezioso elemento investigativo che ha fatto emergere un contesto illecito di indubbia gravità, comprovano come la carica pubblica ricoperta da Loris Cereda sia stata il mezzo per la reiterazione di condotte criminose», scrive ancora il gip. L'inchiesta coordinata dalla Procura di Milano è stata avviata circa un anno fa ed è nata in seguito ad una denuncia alle Fiamme Gialle proveniente dall'interno dall'interno dello stesso comune di Buccinasco. Gli inquirenti per ora escludono collegamenti con le recenti inchieste sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nei comuni dell'hinterland milanese.

Fonte: corriere.it

15 mar 2011

Scorta a Razzi e Scilipoti. Il deputato siciliano: un premio? Mia figlia voleva vedere i carri di Carnevale ma non potevo e allora ha pianto

L'Idv protesta: è un premio

ROMA - Si sono riuniti davanti al Viminale per protestare contro i tagli alle forze dell'ordine. Ieri mattina sono scesi in piazza il sindacato di polizia Consap (Confederazione sindacale autonoma), con il segretario Giorgio Innocenti, e una delegazione di Italia dei Valori guidata dal senatore Stefano Pedica. Nel mirino della protesta, la decurtazione dei fondi prevista dalla Finanziaria, ma anche lo spreco che si sarebbe realizzato con le scorte assegnate agli ex idv Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, fuoriusciti e oggetto di minacce. «Li hanno premiati perché appoggiano la maggioranza - spiega Pedica - Il governo ha sprecato 300 milioni di euro, non accorpando i referendum. E ora hanno dato la scorta, come premio, a persone come Razzi e Scilipoti che hanno tradito l'Idv per appoggiare la maggioranza».

Razzi fa sapere di non aver chiesto la scorta e di essere continuamente oggetto di minacce. Scilipoti, anche lui approdato al gruppo della Camera di Iniziativa responsabile, preferisce replicare direttamente all'ex compagno di partito Donadi: «Ma vi sembra un premio questo? È una condanna. Non l'ho chiesta io la scorta. Mia figlia di nove anni, l'altro giorno voleva uscire per andare a vedere i carri di Carnevale, ma io non potevo, e si è messa a piangere. Vi sembra un premio?».
Le minacce, assicura Scilipoti, continuano ad arrivare nonostante sia passato qualche tempo ormai dalla sua defezione da Italia dei Valori e dall'opposizione: «Le dico le ultime mail di ieri: "Ti aspetta il plotone di esecuzione". E poi: "Farai la fine dei samurai, ti taglieremo la testa". L'altro giorno sono entrato in un bar e il cameriere si è messo a dire "ndranghetisti, mafiosi". Si rivolgeva verso di me. Questo è il risultato di tutto il fango che mi è stato buttato addosso».
Scilipoti ha due uomini di scorta che lo seguono dappertutto, ma solo in Lazio e in Sicilia: «Sono le regioni nelle quali sono stato contestato. A Sant'Agata di Militello ci sono state proteste e a Roma uno mi ha inseguito insultandomi. Altri mi hanno detto: farai la fine del Duce, finirai impiccato». Per Scilipoti il clima di intimidazione nei suoi confronti non è casuale: «Chi mi contesta ora crea il clima che può armare gli squilibrati. Gente così deve essere presa a calci nel sedere». Insomma, la scorta è necessaria e non c'è nessuno spreco, sostiene: «Cosa vuole che costi una scorta? E comunque io mi impegnerò personalmente per trovare più risorse per la giusta protesta delle forze dell'ordine».

Fonte: corriere.it

Aiazzone a fondo con tredicimila truffe. I clienti pagano le rate ma non ricevono i mobili. Senza stipendio gli 800 dipendenti di Aiazzone ed Emmelunga

Indagato per bancarotta l'ex presidente del Torino Borsano

TORINO - «Provare per credere» è lo slogan che ha reso famoso il marchio Aiazzone. Negli anni Ottanta non c'era tv locale che non proponesse a tambur battente gli spot del mobilificio biellese, affidati al «sorriso durban's» del televenditore Guido Angeli. Vent'anni dopo, Renato Semeraro, un finanziere torinese, ci ha riprovato. Con Gian Mauro Borsano, l'ex presidente del Torino calcio ed ex deputato psi, coinvolto in Tangentopoli, che ha rilevato il marchio dalla vedova Aiazzone (il fondatore del mobilificio, Giorgio Aiazzone, è morto in un incidente aereo nel 1986) e si è presentato in tv per ripetere, ancora una volta, l'invito a comprare.
Le cose, però, sono andate male. Ora c'è un esercito di 13 mila persone che lamenta d'essere stato truffato. «Abbiamo comprato i mobili, abbiamo chiesto un prestito, ma non ci sono mai stati consegnati e noi le rate siamo obbligati a pagarle ugualmente». Non solo, tutti i punti vendita sono stati chiusi e ci sono 800 persone a spasso, dipendenti e venditori di Aiazzone ed Emmelunga (una seconda catena di mobilifici acquisiti due anni fa da Borsano e Semeraro con la loro spa B&S) rimasti senza stipendio per quasi dieci mesi.

Sui cancelli dei magazzini c'è un cartello che parla chiaro e invita «chiunque ne avesse bisogno, a rivolgersi ai nuovi proprietari», cioè alla società Panmedia di Torino, una concessionaria di pubblicità specializzata in tv locali, che fa capo a Giuseppe Gallo. Già, perché il marchio Aiazzone e la stessa società B&S sono state oggetto di una sospetta e quanto mai rapida cessione a costo zero, perfezionata prima dell'estate ma che non ha portato a nulla: Gallo ha solo chiuso definitivamente i battenti.
Intanto le denunce non si contano più, la Procura di Torino ha aperto un'inchiesta e le indagini sono affidate ai carabinieri della compagnia Mirafiori ma i fascicoli sono pronti a partire per Roma dove già a settembre, dopo un'indagine della Guardia di finanza, i sostituti procuratori Francesca Ciardi e Maria Francesca Loi avevano iscritto nel registro degli indagati Borsano, i suoi due figli Giovanni e Margherita, Semeraro e il loro socio Giuseppe Palenzona, fratello del più noto Fabrizio, banchiere, presidente di Gemina e di Aeroporti di Roma.

Le accuse sono gravi: bancarotta fraudolenta, evasione fiscale, riciclaggio, truffa. Sotto la lente d'ingrandimento degli inquirenti le società B&S, Aiazzone Network, Emmelunga, Emmedue, Emmecinque, per un totale di 200 punti vendita in tutto il Paese.
Intanto le proteste dei 13 mila beffati si manifestano non solo con la carta bollata ma anche con continui appelli sui social network: «chiediamo, almeno, che non ci facciano pagare le rate dei finanziamenti per mobili che non abbiamo mai visto». E mentre i due protagonisti principali della vicenda tacciono, uno spiraglio si apre. Dario De Cartis, responsabile servizio clienti di Fiditalia, finanziaria di proprietà della francese Société Générale, con la quale Aiazzone era convenzionata per la cessione dei crediti, dice: «Inizialmente pensavamo si trattasse solo di qualche caso isolato di inadempienza, purtroppo non è così. Ora siamo disponibili a trattare con le associazioni consumatori, le istituzioni e con tutti i clienti di Aiazzone che si sentono truffati. Con loro cercheremo di trovare una soluzione soddisfacente».

Fonte: corriere.it

14 mar 2011

'Ndrangheta: 35 arresti in Lombardia. I Boss si riunivano a Niguarda e al Galeazzi

Accuse di associazione per delinquere, estorsione, spaccio di droga, minacce e smaltimento illecito di rifiuti

MILANO - Si riunivano negli uffici di due funzionari amministrativi definiti «di alto livello» degli ospedali milanesi Niguarda e Galeazzi, Giuseppe Flachi, boss noto alle cronache, e Paolo Martino, altro boss diretto esponente della famiglia De Stefano di Reggio Calabria. Lo ha affermato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nell'ambito dell'incontro con la stampa in cui ha illustrato l'indagine che, all'alba di lunedì, ha portato all'arresto di 35 persone. «Si tratta - ha sottolineato il magistrato - di un fatto allarmante che è stato documentato». I due dirigenti degli ospedali non sono indagati, ma quanto è stato monitorato è per gli investigatori «inquietante». Addirittura, dicono gli inquirenti, il figlio di Flachi si premurava di bonificare la zona prima di una riunione del padre in ospedale, in una sorta di piccola azione militare. In particolare, si sottolinea «la funzione dell’ospedale Galeazzi (che si trova a Bruzzano dove i Flachi sono padroni da decenni), ridotto a luogo d’incontro riservato al servizio della ’ndrangheta», scrive il gip Giuseppe Gennari. Le indagini avrebbero individuato nel «capo ufficio ricoveri» e nel «responsabile ufficio infermieri i due contatti del gruppo all’interno dell’ospedale». I due mettevano i loro uffici a disposizione di Giuseppe Flachi per i suoi incontri con altri indagati e del figlio Davide per i suoi «incontri "sentimentali"» con una donna. Secondo Gennari, «la presenza di uomini di fiducia della mafia calabrese all’interno delle strutture sanitarie lombarde era emersa in modo netto nella indagine Valle in relazione al ricovero fittizio di don Ciccio Valle e - in modo più esteso - con l’arresto di Chiriaco, vertice dell’Asl di Pavia»

Milano e le mafie: quelle mani da evitare

Le infiltrazioni della 'ndrangheta

MILANO - È il 16 maggio 1974: Luciano Leggio, il picciotto che a Corleone ha messo assieme i Riina, i Bagarella, i Provenzano, il mafioso che da tre anni sequestra e taglieggia in Piemonte e Lombardia, viene arrestato in un signorile palazzo di via Ripamonti. Nella sua agendina spicca il numero riservato del dottor Ugo de Luca, direttore generale del Banco di Milano. De Luca è stato allevato da Sindona, ha forti entrature nella curia e nelle logge massoniche. Gli vengono trovati diversi libretti al portatore con decine di miliardi di lire. Lui si rifiuta di svelarne i titolari. In Procura notano il gran trambusto di banchieri, industriali, finanzieri preoccupati di venir coinvolti a causa delle frequentazioni, che tutti definiscono innocenti, con lo stimato professionista. Chi poteva mai immaginare? Da quel giorno diventa la frase più gettonata dei tanti, che non disdegneranno contatti spericolati, ma sempre redditizi, con i bracci affaristici di Cosa nostra e della 'ndrangheta. Tutti ovviamente in grisaglia, compunti, impegnati in opere di carità, ogni domenica messa e comunione, secondo gl'insegnamenti di Sindona.

Chi può mai immaginare fra gl'imprenditori, gli agenti di Borsa, i direttori di banca che dietro l'Inim di Filippo Alberto Rapisarda e del suo socio di minoranza, l'ingegnere Francesco Paolo Alamia si stagli l'ombra di Bontate, il mafioso più potente di Palermo, e di Ciancimino, cioè dei «viddani» di Corleone? Anche i gemelli Alberto e Marcello Dell'Utri dicono di non immaginarlo. Anzi, la fiducia di Marcello nei confronti degli amici palermitani è tale da sedersi allo stesso tavolo delle Colline Pistoiesi, il ristorante della Milano interista, con Vittorio Mangano, i fratelli Grado, Nino Calderone. E quanti presentano un progetto o chiedono un finanziamento negli elegantissimi uffici di via Chiaravalle, fontanelle d'acqua, marmi, parquet possono mai immaginare che il compitissimo Angelo Mongiovì sia il proconsole dei Cuntrera e dei Caruana?

E i re dei denari, i conti, i duchi che affollano le bische di Turatello, che vi conoscono i fratelli Bono e l'invitano in salotto per mettere a punto una piccola speculazione sul palazzotto avito possono mai immaginare di associarsi ai principali intermediari del traffico internazionale di stupefacenti? I bravi ragazzi venuti dalla Sicilia hanno le mani in pasta in alberghi, catene di distribuzioni, nei casinò di Sanremo e di Saint-Vincent, parlano inglese, vanno in vacanza ai Caraibi da quel caro ragazzo di Saro Spadaro padrone di un isolotto, Saint Maarten, che è un incanto. Una personcina così dabbene, pensa che il figliolo studia alla Bocconi...
Abituati a una Milano che spalanca loro portoni e porticati prendono male il rifiuto dell'avvocato Vittorio Di Capua di cedere gl'ippodromi di San Siro. Il coraggioso e onesto consigliere delegato della Trenno viene rapito e ucciso. Caspita, chi poteva mai immaginare che quei siciliani educatissimi, sempre pronti a offrire champagne, che dicono di voler entrare nel business delle televisioni private siano capaci di tanto?

Superato lo stupore, si dedicano alla lottizzazione edilizia da settantamila metri cubi a Ronchetto sul Naviglio intrapresa da Toni Carollo, l'erede di Tanino, inviato in Lombardia al soggiorno obbligato e trovatosi poi così bene da essersi associato a Leggio per dare via alla campagna dei sequestri di persona. Spazzato via assieme al clan Ciulla dai killer dei Madonia nell'unica guerra mafiosa avvenuta sul Lambro, Carollo senior ha lasciato un degno epigono nel figlio Toni sostenuto anche dalla famiglia della moglie, Rosalia Geraci, la prediletta di don Nenè, il mitico capobastone di Partinico. Attorno a Carollo junior gl'inquirenti identificano il solito cocktail di politici, massoni, pezzi dell'apparato con il contorno di droga e armi. Milano è troppo sveglia per non captare il declino di Cosa nostra, benché ospiti fino all'arresto pezzi da novanta quali Gaetano Fidanzati, Gioacchino Matranga, Gino Martello. Benvenuti allora gli ambasciatori delle 'ndrine, i Morabito, i Bellocco, i Mancuso, i Coco Trovato, i Bruzzaniti, i Palamara, i Barbaro, i Papalia. Magari esagerano nei rapimenti, però fanno funzionare l'ortomercato meglio di un orologio svizzero e poi sono così accoglienti al Madison, al Bio Solaire, al Café Solaire, al For a King. I calabresi fabbricano soldi e consensi, difficile restarne fuori. Anzi, consiglieri comunali e rappresentanti delle istituzioni non chiedono di meglio, quelli della Sogemi qualcosa in più. La qualità e la specializzazione incontrano sempre il giusto apprezzamento. Lo sa bene l'avvocato Melzi indicato come la mente finanziaria dei Ferrazzo.

Rimane al suo posto il dottor Gino Pezzano direttore dell'Asl 1. Continua a proteggersi dietro l'inesistenza dei rilievi penali, ignaro che per una funzione tanto delicata non può essere cancellato l'antico precetto dell'onorabilità. Certi caffè non vanno presi, certe mani non vanno strette. Oramai esiste il dovere d'immaginare.

Fonte: corriere.it

10 mar 2011

L'ombra della 'ndrangheta Bordighera: sciolto per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale.

Il primo caso in Liguria. Governato da una giunta di centrodestra. Il sindaco: «Prima devo capire»

MILANO - Il giorno dopo l'annuncio della Direzione distrettuale antimafia, secondo la quale «la 'ndrangheta ha colonizzato la Lombardia» e altri allarmi simili riguardanti la Romagna del mese scorso, il Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha sciolto il consiglio comunale di Bordighera (Imperia) per infiltrazioni mafiose. Si tratta del primo caso in Liguria di una pubblica amministrazione sottoposta a questo provvedimento. «Preferisco non rilasciare ancora dichiarazioni, prima devo capire», ha detto il sindaco di Bordighera, Gianni Bosio (Pdl). «Sono turbato da uno scenario decisamente allarmante e sconfortante», ha commentato il presidente della Provincia di Imperia, Luigi Sappa (Pdl).

INDAGINI - La richiesta di sciogliemento era stata avanzata l'estate scorsa dai carabinieri, che avevano compilato un dossier dal quale emergeva l'ipotesi di un collegamento tra alcuni politici e la malavita organizzata. Il Comune era governato da una coalizione di centrodestra e a seguito delle indagini la giunta venne azzerata e il sindaco ne formò un'altra. Erano emerse pressioni sul sindaco e su alcuni assessori per ottenere l'apertura di una sala giochi e altri favori. Vennero arresati otto imprenditori, membri di alcune famiglie di origine calabrese (Pellegrino, Valente, De Marte, Barilaro) alcuni dei quali ritenuti «contigui» alla 'ndrangheta. L'ipotesi investigativa è che alcuni politici fossero stati eletti con voto di scambio.

«È FINITA AGONIA» - «Sono amareggiata e delusa per la mia città, ma è una cosa che doveva essere fatta», ha commentato Donatella Albano (Pd), consigliera di opposizione a Bordighera. Dalla scorsa estate Donatella Albano è stata posta sotto tutela dalle forze dell'ordine dopo avere ricevuto minacce. «Avevamo chiesto come gruppo del Pd a luglio che il sindaco prendesse provvedimenti e non lo ha fatto. È stata una lunga agonia». L'ex assessore Marco Sferrazza non se lo aspettava. «Sono rimasto male. Sono tuttora convinto che abbiamo sempre lavorato bene». Sferrazza sarebbe stato minacciato assieme all'ex assessore Ugo Ingenito e dovrà comparire come parte lesa al processo per minacce il 14 aprile davanti al tribunale di Sanremo. Sferrazza ha aggiunto: «Qualcuno mi spieghi cosa significa voto di scambio. Votano tutti: le brave persone e quelle un po' meno brave. Anche quest'ultime dovranno pure esprimere una preferenza, no?».

TENSIONE - Che a Bordighera, un tranquillo e verdeggiante Comune di circa 10 mila abitanti della Riviera di Ponente a due passi dal confine francese, la situazione sia invece tutt'altro che tranquilla, lo conferma un episodio avvenuto lo scorso 27 febbraio, quando in un attentato incendiario è stata distrutta in piazza del Comune la vettura di un avvocato.

Fonte: corriere.it

9 mar 2011

'Ndrangheta, 41 arresti nel mondo. Coinvolto ex sindaco città australiana

L'operazione «Il Crimine 2» di polizia e carabinieri

Gli arresti sono eseguiti anche in Germania, Canada e Australia oltre che in Calabria ed in altre zone d'Italia

REGGIO CALABRIA - Le cosche di 'ndrangheta della provincia di Reggio Calabria avevano replicato il loro modello organizzativo nel nord Italia, in particolare in Lombardia, ed all'estero. È quanto emerge dall'inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato all'emissione di 41 ordinanze di custodia cautelare, di cui 11 all'estero, che carabinieri e polizia stanno eseguendo nell'ambito dell'operazione «Il Crimine 2». Gli arresti sono eseguiti secondo questa ripartizione: arma dei carabinieri 34, di cui 6 da eseguire in Germania e polizia di Stato 7, di cui 5 da eseguire in Canada e Australia.

LA PROSECUZIONE - La riproposizione del modello organizzativo calabrese della 'ndrangheta è stata gestita da affiliati che vivono del nord del Paese ed all'estero dipendenti dai vertici decisionali presenti nel territorio della provincia di Reggio Calabria. L'inchiesta che ha portato agli arresti rappresenta la prosecuzione dell'operazione «Il Crimine condotta» dalle Dda di Reggio Calabria e Milano che il 13 luglio dello scorso anno portò alla cattura di 304 affiliati alla 'ndrangheta. Operazione che rappresenta un «passaggio fondamentale», secondo la definizione di magistrati ed investigatori, nel contrasto contro la criminalità organizzata calabrese e le sue ramificazioni nel nord del Paese, ed in particolare in Lombardia, ed all'estero. I provvedimenti restrittivi che sono in esecuzione riguardano gli affiliati alla 'ndrangheta indagati nell'operazione Il Crimine nei confronti dei quali non era stato disposto l'arresto.

SINDACO CITTÀ AUSTRALIANA - C'è anche l'ex sindaco della città australiana di Stirling, Tony Vallelonga, tra le 41 persone coinvolte nell'operazione. Vallelonga, originario di Nardodipace (Vibo Valentia), era emigrato in Australia oltre 30 anni fa ed è stato sindaco di Stirling per nove anni, dal 1996 al 2005. Vallelonga, nel corso delle indagini, è stato anche intercettato mentre discuteva degli assetti operativi della 'ndrangheta in Australia con il boss di Siderno (Reggio Calabria), Giuseppe Commisso, detto 'u mastru. L'indagine ha accertato la presenza di 'locali' della 'ndrangheta in Australia, dove il gruppo criminale era denominato Thunder Bay, ed in Canada, e in particolare a Toronto, costituiti da cosche della Locride. In Germania, i carabinieri, hanno arrestato, tra gli altri, il boss Bruno Nesci, capo del «locale» costituito dalle cosche della 'ndrangheta. Proprio in Germania gli investigatori hanno documentato una riunione tra affiliati con esponenti della criminalità organizzata calabrese provenienti dalla Svizzera. L'indagine, inoltre, ha consentito di accertare i collegamenti della 'ndrangheta a Torino, dove la criminalità calabrese era rappresentata da Giuseppe Catalano e Francesco Tamburi e da Genova, con la presenza di altri due esponenti di spicco della criminalità calabrese, Domenico Belcastro e Domenico Gangemi.

PIGNATONE - Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Reggio Calabria, commenta a Radio 24 gli arresti della dda. L'operazione - sostiene Pignatone- «è la conferma dell'espansione della 'ndrangheta - non solo sul piano del traffico internazionale di stupefacenti ma anche sul piano dell'associazione mafiosa - anche in altre regioni fuori dall'Italia». «All'estero» - spiega il procuratore capo di Reggio Calabria - «c'è una perfetta riproduzione dell'organizzazione calabrese: l'unità di base è sempre quella che viene definita locale e poi da queste locali estere si mantengono sempre i contatti con la casa madre cioè con la provincia di Reggio Calabria, dove periodicamente vengono a prendere ordini, direttive e strategie di lungo periodo e a rendicontare quello che avviene. Questo mi pare il dato fondamentale». «Senza alcun dubbio» - prosegue Pignatone - «Il fulcro rimane la Calabria e la provincia di Reggio Calabria in modo particolare: questo è ciò che emerge con sicurezza sia dalle indagini culminate a luglio sia da quest'altra».

Fonte: corriere.it

7 mar 2011

Le ragazze di via Olgettina: «I regali di Silvio? Catenine da cesso...»

Elisa Toti alla madre: «Seimila euro per una settimana con lui». L'ironia delle sorelle De Vivo

MILANO - Seimila euro per aver trascorso quasi una settimana con «lui», anche se in compagnia di altre ragazze. «Beh, sono dodici milioni di vecchie lire»: è la madre di una delle «ragazze di via Olgettina» che fa i conti di quanto ha portato a casa la figlia, Elisa Toti, una delle ospiti assidue delle feste ad Arcore. Al telefono con la madre Anna, la sera dello scorso 9 gennaio, la domenica che chiude il ponte dell'Epifania, in una conversazione intercettata e allegata alla richiesta di giudizio immediato dei pm milanesi per Silvio Berlusconi, imputato per il caso Ruby, la giovane spiega di essere «appena tornata a casa» e aggiunge di essere «preoccupata per la salute di lui». La madre, invece, sembra preoccuparsi di altro: «Senti eeee quanto v'ha dato?». E la figlia: «Cinque più quegli altri mille quindi, quindi sei». La signora Anna è contenta: »Dici niente? Capito? eee poi che vi ha detto quando lui vi ripotrà vedere?». Risposta: «Ce lo dirà lui».

Scajola vede il premier e prepara il ritorno «Con me 62 parlamentari»

«Venderò la casa e mi riprenderò i 600 mila euro spesi, gli altri in beneficenza»

«Scherza?», s'era scandalizzata la segretaria Vincenza. «È sabato pomeriggio ed è quasi impossibile parlare con l'onorevole Claudio Scajola...».
(Dieci minuti dopo).
«Sono Scajola, mi sta cercando?».
Sì, onorevole: vorrei chiederle se sono vere le voci che la descrivono pronto a tornare in pista, dopo la vicenda giudiziaria legata alla sua casa con vista sul Colosseo.
«Guardi, come saprà mi sono imposto un volontario isolamento e non prevedo di rilasciare interviste...».
Però qualche novità c'è.
«In effetti, sì. Sul fronte giudiziario...».
Del fronte giudiziario, pure importante, parleremo magari dopo: è il suo ritorno alla politica attiva nel Pdl che...
«Guardi, io con Berlusconi non ho mai smesso di sentirmi. Dieci giorni fa, però, abbiamo effettivamente avuto un incontro piuttosto lungo».
Cosa vi siete detti?
«Abbiamo parlato di molte questioni...».
Lui le ha proposto qualcosa?
«No comment».
Allora è lei ad avergli chiesto un incarico e...
«No, guardi. Io, per abitudine, non chiedo».
Secondo alcuni osservatori, lei potrebbe tornare come coordinatore unico del partito, un partito che, tra l'altro, conosce molto bene.
«Lasci stare le voci... Ciò che posso dirle è che il Pdl è molto cambiato, negli ultimi anni. E io credo che, al suo interno, si debbano riscoprire valori, ripristinare regole, trovare nuovi entusiasmi».

Claudio Scajola - nato a Imperia nel gennaio del 1948, figlio di Ferdinando, che a Imperia fondò la Democrazia cristiana, e battezzato fra le braccia di Maria Romana De Gasperi, figlia di Alcide - torna a parlare di politica dieci mesi dopo essersi dimesso da ministro dello Sviluppo economico: era il 4 maggio del 2010, erano i giorni dell'inchiesta sull'imprenditore Diego Anemone e la sua cricca, storie di appalti torbidi e corruzione, tangenti, assegni e anche di un appartamento (mezzanino con strepitoso panorama sull'Anfiteatro Flavio) che Scajola, appunto, sostenne di aver pagato 610 mila euro, dichiarando di ignorare se qualcuno ne avesse poi versati altri 900 mila ai proprietari (le sorelle Papa, all'epoca divenute famosissime).

Dimissioni presentate in conferenza stampa, con una frase memorabile: «Non posso avere il sospetto di abitare una casa non pagata da me». «Più che memorabile - racconta rammaricato agli amici - fu una frase grottesca, infelice, stupida. Ma è facile dirlo adesso, con il senno del poi».
Cresciuto alla scuola dello scudocrociato, la Liguria controllata con migliaia di tessere e dosi di purissimo potere, il soprannome perfido di «Sciaboletta» (lo stesso di Vittorio Emanuele III), un carattere imprevedibile, curioso miscuglio di lucidità e istinto, Scajola è abilissimo a riemergere dalle situazioni più difficili (a 34 anni deve dimettersi da sindaco di Imperia perché ingiustamente arrestato per uno scandalo legato al casinò di Sanremo; poi è ministro dell'Interno quando la sua polizia randella al G8 di Genova e quando definisce Marco Biagi, appena ucciso dalle Br, un «rompicoglioni» che chiedeva la scorta: anche in questo caso deve dimettersi, ma anche in questo caso torna, dopo poco, in Consiglio dei ministri).

E sta tornando, a quanto sembra, pure stavolta. Spiega che i magistrati di Perugia hanno indagato 21 persone, ma non lui. E che «non esiste» una sola deposizione di Zampolini, il faccendiere di Anemone, in cui Zampolini dica «ho dato soldi a, ho consegnato assegni a...». Annusa la fine dell'incubo: «Ho messo in vendita quella casa e ho promesso di riprendermi solo i 600 mila euro che avevo speso, devolvendo in beneficienza il resto. Poi mi sono dimesso da ministro per rispetto delle istituzioni, ho lasciato lavorare in pace i magistrati... e se però ora si dovesse accertare che davvero non ho colpe, e se questo è un Paese normale, credo di poter legittimamente ricominciare a fare politica. O no?».

In verità, ha già ricominciato. E in modo pesante. E senza nascondersi. A luglio, una sera, alcuni parlamentari del Pdl organizzano una cena in suo onore a Roma, in un ristorante sull'Aurelia. Lui si commuove, ma, tra un brindisi e l'altro, non smette di contarli: sono 35. Così, a novembre, con Antonio Martino, lancia la «Fondazione Colombo»: e qui, tra deputati e senatori, arriva a 62 (buona parte dello zoccolo duro di ciò che fu Forza Italia). Poi il 12 dicembre, a Genova, a Palazzo Ducale, gli organizzano un comizio. «E lì, beh, c'erano duemila persone. Gente che sa bene come io sia non un uomo del potere, se no i giornali m'avrebbero trattato meglio, ma un uomo del fare...».
Silvio Berlusconi è informato. E osserva. Per Scajola, in fondo, ha sempre avuto un debole. Alla vigilia delle trionfali elezioni del 2001, non volle mandarlo a sciare: «Se ti rompi una gamba, chi mi chiude le liste?». Lui, Scajola, enfatico: «Silvio è il sole al cui calore tutti si vogliono scaldare». Gianni Baget Bozzo, teologo di Forza Italia, teorizzò che tra i due c'è «una straordinaria intrinseca complementarietà».

Fonte: corriere.it

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