18 giu 2010

La mogli inserite nel sistema illegale di appalti e favori

Stop al primo processo per corruzione

FIRENZE — La decisione di non decidere fa tutti contenti. Accusa e difesa, che per quattro ore se le sono suonate con cordialità e determinazione, accolgono con un sospiro di sollievo la scelta del presidente del Collegio Emma Boncompagni, che rinvia il processo al 6 luglio, ritenendo necessario aspettare le motivazioni della sentenza della Cassazione, che lo scorso 11 giugno ha stabilito che gli atti dell'inchiesta sulla Scuola Marescialli di Firenze dovessero essere inviati a Roma. Per Fabio De Santis non cambia nulla. L'udienza si è aperta con l'annuncio che l'ex provveditore alle Opere pubbliche toscane resta in carcere. Lo ha deciso il Tribune del Riesame, con motivazioni molto pesanti. Scrive il giudice che De Santis ha mantenuto un atteggiamento «di totale chiusura» nei confronti delle ipotesi accusatorie, a dimostrazione dell'«evidente carenza di percezione della antigiuridicità del proprio comportamento», suo e degli altri, tutti personaggi che hanno «legami profondi con soggetti di livello istituzionale molto elevato».

Questa mancata «percezione della propria condotta» da parte di tutti gli indagati emergerebbe anche dal coinvolgimento dei familiari. «E in particolare delle mogli, ben inserite nel sistema, di cui conoscono i dettagli e se ne avvantaggiano in modo palese, anche se non con ruoli penalmente rilevanti». Il primo processo per corruzione alla presunta «cricca», procede a piccoli passi e con sorte sempre più incerta. L'ingorgo che si è creato con il verdetto della Suprema Corte, che si è pronunciata sull'ordinanza di custodia cautelare emessa a fine marzo nei confronti di Angelo Balducci, Fabio De Santis e Guido Cerruti, ritenendola valida ma fissando la competenza a Roma mentre intanto c'è un dibattimento in corso a Firenze, deve ancora trovare una soluzione. Ieri i pubblici ministeri toscani hanno sostenuto le loro ragioni, dicendo di essersi sempre ritenuta competente a livello territoriale. Ovviamente di tutt'altro avviso i difensori degli imputati. Il confronto è stato aspro ed è girato intorno a una sola data, un solo episodio. È la sera del 18 febbraio 2008. L'imprenditore Riccardo Fusi, patron della Baldassini Tognozzi Pontello, si incontra all'Una Hotel di Firenze con l'imprenditore Francesco De Vito Piscicelli e suo cognato, Pierfrancesco Gagliardi. Nella memoria depositata ieri dai pubblici ministeri si legge questo: «Piscicelli, supportato da Gagliardi, propone a Fusi di concludere un patto corruttivo che prevede la messa a disposizione dei funzionari ministeriali in favore della "Baldassini Tognozzi Pontello".

In particolare, Piscicelli affronta, con il Fusi, la tematica del pagamento di una somma di denaro in favore dei funzionari ministeriali Balducci e De Santis». Si tratta del «momento genetico» di una corruzione continuata, e per questo la competenza di tutta l'inchiesta si radicherebbe a Firenze. Roberto Borgogno, difensore di Balducci, ha contestato questa versione dei fatti, ironizzando sul fatto che l'incontro fiorentino sia l'unico tra i tanti, tutti avvenuti a Roma, che «non vide tra i protagonisti i pubblici ufficiali» indagati nell'inchiesta. «Sarebbe il primo caso» ha detto «di corruzione per rappresentanza». Il discrimine è sottile, questione di interpretazioni, anche delle parole. E quella delle intercettazioni che ricostruiscono l'incontro di Firenze non è univoca, anzi, la lettura che ne danno accusa e difesa è diametralmente opposta. Proprio per questo possono assumere un certo rilievo le dichiarazioni di Gagliardi, successive all'ordinanza sulla quale si è espressa la Cassazione. Interrogato lo scorso 21 maggio dai pm, il cognato di Piscicelli ammette che qualcosa, quella sera a Firenze, è davvero avvenuto, citando un «accordo verbale» nel quale sarebbero stati fissati i parametri della «gratitudine» di Fusi per i servigi resi da Piscicelli. Il 6 luglio si saprà.

Fonte: corriere.it

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