13 ott 2009

Telese, spuntano le intercettazioni: «Il sindaco mangia a sette bocche».

L'inchiesta che ha sconvolto il beneventano

Dalle telefonate emerge la cupola degli appalti, in cella D’Occhio e altri 14: 55 imprenditori indagati

NAPOLI — Gli inquirenti par­lano di un vero e proprio cartel­lo di imprese gravitanti intorno al sindaco di Telese Terme, Giu­seppe D’Occhio (ex Dc, transita­to per l’Udeur — un mese fa cir­ca ha conferito anche la cittadi­nana onoraria all’ex ministro Clemente Mastella — e ora del Pdl) le quali, a turno, si aggiudi­cavano gli appalti, applicando ri­bassi irrilevanti, tra lo 0,45% e l’1,55%, a dispetto di quelli ela­borati dall’autorità di vigilanza che in media oscillano tra il 15,90 e il 33,80%. Il danno alle casse pubbliche calcolato dagli inquirenti ammonterebbe ad ol­tre 2 milioni di euro. Il dominus — secondo l’accusa — sarebbe stato il primo cittadino di Tele­se, l’ingegnere D’Occhio, 53 an­ni, segretario generale dell’Auto­rità di bacino dei fiumi Liri-Gari­gliano e Volturno, dal 1985 più volte eletto primo cittadino del comune termale (o nominato as­sessore ai lavori pubblici) e fini­to in manette assieme ad altre quattordici persone, tra dipen­denti comunali e imprenditori.

Ma sono ben cinquantacinque gli operatori economici e cinque i dipendenti comunali indagati o denunciati nell’ambito dell’in­chiesta. Le accuse contestate agli arre­stati sono, a vario titolo, quelle di associazione a delinquere fi­nalizzata alla turbativa d’asta, corruzione continuata, falso in atti pubblici, truffa, frode in pub­bliche forniture, favoreggiamen­to reale e false fatturazioni. Dodi­ci le ordinanze di custodia caute­lare in carcere. Oltre al sindaco D’Occhio anche Antonio Anto­nuccio, 58 anni, di Cusano Mu­tri e responsabile dell’ufficio tec­nico comunale; Pasquale Giaquinto, 62 anni, di Telese e responsabile dei servizi demo­grafici del Comune; gli impren­ditori Almerico Fasano, di 35 an­ni, e Gaetano Fasano, di 33, ri­spettivamente rappresentante legale e titolare della Coedil Fap Srl; Sergio Fuschini, 39 anni , ti­tolare della ditta Fuschini Co­struzioni; Pasquale Iorio, 59 an­ni, titolare della ditta Il.te.; Quiri­no Vegliante, 35 anni, rappresen­tante legale della Vegliante Co­struzioni Srl; Luigi Vegliante, 68 anni, di Solopaca, rappresentan­te legale della Vegliante Luigi & C. Sas; Pietro Pacelli, 49 anni, rappresentante legale della Pa­celli Costruzioni Srl; Alberto e Francesco Pilla, di 52 e 26 anni, della A.R. Gest Srl.

Arresti domiciliari, invece, per Paola Biondo, 32 anni, di San Salvatore Telesino, collabo­ratrice della Coedil Fap Srl; Lu­cia Cutillo, 62 anni, di San Salva­tore Telesino e Domenico Mazza­rella, 31 anni, di Faicchio, rispet­tivamente socio e dipendente della stessa Coedil Fap. Due le misure interdittive con il divie­to di esercitare l’attività impren­ditoriale nei confronti di Barto­lomeo Di Biase, 61 anni e Barto­lomeo Velardo, 35 anni, entram­bi imprenditori di Cusano Mu­tri. Da una intercettazione telefo­nica sulle utenze di due delle persone finite nella tangentopo­li scoperta dalla Guardia di Fi­nanza di Benevento, si fa riferi­mento alla presunta voracità di D’Occhio come il sindaco che «aveva mangiato a sette boc­che», tanto che «mezza Telese era sua». Una rete di malaffare che inquieta sia per le proporzio­ni del «sodalizio criminoso», co­me è stato definito dai magistra­ti, che in totale ha riguardato una ottantina di indagati; sia per l’organizzazione che sovrin­tendeva all’assegnazione degli appalti.

Una pentola scoperchia­ta con tutto il fragore il giorno dopo la visita a Benevento del premier Silvio Berlusconi. Grazie alla consulenza di una grafologa «è stato possibile ac­certare », è stato spiegato nel cor­so della conferenza stampa dal procuratore della Repubblica, Giuseppe Maddalena, e dal co­mandante provinciale delle Fiamme gialle, Giovanni Palmac­ci, «che le offerte delle imprese per partecipare ai vari appalti provenivano da una medesima mano ed erano, quindi, frutto di un accordo preventivo per la spartizione degli appalti». A ca­sa di uno dei titolari è stata rin­venuta una nota spese di 14 mi­la euro per la campagna elettora­le di D’Occhio dello scorso giu­gno. Mentre nell’abitazione di un altro imprenditore è stata tro­vata una somma in contanti di oltre 400 mila euro, tuttora og­getto di accertamento. Gli inve­stigatori hanno sottoposto ad analisi dei flussi finanziari circa 130 conti correnti, intestati a pubblici funzionari e a titolari di ditte.

Ed hanno proceduto alla verifica di oltre 50 appalti (in tut­to sarebbero 123 le gare passate al setaccio) riguardanti opere pubbliche e forniture. La Guar­dia di Finanza ha scoperto che era stato predisposto un elenco delle ditte da invitare alle proce­dure di licitazione privata sem­plificata, in modo da assicurare alle imprese facenti parte del car­tello un numero d’ordine ad ogni sequenza di trenta numeri. La sequenza di trenta corrispon­deva alla prescrizione di legge che per ogni appalto impone che siano invitate almeno trenta imprese. Le indagini sarebbero scatta­te nel 2002. Quando il sindaco di Telese, a seguito del cedimen­to di un edificio realizzato in un’area acquitrinosa, fu al cen­tro di una interrogazione parla­mentare dell’allora deputato e componente dell’Antimafia, Ni­chi Vendola.

Il coordinamento regionale di Sinistra e Libertà ri­corda i commenti sprezzanti di D’Occhio: «Figuriamoci», ripete­va, «se ci preoccupiamo di Nichi Vendola». Oggi, il presidente della Regione Puglia rievoca quelle sue interrogazioni: «A Te­lese ho dedicato per molto tem­po tanta attenzione», ha dichia­rato, «a causa del clima di illega­lità diffusa che era segnalato in quella cittadina».D’Occhio, scri­ve la procura, sarebbe stato «il destinatario egemone dell’ingen­te flusso di denaro transitato per l’ente comunale, già destina­to alla realizzazione di opere pubbliche e all’acquisto di forni­ture, nonché fonte di illegali ar­ricchimenti per le imprese locali e per qualche pubblico ammini­­stratore, figurante sul libro paga delle imprese medesime. Gli im­prenditori avevano, tra l’altro, creato fondi neri mediante l’uti­lizzazione di fatture fittizie, ope­razione quest’ultima necessaria per giustificare costi mai soste­nuti nell’esecuzione di appalti pubblici. Il sistema corruttivo creato, alquanto raffinato per la comprovata predisposizione di collettori delle tangenti, aveva alterato radicalmente la libera concorrenza con ingenti danni erariali che saranno valutati dal giudice contabile».

Fonte: corrieredelmezzogiorno.it

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