26 ott 2009

Marrazzo avvertito da Berlusconi: a Milano hanno un video contro di te

IL RETROSCENA DELL'INCHIESTA

Venne offerto alla Mondadori. Il governatore cercò di acquistarlo da un’agenzia

ROMA — Tre giorni prima dell’arresto dei carabinieri del la Compagnia Trionfale, Silvio Berlusconi ha avvisato Piero Marrazzo che alla Mondadori era stato offerto il video che lo ritraeva in compagnia di un transessuale. E il governatore del Lazio ha contattato l’agenzia fotografica Photo Masi per cercare di recuperare quel filmato. È l’ultimo, clamoroso, retroscena che emerge dall’indagine sul ricatto al presidente della Regione. Rivela infatti come lo stesso Marrazzo — proprio come era avvenuto a luglio quando fu sorpreso nel l’appartamento romano di via Gradoli — abbia deciso di non presentare alcuna denuncia, cercando invece di chiudere personalmente la partita. Comincia tutto la scorsa settimana quando l’agenzia Photo Masi di Milano contatta il set­timanale Chi e offre il video.

LA CHIAMATA DA ARCORE
Racconta il direttore Alfonso Signorini: «Me l’ha offerto la ti­tolare Carmen Masi e io l’ho preso in visione. Mi disse che il prezzo era di 200.000 euro trattabili. Ho spiegato subito che non mi interessava, però — come spesso avviene per vicende così delicate — ho detto che ne avrei parlato con i vertici dell’azienda. Ho subito informato la presidente Marina Berlusconi e l’amministratore delegato Maurizio Costa, con i quali abbiamo concordato di rifiutare la proposta». È a questo punto che, presumibilmente, la stessa Marina Berlusconi avvisa il padre di quanto sta accadendo. Lunedì scorso il presidente del Consiglio visiona le immagini. Poi chiama Marrazzo. Lo confermano ambienti vicini al capo del governo e lo stesso Marrazzo — quando ormai la vicenda è diventata pubblica — lo racconta ad alcuni amici, anche se non specifica a tutti chi sia l’interlocutore che lo ha messo in guardia. Durante la telefonata Berlusconi lo informa che il video è nella mani della Mondadori, gli assicura che la sua azienda non è interessata all’acquisto e gli fornisce i contatti della Photo Masi in modo da cercare un accordo direttamente con loro. L’obiettivo del capo del governo appare chiaro: smarcare il suo gruppo editoriale da eventuali accuse di aver gestito il filmato a fini politici, ma anche mostrare all’opposizione la sua volontà di non sfruttare uno scandalo sessuale. Una mossa che arriva al termine di trattative con altri quotidiani a lui vicini che avevano comunque ritenuto il filmato "non pubblicabile", come ha sottolineato il direttore di Libero , Maurizio Belpietro, quando ha raccontato di averlo visionato.

L'INTERMEDIARIO
In ogni caso il governatore capisce che si è aperta una via d’uscita, probabilmente è convinto di potersi così sottrarre al ricatto dei carabinieri. Telefona alla titolare della società e prende un appuntamento per il mercoledì successivo. L’accordo prevede che sia un suo intermediario ad andare a Milano. È il «metodo Corona», con la vittima che tenta di far sparire dal mercato materiale compromettente. Carmen Masi avverte Max Scarfone, il fotografo che ha avuto il video dai militari del Trionfale e ha incaricato lei di occuparsi della vendita. Gli prenota via Internet un biglietto ferroviario per farlo andare nel capoluogo lombardo e assistere all’incontro. Gli investigatori del Ros capiscono che devono intervenire perché la trattativa è nella fase finale, dunque il filmato rischia di essere distrutto con l’eliminazione della prova dell’estorsione. Alle 23 di martedì scorso bloccano Scarfone alla stazione e lo portano in caserma per l’interrogatorio. Il foto­grafo conferma quanto già emerge dalle intercettazioni telefoniche. All’alba viene perquisita la Photo Masi e sequestrata una copia del video. Alle 18 la stessa squadra del Ros entra nella redazione di Chi per prendere la seconda copia. L’appuntamento con il governatore viene immediatamente annullato.

LO STUPORE DEI PM
Il giorno dopo Marrazzo è convocato in Procura. «Credevo che i magistrati dovessero parlarmi di qualche indagine legata agli appalti», racconterà poi ai collaboratori. E i pubbli­ci ministeri gli comunicano di aver scoperto il ricatto dei carabinieri, lo interrogano come parte lesa. Lui racconta l’irruzione, spiega di aver consegnato gli assegni, ammette anche che nella casa del transessuale c’era cocaina. Ma nulla dice di quanto lui ha tentato di fare per cercare di bloccare la pubblicazione del video. Di fronte ai magistrati si mostra anzi stupito che ci sia per le conseguenze. A questo punto c’è una sorta di «patto tra gentiluomini» come lo definiscono negli ambienti giudiziari. Si decide che, quando la notizia sarà pubblica con l’arresto dei 4 carabinieri, lui dovrà dire che si tratta di una «vicenda privata» e nessun altro fornirà dettagli. E invece, di fronte al clamore, Marrazzo reagisce in maniera diversa. Parla di una «bufala», addirittura ipotizza che quel filmato sia «un falso» lasciando così intendere che all’interno dell’Arma sia stato ordito un complotto ai suoi danni. Una linea di difesa incomprensibile, visto che lui stesso ha appena ammesso tutto davanti ai magistrati, che alla fine lo costringe alla resa. E adesso i magistrati stanno verificando se quanto è stato scoperto finora — uso dell’auto di servizio, droga nell’appartamento del trans — possa far cambiare la sua posizione giudiziaria.

Fonte: corriere.it

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