Dal dissesto dei conti della Regione a quello del bilancio del Comune di Palermo; dall'emergenza rifiuti, che è frutto di quel dissesto, al dibattito sul Partito del Sud, che ha anch'esso a che vedere con l'esaursi delle risorse pubbliche per il Sud e con il crollo dell'apparato clientelare su cui si regge da decenni il sistema di potere che occupa il governo della Regione.
Cominciamo dunque questo viaggio in Sicilia dalla Regione autonoma a statuto speciale. Alla cui presidenza è stato eletto nella primavera del 2008 Raffaele Lombardo. Fondatore e segretario del Movimento per l'autonomia, Lombardo è un ex democristiano che è andato a braccetto per anni con Totò Cuffaro (il suo predecessore) e ora cerca di accreditarsi all'opinione pubblica locale e nazionale come l'uomo del riscatto economico e sociale dell'isola, contro gli sprechi, le clientele e il malaffare.
Riprenderemo il discorso su Lombardo e sulla litigiosa maggioranza che lo sostiene in uno dei prossimi post. Per ora concentriamoci sulla Regione e sui suoi disastrati conti.
Il grande crack
Il bilancio consuntivo di Palazzo dei Normanni al 31 dicembre 2008 è a dir poco squilibrato, per non dire dissestato. Le entrate correnti sono in calo e lo saranno ancora di più nel 2009 per la contrazione del Pil regionale, che provocherà una caduta del prelievo fiscale (la Sicilia, infatti, in quanto Regione a statuto speciale è già "federalista": incamera il gettito fiscale delle persone fisiche e giuridiche residenti nell'Isola e il gettito Iva). Per contro le spese correnti sono in continua crescita e i debiti sono pressoché raddoppiati. Per mantenere in equilibrio il bilancio, la Regione ricorre a espedienti contabili, tra cui quello di infarcire i conti di residui attivi che, nel 2008, hanno raggiunto i 13,6 miliardi. I residui attivi sono in teoria crediti da riscuotere, ma per stabilirne il tasso di esigibilità bisognerebbe esaminarli uno ad uno. La Regione, invece, si limita a iscriverli a bilancio tal quali, confondendo il vero con il falso. Il perché è evidente: se una parte più o meno cospicua dei residui attivi risultasse inesigibile (e secondo alcuni osservatori lo è sen'altro), la giunta sarebbe obbligata a svalutazioni per miliardi. Dai conti potrebbe emergere una voragine. Le premesse ci sono. Nelle scorse settimane l'assessore al Bilancio ha depennato 950 milioni di entrate attese che sarebbero dovute venire dalla vendita di immobili: un appostamento deciso dalla giunta Cuffaro, che Lombardo non ha esitato a definire infondato. L'ennesimo trucco per trovare la quadratura del cerchio.
Inoltre, sostiene la Corte dei conti siciliana, tutti i "saldi fondamentali" del bilancio presentano valori negativi laddove negli anni passati apparivano positivi: 1) la gestione di competenza, che nel 2007 era positiva per oltre un miliardo, ora è negativa per 183 milioni; 2) il saldo netto da finanziare è pressoché raddoppiato rispetto al 2007; 3) il deficit di competenza genera obbligazioni che dovranno essere onorate negli esercizi futuri e porranno "problemi di liquidità a medio e lungo termine"; 4) alcune operazioni finanziarie con strumenti derivati sono di segno negativo e "tendono a peggiorare"; 5) la gravità del disavanzo della sanità va ad attenuarsi grazie al piano di rientro varato dalla giunta Lombardo, ma la spesa del settore assorbe circa il 53% di quella totale regionale e permangono "criticità e inadeguatezze all'attuazione del piano" medesimo; 6) la legge di riorganizzazione della macchina burocratica non è stata accompagnata da una «puntuale analisi finanziaria dei risparmi conseguibili»; 7) e niente è stato fatto per contenere la spesa del personale. Insomma, un disastro.
Una delle poche certezze, in questo bilancio regionale, sono i debiti: 5 miliardi.
La favola di Fedro
Ma non sono solo i numeri a preoccupare. Nella requisitoria per il giudizio di parificazione del bilancio, che spetta alla Corte dei conti, il procuratore generale d'appello, Giovanni Coppola, ha usato toni allarmanti. Già l'incipit del documento è tutto un programma: "Superior stabat lupus - esordisce il magistrato -. E’ l’inizio - aggiunge - di una notissima favola di Fedro, una tra le favole più famose di tutti i tempi, “il lupo e l’agnello”: letteralmente significa “più sopra stava il lupo”. Ma, al di là del semplice significato letterale, la frase assume una notevole valenza allegorica, stando ad indicare un’incombente minaccia".
La minaccia è costituita, scrive Coppola, "dalla complessa rete di malaffare che in una Regione come la Sicilia, ad alto rischio di condizionamento mafioso, lascia poco tranquilli tutti coloro che si occupano della gestione della cosa pubblica. L’allerta va data in modo particolare in un momento, come quello attuale, in cui stanno arrivando in Sicilia i fondi Por 2007-2013 che rappresentano l’ultima erogazione in tal senso per la nostra Regione, a seguito dell’ingresso nell’Unione europea di molti paesi dell’Est che versano in condizioni economiche deteriori, e che, per l’entità delle risorse finanziarie coinvolte, pari a parecchi miliardi di euro, non possono non suscitare le brame di certi poteri forti non sempre trasparenti. Timori giustificati dalle notizie di cronaca che ci segnalano episodi sempre più frequenti di mala amministrazione a tutti i livelli ed in quasi tutti i settori".
Il Por, Programma operativo regionale, è il documento di programmazione per l’utilizzo dei fondi strutturali europei. Fondi che vengono integrati con quelli del ministero dell’Economia e della Regione.
Ce n'è per tutti, amici e parenti
Il modo più subdolo di appropriarsi di questo fiume di denaro - prosegue il procuratore generale d'appello - è quello di dirottarlo ad "amici o parenti, a terzi insomma, per scopi che non rientrano tra le finalità pubbliche" . Vent'anni fa, prima che fosse abolito, questo reato si chiamava peculato per distrazione. Se fosse ancora in vigore, un amministratore pubblico ci penserebbe non due ma quattro volte prima di impegnare denaro o effettuare pagamenti ad amici e parenti. Oggi, invece, può cavarsela con l'abuso d'ufficio, che comporta pene poco severe ed è un reato limitato entro un perimetro ristretto. Purtroppo dobbiamo convenire, leggiamo nella relazione, che “i ladri di beni privati passano la vita in carcere, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori”: frase, questa, attribuita oltre duemila anni fa da Aulo Gelio a Catone il censore, che andrebbe però riscritta. Perché in Italia nemmeno i ladri di beni privati passano la vita in carcere. I "furbetti del quartierino" hanno fatto scuola in questo senso.
Ma torniamo a bomba. "Nella nostra Sicilia - scrive ancora Coppola - assistiamo alla rappresentazione della commedia dell’assurdo. Siamo agli ultimi posti in Italia come qualità della vita, ma abbiamo un alto livello di spesa pubblica. Spendiamo una considerevole mole di pubbliche risorse, ma abbiamo la più alta percentuale di disoccupazione tra tutte le Regioni d’Italia, addirittura il doppio della percentuale media nazionale; i nostri giovani se vogliono un lavoro spesso devono emigrare".
Che fine fanno allora tutti questi soldi che escono dalle tasche dei cittadini?
"Ironicamente nella scorsa parifica ho detto che si potrebbe affermare che ogni anno, contabilmente parlando, è migliore del successivo, in quanto ogni anno a venire è peggiore del precedente e, quindi, per necessaria conseguenza, l’anno precedente è migliore del successivo. L’ironica previsione si è rivelata veritiera. Infatti l’esame della contabilità della Regione siciliana mostra nel 2008 un incremento degli impegni di spesa di 2,9 miliardi, passando dai 18,2 miliardi del 2007 ai 21,1 del 2008, con un aumento del 16 per cento".
E' vero che 2,6 miliardi sono relativi al “contratto di prestito” dello Stato per il ripianamento dei debiti della Sanità siciliana anteriori al 31 dicembre 2007. Ma anche al netto di questa cifra gli impegni di spesa superano comunque di circa 300 milioni di euro quelli del 2007. Una somma ragguardevole.
Il bilancio della Regione manca in altre parole di qualsiasi tipo di trasparenza e attendibilità: si iscrive ogni anno un avanzo presunto maggiore di quello che dovrebbe essere o una previsione di spesa inferiore, per poi constatare l'anno successivo, all'approvazione del bilancio consuntivo, che l'avanzo effettivo è inferiore a quello preventivato e la spesa superiore. Un'autentica farsa contabile.
Riforme vere, riforme finte
Prendiamo la decantata riforma dell'apparato burocratico regionale, approvata anche con i voti del Pd, che sta all'opposizione, e sbandierata da Lombardo come primo passo di una politica di rinnovamento. "Non mi pare una riforma epocale", scrive Coppola. Che - pur riconoscendo il merito, alla giunta Lombardo, di aver cercato di limitare le spese "a carattere alluvionale" di tutti i settori della finanza regionale - ricorda: prima della riforma della struttura burocratica i dipartimenti della Regione erano 37; nella riforma ne sono previsti 32 (che scenderanno a 28 nel 2010) tanti quanti erano nel 2000 al momento dell'entrata in vigore della legge con cui furono istituiti.
La macchina clientelare
Prendiamo, a proposito di riduzione degli sprechi, i corsi di formazione, che rappresentano un pilastro portante del sistema clientelare. Nel 2007 risultavano finanziati 519 progetti, l'anno successivo sono stati autorizzati 891 progetti, con un incremento di oltre il 71 per cento. Sostiene la Corte dei conti che, nel 2007, a fronte di 519 progetti erano stati avviati 3.069 corsi con 46.035 iscritti. Nel 2008, invece, sono stati attivati 2.514 corsi con 31.918 iscritti, eppure i pagamenti hanno sfiorato i 363 milioni di euro contro i 303 milioni del 2007, con un incremento di circa 60 milioni. E' stato speso, in sostanza, il 20% in più dell'anno precedente, mentre il numero dei corsi diminuiva del 18% e quello degli iscritti del 31 per cento.
Non solo: la Regione sperpera una somma del genere senza curarsi di controllare se poi i corsi vengono effettivamente portati a termine. O meglio demandando per lo più i controlli agli stessi soggetti organizzatori dei corsi. Il dipartimento Formazione professionale ha condotto lo scorso anno un'indagine su 2.324 studenti di 141 corsi da cui è emerso che solo 1.641 allievi hanno completato il percorso formativo e che quelli che hanno ottenuto mansioni definitive coerenti con il corso frequentato sono stati 196. In conclusione: il 30% degli allievi si ritira prima della fine del corso, ad ogni corso partecipano in media 11 studenti e di questi solo uno e mezzo ottiene un lavoro coerente con la qualifica conseguita. Osserva la Corte dei conti: se consideriamo che "ciascun corso costa in media 108mila euro, ne discende che ciascun frequentante costa ai contribuenti 9.391 euro; nella scuola statale siciliana uno studente, nell’ultimo anno scolastico, è costato quasi il 50% in meno, per l’esattezza 6.384 euro. Se poi si prendono in considerazione coloro che trovano un posto di lavoro..., si ricava che l’effettivo avviamento al lavoro di un singolo giovane attraverso la formazione professionale siciliana grava sulle tasche dei contribuenti per ben 72mila euro, non so fino a che punto ne valga la pena", è l'amaro commento di Coppola.
L'esercito dei dirigenti
Dulcis in fundo, il personale. I dipendenti fissi della Regione, assunti a tempo indeterminato, erano al 31 dicembre 2008 poco meno di 14mila. E già su questa cifra vi sarebbe molto da dire. Ma è il numero dei dirigenti a impressionare di più: 2.111, uno ogni 5,6 dipendenti. Nello Stato, sostiene la Corte dei conti, ve ne sono in media uno ogni 50 dipendenti. Quindi in Sicilia vi sono, secondo questo calcolo, 1.874 dirigenti di troppo.
Accanto al personale a tempo indeterminato gravano inoltre sui conti altri 7mila dipendenti a tempo determinato, che portano il totale degli occupati a 21mila unità. Questo esercito di dipendenti regionali è costato ai contribuenti siciliani, nel 2008, poco meno di 1,1 miliardi: 212 euro per abitante. Il costo medio di un dirigente a tempo indeterminato è stato di circa 109mila euro, mentre quello di un dipendente ha sfiorato i 42mila euro (senza considerare gli oneri sociali). Sulla Regione pesano poi quasi 15mila dipendenti in pensione, che nel 2008 sono costati altri 561 milioni.
La festa è finita
Affronteremo a parte il capitolo sanità. Ma già da questi numeri risulta evidente lo squilibrio di cui dicevamo all'inizio. La politica delle clientele ha generato un mostro che divora risorse senza produrre ricchezza. Lo stato dei servizi pubblici, in diverse parti dell'isola, è tutt'oggi penoso. Il degrado di certe periferie palermitane resta impressionante. In molti paesi dell'interno dove ancora cinquant'anni fa erano fiorenti l'agricoltura, l'allevamento e l'artiginatto l'economia ruota oggi intorno al rimboschimento, un'attività in buona misura fittizia, alimentata dalla Regione, che ha finito per distruggere il senso del lavoro. La più grande industria di Palermo è il Comune, che dopo aver imbarcato precari a go-go è arrivato sull'orlo del fallimento. L'edilizia si trascina un po' dappertutto grazie all'abusivismo, che non ha mai smesso di esistere nonostante tutte le sanatorie. L'interno continua a svuotarsi di energie e di abitanti. A questo sono serviti oltre 50 anni di autonomia, e la Regione è l'emblema di questo disastro. Adesso servirebbe una mastodontica opera di risanamento dei conti. Ma per risanare bisognerebbe tagliarsi i ponti alle spalle, fare piazza pulita di questo sistema di potere. Invece si continuano a rivendicare nuovi fondi pubblici nell'illusione che la macchina clientelare possa riprodursi all'infinito. I soldi sono finiti, stavolta. La Regione barcolla schiacciata da una montagna di debiti, ma le sue spese continuano a crescere. Se i rubinetti dei fondi europei si chiuderanno veramente, i nodi verranno al pettine. E saranno dolori per tutti.
Fonte: Finanza & Potere
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