25 nov 2007

Il padrone di Mondragone. Una città in mano alla camorra.

Camorra e politica insieme per gestire il business della spazzatura.

Mondragone è un paesone del Casertano, ricco di storia e povero di lavoro: uno dei tanti in Campania. Lì un graduato dei vigili urbani chiedeva le mazzette ai venditori del mercato, come forse accade in tanti paesi. Un sindacalista degli ambulanti si presentò ai magistrati e denunciò tutto: e forse anche questo accade in molti comuni. Solo che nel 2002, alla vigilia del processo contro il vigile, il sindacalista venne assassinato. E questo è accaduto solo a Mondragone. Perché secondo i magistrati allora come oggi lì i confini tra camorra e pubblica amministrazione sono così confusi che non si capisce più dove finiscano i partiti e comincino i clan.

Con una certezza: i feroci padrini dei Casalesi contano più dei politici. Una regola che avrebbe una sola eccezione: Mario. Nelle intercettazioni che hanno registrato il sistema di potere di Mondragone 'Mario' è quasi una parola magica. Basta pronunciare quel nome per risolvere crisi di giunta, farsi assumere, trovare la strada per ottenere la certificazione antimafia. Non un Mario qualsiasi: secondo i pm si tratta di Mario Landolfi, ex ministro e attuale presidente della Commissione di vigilanza della Rai.

Landolfi è sempre stato presentato come il volto pulito di An: fedelissimo a Gianfranco Fini, insediato due anni fa nello strategico dicastero delle Telecomunicazioni, appena confermato nel vertice di Alleanza nazionale. L'unica vicenda che lo vide protagonista negativo fu quel foglietto sventolato da Gad Lerner nel giorno delle dimissioni dal Tg1: "Landolfi mi ha chiesto: 'Ci sarebbe questa persona da sistemare...'". Invece quella che lo vede accusato di corruzione e truffa "con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan mafioso La Torre" è tutt'altra storia.

Mondragone è la sua città: Landolfi è nato lì e quello è il suo collegio elettorale. Non si perde un'inaugurazione e durante il governo del centrodestra non ha lesinato attenzioni e fondi. Ma per la direzione distrettuale antimafia di Napoli in più occasioni l'ex ministro avrebbe violato la legge. Contro di lui ci sono soprattutto le telefonate di Raffaele Chianese, ex vicesindaco, amico e collaboratore che lo seguì a Roma come capo dello staff ministeriale. E ci sono le accuse dei fratelli Orsi: due imprenditori diventati i re dei rifiuti in Campania grazie al legame con la camorra e le relazioni politiche a destra e sinistra. Perché al centro di questa storiaccia ci sono proprio gli appalti dell'immondizia, il grande business sporco che avvelena l'intera regione.

Le dichiarazioni raccolte dagli investigatori oscillano tra il folcloristico e l'inquietante. La materia prima sono i posti di lavoro: il mattone che serve a costruire il sistema di potere. Quando i politici chiedevano, il contratto doveva spuntare fuori a tutti i costi. Spiega Michele Orsi: "Circa il 70 per cento delle assunzioni poi operate erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Landolfi, Valente (il presidente del consorzio comunale, ndr) e Cosentino (il coordinatore regionale di Forza Italia, ndr)... Molte delle assunzioni erano non solo inutili ma sostanzialmente fittizie, dato che questi non svolgevano alcuna attività". Questi 'favori' poi diventavano voti. Chianese, il 'braccio destro' di Landolfi nel raccomandare un uomo vicino alle cosche sottolinea: "Quello vale cento voti!". E Orsi replica promettendo il contratto: "Tieni presente che siamo vicini a te e Mario per queste elezioni. Qualunque cosa...". La risposta? "Grazie, a buon rendere".

Spiega uno dei pentiti di questo romanzo criminale: "Quasi tutte le persone che a Mondragone lavorano per la nettezza urbana sono state raccomandate dal clan. Qualunque iniziativa volessero prendere i lavoratori dovevano concordarla con il clan, compreso l'iscrizione al sindacato o iniziative di protesta. Mi risulta che nel corso degli anni sono stati organizzati dalla cosca vari pranzi elettorali per cercare di far votare tutti i dipendenti della nettezza urbana per una certa persona. Certamente è stato organizzato un incontro per far votare Paolo Russo (onorevole di Forza Italia, ndr). Per le ultime politiche è stato organizzato un rinfresco a favore di Landolfi a cui pure hanno partecipato tutti i dipendenti della nettezza urbana. In quest'ultima occasione il clan si è occupato soltanto di far andare tutti all'incontro".

D'altronde i consorzi che gestiscono i rifiuti sono espressione diretta dei partiti. In questa istruttoria lo ammette Giuseppe Valente, numero uno della società mista che si occupa di pulire 18 comuni sul litorale Domiziano, che dopo l'arresto spiega con candore di avere "assunto la presidenza quale incarico squisitamente politico, previa intesa con i referenti politici, i parlamentari Landolfi, Cosentino e Coronella (senatore e leader provinciale di An, ndr)". È difficile ritenerla una normale lottizzazione. E questo non solo alla luce della drammatica situazione che la questione della spazzatura ha assunto. C'è infatti il dominio della criminalità, che controlla tutto e pretende che i suoi uomini vengano retribuiti per non fare nulla. Il 'portaborse' di Landolfi dice al telefono che prima nella società della nettezza urbana "c'erano 22 assunti ma dieci erano camorristi. Non lavoravano, si pigliavano solo lo stipendio". Il seguito dell'intercettazione è anche peggiore: "Quanti ce ne possono servire per pulire Mondragone? Trentacinque a esagerare. Invece ora ce ne stanno 86, 51 chi li deve pagare?"

La camorra non si accontenta del lavoro: vuole anche i soldi. L'azienda della spazzatura paga ogni mese 15 mila euro di pizzo agli emissari dei padrini. A sollecitare la tangente, scrivono i magistrati, è proprio il presidente del consorzio pubblico. Quello che dichiara di essere stato nominato grazie a Landolfi e Cosentino. Spesso però i boss decidono di fare politica in proprio, violando ogni regola: usano il loro pacchetto di voti per condizionare le scelte del Comune.

Di fronte a questo dilagare della camorra cosa fa lo Stato? Poco o nulla. Dalla Prefettura di Caserta - recitano gli atti della Procura - le informative di polizia arrivavano direttamente nelle mani sbagliate. Anche figure chiave del Commissariato per l'emergenza rifiuti erano a 'disposizione' dei padrini della spazzatura: come Claudio De Biasio, il vice di Bertolaso arrestato nella scorsa primavera. E se si cercava di applicare le misure minime di legge, come l'obbligo di certificato antimafia per gli appalti, c'era sempre un parlamentare pronto a trovare una scorciatoia.

Spiega il solito Orsi: "Quanto alle mie richieste rivolte ai politici di interessarsi per il rilascio della certificazione antimafia, faccio presente che sollecitai direttamente l'onorevole Cosentino e - tramite Valente - Mario Landolfi. Cosentino mi diede assicurazioni sul fatto che si sarebbe interessato: ricordo che questi ebbe a chiamare telefonicamente, innanzi a me, il dottor Provolo (il viceprefetto, ndr) con il quale prese un appuntamento per avere dei chiarimenti". E Landolfi? "Chianese ci disse di aver ricevuto da Landolfi l'indicazione proveniente dalla Prefettura... sottolineando che grazie a lui Landolfi si era recato presso la Prefettura per perorare il rilascio della certificazione antimafia".

Gli elementi di accusa contro il parlamentare di An sono ancora in parte coperti dal segreto. Ma dagli atti spunta un dialogo impressionante. Sergio Orsi, uno dei re dei rifiuti, si fa avanti offrendo "amicizia". E Chianese replica: "Mario i soldi se li può prendere solo da me, e non se li può prendere da nessun altro, quindi è inutile...". Poi precisa: "Lui soldi non ne piglia... Cioè, i soldi che danno per fare l'attività. finanzia il partito... Io me ne avvantaggio dal partito, perché io prendo un incarico... e giustamente devo dare un contributo...". E a quel punto 'il portaborse' spiega: "Tu puoi partecipare... se tu devi prendere un appalto per un lavoro, anziché darlo ad un altro, lo dai a me... È un contributo anche questo...".

Di fronte alle accuse di truffa e corruzione avanzate dai pm, Landolfi ha mostrato serenità: "Non ho ricevuto nessuna comunicazione, ma sono a disposizione dei giudici: il mio impegno politico è limpido. In vita mia non ho mai corrotto né truffato, non mi sono mai occupato di appalti e cose del genere". Ma oltre agli aspetti penali restano gli interrogativi sulla gestione della Campania e il ruolo che la classe politica ha avuto nel contrasto della camorra. Quando due anni finì per la prima volta sotto inchiesta il 'portaborse' Chianese, la risposta dei vertici regionali di An fu un'interrogazione parlamentare contro il pm Cantone. E il primo intervento di Landolfi sul caso Mondragone risale al 2003.

Non fu una denuncia, ma una dichiarazione in favore della sorella del padrino Augusto La Torre. All'epoca intervenne sul 'Corriere del Mezzogiorno' per fare sfoggio di garantismo: "Certo che conosco la professoressa La Torre. Abbiamo abitato nella stessa scala per anni. Il suo arresto mi ha sorpreso ma sospenderei il giudizio". Al cronista che chiedeva qual è l'impegno di un leader nazionale in "in una città di frontiera come Mondragone", rispondeva: "Anche un ruolo pedagogico: spiegando alle persone che non tutto è diritto e non tutto può essere risolto dalla politica. Ma dopo l'incalzante attività delle forze dell'ordine, a Mondragone siamo in una fase di ripresa. Alla fine, vince sempre lo Stato". Speriamo

Fonte: espresso.repubblica.it

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