5 lug 2013

I vertici Ior costretti ad abbandonare

Sospetto riciclaggio: «Avallarono illeciti»
L'esito delle verifiche sul conto 49577: da qui partì il terremoto che ha scosso la banca vaticana. Manager indagati

Monsignor Scarano interrogato conferma tutto

ROMA - Conto corrente 49577 aperto presso la filiale romana del Credito Artigiano. Parte da qui il terremoto che ha travolto i vertici dello Ior. Perché le verifiche su quel deposito sono ormai terminate e hanno svelato le operazioni di riciclaggio che sarebbero state compiute negli ultimi anni all'interno della banca vaticana. L'avviso di conclusione dell'inchiesta sarà notificato dai magistrati nei prossimi giorni. In cima all'elenco degli indagati ci sono proprio il direttore Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli, entrambi sospettati di aver avallato gli illeciti che venivano compiuti. La scelta di farsi da parte è apparsa dunque opportuna prima di un licenziamento che sarebbe stato inevitabile. Anche tenendo conto dell'arresto di monsignor Nunzio Scarano, che a entrambi è sempre stato molto legato.

Si intrecciano le due vicende ed entrambe portano ai piani alti dello Ior. La storia del conto è nota. Nel 2010 Cipriani, delegato ad effettuare movimentazioni insieme con l'allora presidente Ettore Gotti Tedeschi, dispone due bonifici per complessivi 23 milioni di euro. Soldi da inviare presso una filiale tedesca della Jp Morgan. La segnalazione di «operazione sospetta» trasmessa ai pubblici ministeri romani fa scattare il sequestro della somma. Ma soprattutto apre scenari inediti su quanto avviene all'interno della banca vaticana.

Gli accertamenti affidati al Nucleo valutario della Guardia di Finanza fanno infatti emergere numerosi altri trasferimenti illegali. Si scopre che i depositi intestati a religiosi vengono in realtà messi a disposizione di clienti laici e in alcuni casi di esponenti della criminalità. Ma si scopre soprattutto - anche grazie alla collaborazione dello stesso Gotti Tedeschi - quanto opachi siano numerosi affari conclusi con l'avallo della dirigenza.

L'ultima conferma arriva proprio dalle intercettazioni allegate agli atti dell'inchiesta che venerdì scorso ha fatto finire a Regina Coeli monsignor Scarano, l'ex contabile dell'Apsa (l'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) arrestato per aver tentato di trasferire dalla Svizzera venti milioni di euro degli armatori D'Amico. E di averlo fatto versando una «mazzetta» da 400 mila euro a uno 007, Giovanni Maria Zito.

Con Cipriani, ma soprattutto con Tulli, l'alto prelato mostra grande familiarità, dimestichezza nella gestione del denaro attraverso i conti aperti presso lo Ior. Tanto che più volte si vanta di poter movimentare soldi «perché lì è più veloce e sicuro». Lunedì 1 luglio, di fronte al giudice che aveva disposto la sua cattura, Scarano ha ammesso gli illeciti - pur sostenendo di aver agito in buona fede - e ha mostrato un atteggiamento di collaborazione che evidentemente preoccupa i suoi vecchi amici dello Ior. I pubblici ministeri Stefano Pesci e Stefano Rocco Fava, titolari del fascicolo assieme al procuratore aggiunto Nello Rossi, torneranno a interrogarlo nei prossimi giorni. Molti sono gli argomenti che il monsignor può approfondire, tanti i segreti che può svelare.

L'operazione relativa ai 20 milioni non si è conclusa e bisognerà comprendere per quale motivo sia saltata all'ultimo minuto, visto che tutto era stato pianificato. Altri sono gli affari di cui può parlare, anche tenendo conto di quanto è già stato scoperto dai finanzieri guidati dal generale Giuseppe Bottillo: flussi di denaro dalla provenienza sospetta, mutui accesi e poi estinti con somme frazionate per occultarne l'origine.

Anche Scarano potrebbe essere accusato di riciclaggio. Un nome in più nell'elenco che, oltre a Cipriani e Tulli, già comprende don Evaldo Biasini, il famoso «don bancomat» dell'inchiesta sugli appalti dei Grandi Eventi. E l'avvocato Michele Briamonte. Il professionista è consulente dello Ior e nelle scorse settimane è stato fermato dalla Finanza nello scalo di Ciampino mentre si imbarcava su un aereo insieme con monsignor Roberto Lucchini, uno dei collaboratori più stretti del cardinale Tarcisio Bertone.

I militari volevano controllare il contenuto della sua valigetta ma lui si oppose sostenendo di poter godere dell'immunità diplomatica della Santa Sede. Una prerogativa che non ha potuto vantare quando è stato sospeso per due mesi dal consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi perché accusato di insider trading. E che difficilmente potrà far valere di fronte ai pubblici ministeri romani che lo accusano di aver gestito svariate operazioni sospette.


Fonte: corriere.it

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