3 ott 2012

Il maggiordomo del Papa a processo:«Maltrattato dai gendarmi del Vaticano»

Paolo Gabriele accusa: detenzione dura in cella minuscola. Il Promotore di giustizia della Santa Sede apre inchiesta interna

ROMA - L'ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele - interrogato martedì a Roma nella seconda udienza del processo Vatileaks - ha denunciato davanti ai giudici maltrattamenti da parte della Gendarmeria Vaticana. Il Vaticano ha comunicato che sulle accuse è stata aperta un'inchiesta interna.

VENTI GIORNI CON LUCE ACCESA - L'ex il maggiordomo di Benedetto XVI ha dichiarato di aver subito pressioni psicologiche e di essere rimasto per svariati giorni («meno di venti» per il pm) in una cella in cui non poteva neppure allargare le braccia, con luce accesa 24 ore su 24. Da qui una serie di disturbi alla vista che l'uomo accuserebbe. Presente alla deposizione, seduto tra il pubblico, c'era il comandante della gendarmeria, Domenico Giani. In seguito alle dichiarazioni del difensore di Gabriele, Cristiana Arru, e su invito del presidente del collegio giudicante Giuseppe Dalla Torre, il Promotore di giustizia (pm) della Santa Sede, Nicola Picardi, ha aperto un fascicolo per «accertare se vi siano stati eventuali abusi nel corso della detenzione» del maggiordomo. La Gendarmeria del Vaticano minaccia querele: nel caso le accuse mosse «dovessero risultare infondate», l'ex maggiordomo «potrebbe essere passibile di una controdenuncia».

LA REPLICA DELLA GENDARMERIA
La Gendarmeria vaticana, dopo l'apertura del fascicolo n. 53/12 sulle condizioni di detenzione, replica che a Paolo Gabriele «per motivi di legame preesistente» con la Gendarmeria, «sono state concesse una serie di particolari attenzioni per far sì che potesse trascorrere il periodo» di detenzione «nella maniera più serena possibile». «Circa l'asserita presenza di luce nelle ventiquattro ore - spiega la nota della Gendarmeria -, si rappresenta che la stessa è rimasta accesa per evitare eventuali atti auto lesionistici dell'imputato e per esigenze di sicurezza».

UNA LUCE DI COMPAGNIA
Lo stesso detenuto, nei giorni a venire, avrebbe «chiesto che la medesima luce rimanesse accesa durante la notte perchè la riteneva di compagnia. Del resto allo stesso, sin dall'inizio è stata fornita anche una mascherina notturna che gli consentisse il più completo oscuramento». «Senza mai essere disturbato - aggiunge la Gendarmeria - veniva infine discretamente controllato nel corso delle ore notturne e per qualunque necessità poteva contare sull'immediata assistenza essendo la cella provvista di idoneo citofono collegato con la Sala Operativa. I suoi principali diritti, anche riguardo l'intimità, non sono mai stati violati».

«HO TRADITO IL PAPA»
Quanto al processo a suo carico, Gabriele ha affermato in udienza di aver agito senza complici. Si è quindi dichiarato «innocente» dell'accusa di furto aggravato dei documenti riservati della Santa Sede, ma ha detto di sentirsi «colpevole per aver tradito la fiducia che aveva riposto in me il Santo Padre, che io sento di amare come un figlio». Poi ha fatto i nomi di 7 persone che lo avrebbero «suggestionato»: il dottor Mauriello, Luca Catano («che sapeva cose relative al comandante della gendarmeria Domenico Giani»), e poi i cardinali Angelo Comastri, Paolo Sardi, monsignor Francesco Cavina e l'ex governante di Ratzinger Ingrid Stampa.

Fonte: roma.corriere.it

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