Un filmato allegato al «manuale» del perfetto spacciatore spiega tutti i trucchi per occultare la droga
NAPOLI — Per la prima volta la storia viene scritta da chi è dall’altra parte. Non da chi osserva e studia il mondo degli stupefacenti, ma da chi li spaccia. Forse per questo il «Manuale del perfetto venditore di droga. Romanzo con business plan» è un piccolo caso editoriale. Soprattutto a Napoli dove, in alcune librerie e alla Fnac, è già stata chiesta la ristampa. «In altre — spiega l’autore, Alessandro Esposito — si sono rifiutati di venderlo. Dicono che è troppo crudo». Buon ritmo, narrazione incalzante, il libro, edizioni Zero91, è stato presentato il 24 giugno scorso a Milano, città dove Esposito, 36 anni, sposato e padre di due figli, si è trasferito. Oggi è un altro uomo, ride guardando al suo passato. Quasi piange guardando al presente, a Scampia, dove è tornato in questi giorni di vacanza per vedere i parenti, i vecchi amici di una vita fa. Ha paura, perché il peggio dei suoi tempi ha trovato un «peggio» ancora maggiore che annienta, annulla, sovverte, distrugge.

Dove si legge: «Questo è il diario lercio di uno spacciatore che vive nella periferia più malsana di Napoli, ai bordi di una metropoli violenta e immorale tra donne da conquistare e trans da fottere. Questa è la vita depravata di un ragazzo senza nome che ha avuto come scuola la strada. Come madre una zoccola. Come padre un bidello cornuto. Un ragazzo che è un re magio in un presepe chimico illuminato da mille neon color piscio. Il ritmo delle sue giornate è scandito da coca da vendere e perversioni da consumare. La sua unica certezza è che dio te la manda buona, se sai scegliere il dio giusto. La salvezza forse arriva anche per lui sotto forma di un controverso manuale che fa del crimine un’arte». Un mondo fatto di personaggi come Manuela la trans, Barbara la troietta di Posillipo, ’O Pacchero, Banana, Gaetano Mezzanotte. Ci sono le vedette, i raid degli sbirri, le truffe. Una Scampia mai raccontata.
Parole e storie forti, Alessandro Esposito, non le sembra di aver esagerato?
«I personaggi e i fatti sono veri anche se il libro è un romanzo. Ad esempio mia madre è una santa donna e mio padre era un brav’uomo. Il resto è realtà. Truffe e rapine comprese. E i termini usati sono quelli della strada. Io ci sono stato per strada e la voglio raccontare».
Lo faccia, come ha cominciato?
«Ma tu come ti chiami?».
Esposito.
«Di dove sei?»
Secondigliano.
«Allora, almeno diamoci del tu»
Ok.
«Come consumatore. Ero dipendente all’eroina dai 18 ai venticinque anni. Arrivavo a farmi cinque volte al giorno. Sono stato anche al Sert ma nulla. Poi qualcosa è scattato nella mia testa. Non ero più un uomo, ero nulla, una larva. Ho visto tanti ragazzi, amici, che mi sono morti accanto. Così, da solo, ho iniziato quella che noi chiamiamo la ruota a secco e sono andato via».
Perché ha iniziato a spacciare?
«Perché mi chiedevano la coca appena sapevano da dove venivo e del mio passato. Prima una dose, poi un’altra e il fronte si allargava».
Si guadagnava?
«Quando il giro si era ormai consolidato compravo un chilo di cocaina a 35 mila euro. In dieci giorni lo rivendevo per centomila. È facile fare i conti. Diciamo che incassavo dai tre ai quattromila euro al giorno».
Perché, se aveva preso questa strada e se guadagnava tanti soldi, ha smesso?
«Perché a un certo punto escono fuori le pistole e la violenza. Se uno solo non ti paga, nessuno più ti paga. Io non ero fatto per quello. Poi sono stato arrestato».
Una nuova svolta?
«Sì, in galera ho pensato molto. La scelta era: dentro e fuori di continuo e con i soldi, o solo fuori con una vita onesta. Poi se avessi scelto la prima opzione avrei anche potuto incontrare, prima o poi, una pallottola. Ho cambiato vita. Ora lavoro a Milano».
Alessandro Esposito fa il copywriter in una delle più importanti agenzie di pubblicità della città. Sì, l’accento non è più napoletano...
«Ma che scherzi? io songo napulitano dint’all’anema. Solo che vivere in un’altra città cambia. Ora però sono a Napoli per qualche giorno di vacanza».
Sono passati pochi anni ma Scampia è cambiata?
«Sì. Io vengo dal Rione Amicizia, mio padre era di lì. I miei erano persone oneste in un quartiere violento. Oggi non è più così. Tutto è di massa: il consumo, lo spaccio, i prezzi, la strafottenza. L’altro giorno sono andato a trovare degli amici alle case azzurre e mi hanno detto che ci sono spacciatori che fanno svendite, mille dosi e ognuna a dieci euro. Tutti possono acquistarle, anche i ragazzini che invece di farsi due gelati si fanno uno sballo. La coca è pericolosa, si pensa sempre che la si può dominare e poi è lei che domina te».
Hai due figli, questo libro non ti sembra un po’ diseducativo?
«Questa domanda me la fanno sempre. Io racconto quello che tutti già sanno. Chi è che legge il mio libro e pensa di fare lo spacciatore? Se lo diventi non è per un romanzo. Lo sei già, dentro. Io ho scritto queste cose perché voglio che la gente schifi la droga. Ma anche per questo un libro non basta».
Sul sito del «Manuale» viene citata «La vita liquida» di Zygmunt Bauman. E le parole del sociologo polacco sembrano adattarsi a Scampia come un vestito aderente a una bella donna: «Vita liquida e modernità liquida sono profondamente connesse tra loro. Liquido è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita liquido moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo».
Fonte: corrieredelmezzogiorno.it
Nessun commento:
Posta un commento