17 nov 2009

Cosentino in tv, attacco alla Dia

«Chiesero a Schiavone di accusare il premier». Ma il pentito non confermò

NAPOLI — Nicola Cosentino va a difendersi in tv, a Porta a Porta, dice che il suo impegno politico è sempre coinciso con l'impegno anticamorra e a testimone chiama chi non può confermare: don Giuseppe Diana, lui sì simbolo dell'anticamorra a Casal di Principe, il sacerdote ucciso in chiesa la mattina del 19 marzo 1994 perché dall'altare parlava contro i clan e le sue parole scuotevano le coscienze degli onesti e mettevano paura ai boss.

«Don Diana era mio parente e, come ho appreso da atti giudiziari, era anche un mio elettore», racconta in trasmissione il sottosegretario accusato di concorso esterno in associazione camorristica e per il quale la Camera dovrà decidere se autorizzare o meno l'arresto. Se gli si vuol credere bisogna farlo sulla parola, perché non c'è altro modo. Si può invece andare a vedere come stanno realmente le cose a proposito di un'altra parte dell'intervento del sottosegretario durante il programma condotto da Bruno Vespa. Quando dopo aver sostenuto che le accuse nei suoi confronti sono «una porcata organizzata dai pentiti perché faccio parte di un governo, quello di Berlusconi, che ha sferrato un colpo importante alla mafia, confiscando beni e rafforzando il carcere duro», tira fuori un documento che presenta come atto giudiziario e che a suo parere dimostra che un pentito dei casalesi raccontò di essere stato forzato da un investigatore nel corso di un interrogatorio ad accusare Silvio Berlusconi.

In questo caso la presunta rivelazione sembrerebbe smontare più che la credibilità dei pentiti, quella degli investigatori. Solo che le cose non stanno così. Innanzitutto l'atto giudiziario citato da Cosentino non ha nulla a che fare con l'inchiesta che lo riguarda. È relativo all'intercettazione di una conversazione telefonica risalente al 2004, in cui il pentito Carmine Schiavone racconta al pentito Giuseppe Pagano che durante un interrogatorio un funzionario della Dia avrebbe cercato di convincerlo a non accusare un altro funzionario dello stesso corpo e ad accusare invece i politici, in particolare Berlusconi. Sulla vicenda aprì un'inchiesta Raffaele Cantone, magistrato condannato a morte dai casalesi. Il pm interrogò Schiavone, che però preferì avvalersi della facoltà di non rispondere. A quel punto avrebbe potuto archiviare e invece dispose ulteriori indagini.

Alla fine accertò che il pentito le accuse al funzionario della Dia le aveva già fatte non in una deposizione ma in due, e quindi — anche volendo — non c'era più da convincerlo a tacere, e che l'interrogatorio in cui ci sarebbero state queste pressioni risale al 1993, quando Berlusconi non era ancora entrato in politica e faceva solo l'imprenditore. Vicenda archiviata, quindi, quella ripescata da Cosentino. Non se ne sarebbe più parlato se non ci avesse pensato l'avvocato dei boss casalesi Francesco Bidognetti e Antonio Iovine a citarla nel giugno 2008 in un'istanza di ricusazione dei giudici, letta in aula come un proclama durante l'appello del processo Spartacus, e piena di minacce contro lo stesso Cantone e contro lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione che da allora vive sotto scorta come gli altri due.

Fonte: corriere.it

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