1 ott 2009

Traffici della camorra nera, Castel Volturno una delle tre «centrali» mondiali.

Pelle bianca e passaporto americano. Ecco i corrieri della droga insospettabili

«Butta giù!». La voce del nige­riano è imperiosa. «Forza, in­goia», ripete, ma senza per­dere la pazienza. All’uomo bianco, con passaporto statunitense, che sta seduto sulla sedia, comincia a dolere la mandibola. Il nigeriano sta in piedi davanti a lui, gli tiene aperta la bocca, premendo con forza le dita contro i denti. Sulla lingua gli appoggia un altro ovulo di cocaina. L’americano fa poche domande. Forse sui giornali ha letto di Adam, un bambino di dieci anni. Lo hanno ritrovato nel 2001 a Londra, nel Tamigi, mutilato di testa e brac­cia. I mafiosi nigeriani lo avevano usato per un rito di iniziazione, celebrato in occasio­ne di nuovi arruolamenti nel clan. L’ameri­cano sta zitto, si limita a portare scrupolosa­mente il conto: questo è il sedicesimo che manda giù. Potrà fermarsi a venti. Gli altri è meglio ingoiarli dopo tre o quattro ore. Se l’«ingoiatore» vomita, bisogna cominciare da capo. E perdere altro tempo significa do­ver prenotare un altro volo, corrompere un altro doganiere, rimettersi al telefono per dare le nuove disposizioni con il rischio di essere intercettati. Vale a dire: ridurre il margine di guadagno. Con un chilo di cocai­na si può arrivare a profitti che vanno oltre i 50 mila euro. L’americano è un piccolo ma essenziale ingranaggio del narcotraffico in­ternazionale dei nigeriani. E questa scena che abbiamo ricostruito mette insieme i passaggi emersi dalle inchieste degli inqui­renti delle operazioni «Linus» e «Viola». «Nnunu» li chiamano nella loro lingua: dolce suono nasale, che indica i corrieri. Il cittadino statunitense decollerà dall’Argen­tina verso l’Europa con in corpo 80 palletto­ni di coca cellofanata: 1.200 euro è il com­penso che gli spetta. I nigeriani da un po’ di tempo hanno cominciato a lavorare così. Approfittano del più immediato dei pregiu­dizi razziali occidentali. I corrieri che tra­sportano la droga sono quasi tutti «oybo», bianchi: alla dogana destano meno sospetti rispetto a chi ha tratti del viso africani.

Su­damericani, polacchi, bulgari, rumeni, ce­chi costituiscono la loro manodopera. Il tra­sporto di stupefacenti mediante ovuli ingo­­iati, però, è una modalità di traffico sempre meno frequente. Costa troppo e riesce a in­trodurre in Europa una quantità limitata di droga. Invece, modificandola per lo scopo, con cofano doppio fondo e tubature postic­ce, un’automobile può arrivare a trasporta­re fino a 10 dieci chilogrammi di cocaina. Il trattato di Schengen, in questo senso dà una mano. E da Sofia o da Bucarest si può arrivare in Italia, con un po’ di fortuna o con le tangenti giuste, senza subire nemme­no un controllo. I nigeriani, però, come hanno dimostra­to i magistrati napoletani Paolo Itri e Gio­vanni Conzo, preferiscono trafficare picco­le quantità per ogni carico. Utilizzano cor­rieri «a pioggia». Fanno come i mercanti ro­mani di età imperiale, i quali dividevano tra più navi la merce che doveva affrontare un lungo viaggio per mare. In questo modo si cautelavano dal danno economico che un naufragio avrebbe potuto provocare. Massimo tre chili di cocaina o eroina per volta: i nigeriani non hanno volumi d’affa­re paragonabili a quelli di Cosa nostra e ’n­drangheta, si muovono sempre con estre­ma oculatezza. E questo è il loro punto di forza. Così hanno conquistato un ruolo di primo piano nel narcotraffico mondiale. Con il tempo sono diventati molto più auto­revoli della camorra.

I nigeriani pagano su­bito e in contanti: i camorristi, invece, nel Sud America sono ritenuti inaffidabili e in­solventi. Da anni hanno perso il contatto di­retto con i produttori colombiani. Mentre la ’ndrangheta negozia con i paramilitari, la camorra è costretta a rivolgersi agli inter­mediari spagnoli. E ora che in Colombia i vecchi cartelli hanno smesso di esistere, è ancora più difficile. Bisogna trattare con Farc e Auc, storici gruppi paramilitari che hanno un bisogno disperato di soldi per so­pravvivere. A tenere i rapporti in Sud America per la mafia nigeriana erano, fino allo scorso an­no, secondo gli inquirenti della Procura di Napoli, Matew Godrick e Innocent Mordili. Ricevevano le ordinazioni via cellulare o mediante internet. Una filiera perfetta. Go­drick e Mordili si preoccupano di comprare la droga e reclutare i corrieri. Altri nigeriani organizzano il volo. Quando l’aereo atterra in Europa, ci sono nigeriani ad attendere. E nel passaggio degli stupefacenti da una cit­tà all’altra, da uno Stato all’altro, diverse mani gestiscono l’operazione. Fino a quan­do il carico arriva a destinazione, in Italia, a Castel Volturno, per esempio. Da mani afri­cane a quel punto la droga, ripartita in mo­nodosi, passa a mani italiane, che occupa­no il gradino più basso ed esposto dell’orga­nizzazione: fanno i pusher, piazzano cocai­na ed eroina al dettaglio nelle province del centro Nord, come si legge in alcune infor­mative del Ros. La forza dei nigeriani sta nella loro capil­larità: sono dappertutto.

L’ultima relazione annuale della Direzione nazionale antima­fia afferma che solo nel loro paese esistono oltre quattrocento centrali del crimine. Nel mondo, invece, i nigeriani stazionano nei paesi di produzione della cocaina e dell’ero­ina: Ghana, Togo, Colombia, Venezuela, Brasile, Bolivia. Ancora, Thailandia, Tur­chia, Pakistan, Afghanistan, Cina. E in tutte le piazze dello spaccio: Stati Uniti, Olanda, Belgio, Irlanda, Inghilterra, Francia, Spa­gna, Germania e, ovviamente, Italia. Poten­za di fuoco bassissima, controllo militare dei territori praticamente inesistente, i ni­geriani giocano tutto sull’efficienza della lo­ro organizzazione. Non sono dotati di una verticalità gerarchica come le mafie occi­dentali, ma non sono nemmeno strutturati secondo un egualitarismo orizzontale. La loro forma potremmo definirla «rizomati­ca ». Singole cellule intrecciate, diramazio­ni di nodi collegati l’uno all’altro in un in­sieme, ma allo stesso tempo indipendenti. Ogni nodo ha un capo, al di sotto del quale c’è una gerarchia, in cui il posto che si occu­pa dipende soltanto dalla mansione eserci­tata all'interno della singola cellula. Se un nodo viene tagliato via, con lui muore la cellula, ma il resto della struttura sopravvi­ve senza problemi. «I gruppi nigeriani spar­si per il mondo coordinano tra loro attivi­tà, il cui business gestiscono però in pro­prio », spiega il giornalista e scrittore Ser­gio Nazzaro che sull’argomento sta per pubblicare il suo «Mafiafrica». In Italia sono diffusi ovunque: al Nord (Torino, Novara, Milano e Brescia), al Cen­tro (Roma e Viterbo) e al Sud (Napoli e pro­vincia di Caserta).

Castel Volturno è una del­le principali centrali operative dei nigeriani in Europa e nel mondo: secondo alcuni in­quirenti la sua importanza strategica è se­conda solo a Lagos e a Benin City dove risie­dono i capi dell’organizzazione. La maggior parte di coloro che partono dalla Nigeria passano per il piccolo centro della provin­cia di Caserta. Nella stomaco della terra dei casalesi, trova linfa vitale anche la mafia dei nigeriani. Douglas Aniweta Gwacham, Gerome Mabouka Mabouka, Ngozzi Ogbon­na sono i punti di riferimento sul territorio. Improbabile che gli uomini dei clan napole­tani e casertani conoscano con esattezza i loro nomi. Ma è dai nigeriani che si riforni­scono di droga, come a un supermarket al­l’ingrosso, quando sono a corto (cosa che capita sempre più spesso negli ultimi tem­pi). Difficilmente gli africani sconfinano nei territori gestiti dalla camorra. Occupa­no in Campania le piazze lasciate libere, quelle dove il margine di profitto è limita­to. Una coabitazione che conviene a entram­bi: ai nigeriani, che possono organizzarsi e agire in un territorio senza Stato, senza leg­gi; e ai casalesi, che ci guadagnano fornitu­re di droga in caso di emergenza e soldi, at­traverso il «pizzo» estorto agli spacciatori.

Fonte: corrieredelmezzogiorno.it

Nessun commento:

Posta un commento

Etichette

Post in evidenza

Regioni: molte spese, pochi valori

Non si può definire semplicemente corruzione, sprechi, malgoverno quanto sta emergendo a proposito delle Regioni Quando la quantità di un ...