16 ott 2009

Il killer del consigliere era iscritto al Pd. Partito sotto choc e commissariato

Espulso dal partito l’omicida di Tommasino
Il segretario: «Non sapevamo che fosse un delinquente»

NAPOLI — Ad ucciderlo fu­rono in quattro; almeno uno era un suo compagno di parti­to, iscritto come lui al Pd di Ca­stellammare. Nuova e sconcer­tante sorpresa nella vicenda di Gino Tommasino, il consiglie­re comunale stabiese assassina­to il 3 febbraio scorso. Catello Romano, fermato sabato scor­so dalla squadra mobile di Na­poli con l’accusa di aver fatto parte del commando omicida e poi evaso calandosi dal balco­ne dell’albergo dove, in qualità di collaboratore di giustizia, era stato mandato, fino a ieri era un tesserato del Pd; la tesse­ra l’aveva ricevuta nello stesso circolo di Tommasino, quello di corso Vittorio Emanuele. Do­po la rivelazione del quotidia­no locale Metropolis, Romano è stato espulso dal collegio re­gionale dei garanti, d’intesa con il segretario regionale Tino Iannuzzi ed il commissario pro­vinciale Enrico Morando.

Ulte­riori verifiche sono in corso, in­vece, per Salvatore Belviso, cu­gino del capoclan Vincenzo D’Alessandro e a sua volta fer­mato per l’omicidio: negli elen­chi del circolo, infatti, c’è un tesserato con questo nome, ma non figura la data di nascita. Il circolo è stato commissariato da Morando; commissario è stato nominato Paolo Persico, che del collegio dei garanti fa parte. «Il suo mandato — preci­sa Morando — è volto al conse­guimento di due obiettivi: pro­cedere ad una minuziosa verifi­ca del tesseramento realizzato nel settembre 2008; garantire il regolare svolgimento delle pri­marie in condizioni di assoluta trasparenza. Sono certo — pro­segue il commissario provincia­le — che le centinaia di perso­ne per bene che sono iscritte e militanti del Pd a Castellamma­re collaboreranno con Persico, a tutela della dignità e del buon nome del Partito Demo­cratico e di ogni persona che onestamente ne fa parte». Scop­pia un caso, dunque: possibile che solo dopo la denuncia di un giornale il Pd si sia deciso ad allontanare due personaggi contigui con la camorra, uno dei quali reo confesso di quat­tro omicidi? E chi fu ad avvici­nare Romano al Pd? Forse pro­prio Tommasino, che lo cono­sceva? Morando, non senza im­barazzo, chiarisce: «Quando si fece il tesseramento, nessuno aveva elementi per negare l’iscrizione a queste persone. Dovunque ci siano state segna­lazioni abbiamo fatto verifiche insieme con la polizia. Ma sen­za una segnalazione precisa è molto difficile individuare gli amici dei boss tra le centinaia di simpatizzanti che chiedono l’iscrizione al partito». Gino Tommasino fu assassi­nato il pomeriggio del 3 febbra­io scorso in viale Europa, cioè in pieno centro di Castellamma­re, mentre era in auto con il fi­glio tredicenne.

Dalla dinamica dell’agguato fu immediatamen­te chiaro agli investigatori che era stata un’esecuzione di ca­morra. Più difficile, invece, risa­lire al movente, che tuttora non è ben chiaro: molte piste sono state scandagliate. L’uni­co elemento concreto sembra, al momento, l’appropriazione da parte di Tommasino di 30.000 euro del clan D’Alessan­dro, alcuni affiliati del quale il consigliere assassinato fre­quentava da anni. A fare da sfondo al delitto, secondo la Procura di Napoli, ci sono in­trecci tra interessi politici e cri­minali, scambi di favori, posti di lavoro dati a persone vicine ai D’Alessandro in cambio, for­se, di appoggi elettorali. Dopo otto mesi di indagini, sabato scorso la svolta: la squadra mo­bile individua i presunti re­sponsabili dell’omicidio. Sono Catello Romano, Raffaele Poli­to, Renato Cavaliere, già dete­nuto, e Salvatore Belviso, cugi­no e braccio destro del boss Vincenzo D’Alessandro. Polito e Romano — che ha appena 19 anni — decidono subito di col­laborare, si autoaccusano di al­tri omicidi e, anziché essere ar­restati, vengono allontanati, per precauzione, dalla provin­cia di Napoli: una decisione che farà discutere. Infatti arri­va il colpo di scena: il giovanis­simo killer cambia idea all’im­provviso. Non vuole più colla­borare con i magistrati Pierpao­lo Filippelli e Claudio Siragusa, che coordinano le indagini. Fugge: beffando la polizia peni­tenziaria, che ha l’incarico di sorvegliarlo, si cala dal balcone dell’albergo con una corda fat­ta di lenzuola.

Due giorni dopo la clamorosa notizia della fuga di Romano — per il quale ades­so la Procura ha chiesto l’arre­sto — arriva quella, più eclatan­te ancora, della sua iscrizione al Pd. Per Enzo Amendola, can­didato alla segreteria regionale del Pd e sostenitore di Pierluigi Bersani, «è una vicenda doloro­sa che deve farci riflettere e che richiede una reazione immedia­ta per ristabilire fiducia nel no­stro partito. Sono d’accordo con i provvedimenti immedia­ti presi da Morando, a cui va tutto il mio sostegno. È in gio­co la credibilità del Pd di Castel­lammare e di quanti con passio­ne e onestà lavorano al radica­mento di un partito sano». Per Leonardo Impegno, candidato della mozione Franceschini, «Il coinvolgimento di due iscritti del Partito democratico nel­l’omicidio Tommasino è un fat­to inquietante: da un lato getta fango sulle migliaia di militan­ti onesti del partito, dall’altro conferma l’esigenza di alzare l’asticella nel contrasto alla cri­minalità organizzata » .

Fonte: corriere.it

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