11 giu 2009

Casoria, viaggio nel cuore del Noemi-gate

Tra disoccupazione e abusivismo super, un piccolo polo del divertimento e il fiorire di associazioni culturali

Questa volta è andata leggermente meglio. Nel gennaio 2008, erano i giorni peggiori dell’emergenza rifiuti, la pensilina in via Nazionale delle Puglie, alla fermata dell’autobus 170, era diventata una parte per il tutto. Lo specchio del disastro di una regione aveva trovato il suo indirizzo, a Casoria. Anche sotto alla pioggia, i bambini e le loro madri aspettavano il pullman in mezzo alla strada, piazzati sulla striscia di mezzeria, il più lontano possibile dai cumuli di immondizia che avevano completamente sepolto la pensilina. Era una immagine che suscitava un ribrezzo morboso, tentativi di vita quotidiana che apparivano patetici in mezzo a montagne di sacchetti laceri dai quali spuntavano lische di acciughe e resti di pummarola marcia. Furono i fotografi della Reuters a scattare le foto di quella specie di monumento all’impotenza e alla sottomissione. Piacquero, finirono sulla prima pagina dell’Independent e del Figaro. La pensilina di Casoria divenne un simbolo. Ma rappresentava altro, non certo il luogo che la ospitava.

Adesso il nome della città che molto, troppo tempo fa era chiamata la Sesto San Giovanni del Sud per via delle sue fabbriche, è diventato simbolo di ben altra storia, di ben altra morbosità. «Casoria-gate», lo chiamano. La stessa Noemi Letizia è diventata «la ragazza di Casoria», nonostante sia nata e viva a Portici, dall’altra parte di Napoli. I riflettori si sono accesi su fontane, finti marmi, stucchi e piccole piscine che dovrebbero volutamente rievocare il meglio del peggior kitsch di Las Vegas. Nelle intenzioni dell’ex fornaio Mario Iodice e di suo figlio Rocco, Villa Santa Chiara dovrebbe essere questo. Un piccolo Cesar Palace sulla circumvallazione che fa il periplo della città, poco distante dalla frazione Arpino, la zona più periferica di Casoria, che lambisce Napoli, vi entra dentro per 500 metri, ed è spaccata a metà, come fosse una lama da via Nazionale delle Puglie, che comincia da queste parti e finisce 300 chilometri più a sud. Vista da fuori, sembra una versione raffazzonata dell’hotel California, quello sulla copertina del disco degli Eagles. Con una sua dignità, dato il contesto. Mario e Rocco Iodice sono inconsapevoli testimoni della cronaca recente. Ci hanno messo la location, e basta. Non conoscevano quel signore magro che a metà marzo ha prenotato la sala. Si chiamava Elio Letizia, stava organizzando il diciottesimo della figlia Noemi, che avrebbe avuto un ospite molto ma molto particolare, Berlusconi Silvio. Quella sera, era il 26 aprile, è nato ufficialmente l’affaire Casoria, un nome riportato e citato dai giornali di tutto il mondo. E forse, solo per il fatto di essere quel che è, un contributo alla marea montante, lo ha dato anche la fama di questi luoghi.

Secondo lo storico Paolo Macry il grande errore di Silvio Berlusconi e Noemi Letizia è stato proprio di natura geografica. La scelta del ristorante, e del luogo. «Si fossero visti al Covo di Venezia, al Piperno di Roma o perfino allo Scoglio di Marina del Cantone, non sarebbe successo niente. Invece hanno optato per il Villa Santa Chiara, senza rendersi conto che si trova a Casoria. Non c’è stato giornalista italiano o straniero che non abbia sottolineato l’oscura circostanza di un uomo politico (e che uomo politico) il quale se ne va in giro di notte nell’hinterland di Napoli. Ingenuità imperdonabile. Casoria riuscirebbe a infangare anche il Cv (curriculum vitae, ndr) di Cromwell, figurarsi Berlusconi».

Ci sono stati giorni migliori, questo è sicuro. Ed è curioso che l’affaire sia avvenuto proprio nel luogo che ha segnato l’alfa e l’omega di Casoria, la zona industriale. All’inizio de-gli anni Sessanta era la città simbolo del tentativo di rilancio industriale del Mezzogiorno. C’era il quartier generale della Rhodiatoce, che spopolava a Carosello con Caio Gregorio, er Guardiano del Pretorio; c’erano le Acciaierie delSud, c’era insomma un distretto che nel momento migliore il 1971 - era arrivato a contare la presenza di 119 aziende. In quel decennio la popolazione raddoppiò, da 26mila a 54mila abitanti, trasformando un paesone agricolo in una città vera e propria. Il tramonto fu veloce, inarrestabile.

All’inizio degli anni Ottanta non rimaneva più nulla, e l’unica cosa che continuò a crescere fu il numero degli abitanti - oggi sono 84.000 - e la pessima reputazione. Periferia Nord di Napoli, e ormai basta la parola. Da qualche anno, quella fetta di terra stretta tra Capodichino e Marcianise è diventata un concentrato del male moderno. A pochi chilometri l’uno dall’altro è possibile trovare le discariche di Giugliano e Chiaiano, lo sfacelo sociale di Secondigliano e Scampia, l’inceneritore di Acerra e ovviamente la Gomorra dei Casalesi. Per questo, continua Macry, «Casoria, ai cronisti famelici, dev’essere sembrata un’occasione succulenta per libere associazioni freudiane, la location perfetta di storie torbide, patti e ricatti, cosche e sesso trash, politica grassa e sudata, coca a volontà».

IL POLO DEL DIVERTIMENTO
Casoria è un punto indistinto di quell’hinterland napoletano che si espande fino a Caserta, dove si fatica a distinguere una città o una realtà dall’altra, tutto è immerso in un grigio indistinto. È difficile capire dove cominci e dove finisca, dove sia il confine con Afragola, che ha dato i natali ad Antonio Bassolino, o Frattamaggiore. Esiste un centro storico, che ogni tanto fa notizia per via di qualche crollo. La periferia, con i suoi centri commerciali e i parcheggi enormi, sembra essere tenuta meglio del vecchio borgo. È un posto ben servito da autostrade, funicolare e mezzi pubblici. Ma ogni mattina, dal quartiere della Cittadella, si assiste allo spettacolo dei vecchi pullmini abusivi, carrozzeria arrugginita, gomme lisce come le guance di un bambino, che portano i pendolari a Napoli, scaricandoli in piazza Garibaldi. «Costa meno, ed è più veloce », dice Enzo, un ingegnere informatico. Un posto buono solo per venirci a dormire, dice. Con la più alta percentuale di disoccupazione tra tutti i comuni della provincia di Napoli, che già viaggiano in doppia cifra. Giuseppe Pesce, scrittore e giornalista, è autore di Casoria, Ricostruire la memoria di una città. «Per molti, ormai, è solo Napoli sotto altro nome. Speculazione, abusivismo, abbandono ed ignoranza hanno trasformato e cancellato molti luoghi, sfregiando irrimediabilmente il centro storico e divorando il distretto rurale».

La cattiva reputazione è stata costruita con pazienza certosina. Nel 2005, il Consiglio comunale aveva il record di indagati pro capite, e venne sciolto per infiltrazioni camorristiche. Nell’aprile del 2008 Giovanni Ferrara, ex democristiano in quota Pdl, ha vinto le elezioni promettendo il recupero delle aree dismesse e del centro storico. È un signore di 56 anni che ne ha passati 25 al Nord, lavorando come dirigente delle Generali, e poi ha scelto la politica per tornare a casa. «Dico solo che i giornali, stranieri e non, avrebbero il dovere di farsi un giro da queste parti. Abbiamo i nostri problemi, certo. Il territorio è quello, non possiamo trasferirci altrove. Ma lo sputtanamento che stiamo subendo è intollerabile. Si parla di noi soltanto per denigrare, senza conoscere la realtà. Non è assolutamente vero che Casoria sia una città senza scampo». Ferrara non ha preso bene questa onda di notorietà al contrario, e non poteva essere altrimenti. La fascia tricolore lo obbliga a dipingere una realtà migliore di quella che abbiamo davanti agli occhi.

Eppure non è vero che non ci sia scampo, che questo sia un luogo non da cartolina ma da casellario giudiziale. «Ci stiamo risollevando», dice il sindaco. Di questa volontà se ne intravedono le tracce. La prima è proprio sul luogo del metaforico delitto. Dalla vetrata che fa da sfondo alle foto di Berlusconi con la famiglia Letizia si vede l’altro lato della circumvallazione, pieno di luci e locali. Bar, ristoranti, decine di discoteche. Villa Santa Chiara non è certo paragonabile ad una cattedrale, ma non è sola in mezzo al deserto. Nella distesa di capannoni abbandonati che più di ogni altro testimoniano la storia di questa città, sono nati altri locali, un piccolo polo del divertimento. C’è chi si riconverte come può, ma ha ragione don Mario, “almeno è un inizio”. A Casoria c’è, ad esempio, un Museo di Arte contemporanea che fa cose bellissime, c’è una strana densità di associazioni culturali, oltre duecento, c’è una fitta rete di solidarietà costituita da preti di frontiera, associazioni di volontariato e centri sociali. Invece, il ciclone Noemi è passato sopra al buono che cerca di emergere. Per far risaltare il contrasto tra due mondi inconciliabili, quello di Casoria e quello dorato del presidente del Consiglio, si è preferito percorrere la strada conosciuta della città brutta e degradata, popolata solo da cafoni. Alla fermata dei pullman abusivi hanno le idee chiare e le espongono senza rabbia, solo con rassegnazione. «Prima dicevano che eravamo una città sporca, adesso dicono che siamo noi ad essere sporchi». Meglio, rispetto alla notorietà da rifiuti, ma mica poi tanto.

Fonte: Corriere Magazine

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