8 gen 2009

Il caso Pescara: il primo cittadino indagato. E D'Alfonso si rifugia in convento

Il sindaco malato va dai camaldolesi ma la Procura dopo le dimissioni ritirate non esclude «iniziative processuali»

PESCARA — Lui a pregare in un eremo dei camaldolesi, nel profondo Appennino toscano, sperando di uscire «dall'inferno in cui sono precipitato», ma sicuro di riuscire a convincere i magistrati che di tangenti «non ne ho mai prese, ho solo lavorato per la città». E la sua giunta pd a tagliare nastri, decisa ad incrementare il già cospicuo bottino di 421 opere pubbliche inaugurate in quasi 70 mesi di governo, visto che ci sono ancora 100 milioni di euro da spendere e, all'orizzonte, le elezioni comunali di giugno e i Giochi del Mediterraneo. La resurrezione del cattolicissimo Luciano D'Alfonso, 43 anni, detto anche «Fratacchione» per la sua religiosità, da qualche giorno a piede libero dopo averne trascorsi 9 agli arresti domiciliari con l'accusa di aver intascato soldi da imprenditori amici (tra cui il patron di AirOne, Carlo Toto, indagato), corre tra sacro e profano, acqua santa e calcoli politici.

Costretto dall'inchiesta a scegliere se dimettersi o meno da sindaco, l'imprevedibile ex leader del Pd abruzzese si è inventato una terza via, dandosi per malato, una malattia «ingravescente» (che tende cioè ad aggravarsi) e «permanente », così pare reciti il certificato medico (che però nessuno ha visto), centrando in tal modo due obiettivi: togliersi dalla scena pubblica, come chiesto dal gip nella revoca degli arresti domiciliari, ed evitare il commissariamento del Comune, permettendo alla sua giunta una continuità amministrativa che, qualora l'indagine finisse in niente, gli consentirebbe di ricandidarsi a sindaco o alle Europee. La mossa ha fatto infuriare quelli del Pdl, i cui consiglieri comunali si sono ieri dimessi in blocco per ottenere comunque il commissariamento da Roma. Ha spinto i dipietristi ad abbandonare la giunta. E ha fatto alzare più di un sopracciglio anche nel Pd, a cominciare dal reggente del partito in Abruzzo, Massimo Brutti («Io non avrei agito così, avrei confermato le dimissioni»).

Ma D'Alfonso, lasciata in fidate mani la sua Pescara, non si scompone e pensa a curare lo spirito. L'eremo scelto «per staccare da tutto» pare sia quello di Camaldoli, tra le foreste del Casentino, costruito da San Romualdo una decina di secoli fa. In alternativa, la basilica del Volto Santo a Manoppello, ai piedi della Maiella, dove D'Alfonso è di casa, essendoci nato e avendo un anno fa portato qui, in ritiro spirituale, l'intera giunta. Di più non si sa. Gli amici fanno muro: «Sta davvero male, è irriconoscibile». Ma i magistrati non mollano la presa. È partita la caccia ai conti in banca. E la decisione di D'Alfonso di non dimettersi non è piaciuta al procuratore capo Trifuoggi, che non esclude «iniziative processuali ».

Fonte: corriere.it

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