1 nov 2008

Sarno, la bonifica costa poco e il generale rischia il posto

SCAFATI (SALERNO) - Il generale costa troppo poco. E poi non spreca, non spartisce quelle favolose consulenze, non favorisce i soliti noti. È così parsimonioso che sta diventando quasi un cattivo esempio. È probabile che fra un paio di mesi non gli faranno fare più l'alto commissario per la bonifica del Sarno, il fiume più inquinato d'Europa.

Di sicuro però questa è una storia alla rovescia nell'Italia sciupona e cialtrona delle opere pubbliche che non finiscono mai. Il palcoscenico è quella Campania che è pozzo senza fondo dove hanno buttato i soldi - ottomila milioni di euro solo negli ultimi dieci anni - per la "monnezza" che è rimasta a lungo lì. Ma per raccontarvi cosa può accadere di insolito anche nei dintorni di Napoli basta andare dalle parti di Scafati e chiedere informazioni su Roberto Jucci, un generale in pensione. Cominciamo proprio da lui. Ex comandante dei carabinieri, ex capo del Servizio segreto militare, ex capo del Controspionaggio, ha quasi 83 anni e da cinque guida una squadra - un centinaio fra ingegneri e tecnici e amministrativi - che ha avuto il compito di "risanare" una valle a cavallo fra le province di Salerno e Avellino inzuppata di veleni e abitata da quasi un milione di abitanti.

Cominciamo dallo stipendio del generale: zero euro. Dal 2003 al 2008 ha lavorato gratis per lo Stato italiano. Perché? "Mangio una volta al giorno e compro un vestito l'anno, sono un uomo delle istituzioni, ho di cosa vivere e non ho voluto compensi. E poi, se proprio dovessi chiedere una liquidazione per quello che ho fatto, non basterebbe certo quello che hanno gentilmente offerto ai manager dell'Alitalia o delle Ferrovie". Dorme in una caserma dei carabinieri, dall'alba del lunedì al tramonto del venerdì sale e scende dagli elicotteri per sorvolare fiumi e campagne, perlustra argini, controlla scavi, verifica come vanno gli ultimi lavori di recupero di quell'inferno che era il Sarno e la sua valle fino a qualche tempo fa. Con appena 650 milioni di euro - 250 ancora custoditi alla Banca d'Italia - c'è voluto un generale per fare il miracolo a Napoli. Ricorda: "All'inizio mi tremavano le vene e i polsi, poi però...". Poi però le cose sono andate come nessuno immaginava che potessero andare.

È cominciato tutto in un piccolo ufficio al centro di Napoli. Il generale, un capitano dell'esercito specializzato in amministrazione, un ingegnere, due carabinieri autisti. "Era il 2003 e io venivo dalla Sicilia", racconta il generale che a Palermo ha fatto arrivare l'acqua in tutte le case dopo un anno e mezzo di guerra agli sceicchi dei pozzi e se n'è andato quando l'ex governatore Totò Cuffaro aveva cominciato a trovarlo troppo ingombrante. E poi è finito qui, dove dall'anno del colera - il 1973 - avevano già dissipato più di 2 mila miliardi di vecchie lire per provare a "lavare" il Sarno, dove altri quattro prefetti avevano fallito e dove ripulire quell'area fra le concerie e il mare sembrava davvero una missione impossibile.

Un fiume lungo 28 chilometri di fanghi e detriti, colore del rosso dei pomodori in estate e del nero delle fogne d'inverno, trentanove paesi che vomitavano tutto là dentro e in altri cinque affluenti, scarichi civili e industriali, tutt'intorno capannoni, campagne bruciate, casbe di case. Emergenza geologica. Emergenza ambientale. Emergenza idrica. "Non si poteva bonificare il Sarno senza eliminare le cause del degrado, bisognava studiare un grande progetto, mettere insieme tanti pezzi di un mosaico, se un solo pezzo non fosse andato al posto giusto tutto il sistema di risanamento sarebbe crollato", ricostruisce oggi il generale Jucci nella sala comando del suo commissariato, uno stanzone negli uffici del provveditorato alle opere pubbliche di Napoli. Alle pareti ci sono mappe, schemi, le tabelle di avanzamento dei lavori cantiere per cantiere. E i suoi ingegneri tutti accanto, tutti ingaggiati dopo rigorose selezioni, tutti legati al vecchio generale da qualcosa di più del Sarno e dei suoi veleni da cacciare.

E così sono partite le prime opere. I depuratori. Le reti fognarie allacciate con i collettori. L'allargamento dei fiumi. La cassa è sempre stata sotto controllo del generale, è il comandante e il ragioniere di questo piccolo esercito, controlla fino all'ultimo centesimo e fino all'ultima fattura. A Scafati c'è adesso uno dei depuratori più moderni d'Italia, è costato 67 milioni di euro e l'hanno costruito in cinque anni. Per quello che c'è a Napoli est ci sono voluti il doppio dei soldi e il triplo del tempo. Il collettore di San Marzano è lungo 12 chilometri, i lavori sono iniziati nel 2003 e la spesa ha sfiorato i 26 milioni di euro. A Napoli est con poco più di quei finanziamenti hanno fatto un collettore di appena 3 chilometri in cinque anni. A Solofra, nell'Alto Sarno, il vecchio depuratore perdeva più 300 mila euro al mese e aveva accumulato un deficit di oltre 6 milioni. Quando la gestione è passata sotto il generale commissario, le perdite mensili si sono azzerate e da gennaio il depuratore guadagnerà circa mille euro al giorno.

"Ho il difetto di spendere poco e risolvere i problemi", dice Roberto Jucci mentre ripassa i suoi cinque anni nel Sarno e aspetta una chiamata da Roma che forse non arriverà mai. Alla fine di quest'anno gli scade il mandato di alto commissario, dalla presidenza del Consiglio non sono arrivati segnali per una sua riconferma, negli ultimi mesi c'è stata anche qualche frizione a distanza con il capo della Protezione civile. Gli ha fatto sapere Guido Bertolaso: "Il suo ufficio ha solo compiti di studi, al resto ci penso io".

Se davvero il generale se ne andrà, il completamento delle opere nel Sarno e la loro gestione passerà alla Regione Campania. "E tutto rischia di tornare come prima: un disastro", risponde Franco Grimaldi, sindaco di San Marzano. "Ci stiamo organizzando per farlo restare", annuncia Angelo Pasqualino Aliberti, sindaco di Scafati. I 39 primi cittadini della valle del Sarno, quelli di centrodestra e quegli altri di centrosinistra si schierano tutti insieme - tranne un paio - per lanciare un appello al governo: non mandare via dalle loro terre il generale commissario. Una piccola e pacifica rivolta. Dopo i "progetti speciali" numero 1 e numero 2 e numero 3, dopo trent'anni di ruberie e scialo, non vogliono più tornare indietro. Non vogliono più gettare via denaro e vedere morire i loro campi. Meglio tenersi il generale che mangia una volta al giorno e compra un vestito l'anno.

Fonte: repubblica.it

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