1 nov 2008

Mister Truffa

Laurea, relazioni, investimenti: così Raffaello Follieri ha mentito su tutto. Conquistando i Clinton, McCain e il Vaticano. L'incredibile storia di 4 milioni di dollari spesi per la dolce vita con l'attrice Anne Hathaway

L'incantesimo è finito. Il principe si è trasformato in rospo, incapace di tenere nascosta la lingua biforcuta. La principessa che per prima l'aveva baciato si è ritrovata in un incubo. Ha perso tutti i regali: la tripla collana di perle, la catena d'oro intarsiata di topazi, l'anello con le pietre che si intonavano al colore dei suoi occhi. Perché quei nove gioielli non erano pegni d'amore, ma refurtiva: acquistati con denaro rubato. E il suo golden boy italiano non era l'imprenditore tutto case e chiesa che aveva sedotto New York, ma uno dei più incredibili truffatori mai visti: un ragazzo che con bugie plateali e un inglese stentato è riuscito a imporsi nei salotti più importanti del pianeta. Accanto al loro letto c'era sempre un rospo portafortuna, il simbolo della loro storia. Ma Anne Hathaway non pensava di vedere l'uomo dei suoi sogni trasformarsi nel galeotto di una prigione federale, con la tuta blu al posto dello smoking tagliato su misura e i capelli rapidamente ingrigiti.

Lei, astro nascente di Hollywood, ha scoperto di avere recitato per quattro anni un copione molto imbarazzante: è stata la co-protagonista di una stangata da 50 milioni di dollari. Soltanto adesso, soltanto dopo che Raffaello Follieri si è riconosciuto colpevole di 14 capi di imputazione e ha patteggiato una condanna a quattro anni e mezzo, lei ha capito di essere finita nel film sbagliato. Perché Follieri ha mentito su tutto, ma proprio tutto: ha inventato la laurea, il curriculum, le relazioni, le proprietà, le coperture. Ha usato trucchi da Totò per farsi accettare dai candidati alla Casa Bianca, pagando figuranti con abiti cardinalizi, vergando finte lettere di papa Wojtyla, inscenando surreali visite ufficiali nei giardini di San Pietro. In tre anni ha bruciato 4 milioni di dollari di soldi altrui, spassandosela come pochi: a Parigi scendeva al Ritz, a Roma sceglieva tra Excelsior e de Russie, a New York colazione da Cipriani e cena al Nobu.


Era riuscito a impadronirsi del triangolo del successo: denaro, politica, fascino. I soldi li metteva soprattutto il californiano Ron Burkle, uno che guadagna 2 miliardi e mezzo di euro l'anno. Per la politica, Raffaello aveva scelto la par condicio. Un legame di ferro con i Clinton, cementato nelle vacanze caraibiche, infiltrandosi tra gli sponsor della candidatura di Hillary e i finanziatori della Fondazione di Bill. E una festa in barca con John McCain a largo del Montenegro nell'agosto 2006 per brindare al settantesimo compleanno del senatore repubblicano che contende la presidenza a Barack Obama. Il fascino era quello che si rispecchiava nella presenza continua della Hathaway, un passepartout capace di aprire qualunque porta con un sorriso. E dove non arrivava la bellezza terrena, Follieri invocava la grazia divina. Il suo motto era 'Zio lo vuole', laddove gli atti giudiziari indicano come 'The Uncle', lo zio, il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato e dominus dell'apparato vaticano negli anni di Wojtyla. Il capolavoro di Raffaello era stato quello di agganciare il nipote, l'ingegner Andrea Sodano, e farne il grimaldello del suo progetto imprenditoriale. Un'idea semplice: le diocesi cattoliche devono fare cassa per risarcire le vittime dei preti pedofili, noi acquistiamo i loro beni - seminari, scuole, conventi, canoniche - e li trasformiamo in edifici di pregio. Nel 2005, con il mercato americano in delirio per la febbre del mattone, Follieri è apparso come un profeta. Si mostrava circondato di cardinali. Si presentava come un genio della finanza, con un potente gruppo familiare alle spalle. E ha continuato a recitare per tre anni. Solo dopo tre mesi di cella si è reso conto del baratro e ha cominciato a dire la verità: il curriculum creato per ingannare Wall Street si è dissolto. Al suo posto si è materializzata la storia di un ragazzo di San Giovanni Rotondo sbarcato in America senza arte né parte. Un ventiseienne fuori corso, lontano dalla laurea e perennemente inseguito dai fornitori della sua prima creatura, una ditta di cosmetici chiamata Beauty Planet. Al giudice ha spiegato di essere arrivato a New York nel 2003 praticamente al verde: si era portato dietro il campionario della Beauty Planet e aveva chiesto ospitalità a un suo coetaneo. Molte volte avrebbe dormito su una brandina. Al suo fianco, secondo l'edizione Usa di 'Vanity Fair', l'attrice Isabella Orsini.

Poi negli atti giudiziari c'è un buco nero lungo due anni. È il periodo in cui nasce il progetto Follieri. È il periodo in cui entra in affari con Vincent Ponte, figlio di uno degli ultimi patriarchi della famiglia Gambino: una relazione rivelata da un'inchiesta de 'L'espresso' del giugno 2006, il primo articolo al mondo a ricostruire i lati oscuri dell'avventura americana del giovanotto. Quegli anni sono esclusi dalla sentenza: ci sono ancora indagini in corso, condotte dall'Fbi e le sorprese potrebbero non mancare. Perché è dopo il sodalizio con Ponte che avviene la metamorfosi. Raffaello entra nel giro giusto, si fa vedere nei party che contano. Battezza il Follieri Group assieme al padre. Promette di comprare sotto costo i palazzi della Chiesa, ma in nove mesi conclude poco o nulla. A maggio 2005, scrivono i giudici, le casse sono di nuovo vuote. Ma è allora che arriva la svolta. Imbocca la strada giusta per l'entourage dei Clinton e viene ammesso nella corte di Burkle: "Follieri sfrutta l'opportunità. E mente". Inventa finanziarie londinesi, miniere di diamanti in Africa, commerci di petrolio nei paesi arabi, una filiale italiana che gestisce 'un fondo multimiliardario'. Racconta di avere venduto la Beauty Planet, società di Foggia, per 35 milioni: in realtà la ditta è fallita miseramente. Mostra un documento firmato da Giovanni Paolo II che lo autorizza a rappresentare il Vaticano sul mercato immobiliare statunitense: un falso, come tutto il resto della storia. Ma il colossale fondo investimenti Yucaipa - controllato da Burkle - abbocca e costituisce una joint venture con i Follieri, facendo piovere altri 50 milioni da vari enti finanziari californiani. Una somma da perderci la testa: "Invece di investire il denaro, Follieri lo ha speso per fiori, cosmetici, abiti, vini, cene, vacanze con i suoi parenti e i suoi amici, noleggio di yacht e di aerei privati".

Come un maestro della truffa, quando i finanziatori sollecitano risultati, lui ingegna nuovi pretesti per spillare denaro. Nel 2006 sostiene di avere bisogno di una casa per ospitare quei dignitari vaticani, che per motivi di privacy non vogliono stare in hotel: affitta uno degli appartamenti più belli della Olympic Tower, due piani che dominano la quinta strada e la cattedrale di San Patrizio. Ogni mese versa 37 mila dollari d'affitto, ma a tutti racconta di esserselo comprato. Quel grattacielo, sorto al posto di un orfanotrofio cattolico, incarna il suo progetto per trasformare gli immobili ecclesiastici in stabili a cinque stelle. Intanto ogni scusa è buona per arraffare. Serve un ufficio a Roma: 430 mila dollari. Va pagata una consulenza all'ingegnere Sodano per ottenere il via libera vaticano: 800 mila. Bisogna costruire un mausoleo per convincere un vescovo: 150 mila.

Una parte della refurtiva viene impegnata per garantirsi una cupola: Follieri gira parecchio denaro al Vaticano, senza informare gli investitori. L'ultimo assegno è andato a monsignor Giovanni Carrù, sottosegretario della Congregazione per il clero, pochi giorni prima dell'arresto. "Sì, ho bonificato soldi dai conti della joint venture alla banca vaticana per promuovere le mie relazioni con la Santa Sede", confessa. I legami oltre Tevere erano reali, benedetti con l'oro della California. Nel febbraio 2006 chiede al cardinale Sodano di entrare nel board della Fondazione Follieri. Il segretario di Stato ringrazia ma reputa "inappropriata" la posizione. Poi il 6 marzo 2006 lo stesso Sodano scrive una lettera durissima: "È il mio dovere dirvi quanto sono turbato nel sentire che la vostra compagnia continua a presentarsi come 'legata al Vaticano' perché mio nipote Andrea ha accettato in alcune occasioni di fornirvi consulenze professionali. È necessario che questa confusione sia evitata nel futuro". Sodano però non rende pubblica la missiva: il documento verrà ritrovato dall'Fbi nella cassaforte di Follieri. Perché il prelato più potente dopo il papa tuona in privato e tace in pubblico? Nessuna spiegazione. Ma gli atti dell'inchiesta riportano che tra il 16 maggio e il 17 novembre 2006 Follieri bonifica in Vaticano 232.300 dollari. In tutto alla Santa Sede ne manda 400 mila. Ancora nel luglio 2006 la trinità delle truffe - Raffaello, Anne e il nipote di Sodano - sbarca in Sud America. Gli ignari investitori finanziano il tour con 105 mila dollari. All'arcivescovo di San Salvador di Bahia, Geraldo Agnelo, ne vengono donati 25 mila: è il primate della chiesa brasiliana, inserito tra i papabili nel conclave che elesse Ratzinger. Ancor più ricco l'assegno per il cardinale di Rio, Eusebio Scheid: ben 85 mila dollari. I due ignorano che quei soldi sono stati rubati: scrivono in sostegno di Follieri, presentandolo come un uomo pio.


Il tramonto del cardinale Sodano fa calare il buio sugli affari del pugliese rampante. Nella primavera 2007 Burkle scopre che anche il dog sitter del labrador Esmeralda è stato pagato con i fondi affidati al socio italiano. Si infuria e chiede i danni. Follieri non ha ancora trent'anni, ma le sue American Express sono in rosso per mezzo milione. Allora si impossessa della carta di credito di un prelato americano, monsignor Tomichek, e ci salda i debiti del ristorante, poi si appropria anche delle risorse destinate a un orfanotrofio nelle Filippine. Ma la valanga di conti scoperti lo sommerge. Fino alla condanna, che copre solo una parte della sua vita in prima classe a spese altrui. Oggi lo attendono 54 mesi in una cella di cemento, senza sconti né appelli. Ha cercato di impietosire i giudici con lettere di frati e di non meglio qualificate autorità italiane. Ha sperato che gli venisse permesso di scontare la pena in patria. I magistrati non si sono commossi. Tutto al più, dopo il carcere, lo aspetta l'espulsione: il suo visto è scaduto. E non gli avrebbe mai dovuto permettere di gestire una società negli Usa. Ma rispetto ai tanti falsi, questa è solo la beffa finale.

Fonte: espresso.repubblica.it

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