15 ott 2008

Pietro Maso torna in semilibertà

Condannato a trent'anni per aver ucciso i genitori nel 1991, nel Veronese, era detenuto nel carcere di Opera

MILANO - Pietro Maso è in semilibertà. Lo ha stabilito il Tribunale di sorveglianza di Milano. Condannato a 30 anni di carcere per aver ucciso i genitori, è detenuto nel carcere di Opera e recentemente ha ottenuto diversi permessi premio. All'epoca 19enne, oggi ha 37 anni. La semilibertà prevede che il condannato esca dal carcere per partecipare ad attività lavorative, istruttive o utili al reinserimento sociale.

IL DELITTO - Diciassette anni fa, il 17 aprile 1991, insieme a tre complici (di cui uno minorenne) aveva trucidato a colpi di spranga e padella Antonio Maso e la moglie Maria Rosa Tessari a Montecchia di Crosara, nel Veronese. I quattro si erano appostati in casa, aspettando che la coppia rientrasse da una riunione in parrocchia: quindi l'agguato. Il gruppo aveva progettato il delitto da tempo e indossava tute da lavoro e maschere di carnevale. L'obiettivo era uno: dividersi l'eredità. C'erano stati due tentativi precedenti: Maso e i suoi complici avevano provato a ucciderli con un ordigno rudimentale fatto con due bombole a gas e poi tentando di investire la madre.

TRE GIORNI DI INTERROGATORI - Il duplice omicidio è stato denunciato dallo stesso Pietro, che dice di aver trovato i corpi dei genitori vicino a una scala interna di casa in una pozza di sangue al ritorno dalla discoteca. I coniugi, stabilirà l'autopsia, sono stati uccisi con bastonate alla testa: per questo gli inquirenti pensano a una rapina. I carabinieri sono però insospettiti dallo strano atteggiamento del giovane, che si dimostra pronto a collaborare con loro rimanendo freddo e distaccato rispetto alla tragedia. Dopo tre giorni di interrogatori, Pietro e i suoi tre complici cedono, confessando il duplice omicidio, progettato affinché Maso ereditasse i soldi dei genitori e potesse mantenere lo stile di vita che lo ha fatto emergere tra gli amici. Dalle indagini è emerso che Pietro aveva pensato anche di eliminare le sue due sorelle, per essere l'unico erede di tutte le sostanze.

LA SENTENZA - Meno di un anno dopo, il 29 febbraio 1992, Maso, allora 19enne, e due dei complici, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza (il terzo, Damiano Burato, è stato processato a parte e condannato a 13 anni perché quando è stato commesso l'omicidio era minorenne), sono stati condannati a 30 anni (Maso) e 26 anni di carcere (i complici) dai giudici della Corte d'Assise di Verona. La pena è stata confermata sia in Appello che in Cassazione, dove la condanna è diventata definitiva nel 1994. A tutti la Corte d'Assise aveva concesso la seminfermità, l'equivalenza fra attenuanti e aggravanti e il riconoscimento ai gregari di aver subito un rapporto di «dipendenza psicologica» da Pietro Maso. Il processo era cominciato il 18 febbraio. Aveva fatto scalpore la perizia affidata dall'accusa a Vittorino Andreoli, che oltre a escludere che i tre fossero incapaci di intendere e volere (tranne un disturbo narcisistico della personalità di Maso, che però non rappresenta un'infermità), aveva puntato il dito contro la società in cui il delitto si inseriva. In Appello, Maso aveva prodotto una lettera di pentimento, inizio di un percorso poi proseguito in carcere, dove il condannato ha tenuto un comportamento ineccepibile, impegnandosi anche come attore in un musical insieme ad altri detenuti.

UNA PERSONA DIVERSA - Maso aveva chiesto diverse volte di poter godere di permessi premio, ma la richiesta gli era stata negata sia nel 2002 che nel 2006, quando il magistrato di sorveglianza di Milano Roberta Cossia aveva concesso il permesso ma il pm Claudio Gittardi aveva posto in extremis il veto. A febbraio 2007, in un'intervista, Maso aveva detto di essere «una persona diversa». «Sedici anni di carcere mi hanno cambiato - aveva dichiarato -. Mi ero perso, ho cercato di ritrovarmi, anche grazie alla fede». E ancora: «Ai ragazzi che mi scrivono e mi raccontano che vogliono uccidere i genitori, dico di fermarsi, di ragionare, di ricucire i rapporti. Non ho potuto salvare me stesso, almeno ci provo con gli altri. Perché quando fra cinque anni uscirò di qui, anche queste cose, forse, mi serviranno per iniziare una nuova vita». Pochi mesi dopo il primo permesso premio. Maso è uscito per la prima volta dal carcere di Opera la mattina del 7 aprile 2007 per rientrare la sera del 9. Con l'indulto il termine ufficiale della sua pena è stato fissato al 2015 e non più al 2018.

«SERIO CAMMINO DI FEDE» - Don Guido Todeschini, padre spirituale di Pietro Maso, commenta interpellato dall'Ansa la concessione della semilibertà: «L'ho seguito fin dall'inizio della sua vicenda e posso dire che in questi anni Pietro ha fatto un serio cammino di fede e conversione. Ciò che gli auguro è di continuare questo percorso di fede e portarlo avanti». Don Todeschini gestisce alle porte di Verona la comunità Il Cenacolo, che Maso ha indicato in passato come domicilio in caso di permessi premio. L'avvocato Maria Pia Licata, difensore milanese di Maso, si è detta felicemente sorpresa. «Ci speravo tanto - ha detto all'Ansa - e c'erano tutti i presupposti per ottenere la semilibertà, ma il procuratore generale aveva dato parere sfavorevole e non pensavo si arrivasse a questo traguardo. Maso è un ragazzo che non ha mai sgarrato, ha saputo ricostruire il rapporto con le sorelle e dimostra un forte sentimento nei confronti della fidanzata. Ricordo che da tempo lavora come magazziniere e si è diplomato in ragioneria». Di diverso parere il sindaco di Montecchia di Crosara, Giuseppe Cavazza: «I giudici avranno valutato bene prima di concedere la semilibertà a Maso, ma resto del parere che la condanna dovrebbe essere scontata fino in fondo».

Fonte: corriere.it

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