20 giu 2008

La maxi truffa del killer pentito, ovvero l'incredibile storia dell'uomo che ha vissuto tre volte.

Tre omicidi, fiumi di cocaina poi l'arresto e la collaborazione. Ma sotto protezione, Gagliandro alias Danieli, ha creato a Bologna un gruppo imprenditoriale, corrompendo carabinieri, manager e professori. E con forti relazioni a Palazzo Chigi

Nella sua prima vita è stato un killer di mafia: ha ucciso tre persone. Ha smerciato carichi di cocaina e riciclato i guadagni per conto di una cosca calabrese. Nella sua seconda vita è diventato un pentito: ha fatto arrestare decine di boss e recuperare cinque tonnellate di droga. Ma è nella terza vita che si è dimostrato un genio del crimine: ha trasformato i carabinieri che dovevano sorvegliarlo nella sua banda e si è messo in affari. Ha creato un gruppo imprenditoriale che macinava contratti pubblici fatturando più di 10 milioni: finivano nelle sue mani tutti i bagagli di chi atterrava e decollava dai principali scali del Veneto e dell'Emilia Romagna. E sarebbe andato ancora oltre: studiava accordi con le Ferrovie, con una compagnia aerea, persino con l'ente che doveva lanciare il programma spaziale più importante d'Europa. La sua holding non conosceva ostacoli: per ogni problema si rivolgeva agli uffici della presidenza del Consiglio.

Sì, avete letto bene. Reo confesso di tre omicidi e di un colossale narcotraffico usava le amicizie a Palazzo Chigi per allargare la sua azienda criminale e scavalcare qualunque ostacolo. C'è una nuova occasione di business? Faceva intervenire il professor Alfredo Roma, chiamato nelle stanze del governo da Silvio Berlusconi e poi confermato da Romano Prodi. C'è qualche difficoltà con i fidi in banca? Ecco entrare in azione un altro consigliere del premier di centrosinistra, Danilo Rocca Bonini. Incredibile? All'inizio neanche gli investigatori che hanno svelato la trama riuscivano a crederci. E oggi, dopo un anno di indagini e 12 arresti, sono convinti che le rivelazioni su questa connection siano soltanto all'inizio: cinque squadre specializzate di finanzieri e carabinieri coordinate dal pm Antonello Gustapane vanno avanti negli accertamenti, scoprendo sempre nuovi scenari. Tesori nascosti in Ungheria, traffici negli aeroporti, trattative miliardarie con la famiglia Gheddafi.

Lui, l'uomo che ha già vissuto tre volte, adesso è in cella. Ha perso il nome di copertura che lo Stato gli aveva assegnato dopo la collaborazione. Non è più Andrea Danieli, con quella nascita a Ginevra da esibire come credenziale di affidabilità: è tornato a essere Giuseppe Gagliandro da Grottaglie (Bari), 48 anni e un bel po' di processi davanti.

La sua saga comincia in Piemonte nei primi anni '80, quando Gagliandro entra in una delle famiglie mafiose più potenti: il clan calabrese dei Molè-Belfiore, che tratta stock di cocaina direttamente con i Cuntrera-Caruana, i primi padrini della mafia globalizzata. Con i soldi di quelle transazioni apre una serie di negozi. Roba del clan, che lui doveva solo gestire. Ma con i soldi ci sapeva fare. E anche con i revolver. Ha ammesso di avere assassinato tre rivali, in un caso si è occupato pure di far sparire il cadavere. Regolamenti di conti calibro nove, rimasti impuniti per anni. Poi nel 1994 finisce in trappola e capisce che l'unica strada è cambiare vita. Lo catturano i carabinieri del Ros e lui collabora, permettendo alla Procura di Torino di mettere a segno 'l'operazione Cartagine': decine di arresti, tonnellate di coca recuperata, un successo sbandierato anche nelle relazioni parlamentari. Il ruolo esatto del pentito resta nell'ombra. Chiude il bilancio della sua prima vita con una condanna molto ridotta - otto anni e mezzo - e assieme a un pugno di familiari finisce sotto protezione a Bologna.

Dovrebbe stare agli arresti domiciliari, stipendiato dallo Stato, ma non è tipo abituato a perdere tempo. Ha una riserva di quattrini e si mette subito in attività. Secondo gli inquirenti, compra la complicità di tutti i carabinieri bolognesi che sorvegliano i pentiti. Poi intorno al 2001 riparte vendendo mobili antichi e viaggiando spesso nei paesi dell'Est. Così riesce a convincere un commercialista ad affidargli 200 mila euro per investirli in Ungheria. Ovviamente, gran parte del denaro sparisce e la vittima del raggiro fa una denuncia. Ma dell'uomo d'affari che si presentava agli appuntamenti scortato dai carabinieri non c'è traccia. L'epilogo è drammatico: il commercialista sommerso dai debiti avrebbe poi strangolato una sua facoltosa cliente. Si chiama Andrea Rossi, è sotto processo ma si dichiara innocente: un caso che ha riempito le pagine delle cronache bolognesi. Quelle che il pentito leggeva al tavolino nei bar sotto le Torri, facendosi vedere in compagnia dei suoi nuovi amici. Primo fra tutti un tenente colonnello dei carabinieri, Mario Paschetta, che comandava il reparto operativo: ossia l'unità più importante di Bologna. Una coppia rimasta unita dal 1995 fino all'ultimo. Cosa lega un ufficiale e un pluriomicida? Soldi, soprattutto. Si scopre che il colonnello chiede 'prestiti' al pentito: la questione fa muovere anche la Procura. Paschetta viene cacciato dall'Arma mentre l'indagine finisce archiviata: non ci sono reati. Ancora una volta l'ha fatta franca.

Intanto Gagliandro-Danieli perfeziona la sua nuova vita. Viene a sapere che i titolari della ditta che ha l'appalto delle Poste per i pacchi aerei hanno problemi con la legge. Si presenta con un codazzo di marescialli e si spaccia per funzionario del ministero della Giustizia: 'Pino' promette di risolvere tutto, ma chiede di intestare la ditta a un uomo di sua fiducia. I due obbediscono. E quando si accorgono di essere finiti lo stesso sotto processo, vanno a denunciare il truffatore.

In Procura gli investigatori questa volta individuano 'Pino': nel marzo 2005 la polizia giudiziaria lo convoca, l'imprenditore del mistero rischia di venire smascherato. Ed ecco che fanno irruzione i 'suoi' carabinieri. Con un blitz entrano nell'ufficio del Palazzo di giustizia. Urlano, usano modi bruschi: "Quello è un pentito: volete farlo ammazzare? Anche noi ci giochiamo la pelle e voi ci esponete!". Le grida risuonano nei corridoi: accorre un colonnello della Finanza. Al che gli 'sceriffi' abbassano i toni e sfoderano motivazioni tecniche sulla copertura. Alla fine, riescono a guadagnare tempo.

Prezioso. Perché usando come trampolino i pacchi postali - con cui guadagna un milione in un anno -, Gagliandro-Danieli si è già tuffato nel nuovo aeroporto di Bologna: il Marconi appena ristrutturato. Il servizio di handling, ossia la gestione dei bagagli, costa troppo. Ci sono poi i lavoratori di una coop da assorbire. L'ex killer fa un'offerta che non si può rifiutare: prezzi bassi e assunzioni per tutti. In più aggiunge regali ghiotti. Sante Cordeschi, top manager del Marconi, si affida a lui. In cambio ottiene - secondo l'atto d'accusa - un'utilitaria Ford, quattro telefonini, mobili antichi, Ferrari con il pieno in prestito per i suoi viaggi, 15 mila euro per un discutibile corso e una paghetta mensile da 5 mila euro cash. Niente male. È Cordeschi che convince Alberto Clò, l'ex ministro e numero uno dello scalo emiliano, a firmare l'appalto: "Mi garantì che si trattava di gente seria".

Il pentito imprenditore fa le cose alla grande. Crea il Doro Group, battezzato in omaggio alla sua fidanzata magiara dalla bellezza fulminante, Doro Eniko Katalin: una sede di prestigio a Bologna, una villa in collina a Imola dove organizza feste pullulanti di fanciulle. Gira in Bentley con autista, spesso preceduto dalla vettura dei soliti carabinieri che gli apre la strada a tutta sirena. Nessuno sa che in realtà dovrebbe trovarsi agli arresti, nessuno sa che è un mafioso. A Bologna e in tutta l'Emilia Romagna per lui le porte sono aperte.

Ma chi lavora negli aeroporti ha bisogno di un nulla osta di sicurezza. Ed è impensabile che nella severità del post 11 settembre la holding del pentito possa ottenerlo. Assieme all'ormai ex colonnello Paschetta, assunto dalla Doro, inventa alcuni escamotage,finché non trova l'aggancio giusto. È Alfredo Roma, 70 anni, professore modenese celebre come amministratore della Panini e dell'Ansa. Ha diretto l'Enac, l'ente dell'aviazione civile, poi Berlusconi lo ha chiamato a Palazzo Chigi come consigliere. C'è rimasto anche con Prodi e nel 2006 è stato insediato al vertice di Galileo, il programma di navigazione satellitare da 3 miliardi di euro: guida una struttura speciale della presidenza del Consiglio. Dicono che tra il grand commis e il pentito sia stato colpo di fulmine subito.

Il professore, che ha mantenuto relazioni solide negli aeroporti, offre la chiave. Fa scrivere un parere tecnico da Anna Masutti, docente e consulente dell'Enac, per risolvere la questione del nulla osta. Per convincere i dirigenti Enac di Bologna organizza un summit: c'è Roma, c'è la Masutti e c'è l'ex mafioso. Che da quel momento trova tutte le piste sgombre. Grazie alle nuove amicizie prende il servizio bagagli degli scali di Forlì, Rimini, Venezia e poi punta a quelli di Milano Linate, Verona e Treviso. Il consulente di Palazzo Chigi diventa l'ambasciatore del Doro Group, un super-procacciatore d'affari. Li fa incontrare con i manager di Mistral Air, la compagnia delle Poste; con quelli della divisione Cargo di Trenitalia, con l'ingegner Rocca Bonino, consigliere di sottosegretari e premier nonché nel cda di alcune banche. Arriva al punto di mettersi personalmente a cercare la sede della holding nella capitale. Perché lo fa? Il pentito gli ha promesso la poltrona di presidente, ma è poca cosa rispetto a Galileo. I magistrati gli contestano una lunga lista di regali: una Bmw, una Ford, due palmari, due pc portatili, mobili antichi.

Gagliandro-Danieli era prodigo di doni con i colletti bianchi, ma si dimenticava di pagare le sue tute blu: non ha mai versato i contributi. A Bologna gli stipendi si vedevano a singhiozzo e dopo le proteste gli operai sono passati ai fatti: bagagli bloccati, piccoli sabotaggi. Infine, nel maggio 2007, un carrello delle valigie va a sbattere contro il jet di Stato di Prodi. Quando la denuncia dei disservizi arriva sul tavolo del pm Gustapane, poco alla volta il mosaico viene ricomposto. Nessuno parla, ma il pubblico ministero trova il bandolo della matassa nel garage della Doro Group. I finanzieri seguono le auto acquistate e regalate. E così vengono incastrati otto marescialli dell'Arma e finiscono sotto inchiesta tre poliziotti. Il professore Roma - secondo l'accusa - tenta di falsificare i documenti sui doni facendo scattare gli arresti domiciliari per corruzione.

Difficile che dietro questa storia non ci sia altro. Il pm Gustapane si è limitato a contestare le prove oggettive. Gli avvocati promettono battaglia: c'è persino Libero Mancuso, ex procuratore e attuale assessore alla Sicurezza. I legali di Roma contestano la posizione giuridica: secondo loro non è pubblico ufficiale e quindi non c'è corruzione. Ma l'inchiesta è solo all'inizio. I carabinieri, che hanno arrestato i colleghi coinvolti, seguono la pista dei mobili antichi e dei reperti archeologici accumulati dal pentito. Il Gico delle Fiamme Gialle vuole capire cosa combinasse negli aeroporti, visto che la gestione gli faceva perdere milioni. E cercano di ricostruire la sua rete estera: in Ungheria ha almeno due società, una villa, investimenti immobiliari. Visitava spesso Budapest, fregandosene degli arresti domiciliari: "Ogni volta trasferiva del denaro contante, almeno 15 mila euro a viaggio", ha raccontato il suo autista. Da laggiù voleva sbarcare alla corte di Gheddafi: l'hanno ammanettato a gennaio, mentre stava partendo.

E poi c'è il filone bolognese. Il nucleo di polizia tributaria indaga sulle entrature nelle banche e negli uffici pubblici. E sono in tanti a preoccuparsi, tra professionisti e docenti. Clò e Rocca Bonini sono rimasti testimoni, la Masutti è indagata e Roma agli arresti. Altri nomi potrebbero aggiungersi ai 30 sotto inchiesta. Perché, come aveva profetizzato la professoressa Masutti, "scavando a fondo ci saranno schizzi di merda per tutti".


Fonte: espresso.repubblica.it

18 giu 2008

Calabria, le Asl tra le illegalità

Consorterie criminali a guidare la sanità, personale fantasma, 886 euro di debito pro-capite, 46 nuove cause ogni 24 ore, cinque delibere al giorno sul tavolo del direttore generale visto che i dirigenti non si assumono alcuna responsabilità, guardie mediche a go-go ma vuote e pronto soccorsi pieni.
Con queste premesse è difficile dare torto a Massimo Cetola, chiamato come commissario al capezzale dell'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, sciolta meno di due mesi fa per infiltrazione mafiosa. Usando l'arte del paradosso dichiara: «La 'ndrangheta qui è l'ultimo dei problemi, le assicuro». «Quello che emerge – dichiara Cetola, 61 anni, prefetto e già vice comandante generale dell'Arma dei Carabinieri - è un sistema diffuso di illegalità, connivenze e incursioni senza fine».

Dopo tre settimane dall'arrivo, Cetola sta per scoperchiare un verminaio che chiamerà in causa le responsabilità di chi, in questi anni, ha gestito l'Azienda della provincia reggina.
Le due Asl – Palmi e Reggio – sciolte per dar vita all'Azienda sanitaria nel maggio 2007, continuano a essere entità autonome e separate nonostante la presenza comune del direttore generale. La direzione sanitaria è inesistente tanto a Palmi quanto a Reggio. Il risultato? Assenza di qualunque programmazione, analisi e controllo. Anzi no, un risultato c'è: sulla scrivania del direttore generale piombano 150 delibere al mese. Impegnato com'è a studiarle, respingerle o firmarle, non resta alcuno spazio per il suo mestiere, che sarebbe poi la gestione delle attività e il governo del personale.

Meglio farebbe, il direttore generale, a non alzare la testa per cercare i suoi uomini-fantasma, intenti come sono nella maggior parte dei casi a non timbrare il cartellino.
Il libro matricola non c'è (o non si trova) e nessuno sa quanti siano i dipendenti, anche perché si limitano solo all'obbligo di firma. E se escono? Nessuno se ne accorge, tantomeno i dirigenti, che sono stati nel passato nominati anche in assenza dei requisiti minimi.
Ma visto che c'è sempre qualcuno che sta peggio, il direttore generale brinderà sapendo che sul tavolo dei due avvocati dell'Azienda, nel 2007 sono piovuti 13.623 atti legali. Quest'anno la media è rispettata come se ci fosse una regia occulta: sono 7.974 (46 al giorno, 23 per avvocato).

Visto che il prefetto Cetola sa usare la calcolatrice, è riuscito a scoprire che il deficit (per difetto) dell'Asp reggina è di 500 milioni, con un deficit per abitante di 886 euro (neonati compresi). I pignoramenti, inoltre, arrivano a 115 milioni e prosciugano l'intera liquidità.
Quanto agli appalti si va di proroga in proroga, proprio come per il personale a tempo determinato.
Il prefetto Cetola si trova a snocciolare cifre e dati del disastro in un quadro ostile. Un gruppo di 32 deputati del Popolo delle Libertà e Mpa ha presentato un'interrogazione parlamentare per chiedere conto delle spese del commissario. «Sono solo – spiega Cetola – e partono i tentativi di delegittimazione, come quello di chi chiede conto della presenza, tra chi sta spulciando le carte, di Maurizio Condipodero, avvocato e capo di gabinetto della Provincia. È il mio braccio destro, figlio di un maresciallo dell'Arma, di lui mi fido da 20 anni». Così come si fida di altri uomini dell'Arma e dello Stato, che lo affiancano. Di più Cetola non dice ma al Sud la delegittimazione è l'anticamera dell'isolamento. E l'isolamento – per chi non ha orecchie per intendere – è la porta d'ingresso dell'eliminazione. Fisica o morale.

Fonte: ilsole24ore.com

16 giu 2008

Veneto, sì ai portaborse a vita. Dopo i precedenti di Calabria e Sicilia la leggina che «stabilizza» i collaboratori approda al Nord

Voto all'unanimità: 52 neoassunti in Regione. Solo il governatore contro
E Lega e Pd marciano insieme

Lo fanno in Calabria? «I soliti terroni». Lo fanno in Sicilia? «I soliti terroni». Lo fanno in Campania? «I soliti terroni». Facile, liquidare il tema così. Ma se capita nel Veneto? Ed ecco che l'assunzione dei «portaborse » come dipendenti regionali scatena mal di pancia mai visti. Al punto che il governatore Giancarlo Galan, per protesta, è arrivato a uscire dal gruppo di Forza Italia: «È una leggina vergognosa». Sono anni che i governi, di destra e di sinistra, promettono di mettere la parola fine a questo andazzo. E sono anni che va a finire così. Il punto di partenza è sempre lo stesso: chi viene eletto a una carica pubblica, deputato o presidente provinciale, governatore o sindaco, deve portarsi nella stanza dei bottoni collaboratori di cui si fida. Giustissimo: ognuno ha diritto di circondarsi di uno staff proprio.

Esattamente il motivo per cui i parlamentari vengono dotati di una somma mensile (4190 euro alla Camera, 4678 al Senato) per assumere «provvisoriamente» uno o due collaboratori, destinati a lavorare a Montecitorio o a Palazzo Madama. «Provvisoriamente », però. Fino alla scadenza del mandato. Sennò a ogni nuova legislatura ogni comunista che si ritrovasse uno staff di berlusconiani o ogni berlusconiano che si ritrovasse uno staff di comunisti dovrebbe chiedere nuove assunzioni. Di più: la macchina statale trabocca già di decine o centinaia di migliaia di dipendenti entrati senza alcuna selezione, alcun concorso, alcuna valutazione professionale. Assunti così, per anzianità di precariato. Nella scuola, nei ministeri, negli enti locali... Perfino al Quirinale, il cuore dell'Italia, non si fa un pubblico concorso (pessimo esempio che Napolitano si è impegnato a correggere) dal 1963, quando era ancora vivo Harpo Marx e Abdon Pamich si preparava alle Olimpiadi di Tokio. Il meccanismo, soprattutto in alcune aree del Paese, è sempre lo stesso.

L'amico dell'amico, l'elettore che ti ha promesso il voto o il militante di partito vengono assunti «provvisoriamente » senza concorso: perché mai farne uno, se si tratta solo di un «contrattino » di due mesi? Poi il «contrattino » viene rinnovato una, due, tre, quattro volte. E intanto passano i mesi, le stagioni, gli anni. Finché arriva il momento fatidico: i precari vanno stabilizzati. Insomma: l'argine alla periodica assunzione degli «staffisti» sembra puro buonsenso. Pena il rischio che a ogni svolta elettorale entrino senza concorso ondate di portaborse piazzati dai vincitori sulla sola base della tessera di partito. Eppure, le violazioni a questa regola elementare ci sono già state.

Un esempio? La Calabria. Dove nell'ottobre del 2001 il Consiglio regionale votò all'unanimità (neppure un voto contrario) per incamerare negli organici regionali, a carico delle pubbliche casse, 86 «collaboratori», divisi in due fette: una di funzionari di partito che dovevano essere forniti di uno stipendio fisso e una di fratelli, sorelle, cognati... Una porcheria tale da far insorgere perfino i vescovi calabresi, uniti nel denunciare il «terribile principio » che «l'appartenenza a certe forze » contasse nelle assunzioni «più della competenza». Quattro anni dopo, a maggioranza rovesciata (da destra a sinistra), ecco il replay. Tutto come previsto: «Non posso appoggiarmi solo allo staff messo a disposizione della Regione, mi servono persone di assoluta fiducia» dissero uno a uno tutti i consiglieri. E ottennero altre duecento assunzioni. Di nuovo figli, cognati, cugini... Il rifondarolo Egidio Masella andò più in là: nella prospettiva che un giorno o l'altro sarebbe stata «stabilizzata », assunse la moglie Maria.

Non meno incredibili e scandalose, al di là dello Stretto, sono state le ripetute «sanatorie» della Regione Sicilia. Una per tutte, quella di tutti i portavoce di Totò Cuffaro e dei suoi assessori decisa alla vigilia delle elezioni del 2006. Un'infornata che portò l'ufficio stampa della presidenza regionale ad avere la bellezza di 23 giornalisti. Tutti da allora pagati vita natural durante con soldi pubblici senza avere mai superato una selezione che non fosse quella della fedeltà di partito. La solita politica clientelare che ammorba il Mezzogiorno, si sono ripetuti per anni, davanti a casi come questi e altri ancora, i virtuosi teorici della «diversità morale» del Nord. Non è esatto. Basti ricordare la sanatoria per i portaborse del Friuli-Venezia Giulia, sistemati sei anni fa dal centrodestra con una leggina che permetteva di assumere in Regione, senza concorso, chi aveva avuto un contrattino lavorando 120 giorni consecutivi nell'arco dell'ultimo quinquennio. Leggina indigesta almeno a una parte della sinistra, che la denunciò come un sistema per dare una busta paga con soldi pubblici ai collaboratori dei gruppi politici, dei consiglieri e degli assessori. In Veneto no: tutti d'accordo.

Destra e sinistra. Meglio: quasi tutti. L'estensione ai 52 «portaborse» del progetto di assumere un certo numero di dipendenti indispensabili soprattutto nel mondo della sanità e di stabilizzare un po' di precari storici, era infatti assente nei piani della giunta. Tanto che, davanti all'insistenza dei partiti, l'assessore Flavio Silvestrin aveva chiesto un parere all'Ufficio legislativo della giunta. Il quale, sulla base della Finanziaria 2008 e di una serie di spiegazioni dell'ex ministro Luigi Nicolais (spiegazioni che avevano bloccato l'anno scorso lo stesso giochino alla Provincia di Napoli), aveva detto no: non si potevano assumere così i portaborse. Verdetto inutile. Perché, sulla base di un parere opposto dell'ufficio legislativo del Consiglio (sic!), i gruppi consiliari sono tornati alla carica. E davanti al rifiuto della giunta di allargare le assunzioni agli «staffisti» («facciano i concorsi, hanno già un 20% di quote riservate... », diceva Silvestrin) hanno promosso un emendamento, voluto in primo luogo da democratici e leghisti, con una sanatoria trasversale che fissa per i portaborse «un'apposita procedura selettiva riservata» che ha tutta l'aria di essere una foglia di fico. Voto in aula, unanimità: 33 voti su 33 presenti. Tutti contenti: basta con gli scontri all'arma bianca! Tutti meno Giancarlo Galan che, dicevamo, ha sbattuto la porta («vergogna!») uscendo dal gruppo forzista e chiedendo l'appoggio di Renato Brunetta. I maligni dicono che, dietro, ci siano anche rancori di altro genere. Sarà. Sui portaborse, però, ha ragione lui. A cosa serve parlare di merito, promettere un ritorno al merito, giurare su una svolta che premi il merito se poi si continua con l'andazzo di sempre?

Fonte: corriere.it

13 giu 2008

Consulenti pubblici: l'elenco dei compensi

Compare anche il nome dello stesso Brunetta che ha deciso l'operazione trasparenza
Consulenti pubblici: l'elenco dei compensi. Ci sono professionisti e politici

Magari è soltanto colpa delle dimensioni. Forse la nave delle consulenze pubbliche era troppo grossa per invertire la rotta in pochi mesi. Forse. Ma dire che nei dati che ieri, a sorpresa, il ministro Renato Brunetta ha pubblicato sul sito Internet della Funzione pubblica si possa scorgere anche un timido segnale del cambiamento di direzione che era stato tante volte promesso, davvero non si può. Sapete quanti incarichi esterni hanno pagato nel 2006 le amministrazioni pubbliche? Il loro numero è 251.921. Il 2% in più rispetto al 2005, con un costo di un miliardo 323 milioni 557.591 euro: quasi 95 milioni oltre il record del 2005. A conti fatti, due anni fa è stato assegnato un incarico esterno per ogni 12,8 dipendenti pubblici a tempo indeterminato. Peggio ancora negli enti locali, che hanno pagato un consulente ogni 5,8 dipendenti fissi. Questo non vuol dire che più di 251 mila di loro potevano starsene a casa.

Spesso le consulenze sono inevitabili, come quella che il ministero dell'Economia aveva affidato allo studio legale Chiomenti per la privatizzazione dell'Alitalia: 450 mila euro. Oppure l'incarico «relativo alle nuove azioni progettuali dell'Agenzia» (237.600 euro) che il capo delle Dogane Mario Andrea Guaiana aveva assegnato alla Bain & company Italia. Va comunque detto che nella lunghissima lista dei consulenti c'è di tutto: dai violinisti delle filarmoniche alle infermiere, e perfino agli «sportellisti», retribuiti con pochi euro. Ma non è naturalmente a loro che la pubblicazione degli elenchi ha mandato ieri sera la cena di traverso. Precisazione doverosa, la pubblicazione delle consulenze su internet non è una novità, anche se il ministero ha parlato di una nuova «operazione trasparenza». Perché già il precedente governo di centrosinistra aveva imposto la pubblicità degli incarichi esterni. La novità è che ora sono tutti quanti consultabili insieme nello stesso luogo fisico. Intendiamoci: a quanto pare non sono tutte. L'universo dei consulenti pubblici è probabilmente molto più vasto. C'è chi dice addirittura grande il doppio, due miliardi, due miliardi e mezzo di euro, visto che non tutti gli enti e le amministrazioni mandano i loro dati al ministero. E c'è pure chi li spedisce largamente incompleti, contando sulla distrazione di chi sta a Roma.

Ma basta entrarci dentro, a quel sito della Funzione pubblica, per capire come l'idea di rendere tutti gli incarichi accessibili da uno stesso punto non sia affatto un dettaglio. Diamo un'occhiata all'elenco dei consulenti che nel 2006 sono stati pagati dalla presidenza del Consiglio dei ministri. Alla lettera B è inevitabile imbattersi in Brunetta Renato. Proprio lui, il ministro dell'operazione trasparenza, che prima dell'arrivo di Romano Prodi era consigliere economico di Berlusconi: 22.464 euro. E accanto al suo nome (messo lì per non dare l'idea che si tratti di una caccia alle streghe?) non mancano altri nomi noti. Per esempio, quello della consulente per l'immagine del Cavaliere, Matilde «Miti» Simonetto (17.056 euro) che aveva voce in capitolo su tutto. Dalle luci alle pettinature. Per esempio, quello dell'ex presidente dell'Enac Alfredo Roma (9.600 euro), o del segretario generale della presidenza con Prodi, Carlo Malinconico, che era però in una commissione d'appalto del Cnipa anche con il governo Berlusconi (15 mila euro). E per esempio, anche quello dello scrittore e giornalista Alain Elkann (7.580 euro). Cifre modeste. Niente a che vedere con quelle spese da certi comuni. Alla Funzione pubblica ancora ci si domanda come sia stato possibile che il Campidoglio abbia messo nell'elenco due presunti «incarichi», che magari erano invece opere pubbliche, per la sbalorditiva cifra di 100 milioni di euro.

Ma niente a che vedere nemmeno con le consulenze dei ministeri, come quella che la Farnesina ha assegnato nel 2006 alla società Apri Italia (2 milioni 930 mila euro). Oppure con l'incarico che il ministero delle Infrastrutture ha conferito, per un totale di 703.350 euro, al gruppo Clas srl, presieduto da quel Roberto Zucchetti che l'anno seguente sarebbe stato eletto sindaco di Rho per il centrodestra, scalzando il centrosinistra dalla cittadina della cintura milanese. O con la consulenza che la società Ecosfera, presieduta da Duilio Gruttadauria, ha svolto sempre per il ministero delle Infrastrutture (585 mila euro). Senza dire delle performance dei singoli professionisti. Nella lista dei consulenti della Farnesina non poteva mancare Franco Verzaschi, già titolare nel 2004 di un incarico per lavori di manutenzione nonché «adeguamento sismico e funzionale dell'ambasciata di Algeri » (347 mila euro) e due anni più tardi destinatario di una consulenza di 98.463 ero per il supporto progettuale alla realizzazione delle nuova sede diplomatica di Kiev. Il professionista in questione è incidentalmente fratello dell'ex assessore ed ex sottosegretario Marco Verzaschi. Ma c'è chi lo batte. «Analisi delle problematiche a seguito dell'approvazione del piano triennale del Ministero delle attività produttive»: ha questo titolo la consulenza del valore complessivo di 103.250 euro ottenuta da Ignazio Abrignani, già capo della segreteria politica dell'ex ministro (ovviamente delle Attività produttive, dove è ora rientrato), Claudio Scajola.

Piccolo particolare: la consulenza è stata assegnata ad Abrignani, c'è scritto nell'elenco della Funzione pubblica, dal «Gabinetto del ministro». Ma lì dentro, almeno fino al maggio del 2006, non c'era anche lui? Poi Abrignani ha deciso di dare un'accelerata alla sua carriera politica, ed ora eccolo deputato del Popolo della libertà. Non che sia l'unico politico a fare consulenze per la pubblica amministrazioni. In certe situazioni è addirittura inevitabile che accada. Prendete Arezzo. Il sindaco si chiama Giuseppe Fanfani e il suo non è un caso di omonimia. Perché Giuseppe altri non è che il nipote di Amintore Fanfani, il Cavallo di razza per antonomasia dello Scudo crociato. Già parlamentare della Margherita e ora esponente del Partito democratico, avvocato fra i più affermati della Regione, ha avuto nel 2006 dall'Ente irriguo Umbro-Toscano 71.521 euro di consulenze. Il doppio di quelle ottenute nello stesso anno da un certo Andrea Monorchio: nome identico a quello dell'ex Ragioniere generale dello Stato. Decisamente più generoso si è rivelato l'Unire con Damiano Lipani, stimato professionista di cui il quotidiano genovese Secolo XIX ha parlato alla fine dello scorso anno a proposito del suo acquisto della quota di una società che apparteneva all'ex capo della segreteria del viceministro Vincenzo Visco, Giovanni Sernicola. L'ente che ha il compito di sovrintendere alle scommesse ippiche gli ha affidato un incarico da 201.108 euro.

Ancora più prodigo, almeno a fare le somme, si sarebbe mostrato l'Ice, l'istituto per il commercio estero, con Achille Bonito Oliva per la mostra «Italy made in art, now». Nella lista della Funzione pubblica si trovano tre consulenze a lui intestate, ciascuna dell'importo di 110.600 euro, per un totale di 331.800 euro. Perché anche l'arte vuole, perché no, la sua parte. Ecco quindi che il comune di Milano, sempre nel 2006, ha pagato 45 mila euro a Maria Grazia Toderi perché la stessa artista realizzasse un'opera «ad hoc» per «la mostra a lei dedicata». Sette volte di più di quanto abbia dato il consiglio regionale delle Marche ad Arnaldo Pomodoro perché il celebre sculture realizzasse il «Picchio 2006»: 5.500 euro. Ma per le consulenze gli enti locali sono davvero specializzati. Così il sindaco di Milano Letizia Moratti affida il «coordinamento dei rapporti istituzionali» nientemeno che a Paolo Glisenti (165 mila euro, di cui 53.439 erogati nel 2006). Il suo ex collega di Roma, Walter Veltroni, aveva scelto invece Walter Verini (138.166 euro, di cui 38.379 erogati). Il presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi, ha puntato su Bruno Cavini (269.500 euro, di cui 73.499 erogati). Il governatore della Regione Campania ha investito su Rachele Furfaro come consulente per la cultura (273.551 euro, di cui 14.399 erogati). Sempre la stessa Regione ha concesso consulenze per centinaia di migliaia di euro per l'assistenza ai progetti Feoga.

Qualche nome? Luca Perozzi, segretario della camera di commercio di Avellino (329.499 euro, 93.457 erogati). Alberico Simioli, responsabile della riserva ittica di Punta Campanella (386.310 euro, 70.899 erogati) Michele Tolve, esperto agronomo (386.309 euro, 68.136 erogati nel 2006. E via di questo passo, fino ai mille rivoli delle spese più piccole e stravaganti. Il comune di Milano, per esempio, ha impegnato 12 mila euro per un «corso di ginnastica dolce». Proprio così, «dolce». Affidato, però, al club «Body building». Alcune domande, infine, non possono non tormentare chi avesse la fortuna di imbattersi nella consulenza che la Provincia di Ascoli ha voluto a tutti i costi chiamare «Progetto saggi paesaggi» (20 mila euro): chi ha inventato quel titolo? E a chi è venuto in mente di battezzare «Parole e dintorni» l'agenzia di comunicazione che per 15 mila euro ne segue l'ufficio stampa? Ma soprattutto, chi è il genio che ha ideato il marchio di un'altra agenzia di comunicazione alla quale è stata assegnato il compito (5 mila euro) di fare il progetto della campagna stampa, e che si chiama «Marchethink»?

Fonte: corriere.it

4 giu 2008

Cento e uno modi per chiedere soldi alla Regione

Nascere, crescere, invecchiare a carico della Regione. Volendo, si può. Si può, nella Sicilia che aspira a smarcarsi dall´assistenzialismo ma non riesce a tagliare il cordone ombelicale con la madre di tutte le amministrazioni pubbliche. Acciaccata, certo, la vecchia Trinacria, con i bilanci in disordine. Ma ancora generosa, munifica. Anche con i soldi dell´Unione europea

Con le risorse della nuova programmazione che farà piovere nell´Isola, fino al 2013, sei miliardi e mezzo di euro. E allora, abbiamo provato a mettere in fila i contributi che un cittadino, un´impresa possono chiedere. Fermandoci a quota 101. I 101 modi per prendere soldi dalla Regione. Un viaggio da tregenda in cui abbiamo incontrato figure leggendarie. Immaginarie, ma non troppo. Come l´homo regionalis. No, non uno dei ventimila dipendenti, fra assunti stabili e a contratto, dell´ente. E neanche uno dei centomila e più precari, dai forestali agli lsu di stanza nei Comuni, foraggiati dall´amministrazione. No, l´homo regionalis è semplicemente un siciliano medio, di famiglia dignitosa anche se non particolarmente agiata, che il primo sostegno dalla Regione lo riceve all´atto della nascita (1.500 euro di bonus bebè), che può chiedere una borsa di studio (da 60 a 100 euro annui) dalle elementari in poi, che magari poi spunta un posto da stabilizzato con un onesto salario (duemila euro al mese) e da anziano ha diritto a un buono socio-sanitario (443 euro) se non autosufficiente. E fino a qualche tempo fa, se gli andava bene, poteva pure ricevere un regalo di nozze da Cuffaro.
Sport per tutti. Evviva la vecchia Regione dall´ampio grembo, che mantiene con orgoglio impolverati filoni di finanziamento. Come la mitica legge 8 del 1978, che tutt´oggi dà ossigeno a 3.300 società sportive e altrettanti centri di avviamento dell´Isola. O come la legge 18 per le società professionistiche, che - per intenderci - dà un contributo non proprio irrinunciabile anche al Palermo calcio del milionario Zamparini. Restano in vita sussidi ed elargizioni ignoti ai più.


Sapevate che, in virtù di una legge del 1953 un qualsiasi cittadino che versa in stato di bisogno può scrivere all´assessore agli enti locali e, senza partecipare ad alcun bando, ricevere una somma in denaro? E sopravvivono, con disponibilità sempre più esigue, le sovvenzioni per le bande musicali o i contributi per i produttori di manna, di cui recentemente è stato fissato il prezzo di conferimento: per la cronaca, 12 euro al chilo per la manna lavorata a Castelbuono e 30 euro per la specialità frassino cannolo. Gli impresari dello show business siculo sperano che il dipartimento Turismo trovi anche quest´anno i soldi per acquistare un pacchetto di concerti e spettacoli e poi rivenderli agli enti locali: 200 sindaci, con questo metodo, rallegrarono nel 2007 l´estate dei propri concittadini. Gli autotrasportatori salutano il recente pensionamento del mitico "eco bonus", il contributo regionale per chi viaggia in nave dando una mano alla lotta mondiale all´inquinamento.

L´antincendio che conviene. E chi pensava che vecchie, care, agevolazioni come i contributi per l´impianto (ma anche per l´espianto) dei vigneti fossero finite in soffitta con l´austera programmazione europea deve solo guardare nelle pieghe del Psr, il piano di sviluppo rurale da 2,1 miliardi di euro. Dove ritroverà una misura «per la riconversione delle colture». Spulciando il programma ci si può rendere conto che nella Sicilia che brucia l´antincendio può diventare un business per i privati. Perché l´Europa mette a disposizione 300 milioni di euro per il cosiddetto «aumento della massa forestale», anche se un agricoltore, la suddetta massa, la fa crescere nel proprio terreno. Il Psr, che riguarda solo l´agricoltura, è stato il primo dei programmi del periodo 2007-2013 a decollare, con tre bandi pubblicati ad aprile. Lì dentro, c´è il futuro e il passato dell´Isola. Ci sono i premi annui per chi alleva animali in via d´estinzione: un asino pantesco vale 500 euro, una capra girgentana 200. Ci sono altri possibili affari. Quello del biologico, con contributi da 800 euro ad ettaro per chi coltiva agrumi, 580 per mandorlo, noce, nocciolo, carrubo e pistacchio. O quello del turismo rurale, con contributi fino al 45 per cento delle spese per chi avvia un´attività agrituristica. E ci sono gli incentivi alla diversificazione energetica, che significa invogliare chi punta sui biogas, sui biocombustibili, sulle fonti rinnovabili.

L´energia sotto inchiesta. Settore in grande espansione, non privo di contraddizioni e intoppi. Hanno avuto grande successo, all´interno della vecchia programmazione che a fine anno chiuderà i suoi conti, i bandi per la realizzazione di impianti fotovoltaici, eolici e solari-termici gestiti dal dipartimento Industria. Cento aziende hanno avuto accesso ai fondi, altri attendono una nuova gara. Ma interessi poco chiari si sarebbero annidati in un quarto bando, quello che prevedeva agevolazioni per la produzione di biomasse. Di certo, come rivela la dirigente Francesca Marcenò «la magistratura ha avviato un´inchiesta. La misura, sostenuta da un finanziamento da 37 milioni di euro, ha una forte criticità». In pratica, si è bloccata. Per restare alle competenze dell´Industria, hanno funzionato le agevolazioni per le imprese femminili e giovanili: aiuti fino al 55 per cento dell´investimento che saranno riproposti ma con regole diverse nella nuova programmazione. «Purtroppo abbiamo registrato una alta mortalità delle nuove iniziative. Colpa di piani economici poco solidi, figli di consulenze non sempre all´altezza», è il parere di un altro dirigente del dipartimento, Giuseppe Di Gaudio. Ma l´assalto ai soldi che la Regione eroga anche e soprattutto per conto terzi (l´Europa) non si ferma, e in questi mesi vive solo una pausa, nel passaggio fra la vecchia e la nuova programmazione. In una fase di transizione che si porta con sé qualche anomalia. Tipo il boom delle imprese che hanno un titolare donna a Enna (non a Manhattan), quel 28 per cento ben al di sopra della media nazionale. Dato che ha spinto la Confagricoltura locale a una denuncia chiara e neppure tanto imbarazzata: o c´è un Eldorado rosa oppure molte imprenditrici agricole sono solo prestanome di padri e mariti.

L´ultima scialuppa. Già, l´Europa offre l´estrema chance, anche perché nessuno garantisce che fra cinque anni saremo ancora nell´obiettivo 1 che dà sostegno alle zone svantaggiate. E tornando a dare uno sguardo alle vecchie agevolazioni di fonte regionale non è che ci sia da rallegrarsi. Pensando alle 15 mila domande per l´assunzione di apprendisti artigiani ferme da anni. «Non c´è una lira», commenta sconsolato Mario Filippello, segretario regionale della Cna. O pensando alla incerta architettura dei contributi antiracket, che una legge del '99 ha messo in fila, fra crediti record dei legali di parte civile (la Regione deve loro oltre tre milioni di euro) e fondi che restano intatti. Quelli a favore delle vittime di estorsione, ad esempio. Quanti imprenditori taglieggiati ne hanno fatto richiesta nel 2007? Appena due. Poca voglia di denunciare? No, spiega Pietro Fina, responsabile dell´ufficio antiracket: «Semplicemente, esiste un analogo contribuito da parte dello Stato. E noi raramente riusciamo a spendere le risorse a nostra disposizione».

Fonte: repubblica.it

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