14 ott 2007

Polizze sanitarie, Sicko all’italiana

Sardegna: il cliente di una compagnia di assicurazioni sottoscrive una polizza salute. Poi si ammala di tumore. Ma la compagnia non vuole pagare. E dopo un estenuante balletto di raccomandate solo la minaccia di andare davanti alla tv risolve tutto: una bella sera di marzo il nostro assicurato si è ritrovato l’agente liquidatore alla porta con 50 mila euro in tasca, appena in tempo per bloccare la sua intervista a Mi manda Raitre. Non succede così anche in Sicko di Michael Moore sul sistema sanitario Usa? La compagnia Cigna pagò un impianto uditivo alla figlia di un assicurato soltanto dopo il suo annuncio di voler collaborare al film.
Certo la situazione americana è molto diversa da quella italiana. La sanità pubblica funziona e le polizze salute rappresentano in Italia soltanto l’1,7 per cento della torta assicurativa, coinvolgendo 1,6 milioni di famiglie, poco più di 6 ogni 100 (dati Bankitalia 2004). Ma qualche problema c’è. Per esempio, è impossibile che venga negata una tac, ma non è detto che l’assicurazione la rimborsi. Se hai un tumore, lo curi, ma se hai una polizza può capitare che la compagnia chieda più soldi o sciolga il contratto. E a quel punto, nessuno o quasi ti assicurerà più per curarti il cancro.
Questo fenomeno si chiama preesistenza e ha creato non pochi problemi a Carlo P., romano, che nel compilare il questionario sanitario preliminare alla stipula della polizza non segnalò un’analisi con dati un po’ fuori norma. Quando poi si manifestarono seri problemi cardiovascolari, nessuno voleva risarcirlo, accusandolo di avere impedito una regolare valutazione del rischio.
“Le polizze sanitarie non possono essere un ombrello che si apre con il sole e si chiude quando piove” dice Fabio Primuti dell’Adiconsum. “Nessuna compagnia assicura per una malattia che si è già manifestata e quello delle preesistenze è un problema serio. Si potrebbe risolverlo prevedendo un’accurata visita preliminare, ma le compagnie si accontentano di un questionario generico”.
L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Isvap) ha già stabilito che, in assenza di domande specifiche sul questionario, l’utente va risarcito. Ma il caso del milanese Fabio G. è ancora diverso: ha sottoscritto una polizza quando era in salute, ha pagato con regolarità, ma come si è ammalato la compagnia ha deciso di recedere dal contratto non più conveniente: “La clausola di recesso può essere esercitata anche dall’utente, ma lo squilibrio a favore della compagnia è evidente” fa notare Anna Bagnasco di Altroconsumo.
L’associazione ha individuato tale clausola in alcune polizze di Groupama, Sai, Generali, Sara, Assitalia, Mediolanum, Hdi e La Piemontese. Le compagnie replicano: “La gran parte dei sinistri avviene nei primi tre anni di contratto: una casistica sospetta” avverte Charles Buongiorno, responsabile del ramo malattia Ina Assitalia. “Per questo ci riserviamo la facoltà, e non l’obbligo, di esercitare il recesso entro i primi due anni di contratto (le Generali un anno, ndr) di una polizza pluriennale. L’obiettivo è valutare bene il cliente, con il questionario e con un periodo di osservazione reciproca”. E la visita medica preventiva? “Non riusciremmo mai in pochi minuti a inquadrare un paziente”.
Il problema è che il ramo malattia non è un grande affare. Nel 1998 il settore perdeva 61 milioni di euro e nel 2006 ne ha persi 85. Lo scorso anno la raccolta premi è cresciuta a 1.828 milioni di euro, ma è salito anche il totale liquidato in sinistri (1.324 milioni). E le compagnie ci vanno caute.
“Comprensibile, ma non possono esistere margini di arbitrarietà come con la clausola di aggravamento del rischio” continua Bagnasco. È quella che obbliga l’assicurato a comunicare qualsiasi cambiamento del suo stato di salute e la compagnia si riserva di valutare se annullare, mantenere o ricalibrare il contratto.
Nel momento del bisogno, non è bello nemmeno incappare nei cosiddetti limiti di età, come è successo a Marcello F. di Pescara. La sua polizza cessava al compimento dei 65 anni, ma nessuno glielo ha ricordato. Lui ha continuato a pagare e la compagnia a incassare, salvo poi rifiutarsi di risarcire la sopravvenuta invalidità da poliartrosi. Che dire di Maria C., bergamasca, che dopo avere pagato per 5 anni la polizza è rimasta incinta: la nascita del bebè cadeva un mese dopo la scadenza e per rinnovarla l’assicurazione ha imposto nuovi massimali proprio alla voce parto. C’è poi il caso di Valeria, entrata in sala operatoria poco dopo avere rinnovato il contratto di assicurazione. Sebbene fosse cliente da anni, la compagnia si è appellata al periodo di “carenza” (il lasso di tempo in cui il contratto non è operativo) per non pagare.
I costi di un’eventuale causa legale spaventano e il tira e molla per i rimborsi può essere sfiancante. Per questo è bene sapere che rivolgersi all’Isvap può essere risolutivo. Lo scorso anno sono stati valutati 318 reclami e gli effetti si leggono nella Guida pratica sul sito dell’istituto.
“Le polizze sanitarie sono costose (da 600 a 3 mila euro circa l’anno), con clausole ed esclusioni che le rendono poco convenienti” insiste Bagnasco. Tra queste, le più frequenti sono le cure dentarie, malattie nervose e check-up preventivi. “Mi spiego: un emocromo di routine non viene rimborsato. Un ecodoppler sì, ma soltanto se confermerà la malattia per cui è stato effettuato”.
Ma se le polizze sanitarie lasciano dubbiosi, “il settore crescerà” sostiene Giampaolo Galli, presidente dell’Ania. “Secondo l’Ocse, la spesa sanitaria pubblica salirà al 13 per cento del pil entro il 2050: costi insostenibili, che faranno riconsiderare il nostro ruolo”. Per esempio, con la copertura per la non autosufficienza.
Fonte: panorama.it

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