9 ott 2012

«Simone e Daccò? Fu la Regione a dirci di passare da loro»

I verbali dell’inchiesta sulla sanità lombarda

Il direttore della Maugeri: così ottenemmo favori

MILANO — Non sono stati Daccò e Simone ad «aprire le porte della Regione» Lombardia di Formigoni alla Fondazione Maugeri. È stato l’esatto contrario: sono cioè stati «organi della Regione Lombardia» a «dare alla Maugeri l’indicazione di rivolgersi agli intermediari Simone e Daccò per ottenere provvedimenti amministrativi favorevoli», è stato insomma il Pirellone a dire alla Maugeri che erano Simone e Daccò «le persone giuste» in Regione per avere delibere da 200 milioni di euro in 10 anni. È questa, «come emerge nitidamente dagli interrogatori di Costantino Passerino, Umberto Maugeri e Gianfranco Mozzali», la principale novità sulla quale i pm milanesi sono ora costretti a togliere qualche omissis pur di argomentare in 15 pagine al gip perché gli chiedano, nell’udienza di domani, di prorogare di altri 3 mesi in via straordinaria la carcerazione preventiva di Daccò e Simone, altrimenti in scadenza il 13 ottobre in relazione ai 60 milioni di euro che i due ricevettero appunto come compenso dalla Maugeri per i loro servigi presso il Pirellone.

«Voi andate alle Bahamas...»
L’aggancio avviene nel 1995-1997, quando la Fondazione Maugeri ha il problema di un rimborso di 14 miliardi di lire che la Regione Lombardia nega al polo pavese della sanità privata. Il direttore generale della Fondazione, Passerino, nell’interrogatorio del 7 maggio racconta cosa gli avrebbe detto, e come glielo avrebbe detto, l’allora direttore generale dell’assessorato regionale alla Sanità, Francesco Beretta, oggi direttore generale dell’ospedale di Monza. Questi avrebbe esordito facendo presente che la Fondazione poteva naturalmente provare la strada del normale ricorso amministrativo, poi però avrebbe cambiato registro discorsivo: «Beretta mi disse testualmente: "Voi andate alle Bahamas... dovete restare più sui problemi concreti". E mi invitò a incontrare il suo collaboratore Cova».

«Abelli non basta più»
Questi sarebbe stato più esplicito con Passerino su cosa volesse significare l’invito di Beretta a una maggior concretezza: «Cova mi spiegò che le cose in Regione (dove era iniziato il primo mandato di Formigoni, ndr) stavano cambiando, che per risolvere le nostre problematiche "Abelli non era più l’uomo giusto", e che avrei dovuto trovare un diverso "canale". A tal fine mi indicò quali possibili nuovi uomini di riferimento Simone e/o Intiglietta». Abelli era in Forza Italia molto potente nella sanità, per un periodo anche presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia, nel 2010 sua moglie Rosanna Gariboldi (già assessore provinciale a Pavia) ha patteggiato 2 anni e 1 milione di euro per riciclaggio nell’inchiesta sullo scomparso re delle bonifiche ambientali Giuseppe Grossi. «Effettivamente Cova mi fece intendere — prosegue Passerino — che il vero problema fosse che la Fondazione Maugeri non pagava Abelli, se non nei termini in cui ho già detto», più che altro un occhio di riguardo in qualche assunzione; «e che, invece, in questo "nuovo modello organizzativo" di cui parlava Cova, non era più sufficiente il solo "sistema clientelare" ma erano indispensabili gli ingenti finanziamenti che poi sono stati erogati con i pagamenti a Daccò e Simone». Perché proprio Simone, ciellino di ferro, ex assessore dc alla Sanità negli anni ’90, poi datosi all’imprenditoria immobiliare nell’Est europeo e alla consulenza in legislazione sanitaria? «Cova indicò in Simone la persona cui affidarsi per dialogare con la Regione », risponde l’ex presidente della Fondazione, Umberto Maugeri, perché «in particolare era amico di Formigoni».

I 14 miliardi di Simone
Nella richiesta al gip Vincenzo Tutinelli di proroga della custodia cautelare di Simone (in carcere da 6 mesi) e di Daccò (dal 15 novembre 2011), i pm Pedio-Pastore-Ruta aggiungono che «solo successivamente Simone introdusse Daccò a Passerino», e che «fu proprio Simone a ottenere per la Fondazione il primo provvedimento amministrativo favorevole», e cioè «il rimborso dei 14 miliardi di lire per la struttura di Tradate precedentemente negato dalla Regione ». Miracolosamente, infatti, «il direttore generale della Sanità», che nel 1997 non era più Beretta ma «era Renato Botti» (poi nel 2002 divenuto manager del San Raffaele), «emanò un decreto con cui, modificando la precedente decisione, ci venne riconosciuto il rimborso di 14 miliardi. Attribuisco questo risultato all’intervento di Daccò e Simone».

«Per ringraziarmi? Praga»
«Dopo la delibera regionale — aggiunge Passerino — ringraziai Simone e gli chiesi come mi sarei potuto sdebitare. Lui mi disse: "Se vuoi essere riconoscente di questo favore che ti ho fatto, puoi comprare un mio immobile a Praga". Per assecondare la sua richiesta, visto il suo intervento positivo in Regione, con una provvista interamente fornita dalla Fondazione Maugeri comprammo l’immobile per 1,5 miliardi di lire. Da una perizia emergeva che lo stavamo pagando il 10% in più», senza dimenticare che, «nel contesto del mercato immobiliare di Praga dell’epoca, Simone avrebbe avuto grosse difficoltà a vendere l’immobile e a realizzare tale importo». Ad avviso dei pm, una volta instradato così il rapporto, «dalla fine degli anni ’90 sino all’arresto Simone e Daccò, pur non rivestendo alcun formale incarico amministrativo o politico in Regione, attraverso una vasta rete di contatti e sistematici pagamenti corruttivi sono riusciti a piegare le scelte discrezionali dell’amministrazione regionale alle esigenze e agli interessi finanziari della Fondazione Maugeri, e Daccò anche dell’ospedale San Raffaele».

Complici e ricatti
Proprio il fatto che siano stati «organi regionali» a indicare alla Fondazione gli intermediari Daccò-Simone per ottenere le delibere di favore segnala, per i pm, il «saldo legame» della coppia (pittorescamente definita «il gatto e la volpe» da Maugeri) «con gli organi di vertice della Regione e in particolare con il presidente Formigoni». Questi «legame e complicità conferiscono agli indagati», se tornassero ora liberi, «un formidabile potere di influenzare e direzionare le decisioni politiche e amministrative in proprio favore. Se non altro per l’indubbia capacità ricattatoria degli indagati riguardo gli illeciti penali già commessi», stima la Procura nel richiamare «a titolo esemplificativo la vicenda riferita da Botti il 31 maggio, da cui emerge come sia stato Daccò» (cioè un perfetto nessuno, in teoria, all’interno della compagine politica e dello staff tecnico della Regione) a designare Botti quale direttore generale della Sanità dopo le dimissioni di Beretta».

I conti bancari di Formigoni
Una delle ragioni per cui la Procura chiede la proroga della custodia cautelare per Simone e per Daccò (il munifico erogatore all’amico Formigoni di quasi 8 milioni di euro in benefit come viaggi, soggiorni, disponibilità di yacht e di una villa, contributi e cene elettorali) è «la complessità delle indagini svolte per ricostruire i costi sostenuti da Daccò e Simone al fine di remunerare illecitamente il presidente della Regione per provvedimenti adottati al fine di favorire la Fondazione Maugeri»: indagini che «tuttavia devono essere completate anche attraverso lo studio di tutta la documentazione bancaria concernente Formigoni», il quale da sempre nega invece commistioni d’affari con l’amico Daccò, con il quale afferma d’aver solo fatto vacanze di gruppo dove ciascuno pagava qualcosa.

Fonte: milano.corriere.it

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