7 gen 2011

Mafia, i controlli sugli appalti pubblici. Solo 11 comuni salentini su 97 dicono sì. Pochi aderiscono al protocollo contro le infiltrazioni criminali.

Il richiamo del colonnello Ferla: più collaborazione

LECCE - Sono solo undici, su un totale di ben novantasette, i comuni della provincia di Lecce ad aver sottoscritto il protocollo antimafia disposto dalla prefettura del capoluogo salentino per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nei contratti pubblici. A comporre la lista dei «magnifici undici», oltre Lecce, anche Campi Salentina, Copertino, Gallipoli, Galatina, Monteroni, Squinzano, Surbo, Taurisano, Trepuzzi e Ugento. A questo breve elenco mancano all’appello comuni importanti come Nardò, Tricase, Otranto e Racale. Solo una piccola parte dunque, che svela in maniera inequivocabile come ancora lunga sia la strada da percorrere nella lotta alla mafia nella «terra tra i due mari». Le ultime inchieste giudiziarie, infatti, dimostrano come gli interessi economici dei clan della Sacra corona unita si siano spostati proprio negli affari pubblici e nell’aggiudicazione dei pubblici appalti. Tra i settori maggiormente appetiti dalle organizzazioni criminali vi sono l’edilizia, il movimento terra, la fornitura di beni e servizi e il ciclo dei rifiuti. Settori in cui l’ombra della criminalità organizzata sembra allungarsi pericolosamente sugli appalti del Salento.

IL COLONNELLO - Nei giorni scorsi era stato il comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Maurizio Ferla, a rinnovare l’invito «a una maggiore sinergia tra gli enti locali e le forze istituzionali e di polizia per frapporre un serio ostacolo e un serio impedimento alla criminalità organizzata e alle’entità imprenditoriali soggette a infiltrazioni mafiose, impedendo il tentativo di impadronirsi con metodi solo apparentemente leciti e illegali del denaro pubblico». Un monito rivolto soprattutto a quei comuni che non hanno ancora sottoscritto il protocollo antimafia, una sorta di pietra miliare nella gestione e nella trasparenza degli appalti pubblici legati ai comuni. Il protocollo, infatti, ha abbassato a 250mila euro la soglia minima dell’importo di contratti di appalto di opere e lavori pubblici per cui è richiesta la certificazione antimafia.

IL BANDO - Ogni bando deve essere inoltrato alla prefettura. Alle gare, infine, non possono partecipare due o più aziende collegate fra loro. Sarebbero una decina i comuni ad aver raccolto le parole del colonnello Ferla e aver dato l’adesione, solo informale per il momento, alle norme contro le infiltrazioni criminali della prefettura, al lavoro su una circolare per dare la sveglia ai municipi ancora fermi. Nell’anno appena trascorso la lente degli inquirenti e degli uomini dell’Arma si è particolarmente soffermata sulle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Sette le misure interdittive antimafia che hanno comportato la rescissione o la revoca dell’aggiudicazione di contratti pubblici per complessivi 2,5 milioni di euro. Emblematico il caso della ditta Edilcav di Ruffano, per cui, nelle scorse settimane, il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso contro l’esclusione da azienda aggiudicatrice dall’appalto per i lavori sulla tangenziale Est. Esclusione già sancita da Comune e Prefettura a giugno 2009 e confermata nei mesi scorsi dal Tar di Lecce. L’azienda, infatti, non aveva ottenuto la cosiddetta «certificazione antimafia, e per questo si era vista impugnare dal Comune la vittoria di un appalto per la manutenzione di via Calò Pomponio (asse di penetrazione tangenziale est centro cittadino) da circa 800mila euro, poi affidato alla ditta seconda classificata nella gara. Non si tratta di un caso isolato – spiega il colonnello Ferla – bisogna prestare massima attenzione non solo sui grandi appalti ma anche sulle commesse minori, per cui molte volte non è richiesto, o è opzionale, il cosiddetto certificato antimafia. Opere comunque da diverse decine di migliaia di euro, che fanno gola alla criminalità». Sono almeno cinque i casi in cui, attraverso un capillare servizio non solo di monitoraggio delle aziende, ma anche di penetrazione informativa e screening documentale compiuto dai carabinieri del Reparto Operativo, sono emerse delle pericolose connivenze tra società e organizzazioni criminali.

Fonte: corrieredelmezzogiorno.it

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