3 nov 2010

Chinatown, gli aiutini dell’ex assessore. Le carte dell'inchiesta sui permessi facili che sta scuotendo Prato.

Tra una settimana si apre il processo, intanto emergono i nomi dei politici che sveltivano le pratiche dei cinesi

PRATO -Favori per accelerare le pratiche dei permessi di soggiorno o per evitare i controlli nelle ditte. In cambio cene, viaggi e regali. «Permessopoli» è stata chiamata l’inchiesta che ha la firma della procura di Prato guidata da Piero Tony. È esplosa nel marzo scorso con l’arresto di otto persone, due cinesi, quattro poliziotti in servizio alla questura di Prato e due carabinieri del Nas. Una trentina le persone iscritte sul registro degli indagati con accuse varie che vanno dalla corruzione, all’abuso di ufficio, dal favoreggiamento alla rivelazione del segreto d’ufficio. L’8 novembre al tribunale di Prato si aprirà il processo, con giudizio immediato, per i due cinesi e per un poliziotto. Nessun politico è stato coinvolto nell’inchiesta ma dagli atti di conclusione delle indagini emerge che c’erano rapporti consolidati con alcuni amministratori ed esponenti politici del Pd come l’ex assessore e consigliere del presidente della Provincia Gestri, Giancarlo Maffei. Per quasi un anno la squadra mobile guidata da Francesco Nannucci ha intercettato telefoni e pedinato cinesi e italiani per scoprire quello che gli investigatori hanno chiamato «sistema Dong».

È la comunità fantasma per eccellenza. Invisibile e impenetrabile per chiunque non abbia gli occhi a mandorla. Eppure, il mondo a parte dei cinesi non ha tutte le porte chiuse sul resto del mondo. Per un paio di anni il ristorante Hong Kong in via Fabio Filzi, cuore della Chinatown pratese, si è trasformato nella filiale di un ufficio che risolve pratiche. Hai un problema con il permesso di soggiorno? C’è Dong che pensa a tutto, anche a farti saltare la fila o a preparare i documenti che non puoi avere. Hai un problema con i permessi edilizi? C’è sempre Dong che sa chi chiamare. Hai un problema con un controllo di troppo? C’è ancora Dong che alza il telefono e sistema tutto. Sempre intorno al tavolo del suo ristorante dove siedono e mangiano tutti, italiani e stranieri.

«Il console onorario» Il personaggio chiave è Bangyun Dong, classe ’63, originario dello Zhejiang, pregiudicato, vecchia conoscenza dei terminali delle forze dell’ordine per reati che racchiudono tutto il pianeta sommerso che parla cinese: favoreggiamento, ingresso clandestino, sfruttamento di connazionali. L’inchiesta della procura di Prato gira intorno a lui, l’uomo che per i cinesi è una sorta di console onorario. «Benestante, temuto e nello stesso tempo ossequiato, con aderenze istituzionali in patria e a Prato», «in grado di aiutare chiunque, anche contra legem, a risolvere problemi»: così lo dipinge la squadra mobile nel rapporto che finisce ai magistrati Eligio Paolini e Laura Canovai quando l’inchiesta che verrà battezzata «Permessopoli» inizia a prendere forma. Ha un permesso di soggiorno per lavoro subordinato ma in realtà è titolare del ristorante e della ditta di abbigliamento Chez Tricot emanovra una gran quantità di denaro. Dong — scrivono gli investigatori nell’ampia documentazione dell’inchiesta — è la persona che ha organizzato, gestito, coinvolto, sfruttato, abusato delle persone con cariche istituzionali venute a contatto con lui.

Dong riesce ad instaurare un canale privilegiato con l’ufficio immigrazione della questura dove i poliziotti amici gli garantiscono anche piccoli favori: far saltare la fila o concedere il permesso di soggiorno a bambini residenti in Cina presentandone altri in questura, o il ritiro a domicilio dei documenti. In altri casi i poliziotti lo salvano quando viene fermato in auto se infrange il codice stradale o se viene trovato in una bisca clandestina. Dong è potente e viene chiamato anche per sistemare le cose in casi di minacce o estorsioni. «Si vede che quello viene da fuori città, dalla Francia— dice lamentandosi di un cinese— si sente che lui non sa chi sono io, i delinquenti di qui mi conoscono tutti, mi rispettano molto. Il suo modo di parlare con me non è cortese». E quando risolve in fretta le pratiche degli amici ama vantarsi: «Pensa un po’ chi sono io...».

Fonte: corrierefiorentino.it

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