5 mar 2009

Si può dare il patrocinio a un film ispirato al libro di un terrorista di Prima linea che ha ammazzato il prossimo e non si è mai pentito?

«Lo Stato non paghi il film sui terroristi»
L'ex Prima linea Sergio Segio non si è mai pentito

MILANO — Protestano i familiari delle vittime, s'indigna il procuratore della Repubblica Armando Spataro. Si può dare il patrocinio a un film ispirato al libro di un terrorista di Prima linea che ha ammazzato il prossimo e non si è mai pentito? Il ministero della Cultura l'ha fatto. Con qualche correzione sulla sceneggiatura e un generoso assegno di Stato: un milione e mezzo di euro. Il Comune di Milano è andato a ruota: via libera alla richiesta di esentare dalle spese la casa di produzione per le scene girate in città e sponsorizzazione sui manifesti pubblicitari. Filava tutto liscio, fino a tre giorni fa. La delibera del Comune sembrava un atto dovuto.

Poi il caso è finito sulle pagine del Corriere, la riservatezza è saltata, il figlio di un giudice assassinato ha scritto una lettera umana e toccante: «Milano è la mia città, la città della mia famiglia, dei miei bambini... e io mi chiedo come può patrocinare un film ispirato alla storia di chi ha deciso di distruggere cinicamente la vita di un uomo e pretende di spiegarci le ragioni della sua impresa...». «La prima linea», film ispirato all'autobiografia dell'ex terrorista Sergio Segio e alle sue poco nobili imprese, riapre antiche ferite sui cattivi maestri e sull'opportunità di riscrivere la storia da una parte sola. Ci sono Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno, nel ruolo dei protagonisti, Segio e Susanna Ronconi. «Cosi avremo il terrorista figo e belloccio», dice Benedetta Tobagi, figlia di Walter, il giornalista del Corriere assassinato nel 1980 da un commando che aspirava ad entrare in Prima linea. «Io non contesto la libertà di girare un film, mi preoccupa l'avallo del ministero della Cultura». «Fanno bene a protestare i parenti delle vittime», spiega Armando Spataro, coordinatore del dipartimento antiterrorismo della Procura di Milano. «Anzi, penso che altri avrebbero dovuto sentire prima il dovere di sollevare la questione, già quando il ministro Bondi deliberò la sovvenzione pubblica, riconoscendo al libro di Segio una qualche dignità culturale».

Antonio Iosa, gambizzato dalle Br, racconta che il libro si apre con una dedica ai figli dei compagni chiamati a ricordare con quale coraggio e purezza di ideali i loro genitori hanno combattuto per una società più giusta. Spataro s'arrabbia: «In Italia c'è stata una stagione di vili tragedie provocata da una parte sola. Spero che Segio ricordi a quanti innocenti lui stesso e i suoi compagni hanno sparato in testa, mentre accompagnavano i loro figli a scuola o aspettavano di entrare in un'aula di università». Giovanni Terzi, assessore al Tempo libero del Comune di Milano, si chiama fuori. «La delibera mi sembrava un atto dovuto. Pensavo che i problemi con i familiari delle vittime fossero stati chiariti al ministero». Dopo le proteste, ha corretto il tiro. «Non ci ho dormito la notte su quel patrocinio...». Ieri ha incontrato i familiari delle vittime. E ha congelato la delibera. Un modo per far uscire Milano dal gorgo delle polemiche. Ma anche un colpo di cerchiobottismo, per non andare in rotta di collisione con il ministro Bondi. C'è una dissociazione, ma non la revoca del patrocinio. A film concluso, si prenderà una decisione definitiva.

La palla torna ai Beni Culturali. Spataro, magistrato di punta negli anni di piombo, apprezza il ripensamento di Milano, ma aggiunge: «Dovrebbe orientarsi in questo senso anche il ministro Bondi. È stato dimenticato che Segio ha ucciso a Milano tre uomini delle istituzioni, i magistrati Alessandrini e Galli, il brigadiere Rucci, e il giovane William Waccher, ritenuto erroneamente un confidente della polizia. Milano ha il dovere della memoria, non può dimenticare. E ha il diritto di chiedere a Segio di ammettere, innanzitutto, quanto vili e folli siano stati gli omicidi che ha commesso. Lo sponsorizzino altri, se vogliono, non le istituzioni pubbliche». Giuseppe Galli, il figlio del giudice assassinato, soffre ogni volta che deve ricordare. «Non ci interessano le furbizie politiche, ma il rispetto della memoria. In un Paese dove è difficile trovare punti di riferimento, è meglio evitare di far diventare eroi anche i cattivi maestri».

Fonte: corriere.it

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