21 mar 2009

«Opera mio figlio». I chirurghi guardano. Condannato l'ospedale per mobbing

Maxi-risarcimento a cinque cardiochirurghi pisani: non lavoravano più a causa delle scelte del professor Mariani che decideva lui chi far operare

Ieri è stato scritto un capitolo importante, forse non l'ultimo, di quella che a Pisa e in Toscana divenne famosa come la guerra del cuore. Il tribunale del lavoro, in primo grado, ha condannato l'azienda ospedaliero universitaria pisana per aver «illegittimamente demansionato» cinque cardiochirurghi: Gerardo Anastasio, Carlo Barzaghi, Maurizio Levantino, Stefano Pratali e Giovanni Scioti. Secondo il giudice Tarquini, l'azienda dovrà risarcire ciascun chirurgo con una cifra che oscilla tra i 300 mila e i 340 mila euro (in tutto oltre 1,5 milioni di euro) e consentire il pieno reintegro alle mansioni che svolgevano prima che scoppiasse la guerra del cuore.

CHIRURGHI FERMI A GUARDARE
Nel frattempo, questi cinque cardiochirurghi sostengono che per anni non hanno potuto operare. Come se un calciatore fosse rimasto in panchina per cinque anni: perde confidenza con il campo, con i compagni, non ha più ritmo e le sue quotazioni scendono irrimediabilmente. Per capire meglio però cosa sia stata la guerra del cuore a Pisa, bisogna fare un salto indietro di almeno nove anni. Ed entrare in una vicenda intricata, che ha coinvolto professori di fama, figli e chirurghi internazionali.
La storia ce la racconta uno dei cinque cardiochirurghi che ieri ha potuto prendersi una grossa rivincita.
Ma prima è necessario fissare alcune date molto importanti nella sofferta vicenda della cardiochirurgia pisana.
Nel 1999 fu inaugurata la nuova struttura del dipartimento universitario di chirurgia cardiotoracica diretta dal professor Mario Mariani, che qualche anno dopo finì sotto accusa dalla procura di Bari che lo riteneva uno dei personaggi chiave al centro di una inchiesta su alcuni concorsi universitari truccati (nel 2004 assieme ad altri quattro colleghi fu messo agli arresti domiciliari — dove vi rimase per cinque mesi — con l'accusa di associazione finalizzata alla corruzione) che si affiancava all'unità operativa diretta dal professor Uberto Bortolotti e di cui facevano parte i cinque cardiochirurghi che ieri hanno ottenuto il risarcimento. Dall'Olanda a capo della struttura fondata da Mariani arrivò Jan Grandjean, da Siena il figlio di Mariani, Massimo. Nel 2001 l'attività di Bortolotti fu risucchiata nella unità operativa di Grandjean e la sua sezione chiusa. La cardiochirurgia pisana però non decollava, con il Cnr che all'ospedale pediatrico di Massa operava anche gli adulti e stava risucchiando pazienti a Pisa, dal momento che i cardiologi della costa si fidavano di più di quella struttura.

IL CASO IN REGIONE
Il caso arrivò perfino nelle stanze della Regione. E dopo qualche mese l'assessore Enrico Rossi decise di azzerare il reparto pisano.
Mariani figlio e Grandjean furono allontanati. Nonostante l'arrivo di un nuovo primario però, i cinque cardiochirughi hanno continuato a non avere vita facile. E qui comincia il racconto di uno di loro: «Dopo qualche mese dalla nascita dell'unità sperimentale di Grandjean, che doveva fare trapianti di cuore con la tecnica mininvasiva, capimmo che quella struttura era un duplicato della nostra diretta dal professor Bortolotti. Fummo caldamente invitati ad andare sotto Grandjean, ma noi cinque non ce la sentivamo, anche perché con il professor Bortolotti avevamo un rapporto di reciproca stima e fiducia. Così dal 2000 in avanti su di noi sono aumentate progressivamente le pressioni.
La nostra storia ha avuto una grande risonanza perché venne a galla in alcune intercettazioni che coinvolgevano Mariani nella vicenda dei concorsi». Nonostante il rifiuto, due cardiochirurghi vengono trasferiti in un altro reparto e gli altri tre, dopo la chiusura dell'unità operativa di Bortolotti, vengono assorbiti all'interno della struttura diretta dal chirurgo olandese. «Ma non ci facevano operare, ci occupavamo delle cartelle, visitavamo i pazienti, svolgevamo tutta una serie di attività burocratiche per noi poco gratificanti. Per un chirurgo non fare interventi vuol dire perdere manualità e non essere considerato professionalmente». E infatti sostengono i cardiochirurghi che anche dopo l'azzeramento dell'unità diretta da Grandjean e l'arrivo di un nuovo primario da Pavia la musica per loro non sia cambiata più di tanto: «Quando è arrivato ci ha detto che prendeva atto della situazione passata e che però non poteva non tener conto del fatto che per quasi cinque anni eravamo rimasti fermi. Quindi si è affidato a quelli più esperti e noi siamo sempre rimasti ai margini fino a che, dopo aver minacciato un nuovo ricorso al giudice del lavoro, è stata avviata una piccola unità dove due di noi sono stati assegnati a Bortolotti e qualcosa si è ricominciato a fare». Ieri però c'è stata la sentenza, contro cui probabilmente l'azienda ospedaliera farà appello. «Vorremmo ringraziare il sindacato (Anaao, ndr) che ci è stato vicino. È un grande giorno per noi. Speriamo che una vicenda del genere non si ripeta più in Toscana».

Fonte: corrierefiorentino.it

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