30 nov 2008

A Prato la Cassa Integrazione non parla il cinese

Dove la crisi stravolge le relazioni industriali

PRATO - Mistero. Cinquemila persone in cassa integrazione. Nessuna che lavori in imprese cinesi. A Prato, soltanto le aziende italiane hanno formulato le richieste di Cig. «Non una pratica - dice Manuele Marigolli, segretario della Camera del lavoro, indicando i faldoni sulla sua scrivania - è stata presentata dalle aziende fondate dagli immigrati. Non so cosa pensare». Esci dal sindacato, prendi la macchina e vai nel macrolotto, l'area industriale. È la pausa pranzo, ma i cinesi continuano a caricare e a scaricare camioncini con targhe italiane e straniere. Alcuni, stravolti, dormono su balle di tessuti.
Oggi, in un tessile italiano ormai malconcio e ben lontano dai fasti che negli anni Settanta ne fecero uno dei miti fondativi della retorica dei distretti, la Cig, con la sua doppia natura di benefica compensazione del reddito ma anche di annuncio di crisi spesso irreversibili, riguarda 2.500 esuberi di aziende artigiane. Se ne contano altri 2.000 in società con più di 15 dipendenti. Nelle imprese industriali 500 lavoratori sono finiti in Cigs, la straordinaria usata quando l'azienda è in difficoltà strutturale. «In un contesto tanto complicato – osserva Marigolli – è difficile che le aziende cinesi, specializzate nel prontomoda, non stiano soffrendo. Non una, però, ha fatto ricorso ai normali ammortizzatori sociali».
Le relazioni industriali classiche, dunque, paiono non appartenere alla dimensione culturale e psicologica delle 3.500 imprese cinesi che hanno costruito negli ultimi 20 anni una sorta di distretto parallelo a quello tradizionale pratese. «Non sono stupito – sottolinea Romeo Orlandi, il vicepresidente dell'Osservatorio Asia – , perché in loro prevale il senso della gerarchia e manca la contrapposizione fra l'individuo e la comunità, che in questo caso si realizza nell'azienda». Il sindacato, che nella cultura occidentale è a seconda delle occasioni portatore di una regolazione o di una accentuazione del conflitto, è percepito come un corpo estraneo. «È così – conferma il segretario della Camera del lavoro – abbiamo provato a diffondere volantini e ad appiccicare messaggi nella loro lingua sui tazebao di Via Pistoiese, ma nessuno ci ha mai chiamati. Anche se questo fatto della Cig è davvero particolare». Come fanno ad affrontare la crisi? «Sembra quasi la riproposizione, nel mondo del lavoro, del ritornello: ma, i cinesi, dove li seppelliscono i loro morti? Che fanno al posto della Cig? - si chiede il Marigolli, che con la sua ironia e i suoi baffi sembra uscito dalla vicina Casa del Popolo di Vergaio, luogo di culto dello spirito alla Benigni - . Probabilmente taglieranno i part-time, usati spesso oltre i limiti della legalità, e il lavoro nero». Non a caso, avverte un esponente delle forze dell'ordine, è di nuovo ripartito il flusso di immigrati illegali che da Prato si spostano verso San Giuseppe Vesuviano e Carpi.
Cercare di capire con razionalità il mistero della Cig scomparsa non è semplice, in una provincia di Prato le cui ore di cassa integrazione sono passate dal 7% del totale toscano nel 2005 all'11,5% nel 2007. E non c'è soltanto il fenomeno culturale. «Le aziende cinesi - afferma Lorenzo Zanni, economista dell'Università di Siena - si trovano in difficoltà, ma per posizionamento strategico e per struttura finanziaria sono arrivate più preparate alla crisi di quelle italiane». Da sempre gli imprenditori cinesi vanno poco in banca: secondo una recente analisi di Zanni, su 50 cinesi solo uno lo fa. Due terzi si finanziano con soldi di amici e di familiari. Gli altri con risparmi propri. «In tempi di restrizione del credito - nota l'economista - questa apparente arcaicità li protegge». Per Zanni, i cinesi hanno manifestato fra il 2003 e il 2005 una migliore capacità di tenuta: i ricavi sono rimasti stabili per il 62% e sono scesi solo per il 32%; per gli italiani sono risultati costanti per il 29,3%, ma sono diminuiti per il 55 per cento. «Sono stati anni fondamentali - afferma Zanni - : da un lato si è verificata una maggiore emersione del distretto parallelo dei cinesi, che è iniziato a venire gradualmente alla luce per quanto ancora oggi i suoi contorni siano sfuggenti, dall'altro in quello italiano è proseguita la selezione».
Secondo l'ultimo rapporto dell'Asel commissionato dalla Provincia il 95% delle assunzioni cinesi ha riguardato contratti a tempo indeterminato e la quasi totalità delle cessazioni è dovuta a dimissioni. La sede locale di Confindustria in una nota ha però ricordato come «solo il 7% dei "pregiati" contratti a tempo indeterminato delle aziende cinesi supera i due anni; il 46% dura meno di sei mesi; il 68% meno di un anno». Non si stupisce Annalisa Nocentini, segretaria della Uil di Prato: «Gli assunti a tempo indeterminato firmano le dimissioni senza battere ciglio. Resta un altro mondo, per le relazioni industriali. Tuttavia, si sta notando una timida inversione di tendenza: nell'ultimo mese sei cinesi si sono rivolti a noi per tutelare i loro diritti».
Ma Cig o non Cig, permane il mistero di come reagiscano alla pressione del mercato. «Il nostro - dice Matteo, cinese di 29 anni che dal 1999 al 2005 ha collaborato con la Cisl - è un popolo di imprenditori che non ha vergogna di chiudere se le cose non vanno bene». Il 70% proviene dalla regione di Wenzhou, una delle più dinamiche della Cina. Un'altra opzione strategica è il disimpegno dall'Italia e il contestuale investimento in Cina. «Qualche segnale debole - dice Giancarlo Maffei, assessore provinciale di Prato alle Relazioni internazionali dal 1999 al 2004 e oggi consulente che lavora con loro - inizia ad avvertirsi». Come nel caso dell'azienda di famiglia di Alessandro, cinese di 22 anni fidanzato con una coetanea italiana che con cadenza toscana ti spiega: «In Italia c'è recessione, in Cina uno sviluppo impressionante. A Prato come fassonisti riforniamo il programmato del prontomoda. Nella provincia di Jilin vogliamo investire nel business dell'acqua minerale: dalla sorgente alla bottiglia». Va anche considerato un preciso fattore geo-politico: la Cina dal 2000 ha invaso i mercati internazionali con i suoi prodotti a basso costo. «Allora - dice Elena Granata, ricercatrice del Politecnico di Milano - le società cinesi in Italia hanno subito l'urto della madrepatria. Le aziende deboli sono morte. Chi è sopravvissuta si muove con meno affanno nella crisi odierna. E, con la plasticità strategica che le connota, le aziende pratesi possono anche decidere di tornare in Cina».
Diaspora o non diaspora, qui a Prato non tira una bella aria. Sui cinesi, si sta giocando una partita politica. «Il sindaco Marco Romagnoli - dice un esponente del Partito democratico toscano - non verrà ricandidato alle elezioni di primavera». Fra i molti motivi, l'accusa strisciante di non avere saputo gestire il crescente malcontento dei concittadini verso i cinesi, non trovando un punto di equilibrio fra la volontà di integrazione fatta di convegni e iniziative culturali e il pugno duro delle task force coordinate dall'assessore alla sicurezza urbana Aldo Milone, un passato nell'Antiterrorismo e nel Sisde.
Il fastidio lo senti nei bar, sui taxi, nei ristoranti. È appena stato chiuso su Facebook il blog «Via i cinesi da Prato»: erano 44 gli iscritti al gruppo di discussione «Noi di Prato odiamo i cinesi e ne siamo autorizzati» e 528 quelli a «Non sono razzista... ma loro sono cinesi». «È successo adesso - dicono alla Camera del lavoro - che c'è instabilità economica. Quindici anni fa sarebbe stato inconcepibile». Il Caf della Cgil ha analizzato i 730 dei dipendenti del tessile: il loro reddito nominale medio nel 2007 è sceso del 2 per cento. «Non era mai accaduto», assicura Massimiliano Brezzo, segretario in Toscana della Filtea Cgil.
Da un lato ecco una comunità misteriosa con la tendenza a vivere di regole proprie. Dall'altro c'è l'impoverimento che rende tutto più confuso: stati d'animo, percezione della realtà, senso delle cose. «Nel 1990 – ricorda Matteo - io e i miei sette cugini, tutti bambini cinesi fra gli 8 e i 13 anni, passammo il capodanno in giro per la città. Due famiglie pratesi, senza nemmeno conoscerci, ci invitarono in casa e ci diedero il panettone da mangiare e le bibite da bere. Oggi credo che non accadrebbe più».

I DUE DISTRETTI PARALLELI

12mila
Gli addetti nelle aziende cinesi
Nelle 3.500 aziende cinesi (confezioni e prontomoda), operano ufficialmente 12mila addetti. Sarebbero 2mila in più.
1,5 miliardi
Il fatturato sviluppato
Su 3.500 aziende cinesi, sono circa 500 quelle più strutturate. Si stima che il loro fatturato ammonti a 1,5 miliardi, un buon 40% del quale in nero.
8mila
I posti persi nel tessile italiano
Secondo l'Inps, in provincia di Prato a fine 2003 i dipendenti nel tessile erano 24.500. A fine 2007, se ne contavano 16.500.
4.900
Le aziende in meno nel tessile
Secondo l'Istat, nel 1991 le aziende attive nel tessile, dunque italiane, erano 9.156. Nel 2007, dopo una lunga crisi, sono diventate 4.256.

Fonte: ilsole24ore.com

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