11 dic 2007

Abusivo un inquilino su 5. Case popolari, allarme nelle metropoli

Nelle grandi città la povera gente e la bassa manovalanza criminale abitano allo stesso indirizzo. Zen due a Palermo, Quarto Oggiaro a Milano, Corviale a Roma, Scampia a Napoli. Sempre case popolari. I tecnici le chiamano edilizia residenziale pubblica, gli architetti parlano di housing sociale. Definizioni che si sostanziano, per ora, in grandi quartieri con almeno 30 anni di vita. Nella gran parte degradati. E assediati dall’abusivismo. Il futuro? Tutto da scrivere. L’esplosiva fame di casa, soprattutto nelle grandi città, ha convinto il governo a investire nell’edilizia residenziale pubblica: 550 milioni sono stati stanziati dal ministero delle Infrastrutture. Ma la formula magica che permetterà di costruire quartieri vivibili è ancora tutta da scoprire.

La Fenice dell’abusivismo
Secondo Federcasa (associazione che raggruppa Iacp ed ex Iacp) le case popolari occupate in Italia sono 43.350, pari al 5,1 per cento del patrimonio. Il dato non rende la situazione delle grandi città. A oggi— mettendo insieme Milano, Roma, Palermo, Napoli e Bari — gli appartamenti occupati abusivamente sono oltre 26 mila. Uno su cinque. Senza parlare degli alloggi posseduti dai comuni. In alcune città è più facile occupare che avere una regolare assegnazione. Anche perché le assegnazioni sono pochissime. Prendiamo Milano: nel 2006, 322 famiglie si sono aggiudicate la casa perché in testa alla graduatoria, contro 140 che, secondo l’Aler, sono entrate abusivamente. In altre città, se si liberassero per magia tutte le case occupate, si darebbe soddisfazione a quasi tutta la lista d’attesa. A Napoli, per esempio, il fabbisogno registrato all’ultimo bando è di 10 mila alloggi popolari, ben 7.000 gli appartamenti occupati. Quando il bacino degli abusivi diventa troppo ampio, lo si svuota con una sanatoria. A Palermo la sanatoria è in corso. A Napoli c’è stata nel 2000. A Roma i termini scadono il 19 dicembre. A Bari, nonostante siano stati sanati coloro che avevano occupato prima del 30 novembre 2004, gli abusivi sono già il 20-25 per cento del patrimonio. Sconsolato Raffaele Ruberto, il commissario dello Iacp di Bari (tutti i cinque Iacp della Puglia sono stati commissariati nel 2005): «Nell’ultimo anno abbiamo messo a segno oltre un centinaio di azioni di rilascio e 20 sfratti. Ma quello dell’abusivismo è un fenomeno strutturale. Impossibile eliminarlo». Roma è più ottimista. «È vero, abbiamo varato la sanatoria—fa il punto l’assessore alla Casa, Claudio Minelli —. Ma l’obiettivo è bloccare le nuove occupazioni abusive. Nel 2006 abbiamo recuperato 205 appartamenti ». «Per contrastare le occupazioni abusive abbiamo istituito un nucleo di ispettori che, con le Forze dell’ordine, hanno impedito, da gennaio, 605 nuove occupazioni», interviene Luciano Niero, presidente dell’Aler di Milano.

La guerra degli sgomberi
Nei fatti la sfida degli sgomberi è tutta da vincere. «In alcuni quartieri la situazione è delicatissima. Intervenire significa ingaggiare una guerra con la criminalità organizzata», allarga le braccia Gianni Giannini, assessore al Patrimonio del Comune di Bari. Conosce bene l’argomento il presidente dello Iacp di Palermo, Giuseppe Palmeri. «Venerdì scorso un pacco bomba è stato recapitato all’assessorato alla Casa del Comune. Non vorrei che si trattasse di un’intimidazione rispetto alla determinazione ad andare avanti con gli sgomberi», riflette Palmeri. A Palermo, in particolare, gli sgomberi rischiano di diventare interventi militari. Racconta ancora il presidente dello Iacp: «Prendiamo lo Zen due: 1.200 alloggi quasi tutti occupati. Per liberarli servirebbero tremila uomini. Quando in una scuola dello Zen due abbiamo riunito un comitato sicurezza, nella notte hanno bruciato l’istituto. Il messaggio mi pare chiaro, no?». Palmeri ha prima di tutto un timore: essere lasciato solo. Paura condivisa dal presidente dello Iacp di Napoli, Vincenzo Acampora: «Serve una cabina di regia con forze dell’ordine ed enti locali. Con lo scaricabarile non si arriva da nessuna parte».

Costruire sì. Ma come?
Intanto il governo ha stanziato 550 milioni per l’edilizia residenziale pubblica. Per fare che cosa? «L’obiettivo è rendere disponibili 11 mila nuovi alloggi, tra quelli nuovi e ristrutturati. Qualcosa potrebbe essere modificato nel criterio di ripartizione dei fondi—spiega Marcello Arredi, direttore generale del settore Politiche abitative del ministero delle Infrastrutture —. I singoli interventi saranno responsabilità dei Comuni. Dal canto nostro vigileremo ». Nelle grandi città, indipendentemente dal colore della giunta, la linea condotta è duplice. Da una parte vendere parte del patrimonio (lo stanno facendo i comuni di Milano e Torino attraverso il conferimento di una fetta di patrimonio a un fondo immobiliare. Sulla stessa scia Roma e Bari); dall’altra usare i soldi per costruire. Ma vendere per ricostruire che senso ha? «La verità è che i comuni non sono più in grado né di costruire, né di gestire quartieri popolari come si intendevano negli anni ’70», taglia corto Carlo Masseroli, assessore all’Urbanistica di Milano. «Il nostro obiettivo è convincere i privati a riservare quote di affitto calmierato in varie forme nelle nuove costruzioni. Il tutto grazie al conferimento di aree o contributi pubblici», continua Masseroli. E i vecchi quartieri-ghetto? «Dove il degrado ha superato i livelli di guardia c’è solo una strada: abbattere».

Fonte: corriere.it

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