7 nov 2007

Impiegati dei comuni a casa anche 40 giorni l'anno

ROMA - Chiuso per mancanza di personale. Se non fosse per quell'agguerrito plotone di impiegati ligi al dovere che ogni giorno, con la pioggia e con il sole, in salute e in malattia, si ostina a tappare le falle provocate da colleghi troppo cagionevoli o impegnati altrove, le migliaia di uffici comunali sparsi per lo Stivale rischierebbero di aprire solo a discrezione. O di non aprire affatto.

Come è accaduto venerdì scorso, pieno ponte di Ognissanti, allo sportello anagrafico del II municipio di Roma, dove su sei dipendenti in organico, cinque erano assenti per malattia, propria o di un congiunto; quattro dei quali addirittura senza preavviso: gli è bastato fare una telefonata la mattina stessa, riservandosi di produrre il certificato medico. Risultato? I cittadini in fila per chiedere documenti e carte di identità hanno trovato la porta sbarrata. Eppure era un giorno feriale: sfortunatamente incastrato tra un festivo e un sabato.

Eccolo il cancro del pubblico impiego, certificato dal confronto con il settore privato. Secondo gli ultimi dati Istat, relativi però al 2005, il tasso di assenze nel comparto pubblico si attesta al 20.1%, il 54% in più rispetto alla media nelle grandi aziende (fermo al 13.1). Un rapporto di cinque a uno.

La maglia nera va agli enti locali, comuni in testa. A Bolzano si assentano in media 38,9 giorni; a Firenze quasi un mese, ossia 29,8 giorni (di cui 16,6 solo per malattia); a Milano 27; a Genova 26, dove aumentano le richieste ex art.104 che dà diritto a tre giorni al mese per occuparsi di familiari anziani o malati, dato correlato all'anzianità della popolazione ligure che è la più vecchia d'Italia.

Ma la linea dura sta facendo scuola se è vero che la Sise siciliana, gestore del 118 in convenzione con la Regione, ha licenziato 30 autisti soccorritori che dal primo settembre avevano totalizzato ben 40 giorni di assenza per malattia.

Anche a Roma la risposta dell'assessore capitolino al Personale e all'Anagrafe Lucio D'Ubaldo, che oggi porterà i provvedimenti in giunta, non s'è fatta attendere: ispezione immediata; sostituzione del direttore dell'Anagrafe centrale; proposta di rimozione del direttore del II municipio; riorganizzazione gerarchica dei 35 uffici anagrafici dislocati sul territorio cittadino, che d'ora in poi saranno obbligati a raccordarsi con l'Anagrafe centrale, cui chiedere rinforzi e lumi in caso di emergenza.

Emergenza che ormai è regola. Lo dimostrano i dati elaborati dal nuovo sistema informatico integrato che rileva le presenze dei comunali, entrato a regime il primo giugno. Dal quale risulta che ogni giorno disertano l'ufficio tra 6mila e 7mila impiegati full time, uno su quattro, il 25% del totale, che oltre alle ferie sommano più di un mese l'anno di assenza (32.5 giorni) per congedi, malattie, permessi sindacali, assistenza a familiari e chi più ne ha più ne metta.

Cifra che schizza fino a 50 giorni pro-capite in base a un complesso calcolo statistico che tiene conto anche quanti svolgono servizio esterno e non sono perciò tenuti a timbrare il cartellino: dai vigili urbani ai giardinieri pubblici. Ma attenzione: dal computo restano sempre escluse le cosiddette "presenze virtuali", ossia godute da chi, pur stando in giro per fatti suoi, risulta comunque al lavoro perché a disposizione dell'amministrazione. L'emblema è l'istituto del "cambio assegno", che consente a tutti i dipendenti comunali di assentarsi due ore al mese per convertire lo stipendio in banca anche quando viene accreditato direttamente sul conto corrente.

I numeri parlano chiaro: ogni impiegato capitolino è obbligato, da contratto nazionale, a lavorare 1.644 ore l'anno, al netto delle ferie; quelle effettivamente prestate sono 1.212. Mancano all'appello 432 ore, pari a 60 giorni lavorativi (di 7 ore e 12 minuti), media che si abbassa a 50 giorni considerando i dipendenti in servizio esterno.

Fonte: repubblica.it

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