5 nov 2007

Ecco l'Italia dei raccomandati

Il nuovo libro di Floris: messa a nudo l’altra casta dell’Università

Prendiamo Giorgio Giachetti, fiorentino di 32 anni: 9 anni fa si laurea in scienze naturali con 110 e lode; vince due borse di studio, si specializza con il massimo dei voti in scienze e tecniche delle piante officinali. Ottiene un dottorato di ricerca e produce una decina di pubblicazioni internazionali, si specializza in botanica farmaceutica e decontaminazione del terreno mediante l’utilizzo di piante con effetto spugna. Oggi fa l’istruttore di scuola guida, grazie ad un contratto a tempo determinato. Prendiamo Patrizia De Pasquale. Fallisce l’azienda in cui lavora, e lei manda il suo curriculum in giro. Un giorno le squilla il cellulare. Una ragazza, molto cortese, le comunica la buona notizia: il call center a nome del quale sta chiamando, è felice di comunicarle l’assunzione, in qualità di operatrice. Patrizia ci pensa un attimo e poi sbotta: «Ma vaff….». La De Pasquale è ingegnere, ha 32 anni,, ha frequentato un master in Business Strategy e, soprattutto, i call center li progetta. Patrizia il lavoro ancora non l’ha trovato. Ha spedito ottomila curricula in 3 anni, le hanno risposto tre aziende, ha aperto un sito internet di consulenza, ma di andare a lavorare come operatrice a 6-700 euro al mese non se la sente proprio. Prendiamo Tommaso Gori, che era un ricercatore dell’Università di Toronto. Ora si trova in Italia, ma prepara le valigie per tornare all’estero.

Nel 2001 il governo offrì ai cervelli italiani fuggiti all’estero una sorta di contratto quadriennale presso le Università italiane, dando poi a quest’ultime la possibilità di assorbire nel corpo docente (per il 95% a spese dello Stato) i ricercatori rientrati. Era un progetto nato per far rientrare in Italia i cosiddetti «cervelli in fuga», e fino a che si è trattato di ospitare dei ricercatori «stranieri» tutto ha funzionato a dovere. Quando però è stato il momento di far diventare professori gli oriundi, il meccanismo si è inceppato, perché è andato in collisione con gli interessi dei Baroni che le cattedre intendono gestirle direttamente. Molte Università allo scadere dei quattro anni concordati rifiutano di stabilizzare nel corpo docente questi cervelli strappati alla concorrenza straniera: il loro stipendio verrebbe pagato direttamente dallo Stato (anche se i fondi, denunciano le università in questione, per difendersi, stentano ad arrivare), ma i posti da docenti sono tutti già prenotati, già promessi agli amici degli amici. Su 446 ricercatori rientrati ne sono stati «assorbiti» circa 40: neanche il 10%. Li abbiamo fatti fuggire, poi li abbiamo richiamati in Italia, adesso non sappiamo che farci...

Una visita al Policlinico
Una passeggiata per i corridoi di uno dei Policlinici romani può aiutare a capire con quali criteri si selezionano, in Italia, le élite che dovrebbe trainare il resto del paese. L’intera struttura è nelle mani di poche famiglie, e avvalendosi di un’apposita legenda si scopre un esempio di come l’università sia ormai diventata un feudo di poche casate.(...) Iniziamo da Odontoiatria: due i professori associati, uno è il figlio del direttore generale dello stesso policlinico, l’altro è il figlio del docente di Clinica odontoiatrica, potente direttore del Dipartimento in Scienze odontostomatologiche in un’altra Università. Nello stesso corso di laurea troviamo come professore associato di chirurgia il primario di un altro policlinico, nipote di un autorevole ordinario di chirurgia. Ordinaria di medicina è la figlia di un potente palazzinaro romano, anche moglie dell’ordinario di Radiologia, mentre la brillante prof che ha bruciato i colleghi ricercatori riuscendo a diventare ordinario di odontoiatria in tre anni è la figlia del presidente dei chirurghi italiani oltre che moglie del professore ordinario di cardiochirurgia. In un altro dipartimento vive un’intera famiglia. Il professore ordinario a otorinolarigoiatria può contare sull’aiuto del figlio maggiore, associato a otorinolaringoiatria, e di quello minore, ricercatore. Così il professore associato di medicina interna è il figlio del professore ordinario di Biochimica, mentre il professore associato di urologia, è il figlio dell’ordinario di Biochimica, rettore di università.... Se cambiamo città, infatti, non cambia il quadro generale.

Se andiamo a Bologna troviamo nel corpo docente dell’Università figlio, nuora e suocera del rettore. A Firenze il rettore è ordinario di Economia agraria ed estimo rurale: suo figlio ha vinto nel 2002 il posto da ricercatore di Economia agraria ed Estimo rurale (gli altri tre aspiranti al posto di ricercatore persero la gara ritirandosi prima delle prove). Naturalmente col tempo il rampollo è diventato Prof, ed ora insegna nell’Università di cui il padre è Rettore. C’è poi la tenera storia d’amore tra i due docenti: lui è stato il presidente delle tre commissioni d’esame che hanno assegnato a lei (in ordine di tempo): 1) l’incarico per il progetto ospedaliero di prevenzione delle infezioni dei neonati, 2) l’incarico da dirigente medico di ruolo, 3) il posto da professore associato di pediatria generale. Attenzione a non fare, però, di ogni erba un fascio. In Italia ci sono 60.251 docenti, e non sono tutti parenti di Qualcuno con la q maiuscola. Sono in molti casi persone che per avere riconoscimenti al proprio merito hanno dovuto ingoiare parecchi rospi. Basti pensare ad un concorso per la cattedra di otorinolaringoiatria bandito nel 1988, dichiarato irregolare da almeno 10 sentenze, denunciato da un’infinità di articoli, quattro libri ed una decina di interrogazioni parlamentari: bene, il professore che l’ha vinto insegna tranquillamente ortorinolaringoitaria, ormai da 18 anni. Ma la capitale del nepotismo è Bari, senza alcun dubbio: il padre professore ha messo a contratto la figlia, senza concorso, nella facoltà di cui è preside; il vecchio professore di medicina ha presieduto la commissione d’esame che ha promosso il cognato di suo figlio; ben otto professori universitari che insegnano ad Economia hanno lo stesso cognome, e non è un caso di omonimia. A Medicina il padre, eletto preside, ha lasciato al figlio la direzione della scuola di specializzazione: certo, aveva vinto la selezione, ma (guarda un po’) era l’unico candidato! Qualche tempo fa fu il più importante giuslavorista italiano, Gino Giugni, a mettere nero su bianco la denuncia: «Nella mia qualità di collega tra i più anziani - ha scritto su Labourlist, la mailing list della categoria - prendo spunto da diversi episodi recenti per manifestare la mia preoccupazione di fronte a quella che mi appare una degenerazione grave nei rapporti interni alla nostra comunità scientifica. I concorsi per diventare professore o ricercatore universitario sono sovente predeterminati secondo logiche non meritocratiche... C’è una gestione combinata nella selezione dei giovani studiosi». Ai concorsi, spiegava Giugni, «partecipano tanti candidati quanti sono i posti in gara perché si sono scoraggiati i migliori dal proporre o mantenere la propria candidatura». E «scoraggiare» è un eufemismo... Una serie di indagini ha portato la Guardia di Finanza a scoprire una sorta di «cupola» formata da cardiologi di chiara fama, baroni che pilotavano le carriere di professori e aspiranti tali. Le indagini dei finanzieri hanno portato ad accertare un’infinità di atti illeciti. Basti pensare al modo in cui uno dei baroni «preparava» il concorso del figlio: dalle intercettazioni si ricostruisce dapprima il suo impegno per cercare una commissione favorevole, poi il momento in cui comunica al figlio il tema dell’esame, infine il tentativo di procurargli il testo dell’esame già svolto. Secondo gli atti dell’inchiesta ad un candidato che non accettava di ritirarsi venne trasmesso questo Sms: «Il professore ha fatto avere il tuo indirizzo a due mafiosi per farti dare una sonora bastonata». Lezioni di vita. Giovanni Floris è autore e conduttore di Ballarò, quest’anno alla sesta edizione. Nato a Roma, ha 39 anni. Laureatosi in Scienze Politiche alla Luiss di Roma nel 1991 con una tesi in Sociologia politica, frequentò successivamente per due anni la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia. Superato l'esame da giornalista, fu assunto dal Giornale Radio Rai nel 1996, dove fu inviato e conduttore. Come tale ha seguito i maggiori avvenimenti di politica, esteri ed economia, realizzando inchieste in Europa, Sud America e Asia. Ha condotto il Gr del mattino e Radio anch’io; è stato corrispondente dagli Usa. In particolare, si trovava a New York all'epoca dei fatti dell'11 settembre 2001. Dopo quella esperienza, fu nominato inviato speciale a New York, dove si trasferì. Dopo un anno, nel 2002, divenne conduttore del nuovo talk-show Ballarò, che lo ha portato alla notorietà. Vincitore di premi come il St. Vincent, Premiolino, Flaiano, Guidarello e Telegatto, ha pubblicato diversi saggi in materia economia, politica e sociale. Per Rizzoli ha pubblicato Monopoli (2005) e Risiko (2006).

Fonte: lastampa.it

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