2 nov 2007

Angela, la pentita della 'ndrangheta. Amante e moglie di boss, ha scelto di parlare

Un verbale di interrogatorio della prima donna che ha "tradito" la potentissima organizzazione calabrese dopo che le hanno ucciso il figlio

CATANZARO - Amante e moglie di due boss della 'ndrangheta, ex amica anche dell'assassino del figlio, "affiliata" alla cosca di Lamezia Terme, ora ha deciso di pentirsi svelando 20 anni di storia, misteri ed omicidi anche "eccellenti" alla squadra mobile di Catanzaro. Per la 'ndrangheta, che basa (molto più di Cosa Nostra) la sua forza su strettissimi rapporti famigliari, è un colpo durissimo. Il "pentito" nelle cosche calabresi è una figura rarissima.

Angela Donato è madre di Santino Panzarella, ucciso due anni fa. Venne assassinato perché aveva una "storia" con la moglie di un altro boss della 'ndrangheta che era in carcere. Fu sequestrato e ucciso; il suo corpo fatto a pezzi e gettato in un torrente. Soltanto alcuni mesi fa, grazie alla collaborazione di un pentito, sono stati ritrovati tracce di Santino Panzarella: un osso del piede che l'esame del dna ha permesso di attribuire al giovane. Adesso la donna vive sotto una discreta scorta della polizia. Le "voci" a Lamezia Terme del suo pentimento girano insistentemente e si teme per la sua vita.

Storia di una donna di 'ndrangheta. Ecco il suo racconto fatto agli uomini della squadra mobile di Catanzaro. "Agli inizi degli anni sessanta emigrai da Marcellinara a Lamezia Terme dove conobbi il padre dei miei figli Panzarella Sebastiano il quale era un agricoltore che conduceva un fondo a Marina di Acconia. Invero in quegli anni in Lamezia Terme abitavo presso la famiglia Vescio alla quale prestavo i miei servigi in qualità di domestica. Successe che con Vescio Giuseppe, il quale era un appartenente alla Criminalità Organizzata, intrattenni anche un rapporto sentimentale che mi iniziò alla conoscenza dell'allora compagine criminale lametina".

"Ancor prima alloggiai presso una mia amica il cui compagno era amico della famiglia De Sensi il cui capo, Antonino De Sensi per un certo periodo fu capo dell'intera Criminalità Organizzata lametina. Per suo tramite conobbi Luciano Mercuri, Cadorna, Egidio Muraca e sua moglie, Cannà e tutti i capi dell'epoca dai quali ero visibilmente stimata per le mie capacità e la mia intraprendenza".

La proposta d'iniziazione. "Successe che addirittura mi venne proposto di essere " battezzata" con il rito "'ndranghetistico" ma che effettivamente non fu mai attuato poiché dissi apertamente che volevo essere amica di tutti ma non volevo alcun vincolo verso una persona o un gruppo in particolare e che avevo lasciato il mio paese di origine per un miglioramento delle mie condizioni di vita che non potevo sicuramente trovare negli obblighi che mi avrebbe comportato l'affiliazione ad una famiglia mafiosa. Questa mia presa di posizione sebbene apparisse inconsueta fu tenuta in considerazione per la mia risolutezza e fu comunque talmente apprezzata al punto tale che fui comunque considerata una di loro e quindi partecipavo attivamente seppur con ruoli marginali a tutti i discorsi che riguardavano le loro attività delittuose".

Le regole della 'ndrangheta. "Appresi così fin dalla giovane età, (avevo circa venti anni) le regole con le quali la ndrangheta gestisce gli affari delittuosi che a quell'epoca consistevano soprattutto nel contrabbando di tabacchi. In quell'epoca cominciarono anche i sequestri di persona e qualche omicidio. Essendo inserita in quella famiglia conobbi personalmente i protagonisti dell'epoca tra i quali Cerra Nino, e comunque la famiglia Torcasio di cui vi riferirò in seguito. Per mezzo dell'amicizia di Vescio Giuseppe cominciai anche a lavorare presso l'ospedale civile di Nicastro dove conobbi Sebastiano Panzarella, quest'ultimo del pari di Vescio, inserito nella Criminalità Organizzata . Con Panzarella Sebastiano inizia una convivenza nel suo luogo di origine che era Acconia di Curinga. Panzarella Sebastiano si occupava di contrabbando, di guardianie dei fondi agricoli e comunque aveva buoni contatti con le famiglie criminali di Nicastro. Panzarella Sebastiano riuscì ad ottenere una guardiania molto importante infatti fu "assunto" dalla ditta Asfalti Sintex che stava eseguendo dei grossi lavori stradali da Campora San Giovanni a Serra Aiello. Invero aveva buoni contatti anche con le famiglie criminali di Cosenza che avevano il controllo di quei lavori per cui, sebbene fosse di fuori zona fu favorito per la garanzia di quel cantiere".

La morte del marito. "Panzarella effettivamente subì parecchie vicende giudiziarie e numerosi periodi di detenzione nel corso dei quali tra i processi ed i colloqui in carcere ebbi modo di consolidare i rapporti con i familiari di altri codetenuti e di altri coindagati e quindi, fino alla morte di mio marito avvenuta nel 1985, di conoscere l'evolversi delle compagini criminali, soprattutto di Lamezia Terme e del comprensorio lametino. Infatti con i familiari dei detenuti ci vedevamo spesso alle carceri o in occasione dei processi e quindi da loro stessi apprendevo di che cosa si occupassero le varie famiglie".

Omertà e rispetto. Nei miei confronti non vi erano assolutamente delle riserve poiché godevo della loro massima fiducia in quanto avevo più volte dimostrato che sebbene fossi una donna, avevo saputo tener fede ai vincoli di omertà e mi ero messa a disposizione fattivamente per ogni emergenza. Ad esempio quando abitavamo a Curinga vi fu un grosso traffico di sigarette ed ero io stessa mi occupavo dello smistamento in quanto potevo facilmente eludere i controlli delle forze dell'ordine. Un'altra volta addirittura mi trovai ad accompagnare tre evasi che si chiamavano Scriva, Dattilo e Belvedere e quindi avevo avuto modo di dimostrare che non solo avevo coraggio ma ero una persona per loro affidabile. Peraltro in quel periodo abitavo anche vicino al vecchio Tribunale di Lamezia Terme ed avevo modo di seguire costantemente i vari processi e quindi di incontrarmi con tutti. Per un certo periodo addirittura prestai servizio presso la casa dell'allora Procuratore di Lamezia Terme che era di Cosenza".

Da qui, da queste rivelazioni della donna-boss sono partite numorose inchieste sulla ndrangheta, sulla finta morte di Belvedere e sugli assassini del figlio uno dei quali si è poi pentito.
Fonte: repubblica.it

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