7 mar 2015

Chi paga i cassintegrati di lusso di Alitalia?

Il caso Alitalia

Ricordate la promessa che la cassa integrazione extra-lusso dei dipendenti Alitalia non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani? Non è andata così

Ricordate la promessa che la cassa integrazione extra-lusso dei dipendenti Alitalia non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani? Non è andata così. Lo denuncia un dossier Inps: il «fondo volo» pesa sulla fiscalità generale addirittura per il 96%. E ancora oggi, sette anni dopo il «salvataggio» della «italianità» della compagnia, i cittadini mantengono tra i quasi diecimila cassintegrati 152 che prendono da dieci a ventimila euro. Più due che sfiorano i trentamila.
Per capire la gravità dell’accusa dell’Istituto presieduto da Tito Boeri, che ha deciso di mettere on-line i dati così che gli italiani possano vedere quanto certi privilegi siano insostenibili, va fatto un passo indietro. E va riletta un’Ansa dell’aprile 2006 dove, con la notizia della operatività del Fondo speciale per il trasporto aereo istituito dal governo Berlusconi nel 2004, si spiegava: questo fondo «opera presso l’Inps senza oneri per la finanza pubblica». Un impegno ribadito, nel corso degli anni, più volte.
Ma è così? Basta intendersi sulle parole. Da anni infatti questa «cassa» è alimentata da una specie di pubblico pedaggio pagato da ogni passeggero che tocca un aeroporto nazionale. All’inizio era di un euro. Poi è salito a due. E infine a tre. Soldi che pesano sui biglietti, quindi sui cittadini che volano e in definitiva, dato che chi vola per lavoro da qualche parte scarica poi le spese di viaggio, su tutti gli italiani.

Come una vera e propria sovrattassa

Una tabella sulle fonti di finanziamento del «fondo» da 2007 al 2014 dice tutto: la quota dei contributi delle aziende e dei lavoratori del settore cala al 4%, quella della gabella sui biglietti s’impenna fino al 96%. Anzi, nel 2013 addirittura al 98%: «5,4 milioni di euro dalle aziende e dai lavoratori del settore e 217,8 milioni dai “3 euro a biglietto”».
Assurdo, accusa l’Inps. Tanto più che questa tassa è caricata «indipendente dal costo del biglietto. Chi viaggia low cost paga tanto quanto chi viaggia in business». Per il resto, il Fondo è «alimentato da un contributo sulle retribuzioni a carico dei datori di lavoro (0,375%) e dei lavoratori (0,125%) del settore» ma questo versamento è calcolato solo su una parte della retribuzione: «Ad esempio, un pilota che percepisce un salario mensile di 10.000 euro, di cui circa 4000 euro di indennità di volo, versa al Fondo un contributo di 7,5 euro mensili». Dopo di che, se resta a spasso, ne prende circa 8000: mille volte di più.
Fatti i conti, i costi per contenere il più possibile i disagi dei dipendenti delle compagnie aeree finiti in mobilità e soprattutto dei piloti e del personale di volo che già venivano da una storia di privilegi (si pensi che nel ‘97 il trattamento per piloti e personale di volo prevedeva la pensione a 47 anni e un’età minima contributiva di soli 23 e tutto ciò due anni dopo la riforma Dini!) sono cresciuti e cresciuti, al di là della truffa dei furbi beccati a lavorare per altre compagnie straniere, fino a diventare esorbitanti.
Per capirci, dice l’Istituto di previdenza, il fondo «preleva circa 220 milioni all’anno dai contribuenti, più del finanziamento annuo per la lotta alla povertà attraverso il Sostegno di inclusione attiva». Per un totale, dal 2007 al 2014, di quasi un miliardo e 400 milioni di euro. Una somma stratosferica. Servita per pagare ai cassintegrati delle varie compagnie aeree in crisi 80% «della retribuzione comunicata dall’azienda all’Inps al momento della richiesta del trattamento integrativo, fino a un massimo di 7 anni».

Il che ha significato il pagamento nel 2012, l’anno di picco, di 4366 assegni mensili superiori ai 2000 euro, 896 superiori ai 5mila, 399 superiori ai 10mila e 35 che sfondavano addirittura i 20 mila euro lordi. Oggi, certo, sono calati. Ma esistono ancora «casi limite in cui la prestazione si avvicina ai 30 mila euro lordi al mese». Cifre da capogiro rispetto al tetto di 1168 euro previsto per la cassa integrazione dei comuni mortali.
E non è finita qui. Alla vigilia dell’ultimo Natale, con gli italiani distratti dagli ultimi (magri) acquisti, il ministero del Lavoro nella scia della abrogazione avvenuta nel 2013 della soppressione del «fondo volo» prevista per il 2014, ha prospettato in una nota che questo Fsta possa trasformarsi, dal 1° gennaio 2016, in un fondo di solidarietà. Fosse prorogata anche la sovrattassa sui ticket aerei, dice l’Inps, «il Fsta diverrebbe l’unico fondo di solidarietà alimentato prevalentemente da proventi a carico della fiscalità generale».
Di più: «Nell’agosto e nel dicembre del 2014 sono stati raggiunti, per importanti crisi del settore, accordi a livello governativo con le parti sociali, che prevedono una estensione della durata della prestazione di ulteriori due anni, fino ad un massimo di 9 anni». Nove anni! All’80% dell’ultimo stipendio. Più i contributi. E quasi tutto a carico dei cittadini.
Ma non basta ancora. Spiega infatti l’Istituto guidato da Boeri che dopodomani, lunedì, «è convocata una riunione del Comitato Amministratore del Fondo per discutere, fra gli altri argomenti, la possibilità di erogare le prestazioni del Fondo anche ad aziende che non hanno la regolarità contributiva». Cioè quelle che, violando le leggi, non erano in regola neppure nel versamento dei contributi dei dipendenti. Una vera ciliegina sulla torta...


Fonte: corriere.it

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