17 ott 2013

Sedriano, il consiglio comunale sciolto per mafia. Il sindaco Alfredo Celeste non si dimette.

Consiglio sciolto per mafia, il sindaco: «Non mi dimetto, accuse infondate»
Alfredo Celeste non lascia la poltrona di primo cittadino a Sedriano: «Questo scioglimento è un atto politico»

Per la prima volta in Lombardia un consiglio Comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Si tratta di Sedriano, 11 mila abitanti. Ma il sindaco in carica, Alfredo Celeste (Pdl), 60 anni, professore di religione, eletto nel 2009 e oggi indagato per corruzione, non accetta la decisione di Palazzo Chigi.

Professor Celeste, entrate nella storia con un’onta. Non si sente in colpa?
«No, non mi rimprovero niente, perché questa accusa è infondata e lo dimostreremo. Chiederemo al Tar e poi al Consiglio di Stato la sospensione e poi l’annullamento del provvedimento. Io resto qui a governare fino all’arrivo della commissione che mi sostituirà. Questo scioglimento è un atto politico, serviva a conclamare che in Lombardia la mafia c’è e di questo anch’io ne sono convinto. Ma non c’è in Comune a Sedriano. E’ un’accusa infamante nei confronti dei cittadini sedrianesi in primis, poi nei confronti dei funzionari comunali, che sarebbero corrotti o comunque succubi nei confronti delle richieste della criminalità organizzata».

Lei è indagato di corruzione da un anno a questa parte. Perché non si è dimesso né dopo l’arresto, né dopo l’insediamento della commissione prefettizia e neppure quando la Procura ha chiesto per lei la sorveglianza speciale?
«Perché l’accusa non è fondata e lo dicono le carte e perché io sono stato indagato come sindaco, nelle mie funzioni. Sia ben chiaro, il ricorso al Tar lo pagherò di tasca mia, il Comune non spenderà un euro. Io non sono corrotto, lo scrivono i carabinieri e anche il pm. Io resisto e mi difendo nei confronti di un’ingiustizia. Sarei felice di mandare tutto all’aria e di mandare quel paese i miei denigratori, ma qui siamo in presenza di un’ingiustizia conclamata. Attendo le motivazioni che saranno pubblicate insieme al decreto di scioglimento e poi mi difenderò, come è mio diritto. Questo clamore darà la forza di continuare a farlo anche ad altre persone nella mia stessa situazione».

Chiedendo per lei la sorveglianza speciale, il pm Alessandra Dolci scrive che lei non ha denunciato il tentativo di corruzione da parte di Eugenio Costantino, imprenditore legato al clan Di Grillo, e questo non è accettabile da un pubblico amministratore.
«L’episodio a cui si riferisce la Procura avvenne qui nel mio ufficio, nel 2011. Costantino mi fece capire che se gli avessi affidato dei lavori lui mi sarebbe stato riconoscente. L’ho allontanato subito dall’ufficio e poi non ho più avuto rapporti con lui, se non sporadici. Non dimentichiamo che lui era il referente politico di zona di un partito alleato con il Pdl, la Democrazia cristiana per le autonomie. Ma soprattutto io non sapevo che lui appartenesse a un clan mafioso e anche questo lo scrive il pm nella richiesta di rinvio a giudizio».

Perché non ha denunciato il tentativo di corruzione in ogni caso?
«Forse è stata leggerezza, ma in quel momento pensavo che bastasse metterlo alla porta. D’altronde non mi ha offerto soldi o altro. Se l’avesse fatto sarei andato subito a farlo. Al tribunale del riesame ho poi riferito questo episodio ».

Perché in un’intercettazione lei dice a Costantino «Tu sei il mio idolo»? E perché gli chiede di venire a una serata - madrina Nicole Minetti - a fronteggiare i contestatori?
«Ma la prima era una chiara presa in giro, una battuta. Quanto alla Minetti, quella sera io feci almeno altre 50 telefonate perché volevo che alla premiazione ci fosse pubblico, lui era un esponente politico e per questo era stato invitato come tanti altri. Chi era presente sa che quella sera non c’era nessun servizio d’ordine di picciotti mafiosi o simile, come alcuni hanno millantato».

Secondo l’accusa, a governare in Comune non era lei, ma Eugenio Costantino e Marco Scalambra, chirurgo e accusato di essere un collettore di voti della ‘ndrangheta per il Pdl.
«Questo è assolutamente falso. Intanto queste persone non frequentavano gli uffici comunali. E comunque ogni pratica qui segue gli iter legislativi, con i pareri degli uffici, della segreteria, del legale a seconda di quali atti si tratta. E dove sarebbe questa mia sottomissione, se Costantino in un’altra intercettazione si sfoga dicendo che io non gli do mai i lavori? E precisiamo, per legge i lavori vengono affidati dagli uffici con le gare, non direttamente dagli amministratori».

La procura definisce persone come lei «qualificati ausiliatori dell’organizzazione (mafiosa). In particolare costoro sono espressione di una pericolosità sociale intensa e ancora più insidiosa in quanto apparentemente invisibile». Come si sente nell’esser definito in questo modo?
«Provo grande indignazione e sento ancora di più la necessità di affermare la verità. La mia vita è stata rivoltata come un calzino e non hanno trovato uno straccio di elemento che mi colleghi alla mafia. Mi trovo a difendermi non da qualcosa che ho detto nelle mie telefonate, ma da cose dette da altri. E ci sono errori grossolani. Costantino mi avrebbe portato voti? Ma quando, se per l’elezione a sindaco di un paese sotto a 15 mila abitanti non ci sono preferenze. E mi avrebbero fatto eleggere a Roma? Col Porcellum? Cose da pazzi».

Sabato in piazza del Seminatore la Carovana Antimafia e i gruppi di opposizione organizzano una manifestazione antimafia. ..
«Per loro sono già condannato, anche se non sono ancora stato neppure rinviato a giudizio. E’ stato così fin dal mio arresto. La costituzione e il principio dei tre gradi di giudizio a loro avviso vale per tutti, tranne che per me».


Fonte: corriere.it

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