15 giu 2013

Il prefetto Francesco La Motta, la corruzione e i soldi sul conto in Svizzera

Il prefetto arrestato e i regali preziosi, ecco come nasceva la corruzione
«Operazioni opache»: indagini sulla gestione di Francesco La Motta dei dieci milioni depositati sul conto cifrato in Svizzera

ROMA - A Natale, quando al Viminale arrivavano costosi regali spediti dalla banca svizzera Hottinger e destinati a prefetti e funzionari addetti ai fondi Fec, nessuno si stupiva. In quel dipartimento lo sapevano tutti che i soldi erano all'estero sin dal 2006, eppure facevano finta di nulla. La legge vieta alle istituzioni pubbliche di trasferire beni fuori dai confini, ma loro non se ne preoccupavano. Sino all'aprile scorso, quando la notizia dell'inchiesta non è diventata pubblica e l'allora ministro Anna Maria Cancellieri ha istituito una commissione per ricostruire i passaggi chiave degli investimenti e scoprire chi li avesse autorizzati. Per recuperare la somma era comunque troppo tardi. I fondi erano ormai spariti, i guai giudiziari appena cominciati. L'ordinanza di cattura del prefetto Francesco La Motta e dei suoi presunti complici nelle ruberie di Stato, svela che cosa è accaduto negli ultimi anni nelle stanze del ministero dell'Interno. Ma rivela anche come quei 10 milioni di euro siano stati depositati sul conto svizzero «400500» della Hottinger, che risulta poi duplicato, poi spostati su una società di Chiasso, infine si siano praticamente volatilizzati. E come questo sia successo senza che nessuno - tra chi aveva la responsabilità del Fec dopo il passaggio di La Motta al vertice dell'Aisi, l'agenzia dei servizi segreti civili, avvenuto nel 2007 - si prendesse la briga di controllare come veniva realmente gestito il denaro.

Le mail contro il prefetto - «Gli investimenti - accusa il giudice - sono stati effettuati con un meccanismo assai complesso e poco trasparente che non prevedeva assolutamente il deposito degli utili nel conto corrente infruttifero acceso presso la tesoreria centrale. Non è mai stata acquisita periodicamente una precisa rendicontazione». E dopo aver marcato «l'opacità dell'operazione e la sua assoluta antieconomicità per la Pubblica Amministrazione al di là del successivo svuotamento del conto», sottolinea come «non appare affatto inverosimile che la Hottinger, società riconducibile a Zullino, soggetto in stabili rapporti con la criminalità organizzata campana, sia stata costituita al precipuo scopo di gestire anche il patrimonio del Fec». È stato proprio Zullino il primo a decidere di collaborare con i magistrati, assumendosi le proprie responsabilità. Ma ben prima del suo arresto aveva indicato nel prefetto La Motta l'unica persona che poteva decidere che cosa fare dei soldi. Il 3 maggio scorso, rispondendo via mail a un funzionario del Viminale che gli chiede dove sia il denaro «Zullino invita l'interlocutore a chiedere chiarimenti a La Motta, che ha sempre avuto mano libera ad operare sul conto svizzero».

Biglietti di auguri e doni
Nel dicembre 2011 La Motta e i personaggi che hanno investito i 10 milioni del Viminale all'estero sono preoccupati perché il consiglio di amministrazione del Fec potrebbe chiedere il rientro dei soldi. E dunque, sottolinea il giudice nell'ordinanza di cattura, decidono di «ingraziarsi i membri del Fec al fine di dissuaderli dall'iniziativa di chiudere il conto presso la banca svizzera Hottinger, nell'evidente timore che si scoprissero i milionari ammanchi». Le frenetiche conversazioni trascritte e analizzate in un'informativa consegnata al pubblico ministero Paolo Ielo dai carabinieri del Ros, svelano chi siano i destinatari delle loro attenzioni. Scrivono gli investigatori dell'Arma: «In occasione delle canoniche festività Tartaglia non manca di omaggiare i solerti consiglieri ma, facendo sua l'indicazione fornita dal prefetto La Motta, vuole che i biglietti augurali siano a firma di Zullino su carta intestata della Hottinger. Lui si accolla il gravoso e dispendioso compito di provvedere all'acquisto dei regali e alla relativa consegna, tramite una persona di sua fiducia. In una telefonata tra Zullino e Tartaglia quest'ultimo afferma infatti che «Franco vuole 4 biglietti a firma Zullino». Il broker chiede se «deve darli a quei rompi c... del Fec» e Tartaglia conferma chiedendo di intestare le buste Pria, Di Maro, Polillo, Paniccia e convenendo che «deve mandarlo anche a Falzone». Si tratta di nomi puntualmente ritrovati nell'organigramma del Fec a partire dal prefetto Angela Pria, attuale capo del Dipartimento; il prefetto Lucia di Maro, direttore del Fec; la dottoressa Mirella Polillo, direttore amministrativo contabile area IV bilancio e consultivo; il ragionier Giulia Paniccia, funzionario amministrativo ufficio pianificazione e affari generali; il dottor Roberto Falzone, dirigente di II fascia area IV bilancio e consultivo».

I milioni sul conto segreto
Dichiara Zullino durante l'interrogatorio del 13 maggio scorso: «Prima di lasciare il Fec il prefetto La Motta ha richiesto l'apertura di un collaterale, ossia un finanziamento garantito dalle somme in essere sulla relazione bancaria e ivi investite. Una linea di credito che crebbe parallelamente al crescere del valore dell'investimento effettuato dal Fec sul conto Hottinger fino ad assumere un valore pari all'80 per cento». Ma la vera stranezza sono i trasferimenti alla società «Silgocom Sa» di Chiasso che secondo gli inquirenti potrebbe essere stata il veicolo per far sparire i soldi. Scrive il giudice dopo aver esaminato la documentazione contabile: «A fronte dei 10 milioni e 52mila euro che il Fec ha trasferito alla Hottinger, un milione e 145mila euro dovrebbero essere rientrati nella disponibilità del Fec ma non è stato possibile rinvenire alcuna indicazione sulle modalità; sei milioni e 500mila euro risultano trasferiti alla "Silgocom Sa" dai due rapporti intestati al Fec; sul conto Fec dovrebbe esserci una disponibilità finanziaria di due milioni e 400mila euro, che invece, per mancanza di specifiche informazioni non risultano disponibili».


Fonte: corriere.it

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