16 lug 2010

Sica, il finto «scemo della compagnia» che sognava di fare il governatore

Dalle minacce a Verdini al dossier taroccato
Caldoro: «Ho avuto paura per mia figlia»

NAPOLI — Forse non è affatto ’o cchiù scemo da ’a compagnia, come, con comprensibile minimalismo, ha provato a definirsi adesso che il guaio è bell’e combinato. Mentre i veleni napoletani tracimano fino a lambire Palazzo Chigi, Ernesto Sica, il falstaffiano ex ragazzo prodigio della politica campana (dicono che abbia perso 40 chili per compiacere i canoni estetici di Berlusconi e sedersi così su uno scranno da assessore regionale), si racconta «distrutto» e «vittima di una leggerezza», prima di affrontare (ieri sera) la piccola battaglia comunale a Pontecagnano (il paese del Salernitano di cui è sindaco) e in attesa di una prova più dura venerdì, quando ha promesso la sua verità in una conferenza stampa che a Napoli inizia a profilarsi come un’ordalia. Eppure non pare una piccola rotella dell’ingranaggio questo transfuga demitiano dalle molte cariche (si tiene stretta anche la poltrona di presidente del consorzio aeroportuale e a fatica ha mollato quella da assessore provinciale di Salerno).

Voci di dentro del Pdl sussurrano che avesse portato direttamente ai massimi livelli romani il dossier su Stefano Caldoro, un puro tarocco grazie al quale Denis Verdini avrebbe poi premuto sul futuro governatore della Campania per farlo ritirare dalla corsa a vantaggio dell’impresentabile Nicola Cosentino. Vera o falsa che sia la circostanza in questa giostra di dolori e rancori che è diventato il centrodestra napoletano, è difficile non intravedere dietro l’ambizioso giovanotto, folgorato dal berlusconismo ma un tempo noto per le faraoniche feste nazionali della Margherita a Pontecagnano, uno sponsor ben più prestigioso di Nick U’ Mericano. Infatti fu direttamente Berlusconi a sollecitare con Caldoro, appena eletto, un assessorato («al nulla», dirà maligno il pd Enzo De Luca) per il buon Ernesto, dopo averne addirittura vagheggiato la candidatura a presidente della Regione per una notte, quando sul bivio Caldoro-Cosentino parevano incagliarsi le scelte del partito. «Che ne dici di Sica?», suggerì dunque felpato il Cavaliere al suo governatore fresco di vittoria. Una fonte racconta che Caldoro non sapesse nemmeno chi fosse Sica ma sapesse interpretare senza equivoci i toni del leader. E per Ernesto fu assessorato all’Avvocatura, utile chissà a cosa. Comincia così la tammurriata che in pochi giorni ha terremotato tanto gravemente il sistema di potere alle falde del Vesuvio da spingere Marco Demarco, il direttore del Corriere del Mezzogiorno, a scrivere asciutto «ci devono spiegare chi comanda in Campania» nel suo editoriale e a piazzare in una vignetta di prima pagina un profilo indubitabilmente caldoriano con un gran punto interrogativo al posto della faccia. È una giornata afosa e dura, e Stefano Caldoro sorseggia Coca cola da Ciampini, nel cuore della Roma del potere, a due passi da Montecitorio. Colleghi di partito passano e lo abbracciano, tra loro Gigino ’A purpetta Cesaro, presidente della Provincia di Napoli, a sua volta inquisito e buon amico di Cosentino. Caldoro riflette ad alta voce: «Io ho un ruolo, quello del governatore, e so come interpretarlo. Non lo so chi c’è dietro, Cosentino è venuto a dirmi che è una vittima e non ne sa niente di questa faccenda. Del resto da lui, che è coordinatore del partito campano, non ho mai avuto una pressione. No, Berlusconi non l’ho sentito, Letta nemmeno, ma mi ha chiamato Bonaiuti, mi hanno chiamato i capigruppo, in tanti...».

Difficile distinguere forma e sostanza, amici veri e di maniera. «Io di Berlusconi mi fido completamente, tra noi c’è un rapporto molto trasparente. In questi giorni ho avuto paura per mia figlia, ma lei è in gamba, la famiglia tiene». Sembra tenere anche lui, Caldoro, scuola socialista d’antan, politico freddo fino all’ultimo sorso di Coca Cola: «Mi spiace che, per il caso montato da tre scemi che si sono mossi come Totò, ci si dimentichi delle cose serie. Non è Cosentino il problema, il problema è il miliardo e passa di impegni della giunta Bassolino che ho dovuto bloccare...». Tira una forte aria di redde rationem, tra Roma e Napoli. Italo Bocchino, ormai vero giamburrasca del post-berlusconismo, vittima come Caldoro di veline taroccate, va giù piatto: «Al netto delle responsabilità penali, Berlusconi prenda atto che la Campania è diventata un postaccio, azzeri tutti: non si può lasciare il partito in mano a chi fabbrica dossier». Su Cosentino e sulle sue deleghe da sottosegretario pende una mozione parlamentare Idv-Pd, il partito vorrebbe evitare di farla discutere la prossima settimana, le dimissioni di U’ Mericano potrebbero essere imminenti. Ma in queste ore a rosolare sulla graticola c’è ancora Sica, uno che, per i canoni di un partito ormai flagellato dai telefonini, parla con gran disinvoltura. In un’intercettazione, narrando di avere caldeggiato la propria candidatura a governatore, si spinge a raccontare d’avere «minacciato Verdini»: «Io sono un sindaco di paese ma sappia il Presidente che non mi fermo, racconterò da agosto 2007 fino a oggi cos’è accaduto... Berlusconi può fare tutto». Che cosa voleva dire? E cosa c’entra un «sindaco di paese» con l’uomo più potente d’Italia?

Risalendo, di estate in estate e di amico in amico, da Sica si arriva fino a un altro personaggio ricco e potente, il re del cellophane Davide Cincotti: papà costruttore edile, azienda di famiglia a Battipaglia (due passi da Pontecagnano), riservatezza leggendaria rotta solo da un’incursione di Panorama che dieci anni fa lo proclamò «quarto Paperone d’Italia», villa in Sardegna e frequentazioni storiche con Paolo e Silvio Berlusconi. Cincotti, che ieri non ha risposto a una richiesta di colloquio del Corriere, è secondo molti l’uomo che introduce il giovane e intraprendente Sica nel gran mondo. Sarà l’inchiesta a dire se da quel mondo il sindaco di Pontecagnano s’è portato appresso materia «sensibile» nell’altro mondo, il mondaccio fetido di ricatti che adesso, verbale dopo verbale, si va delineando. Il mondo che costrinse Caldoro, accompagnato da Mara Carfagna, a giustificarsi nell’ufficio di Berlusconi sul dossier che gli attribuiva storie alla Marrazzo, coi trans: «È tutto falso, ho gusti sessuali normalissimi», dovette umilmente chiarire il candidato. «E bravo, Stefano: proprio come il tuo presidente!», si sentì rispondere.

Fonte: corriere.it

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