18 lug 2010

Caldoro l’«offeso»: con Cosentino non finisce qua

Il Governatore della Campania e il complotto: «Non credo che i napoletani credano a questa roba»

NAPOLI - Sotto assedio, qui, c’è la vittima. Fuori, sui muri, manifesti azzurri, anonimi ma molto espliciti: «Forza Cosentino». Dentro Palazzo Santa Lucia, tutti addosso, come fosse colpevole di chissà che. Stefano Caldoro sospira e medita: «Non finisce così, anche Nicola lo sa». «Contro di me trame e interessi deviati». Lo dice senza rabbia, come se la faccenda non lo riguardasse. Il presidente della Regione Campania è un bersaglio facile, mostrare i muscoli con lui non costa nulla, non alza mai la voce, è disposto a dare ascolto anche alle ingiurie più fetenti come fossero discorsi ragionevoli. Fa venire in mente la vecchia barzelletta di Totò su quel tale che, preso a ceffoni e insultato per sbaglio, se la ride beato: «Ecché?, io so’ Pasquale?». Governatore— azzardiamo— lei in questo caso è davvero Pasquale, i ceffoni (e il fango) parevano diretti proprio sulla sua faccia… «No, no, io sono l’esatto contrario. Qua decido io, io faccio le cose. E finché decido, resto. Se poi perdo la partita, vado via».

Verso le Regionali Cosentino e Caldoro. È un colloquio difficile, informale, mentre nelle stanze accanto e negli altri palazzi della politica la pressione aumenta con il caldo e al molo Beverello i disoccupati si scontrano con la polizia. In poche ore Caldoro è riuscito in una specie di autogol da manuale, magari per codardia o attaccamento alla poltrona, chissà, magari solo per senso di disciplina. Nero su bianco, le intercettazioni raccontano le chiacchierate del suo coordinatore regionale Nicola Cosentino con la cricca della P3, nelle quali si allude a lui come al «Culattone»: sono i prodromi, secondo i pm, del dossier a base di trans e droga, bufale con cui i congiurati — che per Berlusconi erano «tre pensionati sfigati» — volevano farlo fuori per piazzare proprio « Nick U’ Mericano » sullo scranno da governatore. Le intercettazioni escono sui giornali (con la legge ora in gestazione alla Camera non ne avremmo saputo nulla), Cosentino infine si dimette da sottosegretario ma resta coordinatore regionale del Pdl, Berlusconi lo benedice («Nicola è stato leale», sic). E cosa fa Caldoro? Butta lì che «evidentemente le trame erano esterne al Pdl».

Indietro tutta, l’italiano non ha più senso comune, delle parole e dei veleni. "Certo che sono curioso di sapere chi c’è dietro, chi diede le carte su di me a Verdini, ma quando il rapporto è intermediato dalla politica, certe curiosità devi controllarle… Poi, sa, a Napoli impera la cultura delle situazioni teatrali, tutti raccontano di essere ciò che non sono e molti sono perciò ricattabili». Lo dice con un contenuto tono di riprovazione, questa specie di accanito antinapoletano quasi cinquantenne, così lontano dall’idea di «pate ’e Napule», grande padre collettivo, che s’è incarnata in Lauro e Bassolino e forse pure in Masaniello e Maradona. La sua storia è una parabola sul potere, sui potenti, forse sull’impossibilità di governare Napoli. «I rapporti carismatici qui poi sono tutti falliti, mi piace di più Federico II, allora, che era svevo emeridionale». E il «Cesare» delle intercettazioni? «Beh, chiaro che lo si colleghi a Berlusconi», si ferma, intimidito: «Mi sono sempre fidato di lui, lui è il contrario di un pericolo per la democrazia, l’analisi (logica) è bell’e morta, come la pietà… Caldoro sospira di nuovo: «Lei è manicheo, vede tutto in bianco e nero», rimprovera il cronista e sfodera uno di quei sorrisi impacciati che, nella sua scala di riprovazione, segnalano già livelli di guardia.

Attingendo a dosi di pazienza che deve avere accumulato quand’era un socialista perbene ai tempi di Tangentopoli («quello fu il Vietnam, altro che oggi…»), ragiona ad alta voce e ripete: «Secondo lei la cosa finisce qua? Beh, vedrà che non finisce qua!». Sta dicendo che alla fine cacciano Cosentino? Uno che potrebbe persino aver dato una mano a Berlusconi per risolvere l’emergenza della «munnezza»? Davvero gliel’hanno garantito, governatore? Altro sospiro paziente. «Ci sono dinamiche interne… Legga con attenzione le dichiarazioni sui giornali. Qua nessuno è sicuro di potere andare avanti». Nemmeno lei, quindi. «Ma io, le ripeto, finché decido, resto. Il mio problema più grave è la sanità, oggi. Ho fatto arrivare tecnici dal Veneto, per venirne a capo. Vede, io non posso permettermi il lusso di sentirmi offeso sul piano umano: faccio politica, io, e la Campania è piena di guai molto più seri dei dossier su di me, Bassolino ce ne ha lasciati tanti, di guai». Non è un paese per galantuomini. Durante questo colloquio, poco lontano dalla sede della Regione e praticamente sui muri della Provincia retta da Gigino «A’ Purpetta» Cesaro, uno dei leader inquisiti del Pdl campano, compaiono quei manifesti che su Caldoro devono fare l’effetto di un pugno allo stomaco: «Forza Cosentino, siamo tanti, siamo con te».

Gli esperti di antimafia non li prendono per niente a ridere: potrebbero essere un segnale di «ambienti di mezzo», magari legati appunto ai grandi affari illegali dei rifiuti. In una simile città, tanto canaglia e tanto piena di testosterone, tutti si aspetterebbero dunque la sceneggiata finale, il Caldoro ingiuriato che vendica il proprio onore con una bella piazzata: una posizione troppo morbida su chi gli stava avvelenando vita e carriera non può essere presa come una mezza ammissione? Non teme il governatore che i napoletani più ribaldi, i pronipoti di quei lazzaroni sempre pronti a osannare il potente per sbranarlo un minuto dopo, alla fine, lo chiamino davvero «il Culattone», come facevano gli amici di Cosentino? Caldoro vince la timidezza, allarga le braccia: «No, non penso che i napoletani credano a questa roba. E poi, stia a sentire, a inizio campagna elettorale mi chiamavano il frocetto (il copyright è sempre di Cosentino, pare che l’insulto fosse esteso anche a Italo Bocchino, ndr). Cosa fai, smentisci? Se smentisci, le comunità gay ti dicono: perché, che c’è di male? Quasi quasi non ti resta che dire, sì, è vero. Sa, io non voglio dare letture forzate a battute di cattivo gusto, certe forzature nemmeno la magistratura le mette alla base dell’inchiesta. Chiunque di noi, intercettato, dice mostruosità».

Altro respiro profondo, altro pensiero in libertà: «Qualcuno vuole destabilizzare il Mezzogiorno, e Napoli, per questo ho parlato di una trama fuori dal Pdl». Andiamo… anche lei s’aggrappa a un classico? Servizi? Pezzi di Stato deviati? «Stato è una parola troppo grande, direi piuttosto cose deviate, interessi deviati». Curiosamente, l’intrigo unisce due lembi estremi della Campania, a nord la Casal di Principe di Cosentino, a sud la Pontecagnano del sindaco Ernesto Sica, il giovanotto, un tempo sponsorizzato dal miliardario Davide Cincotti, che sarebbe diventato l’uomo di manovra della cricca nella fabbricazione e nella diffusione del dossier. Pensieri in libertà, come i soldi che si muovono in questa storia forse persino più velocemente semmai è troppo liberale», ancora disciplina, ancora obbedienza, mai una parola fuori posto, mai un pensiero spettinato, per via di quel super-io che deve stargli appollaiato sulla spalla e lo tiene d’occhio da quando ragazzo cominciò a masticare pane e politica nel Psi napoletano di suo padre Antonio. L’assedio non finisce, là fuori. Le parole vanno misurate bene. «Le dimissioni di Cosentino dal governo? Atto di responsabilità», scandisce al microfono del Tg3. Dietro quel microfono c’è Roberta Serdoz, una brava cronista che è pure la moglie di Marrazzo. Ma degli idioti che si danno di gomito, là fuori, tra gli assedianti, il timido Stefano neppure s’accorge.

Fonte: corriere.it

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