11 feb 2009

«Volevano il golpe, così l'ho sventato». Parla Giuseppe Campeis, avvocato di Beppino Englaro

Giuseppe Campeis, avvocato di Beppino Englaro: «Mi hanno detto comunista. Sono cattolico, altro che Marx»

UDINE - «Mi hanno dato anche del comunista, capisce? A me, del comunista ». È l'unico momento in cui Giuseppe Campeis affonda due dita nel colletto della camicia rosa, di colore leggermente più tenue della cravatta, e perde quella postura rigida che per deformazione professionale mantiene anche quando non c'è più nulla per cui stare vigili. «Sono cattolico, ma non un praticante domenicale, mentre mia moglie e i miei figli lo sono. Ma soprattutto sono un conservatore, un vecchio liberale. Altro che Marx». C'è un clima strano, nello studio dell'avvocato che ha gestito e progettato l'ultimo viaggio di Eluana. Il sollievo si mescola con l'imbarazzo, perché la fine di queste giornate tremende si sovrappone alla morte di una donna. «Se avrei fatto la stessa scelta di Beppino? Non lo so. Bisogna esserci dentro, provare certe sensazioni. Non credo sia giusto chiedermelo». Mister 100 mila euro ha lavorato gratis. Lo chiamano così, a Udine. Dicono che per sedersi di fronte a lui, quella sia la cifra minima. A Beppino Englaro non ha chiesto una lira. «Credo nel mio mestiere. Mi illudo ancora di vivere in un Paese ordinato, come lo era una volta l'Austria, dove le sentenze si rispettano, dove c'è la separazione tra i poteri. Come cattolico, non mi sento in contraddizione. Questa era una battaglia di diritto».

Giuseppe Campeis è il più importante avvocato di Udine. Un ex ufficiale di Marina, figlio di un alpino che ha fatto la guerra in Albania. Ex pilota di rally, amante delle immersioni e della montagna, capace di entusiasmarsi per le tracce lasciate dai suoi sci su una pista ancora vergine. Padre avvocato, figli avvocati. Ricco, e si vede. Dai gemelli in oro alla villa in collina fino alla collezione di auto sportive in garage, tra le quali vi sono due Ferrari. In questa storia doveva essere l'ufficiale di collegamento tra Beppino Englaro e il resto del mondo. È finito per diventare il cardine di questa storia, detestato o apprezzato, a seconda delle fazioni. L'avvocato ha tirato le fila di questa vicenda, costruendo quell'involucro giuridico intorno al quale hanno girato senza venirne a capo gli ispettori di Sacconi, i carabinieri del Nas, la Procura. «È cominciata come una storia tra gente di Carnia. Il mio ruolo doveva essere marginale. Ma poi ho conosciuto Beppino. Un uomo di montagna, anche lui. Di poche parole come me. Anche lui ha studiato il tedesco, è affascinato da quella cultura. Anche lui è una sorta di luterano senza essere tale. Il terzo carnico è Giuseppe Tondo, il presidente della Regione». Dopo il fallimento del tentativo alla clinica «Città di Udine», con il governatore del Friuli viene raggiunto un compromesso. A dicembre, Tondo si sfila. I suoi assessori sono contrari. «Voleva ancora darci una mano, ma non poteva esporsi. Con lui si è trattato di una sorta di non ingerenza». A quel punto diventa fondamentale il ruolo di Daniele Renzulli, un altro socialista di antica data, considerato l'ex ministro ombra della Salute del Psi, ex consulente di Riccardo Illy, la trasversalità fatta persona. «È stato fondamentale. Una mente eccelsa. Senza di lui io non ce l'avrei fatta a muovermi nei meandri della sanità friulana».

È Renzulli che disegna il percorso per uscire dalla potestà regionale, e indica «La Quiete» come la soluzione migliore. «Entrambi i direttori sanitari erano fortemente contrari. È stata decisiva la volontà del sindaco di Udine, Furio Honsell. Un uomo lontano da me politicamente, ma del quale ho apprezzato la dirittura morale. Ha fatto pressioni, in qualche modo è riuscito ad imporre l'arrivo di Eluana». Anche l'ultimo giorno è stato vissuto sul filo. «Al mattino sono in udienza. Mio figlio si precipita in aula, per dirmi che alcuni membri dello staff e qualche dirigente de La Quiete stanno considerando l'idea di trasferire la paziente. Mi attacco al telefono e minaccio di denunciarli tutti. Il golpe rientra». Alle 19.35 di quel lunedì, Eluana muore. Il racconto è finito. L'esposizione è stata sobria, senza enfasi, che non è proprio il caso. «Dal punto di vista professionale, è stato un lavoro fatto bene». Campeis si rigira tra le mani un tagliacarte. Silenzio. C'è una domanda che rimane sospesa nell'aria. Tutto questo intreccio di relazioni, amicizie, conoscenze, per arrivare ad una morte. «Lo so. Non creda che non ci abbia pensato. È stata una vicenda estrema, come la determinazione di Beppino Englaro a compiere la volontà della figlia. Quell'uomo è un simbolo di speranza, perché ha dimostrato che in questo Paese c'è ancora spazio per persone che credono ai prìncipi e alle regole. Per questo rimango convinto che ne sia valsa la pena».

Fonte: corriere.it

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