7 gen 2008

Il caso Bassolino: il centrosinistra e quel feudo inviolabile

Di fronte a una città sommersa dai rifiuti, era prevedibile che partisse la caccia alle responsabilità politiche. E che l'attenzione si concentrasse su chi, nell'ultimo quindicennio, ha ricoperto le cariche di sindaco di Napoli, presidente della Campania e commissario per la gestione dei rifiuti.

Di Antonio Bassolino oggi sono in molti a chiedere le dimissioni, dalla grande stampa all'intero centrodestra. Nella consapevolezza che si tratti di un nodo di estrema importanza, pratica e simbolica. E tuttavia rimane una buona metà del quadro politico che, sulle sorti del leader, ha scelto il silenzio. Inutile dire, assordante.
Non ha ritenuto di proferire parola, eccezion fatta per il battitore libero Antonio Di Pietro, l'intero governo. Non il ministro Amato, che pure ha da sbrogliare la matassa di un ordine pubblico diventato, nel Napoletano, pura finzione. Non quel Pecoraro Scanio che per mestiere dovrebbe dannarsi l'anima a fronte di una crisi ambientale ormai degenerata sul piano epidemiologico. Non lo stesso Prodi, il quale dichiara di voler mettere sotto tutela l'ingovernabile Campania (mostrando quanto poco ne ritenga affidabile l'amministrazione) ma evita di pronunciarsi sul punto strategico della sua leadership.
Altrettanto reticenti, d'altronde, sono i capi di quel Partito Democratico a cui pure appartiene il governatore. Rispettosamente nominato, pochi mesi orsono, tra i quarantacinque saggi del comitato promotore. In questi giorni, con le prime pagine della stampa nazionale e internazionale occupate dalla guerra dell'immondizia, Walter Veltroni e Massimo D'Alema hanno continuato ad incrociare le lame sulle ipotesi di riforma elettorale. Ignorando le sorti di un pezzo da novanta del loro Pd.

Il fatto è che, per il centrosinistra, la Campania non è più soltanto un grande serbatoio di voti, la regione che ha portato Prodi a Palazzo Chigi e che promette a Veltroni un robusto appoggio sulla strada del partito senza tessere. È diventata un elemento di grave disturbo, un luogo dove si rischia di perdere faccia e consensi. E l'imbarazzo dei Democratici, già alle prese con un quadro nazionale pieno di insidie, diventa paralisi. Significativamente, nei mesi scorsi, a ipotizzare le dimissioni del governatore della Campania erano state personalità non irregimentate come Sergio Chiamparino e Massimo Cacciari.
Il caso Bassolino, d'altronde, non è che l'ultima conferma di quanto fragile sia diventato, in Italia, il rapporto fra centro e periferia. Nella Prima Repubblica, tra Palazzo Chigi e le amministrazioni regionali e comunali i legami erano intensi: un flusso di decisioni concordate, di pratiche amministrative, di risorse finanziarie. E per quei politici che facevano la spola tra Roma e le periferie, fu usata la categoria antropologica di brokers, mediatori. Allora peraltro erano i partiti, con la loro organizzazione disseminata sul territorio ma verticistica, a garantire una omogeneità ideale e operativa tra centro e periferie.
Molte cose sono cambiate, dagli anni Novanta. Il centro politico — il governo del Paese — assomiglia sempre più a quei sovrani del Sacro Romano Impero che governavano grandi territori ma con scarsi poteri, mentre le periferie ricordano il sistema dei feudi medievali, indisciplinati, spesso inaffidabili, eppure, per il sovrano, indispensabile serbatoio di uomini armati. Il feudo bassoliniano è stato sempre fedele al centrosinistra e ai governi amici, ma ha giocato a tutto campo sul proprio territorio. Forte delle sue reti politico- amministrative e ricco, grazie ai fondi europei, di grandi risorse economiche. Ripudiarlo, sia pure nella catastrofe, è evidentemente difficile. Ma le reticenze del governo e dell'Unione non fanno altro che segnalare il carattere acefalo e frammentato che sta assumendo, in Italia, la decisione politica.

Fonte: corriere.it

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