5 nov 2007

Inchiesta su un progetto di cooperazione: presunte tangenti per la bonifica di una discarica in Kenia Indagine della procura di Roma

Il ministro Pecoraro Scanio lo blocca
Un sito maleodorante da ripulire a Nairobi, un piano da 700mila euro fermato dal ministero. Ecco i retroscena.

NAIROBI – La procura di Roma sta indagando per stabilire se il progetto di cooperazione ambientale con il Kenya, per bonificare la discarica di Dondora a Nairobi, prevedeva il pagamento di tangenti. Qualche settimana fa il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, dopo aver bloccato il progetto, aveva aperto un’inchiesta interna. «Voglio vederci chiaro – aveva spiegato il ministro incontrato nel suo ufficio a Roma –. Troppe cose non quadrano su questa storia, che potrebbe finire direttamente sul tavolo di un magistrato». E infatti ora è finita nelle mani del procuratore aggiunto di Roma, Maria Cordova, che ha incaricato delle indagini i carabinieri del Noe (il Nucleo Operativo Ecologico). Maleodorante, pestilenziale, mefitica; un vero girone dantesco. Eppure la discarica di Dandora, alla periferia di Nairobi, è popolata da almeno mezzo milione di persone che le vivono attorno. Disperati che rovistano nel pattume, alla ricerca di qualcosa di commestibile: resti di un pranzo o scarti del mercato, forse il quarto di mango ancora mangiabile di un frutto marcio.

BARACCOPOLI
A Nairobi non c’è la raccolta differenziata: i riciclatori lavorano in discarica. Gente che, a mani nude, raccoglie le bottiglie, le frantuma su una pietra e vende il vetro sminuzzato, o si occupa della carta, delle lattine o della plastica. Intorno alla discarica trent’anni fa è sorto Korogocho, forse il più grande dei duecento slum-vergogna di Nairobi, dove i derelitti, i disperati, i pezzenti e i miserabili, insomma quella parte del mondo senza speranza, cercano di sopravvivere. Centoventimila persone ammassate in un chilometro quadrato con un’aspettativa di vita di poco meno di quarant’anni. Poi schiantano, distrutti e consumati dai vapori nauseabondi e velenosi sprigionati da quell’ammasso di sudicia immondizia. Korogocho in lingua kikuyu vuol dire «ciò che non ha più nessun valore» oppure «caos». Lì, in una baracca come tutte le altre, viveva padre Alex Zanotelli, il comboniano che per primo ha denunciato al mondo questa tragedia. Ora il suo posto è stato preso dal combattivo padre Daniele Moschetti. Da anni il missionario lotta per la chiusura della discarica e il suo trasferimento e ha rivelato le implicazioni sociali che le sono legate. Comprese le gang criminali che la controllano. Anche chi scava in quel marciume alla ricerca di qualcosa da mangiare o da riciclare deve pagare il pizzo se non vuole avere la gola tagliata. Nel novembre dell’anno scorso il ministro Pecoraro Scanio e la viceministra degli Esteri con delega all’Africa e alla Cooperazione, Patrizia Sentinelli, visitano Korogocho e promettono ai comboniani di risolvere il problema: «La discarica sarà chiusa». Vengono così stanziati oltre 700 mila euro per finanziare lo studio di fattibilità per la chiusura e il trasferimento della discarica.

PROPOSTA
Il governo del Kenya prepara un «concept paper», cioè una proposta di progetto, nel quale si affida all’Eurafrica lo studio di fattibilità. Il piano viene inviato al governo italiano che lo approva il 7 maggio. Il Corriere è in possesso di quel documento che però non risulta redatto in un ufficio di un ministero keniota, ma da un’altra società, di proprietà italiana, la Doralco, legata a uno dei soci di Eurafrica Kenya (compare anche nel sito di Eurafrica come una delle referenze). A compilarlo materialmente risulta essere stata il 18 aprile precedente la signora Federica Fricano, funzionario del ministero dell’ambiente italiano, che l’ha revisionato almeno 10 volte, secondo le “proprietà” del documento. L’Eurafrica ha la sua sede legale a Napoli, a casa dell’amministratore unico Tiziana Perroni,e la sede operativa a Roma, a casa dell’altro socio, Bruno Calzia. I due sono marito e moglie. La loro società, che ha un capitale di appena 10 mila euro, non risulta avere nessuna competenza tecnica in fatto di bonifica o smaltimento di rifiuti. Il bilancio non presenta attività di notevole rilievo. C’è solo un impiegato: Tiziana Perroni.

LA SOCIETA'
Nella lettera con cui si presentano al ministero, il 18 luglio la stessa Perroni scrive: Eurafrica Management and Consulting nasce nel 2002 su iniziativa di Vittorio Travaglini e Bruno Calzia, d’intesa con il gruppo De Nadai, una multinazionale italiana presente ed operante in molti Paesi dell’Africa, Medio Oriente, Penisola Arabica, Asia, Nord e Sud America.
La De Nadai è una società assai rispettata. Nata in Eritrea ha contribuito enormemente allo sviluppo agricolo della nostra ex colonia. Grazie all’operosità dei suoi proprietari, dei suoi manager e dei suoi operai, all’epoca esportava prodotti agricoli in tutto il Medio Oriente.
Al telefono la signora De Nadai spiega: «Ho sentito parlare di questa storia, che però non ha assolutamente la nostra copertura. La nostra società è estranea». E’ vero che “Eurafrica si avvale sin dalla sua costituzione delle numerose strutture societarie del network e delle risorse del Gruppo De Nadai all’estero”, come c’è scritto nella lettera con cui si presenta al ministero dell’ambiente? La risposta è secca: “Assolutamente no! Hanno utilizzato qualche volta gli uffici di Firenze». In quegli uffici ha sede l’Evergreen, partner nel business dei fiori recisi, della Doralco, la società proprietaria del computer nella cui memoria è stato redatto il “concept paper”. Tra l’altro Travaglini - secondo la visura camerale - non è ancora proprietario di Eurafrica Italia. E’ però proprietario di Eurafrica Kenya assieme a Bruno Calzia. Direttore generale di Eurafrica Kenya è Renzo Bernardi, il rappresentante esclusivo della Beretta, della British Aerospace, della francese Sagem, dell’Oto Melara, tutte società che producono armi.

LA TELEFONATA
E’ vero invece “come sostiene la lettera di presentazione, che Calzia è nato e vissuto in Somalia. Dal maggio 2006 è consigliere economico del ministro delle Politiche Agricole Paolo De Castro e siede in numerosi collegi sindacali. Emma Bonino l’ha nominato per il triennio 2007-2009 nel comitato esecutivo dell’ICE. La lettera elenca poi una serie di meriti della società Eurafrica e si spinge ad aggiungere: «Per le ragioni sopra indicate, in considerazione della presenza e dell’affidabilità di Eurafrica in Kenya, la società è stata proposta ed indicata del Ministry of Local Government come project leader».
Il ministro del “Local Goverment” keniota è Musikary Kombo. Il suo ufficio nel centro di Nairobi è sobrio e essenziale. “Di questa storia non so nulla – ammette candidamente e comincia a chiamare a rapporto i suoi più stretti collaboratori. Telefona, alla presenza del Corriere della Sera, anche al sindaco della capitale, che dovrebbe essere coinvolto nell’operazione. Nulla. Sa qualcosa di una riunione tenuta il 15 agosto a Nairobi, cui ha partecipato tra gli altri il direttore generale del ministero dell’ambiente Corrado Clini? «Non so nulla», ribatte il ministro che chiama a rapporto il suo direttore generale, Solomon Boit. Boit ammette: «La riunione c’è stata. Presenti funzionari italiani guidati da Clini. Non è stato raggiunto nessun accordo». L’Eurafrica sostiene di aver avuto da voi l’incarico di occuparsi della discarica. “Non è vero - ribatte secco Boit. Poi sorride compiaciuto - . Mostrino le nostre lettere di incarico se le hanno”. Sul “concept paper” che cita l’Eurafrica tergiversa e quando gli si chiede se conosceva la società prima del 15 agosto risponde: “No, li ho conosciuti in quella occasione. Ma con loro c’era il rappresentante”. Chi è? “Non lo so”. Boit e Kombo fanno finta di non riconoscere in quell’uomo Renzo Bernardi, il mercante d’armi che lavora in Kenya da oltre 30 anni e ha doppio passaporto. “Eppure Bernardi – sostiene Mwalimu Mati, direttore di Mars Kenya, organizzazione etica che lotta contro la corruzione - faceva parte della commissione di garanti che sosteneva Kombo, candidato alla presidenza del Kenya. E’ rimasto in quella lista pochi giorni, poi è stato cancellato. Solomon Boit, invece, viene citato nella lettera di Eurafrica nella frase: “Referenze sulle attività di Eurafrica e sui singoli soci possono essere chieste a”.

I SOLDI
In quel punto, tra gli altri, compare anche Boit. Eurafrica ammette implicitamente di non avere le capacità tecniche per affrontare i problemi che comporta la discarica di Dondora e la sua chiusura. Infatti, nella relazione al ministero dell’ambiente italiano parla del coinvolgimento di due società: la Atkins inglese e la Howard Hamphrey di Nairobi. “Ma allora – sbotta il missionario padre Moschetti – perché non rivolgersi direttamente a loro? Perché passare per una terza parte che, ovviamente, pretenderà soldi per le sue prestazioni. I soldi vanno impiegati per la gente che vive qui – continua il missionario -. E’ grave che qualcuno cerchi di speculare sulla pelle della povera gente”. Il comboniano spiega come la chiusura della discarica non sia solo un fatto tecnico: “Esistono implicazioni sociali di cui occorre tener conto: è l’unica fonte di sostentamento per gli abitanti di Korogocho e delle altre baraccopoli che vi orbitano attorno”. Un progetto per la messa a dimora della discarica di Dandora, con l’individuazione di un nuovo sito dove stoccare i rifiuti della capitale keniota impiegando però la gente che ora vive riciclando le immondizie della discarica, esiste già. Ed è italiano. L’ha presentato la Jacorossi, una compagnia che lavora nel settore da anni. E’ un progetto industriale, che non prevede aiuti dallo stato, e quindi, ovviamente, contempla un profitto. In cambio della chiusura della discarica e della realizzazione della nuova, la Jacorossi chiede di formare una società con la partecipazione del comune di Nairobi per gestire la raccolta dei rifiuti in cui sarebbe impiegata una parte della comunità disperata che oggi vive ai limiti della sopravvivenza spolpando la discarica. “La Jacorossi un progetto l’ha già preparato – si infervora Mwalimu Mati –. Perché commissionarne un altro? Impiegate quei soldi per aiutare la gente”, ripete anche lui. Quant’è costato quello studio? “Non più di 200 mila euro - risponde Carlo Von Vageningen - il rappresentante della Jacorossi a Nairobi.

IL MINISTRO
E allora perché all’Eurafrica il ministero dell’Ambiente era pronto a dare oltre 721.633 euro bloccati in extremis dal ministro Pecoraro Scanio? Il ministro non ha dubbi: “Ho chiesto informazioni sull’Eurafrica all’ambasciata di Nairobi, non mi hanno fornito nulla, quindi io ho sospeso tutto. Ma ho preso l’impegno morale a chiudere quella discarica e lo manterrò. Il progetto andrà avanti senza aggravi e costi aggiuntivi per il contribuente italiano. Al ministero abbiamo l’Apat, un’agenzia tecnica. E’ un ente vigilato. Le affideremo lo studio”. In realtà il business grosso che si nasconde dietro questo semplice studio di 721.633 euro è l’appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani di Nairobi, come per altro c’è scritto nel concept paper: «Trenta milioni di dollari - spiega padre Daniele -. E’ lì che mira Eurafrica». «Una cifra che fa gola e ha attratto appetiti inconfessabili – gli fa eco padre Alex Zanotelli che aggiunge - Sento puzza di tangenti». L’osservazione ha fatto scattare le indagini della magistratura e colpisce anche il ministro Pecoraro Scanio che di quella riunione nel giorno di Ferragosto è venuto a sapere per caso. «Siamo molto conosciuti in Kenya – azzarda invece Bruno Calzia -. E’ per questo che ci hanno scelto». Eppure il ministro Kombo sostiene di non conoscere né l’Eurafrica, né Calzia. E così pure il direttore Boit che è stato inserito come referenza della società. Alle domande «Perché il governo italiano dovrebbe rivolgersi a Eurafrica che poi commissiona lo studio alla Atkins? Non risparmierebbe se si rivolgesse direttamente alla società inglese?». La risposta è evasiva: «Il governo keniota preferisce lavorare con noi. Ci stimano assai». Ma occorre sapere che le organizzazioni che si occupano di lotta alla corruzione mettono il Kenya ai primi posti nella classifica specializzata dei Paesi più eticamente degradati. Inoltre Eurafrica all’ambasciata italiana di Nairobi è completamente sconosciuta. Corrado Clini, direttore del ministero dell’ambiente, in una lettera al Corriere di “smentita preventiva” è convinto che l’Eurafrica sia un’ottima società di consulenza e supporto: «Ha lavorato con noi in Bosnia e non ho avuto problemi». Conferma poi che è stata scelta dal governo africano. E il progetto già fatto della Jacorossi? «Ho chiesto all’ambasciata italiana: non c’è alcuna traccia del progetto», ma da Nairobi gli risponde Carlo Von Vageningen, mostrando la ricevuta della consegna del progetto alla nostra legazione. Lo studio dunque è “sparito”. E quella sparizione stava per costarci ben 700 mila euro.

Fonte: corriere.it

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