7 set 2007

Il malato è un affare privato

Il Ssn ha delegato a laboratori e case di cura quasi la metà dei suoi compiti. Ma nessuno li controlla. Così la spesa lievita per esami e cure inappropriate

Centinaia di addetti, migliaia di pazienti in gioco: lo ripetono come un mantra gli amministratori lombardi. Perché sanno che è su questo binomio che fa perno l'impunità di chi fa soldi a palate a spese del Sistema sanitario nazionale: il bisogno di salute cresce, cresce, cresce, e sono i privati a soddisfarlo in larga parte, tappando le falle del Sistema sanitario nazionale che non riesce né a rispondere al bisogno di tutti, né, ed è ancor più grave, a calmierare questo bisogno, spesso drogato.

Così finisce che il Ssn sembra sempre più abdicare al suo ruolo di erogatore e garante della salute degli italiani, delegando al privato quasi la metà delle sue funzioni, e mancando di controllare ciò che le strutture accreditate fanno col denaro pubblico: 30 miliardi di euro circa nel 2005, di cui otto e mezzo andati alle case di cura. Che si traducono in milioni di pazienti dirottati fuori da ospedali e Asl ad alimentare un business retto, com'è ovvio, per lo più da imprese che fanno le cose per bene e in piena legalità; ma che non hanno alcun interesse, né ne hanno il mandato istituzionale, a calmierare le ansie e le richieste spesso inutili.

Non solo, i dati sui costi dei ricoveri, forniti in esclusiva al 'L'espresso' dal ministero della Salute, mostrano che chiunque sostenga che ricorrere al privato accreditato fa risparmiare il Ssn si sbaglia di grosso. Un ricovero costa all'erario in media 3.021 euro in ospedale e 2.870,48 in clinica; la media però nasconde che gli interventi più costosi (dai trapianti alla chirurgia oncologica alla neurochirurgia di punta) si eseguono in larga parte nelle strutture pubbliche. Non solo: sono sempre i dati ministeriali a rivelare che ogni ricoverato in Lombardia costa 3.100 euro in ospedale e di più, 3.200, in clinica. In Sicilia: 2.750 contro 2.872. E in Liguria: 3.338 contro 6.743.


Così la spesa lievita, e il Ssn arranca: è tra i migliori del mondo, è vero, stando alle statistiche, ma per quanto ancora? E poi: quelle statistiche assomigliano sempre più al pollo della parabola, perché a fronte di regioni del Paese dove si registrano eccellenza ed efficienza, ce ne sono altre che sprofondano, abdicano al privato spesso rapace, e mancano di garantire il minimo consentito dalla decenza. E così, il Paese nel suo complesso, nei confronti internazionali, fa una gran bella figura, ma andatelo a chiedere a un cittadino campano, siciliano o abruzzese se si sente nel migliore dei Ssn possibili. O a un lombardo, che sa di vivere al centro dell'eccellenza scientifica internazionale, perché viene spinto in clinica da un sistema che ha privilegiato il privato svuotando di risorse gli ospedali.

A sottolineare l'incongruo di una mole di denaro così ingente trasferita senza chiederne conto ai privati è anche il Cnel che, in un documento dell'aprile 2007 annota: "Non si può non notare che, ad oggi, in molte realtà ci troviamo di fronte a un doppio sistema sanitario, là dove le prestazioni erogate dal privato accreditato superano il 50 per cento del totale". Con trend in ascesa: la specialistica accreditata sale dell' 8,5 per cento l'anno, l'assistenza, cioè i ricoveri, del 7,2.

Specialistica, ovvero centri diagnostici e laboratori di analisi, innanzitutto. E qui, più che altrove, il privato la fa da padrone. Con situazioni paradossali: in Lombardia il 60 per cento della diagnostica è svolto in centri, nel Lazio il 74 per cento, in Sicilia l'82. La sintesi la fa il rapporto Oasi della Bocconi che mostra come la diagnostica in convenzione decolli in certe regioni e implichi prestazioni inappropriate e aumenti di spesa: 2,2 laboratori accreditati ogni 100 mila abitanti in Piemonte, 11,4 nel Lazio, 20,7 in Campania, 29,1 in Sicilia. Così accade che la spesa pro capite in accertamenti diagnostici spesso inutili passi dai 14 euro degli umbri ai 101 euro dei laziali, dai 29 euro degli emiliani ai 59 dei lombardi.

Perché stiamo parlando di un comparto, la diagnostica, che ogni anno si porta via 3 miliardi e mezzo di euro. Le ragioni di uno shift così ingente al privato sono, di fatto, legate all'incapacità delle strutture pubbliche di far fronte alla richiesta. E per un Giovanni Bissoni, assessore alla Sanità dell'Emilia Romagna che soddisfatto dichiara che dalle sue parti solo il 7 per cento dei fondi per la diagnostica va alle strutture convenzionate e che la diagnostica più costosa (Tac e risonanze) si fa solo in ospedale, c'è un Lazio che batte tutti i record: i due terzi delle prestazioni diagnostiche sono fatte dai privati accreditati, che si accaparrano anche il grosso delle costosissime Tac e Rmn (232 mila su 340 mila nel 2005).

Eppure delle 49 apparecchiature attive nella regione, solo 17 sono private: che fanno le 32 risonanze laziali tutto il giorno? La risposta, almeno in parte, la fornisce la commissione d'indagine sul Ssn del Senato presieduta dal forzista Antonio Tomassini che, in margine a un'ispezione compiuta al nuovo Polo oncologico romano (Ifo), annota: "Ci sono solo cinque Pet nell'Italia centrale. Di cui due all'Ifo. Potrebbero eseguire 20 prestazioni al giorno, ma ne forniscono 20 alla settimana". Per non parlare della Moc (l'esame per verificare la densità ossea previsto per ogni donna in menopausa); le apparecchiature ci sono, ma il servizio è sospeso per mancanza di personale. Con milioni di donne che vanno in clinica.

La situazione rilevata all'Ifo dai senatori della Commissione è emblematica dell'abdicazione: la struttura pubblica non ce la fa a governare richieste e prestazioni, e manda la gente in laboratorio. O in casa di cura. Come in Sicilia, dove più di un quinto dei denari erogati dal Ssn (esclusi quelli per i farmaci e per i medici di base) va alle cliniche. Come stupirsene se, nel corso della loro ispezione all'ospedale Villa Sofia Cto di Palermo i senatori della Commissione hanno trovato che su quattro stanze a disposizione delle partorienti, tre sono vuote e ingombre di masserizie, ancorché tinteggiate di fresco, e solo una ospita effettivamente alcune puerpere. Delle due, l'una: o a Palermo non nascono più bambini, o la spinta è ad andare a partorire in casa di cura. Peraltro questa tendenza a delegare è ben rappresentata da una nota del direttore sanitario della struttura, Salvatore Requirez, che ha lasciato "perplessi" i senatori. Il Villa Sofia, dice Requirez, è l'unica struttura palermitana a erogare la terapia del dolore che, però, costa troppo e "va esternalizzata".

Con che garanzie, poi, il Ssn lascia ai privati il compito di curare gli italiani? Leggiamo il documento del Cnel: "L'applicazione delle norme in materia di accreditamento è stata nella maggior parte delle Regioni disattesa. Ciò ha determinato conseguenze negative sia sulle prestazioni che sul terreno economico". Ed è lo stesso Consiglio a chiedersi se la disgregazione del sistema non si traduca in una "disparità" tra i cittadini di fronte alla malattia.

"Il federalismo sanitario ha spaccato il Paese perché ha consentito a chi aveva le spalle robuste di camminare più in fretta. Ma ha tagliato le gambe a chi era già in difficoltà", spiega Giovanni Bissoni da Bologna. Così chi è stato capace di governare le risorse e responsabilizzare tutti gli attori, dai primari agli infermieri ai sindaci, ce l'ha fatta. Chi ha sprecato in clientele e convenzioni, no.

Così sono andate le cose, a sentire gli esperti, ma la questione rimane aperta. Di fronte a 21 autorità sanitarie riottose e ben decise a non mollare una briciola, né di denari né di autonomia. Col susseguirsi quasi giornaliero di scandali e ruberie. Come facciamo a parlare ancora di Ssn? Non sarà che è morto e che nessuno vuole dirlo? "Non è morto", chiude Bissoni: "Ma se non risolviamo il problema del Lazio, della Campania, della Sicilia, allora, certo, si fa fatica a parlare di Ssn".

Fonte: espresso.it

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