I pm lo incriminano per i rifiuti. Il turismo è in crisi. L'economia langue. Ma il presidente è sempre più forte. Ecco perché
Cattura la new wave di Alessandra Mammì e Sabina Minardi Nostalgia di vacanze? Voglia di fuga? Settembre è la stagione migliore. Che porta nuove mete, volti, mode ed eventi Per Napoli il governatore non ha fatto niente. Invece ad Afragola, sopra i suoi terreni, ha fatto costruire l'Ikea, Leroy Marlin e la stazione dell'Alta velocità. Pazzesco. E la sa una cosa che mi ha detto un amico fidatissimo? Il sindaco si prende i quadri dei musei e se li appende in salotto, a Posillipo. E un altro mi ha giurato che la moglie è proprietaria della Gestline e degli autobus rossi che portano in giro i turisti. Uno schifo... Il tassista è un fiume in piena, ed è infuriato nero. Colpa forse del caldo e degli affari che vanno male: in città gli alberghi sono mezzi vuoti, le prime stime parlano di una flessione dei turisti del 20-30 per cento.
Così il tassista Giuseppe fa in cinque minuti la summa completa delle leggende metropolitane che da qualche mese circolano su Antonio Bassolino, sessant'anni appena compiuti, due volte sindaco, già ministro del Lavoro e dal 2000 governatore della Campania. Dicerie senza alcun riscontro ma che, più dell'inchiesta sulla monnezza, rischiano di distruggere un politico che sull'immagine e sulla comunicazione ha sempre puntato moltissimo. Magistrati in azione, rancore degli elettori, fallimento di un'esperienza amministrativa iniziata nel 1993: intellettuali e giornalisti ammettono che il clima che si respira in città è quello del pre-Tangentopoli. Al tempo fu travolta la rete dei Gava, dei Cirino Pomicino, dei De Lorenzo. Oggi, sperano gli avversari, potrebbe essere il turno del tentacolare sistema di potere messo in piedi da quello che lo storico Paolo Macrì definisce "l'uomo più potente in Campania dal dopoguerra in poi".
Anche se il regno di Bassolino sembra sulla via del tramonto, in città nessuno si schiera. Politici ed élite stanno in silenzio, in attesa degli eventi. La richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Napoli è stato un colpo durissimo, ma le accuse di truffa aggravata e frode che il governatore avrebbe commesso in qualità di commissario per l'emergenza rifiuti per ora hanno fatto meno danni del previsto. Don Antonio ha collezionato solo attestati di stima. Da Fassino a D'Alema, da Rosy Bindi a Veltroni, dal cardinale Crescenzio Sepe fino ad alcuni esponenti dell'opposizione. Prima di attaccare o' Presidente, infatti, ci si pensa due volte.
In tre lustri Bassolino ha messo in piedi un sistema di relazioni istituzionali ed economiche che abbraccia tutti i settori della vita pubblica: dai politici ai professionisti, dagli intellettuali ai giornalisti, dagli imprenditori ai sindacati. Nessuno, a Roma come in Campania, vuole mettersi contro chi ha in mano milioni di voti. "Bassolino è in crisi, ma ha ancora un potere enorme", commenta il filosofo Biagio De Giovanni, ex parlamentare europeo dei ds: "Un'egemonia che si fonda su corporazioni, lobby, complesse articolazioni del consenso. Il suo partito personale gestisce interessi giganteschi. Un simile monstrum non crolla in quattro e quattr'otto. E da garantista, non posso neanche augurarmi che cada sotto i colpi della magistratura".
Il partito del Presidente
La strategia politica di Bassolino nasce nel 1993, dopo la vittoria su Alessandra Mussolini, ed è figlia di un appartato professore universitario che si è trasformato negli anni in uno degli uomini più influenti di Napoli: Mauro Calise, politologo, non ha (quasi) mai avuto incarichi ufficiali, ma è il consulente più ascoltato dal governatore. Ha un ruolo ombra che ne fa il demiurgo del partito del Presidente: sfruttando i nuovi poteri assegnati al sindaco, Bassolino e Calise tagliano fuori i partiti della maggioranza da ogni decisione reale. Il professore indica gli uomini giusti, arbitra le carriere e consiglia gli assetti delle giunte. La gestione della cosa pubblica è affidata solo a fedelissimi.
Il modello di Calise è mutuato dall'esperienza di Ross Perot, il magnate statunitense candidato alla Casa Bianca: sfruttando il vuoto di potere post-gaviano, la coppia riesce a imporre in città un presidenzialismo all'americana con forti connotati populistici. Vincenzo De Luca, sindaco ulivista di Salerno e da anni in cima alla lista dei nemici del governatore, ci va giù pesante: "Il risultato è che oggi ci troviamo di fronte a un sistema clientelare di massa. La Regione è gestita come una bottega privata. Non c'è alcuna attività del palazzo che non abbia il marchio della fedeltà, non troverà neanche un usciere che non sia legato alla sua corrente".
La cupola del potere
Nel 2003 un saggio curato dalla sociologa Enrica Amaturo disegnò per la prima volta una mappa degli uomini che contano sotto il Vesuvio: i bassoliniani la facevano, già allora, da padroni indiscusssi. Dopo quattro anni 'L'espresso' ha ascoltato opinion maker, politici e osservatori neutrali, tentando di aggiornare la piramide, inserendo le nomenclature in ascesa e i potenti che agiscono dietro le quinte. La musica non cambia. Tutto ruota ancora intorno al governatore. "Chi critica Bassolino viene sistematicamente messo da parte", ragiona De Giovanni: "Il potere deve invece accettare il dissenso costruttivo, altrimenti rischia l'entropia. Non è un caso che la classe dirigente di cui si è circondato sia così mediocre". Il vicerè ha sempre fatto spallucce e aperto la stanza dei bottoni solo agli amici.
Oggi i suoi uomini-chiave sono Andrea Cozzolino, assessore regionale alle Attività produttive; Ennio Cascetta, ras dei Trasporti che zitto zitto si sta costruendo un enorme potere personale; Teresa Armato, assessore all'Università; Rocco Papa, ex vicesindaco di Rosa Russo Iervolino ("Lei conta pochissimo", dicono gli osservatori più cinici), e infine Annamaria Carloni, senatrice ds, presidente della lobby rosa Emily e moglie dello stesso Bassolino. La Carloni, si legge nell'analisi della Amaturo, ha addirittura più influenza dei partiti dell'Ulivo. Altro personaggio decisivo della rete è Enrico Soprano, avvocato della Napoli bene e superconsulente in varie questioni relative all'amministrazione pubblica, alle Asl e alle discusse società miste controllate dalla Regione. Soprano è a libro paga anche come esperto per la gestione dei rifiuti. "Il suo studio ha svolto un ruolo determinante", chiosa De Luca: "È stato il luogo di compensazione di tutti gli interessi politici ed economici delle élite napoletane".
Il settore dell'arte contemporanea, grande pallino del presidente, viene invece delegato a un ex giornalista, Eduardo Cicelyn, oggi direttore del Museo Madre e patron indiscusso - inizialmente sotto la supervisione di Achille Bonito Oliva - di ogni evento culturale in città. Fin dalle prime installazioni in piazza Plebiscito emargina università, accademie e gallerie, snobba le produzioni locali e fa arrivare a Napoli i soliti (questa l'accusa) nomi internazionali. Se il teatro San Carlo va verso il fallimento e il sovrintendente Nicola Spinosa fa miracoli con quattro soldi per difendere i beni culturali della città, Cicelyn sembra invece avere credito illimitato.
Un fiume di denaro
L'attuale potere di Bassolino si fonda infatti non solo sull'abilità politica e sull'innegabile carisma personale, ma anche sul controllo di enormi somme di denaro. Se la spesa pubblica regionale è ormai arrivata al 19,5 per cento del Pil, i fondi europei nel periodo 2000-2006 superano i 7,7 miliardi di euro. Un fiume di soldi gestito direttamente dall'assessore Cozzolino. Gli aiuti di Bruxelles, a parte gli investimenti nella metropolitana, non vengono destinati a opere strutturali per il rilancio dell'economia, ma polverizzati in migliaia di rivoli che spesso non creano nessun valore aggiunto. Le statistiche sono impietose: nonostante le risorse Ue, la Campania resta tra le regioni più povere d'Europa, il numero degli occupati è fermo al palo (all'inizio del 1994 erano di più), e in dieci anni 250 mila persone sono state costrette a emigrare verso Nord.
Per i critici epigoni di Nicola Rossi, l'economista ex ds autore di un saggio sugli sprechi di risorse pubbliche nel Sud, i vari Por, i patti territoriali e i contratti d'area sarebbero usati dalla Regione come 'minicasse del Mezzogiorno', adibite anche al mantenimento dei gruppi economico-politici che portano consenso. La debole industria campana fa parte del gioco, dal momento che sopravvive grazie alle elargizioni di Palazzo Santa Lucia e ai miliardi pubblici della legge 488. Contro il clan Bassolino si è schierato apertamente solo l'ex presidente di viale dell'Astronomia, Antonio D'Amato, mentre i leader degli industriali napoletani (Tommaso Iavarone prima, Giovanni Lettieri poi), hanno preferito mantenere buoni rapporti. Commercianti, artigiani, costruttori e industriali hanno ricevuto sovvenzioni e appalti per milioni, ma senza riuscire a trasformare gli aiuti in crescita: dal 2000 al 2005, secondo Bankitalia, il valore aggiunto delle aziende campane è calato in media del 3,5 per cento l'anno, peggio che in tutto il resto del Mezzogiorno.
I conti non tornano
Gli indicatori socio-economici non perdonano. Nonostante 15 anni di potere incontrastato, il bilancio dell'amministrazione Bassolino è magrissimo. A parte i cumuli di spazzatura e le faide di camorra che hanno disintegrato il mito del 'Rinascimento napoletano' (quello del recupero del centro storico grazie ai fondi del G7, del restauro dei parchi, del metrò dell'arte omaggiato dal 'Times' e della Città della Scienza), i grandi progetti per lo sviluppo sono rimasti sulla carta. Uniche eccezioni di rilievo il boom del centro orafo Tarì, del Polo della Qualità dedicato alla moda e dell'Interporto di Nola. Troppo poco. L'Italsider ha chiuso battenti nel 1992, gli stabilimenti petrolchimici della Q8 della zona est sono stati smantellati due anni dopo, ma nell'anno di grazia 2007 la riconversione è ancora al punto di partenza.
Per Bagnoli si parla ancora di bonifica dei suoli, e oggi Palazzo San Giacomo sta tentando di traslocare a caro prezzo migliaia di tonnellate di materiale inquinato a Piombino. Sarà colpa anche della burocrazia e della storica assenza della 'cultura del fare', non c'è dubbio. Ma negli ultimi dieci anni, mentre Torino si accaparrava le Olimpiadi e trasformava i vecchi stabilimenti Fiat in aziende hi-tech, mentre Genova si godeva il nuovo porto e Milano tagliava i nastri della Fiera, Napoli perdeva anche il Banco, la Coppa America, l'Expò sognato da Luigi Nicolais oltre a un milione e mezzo (dato regionale della Svimez) di turisti.
Sanità alla carica
Nonostante gli insuccessi, Bassolino e Iervolino vincono a man bassa anche le ultime tornate elettorali con percentuali bulgare. L'opposizione della Cdl, per usare parole di De Giovanni, "non esiste, è un buco nero". Alle Comunali il dissenso interno si materializza nella candidatura del maestro di strada Mario Rossi-Doria, ma l'intellighenzia di Chiaia e del Vomero prima lo appoggia, poi lo abbandona al suo destino: dalla lista si ritirano d'improvviso tutti i nomi capaci di attrarre voti. Ai plebisciti che premiano la sindaca e il governatore collabora anche il cittadino più illustre di Nusco, l'intramontabile Ciriaco De Mita, il capo della Margherita con cui il partito del Presidente deve venire a patti nel 2000 per formare la prima giunta regionale. L'alleanza tra Bassolino e De Mita si basa (tuttora) su un patto di lottizzazione con regole ferree: a Bassolino e ai Ds i fondi europei, a De Mita e alla Margherita la grande fabbrica di consenso della Sanità pubblica.
Secondo Marco Demarco, direttore del 'Corriere del Mezzogiorno' e autore de 'L'altra metà della storia', saggio sull'epopea del potere a Napoli da Lauro ai giorni nostri, Bassolino all'inizio "tenne duro, cercando di influenzare le nomine attraverso il ds Giuseppe Petrella, che finirà persino in un'inchiesta della magistratura. Ma quando il demitiano Angelo Montemarano conquista la poltrona dell'assessorato regionale, il governatore è costretto alla resa". I vertici della Soresa, la società nata per cartolarizzare l'enorme debito sanitario della Regione, vengono spartiti. A Salerno la difficile ricerca della quadra fa saltare cinque direttori dell'Asl in cinque anni: un record. Alla fine il bottino di De Mita è ricco: con una spesa annua di oltre 9 miliardi di euro, ben il 63 per cento del bilancio regionale, si paga infatti lo stipendio a 65 mila tra medici, infermieri, tecnici e amministrativi e si rimborsano farmacie, cliniche e ambulatori privati. La dimostrazione plastica del votificio-Sanità è data dal trionfo del rampollo di Montemarano, il giovanissimo Emilio, che nel 2006 risulta il consigliere comunale più votato (7.547 preferenze) dopo Silvio Berlusconi.
Uomini d'oro
Conquistati imprenditori e politici, tocca alla società civile. Oltre all'indiscusso fascino, lo strumento di Bassolino è quello delle commissioni speciali, delle consulenze e delle società miste. Di queste ultime dal 2001 al 2006 ne vengono costituite 33. In tutto sono 37, e contano circa 250 consiglieri di amministrazione e oltre 6 mila dipendenti. "Ce ne è una inventata da Cascetta che ha un solo dipendente e 25 consiglieri", racconta Demarco: "Ma il record di spesa è appannaggio del commissariato sui rifiuti: 500 parcelle per 9 milioni di euro".
Nessuno viene scelto per concorso: architetti, professori, giornalisti, notai, avvocati, ragionieri e ingegneri vengono cooptati nel sistema quasi sempre per chiamata diretta, assicurandosi stipendi d'oro, gettoni di presenza e l'ingresso nella cerchia che conta. La produttività è scarsa: le 21 teste d'uovo del Comitato tecnico scientifico si incontrano raramente, potere decisionale zero. Contemporaneamente, i bassoliniani fondano una lobby, chiamata Diametro, capeggiata da Cascetta, Petrella, l'avvocato ds Vincenzo Siniscalchi, la Armato e Dino Di Palma, un verde che diventerà presidente della Provincia. L'associazione non farà molta strada, ma le richieste di adesione saranno centinaia, perfino da parte di esponenti di Forza Italia.
Perché a Napoli chi non è nelle grazie di Bassolino, è fuori dal sistema. E chi è fuori dal network, conta poco. Non stupisce che a volte si sia sfiorata anche la farsa, andata infine in scena al teatro Mercadante. Dove per non far dispiacere a nessuno vennero piazzati quattro consiglieri artistici, oltre al presidente e al direttore. "Nomi di gran prestigio", narrano gli addetti ai lavori: "Ma per forza di cose nella stesura del cartellone la confusione regnava sovrana. Una Babele".
Fonte: espresso.it
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